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Autore: Marti Lestrange    31/07/2015    4 recensioni
"Era un irrimediabile buffone, un amico vero, la mia àncora.
E lo amavo. Faceva male perché sapevo che lui non poteva ricambiare. Lo sapevo e ne ero così certa che sentii la stretta allo stomaco farsi più forte e risalire poi verso il cuore. Prima o poi si sarebbe spezzato e lo sapevo. George me lo avrebbe spezzato."
{BUON COMPLEANNO, FRIDA!}
Rating: verde.
Personaggi: Frida Lennox [OC], George Weasley, Fred Weasley [secondario].
Pairing: George/Frida.
Avvertimenti: what if?, AU accennato.
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Titolo: "But don't bring tomorrow {'cause I alreay know I'll lose you}".
Rating: verde.
Personaggi: Frida Lennox [OC], George Weasley, Fred Weasley [secondario].
Pairing: George/Frida.
Avvertimenti: what if?, AU accennato.
Note: in fondo.
 
 
Per Frida, buon compleanno.
 
 
But don't bring tomorrow
{'cause I already know
I'll lose you...}
 
 
 
{1° settembre 1990}
 
“Avevo sempre pensato che le vecchie stazioni ferroviarie fossero tra i pochi luoghi magici rimasti al mondo.
I fantasmi di ricordi e di addii vi si 
mescolano
con l’inizio di centinaia di viaggi per destinazioni lontane, senza ritorno." (1)
 
Quel giorno aveva deciso di piovere. Infagottata in una specie di mantellina antipioggia che mia madre mi aveva insistentemente fatto indossare e che stonava in modo incredibile con la mia divisa nuova e ancora profumata di bucato, l'Espresso per Hogwarts mi apparve in tutta la sua scarlatta magnificenza, adagiato sul binario gremito, sbuffante e pronto alla partenza. 
Guardai l'orologio che mio padre mi aveva regalato per il compleanno, che avevo festeggiato giusto un mese prima, e calcolai che mi rimanevano ancora quindici minuti per caricare il baule sul treno, salutare i miei genitori e la mia sorellina e salire a bordo. Non vedevo l'ora di godermi il viaggio e allo stesso tempo avevo una paura nera di raggiungere Hogwarts e affrontare lo smistamento. Mia madre era stata una Corvonero e mio padre un Grifondoro e io non mi sentivo nè carne nè pesce, cristallizzata a metà strada, piena di dubbi e contraddizioni. Dentro di me continuavo a ripetermi che una qualsiasi delle due case sarebbe andata benissimo, a prescindere da tutto, dai desideri dei miei, dalle aspettative della famiglia Lennox - per tradizione Grifondoro - e persino da ciò che volevo io. 
«Posso aiutarti?» una voce mi raggiunse alle spalle, mentre, ostinata, cercavo di caricare il baule sul treno. Avevo appena rifiutato l'aiuto di mio padre: non volevo sembrare una stupida bambina del primo anno che si fa aiutare da papino perché il baule è troppo pesante. Probabilmente nessuno mi stava guardando perché nessuno badava ad una piccola ragazzina di undici anni dai capelli ricci perennemente incasinati, un paio di normalissimi occhi scuri, forse un po' troppo espressivi, e un paio di occhiali rossi troppo grandi per lei. Eppure, qualcuno mi vide. 
Mi girai. Un ragazzo troppo alto per la sua età - aveva forse due o tre anni più di me e due gambe lunghe e sgraziate -, occhi marroni e caldi come il sole, amichevoli e vividi, un sorriso bello da morire e una zazzera di scompigliati capelli rossi, stava di fronte a me, la mano poggiata sulla maniglia del mio baule. 
«Giuro che non mordo» rise divertito. 
«La vuoi finire di importunare i primini, George?» esclamò un'altra voce accanto a noi e un altro ragazzo, uguale identico al primo - che a quanto pare si chiamava George - diede una pacca sulla spalla a quello che era sicuramente il fratello gemello. I due si sarebbero potuti invertire, talmente l'uno era la copia esatta dell'altro. 
Li osservai per un momento, gli occhi sbarrati e incuriositi. Per Merlino, erano davvero identici! Okay, forse il primo, George, aveva un sorriso più dolce, perché quando il fratello sorrise, lo fece in un modo che non prometteva niente di buono. Era uno di quei sorrisi furbi e brillanti, uno di quei sorrisi che ti incastrano. Decisi però di preferire George, che in quel momento guardava il fratello con una strana espressione.
«Sei sempre il solito, Fred. Non sto importunando proprio nessuno, io.»
«Stai offrendo aiuto, questo lo vedo. Ma sei sicuro che le pulzelle in difficoltà lo accettino?»
Battibeccavano che era un piacere e avrei tanto voluto starli ad ascoltare per delle ore, ma il mio orologio mi ricordò che avevo solo più sette minuti, per cui lasciai i due gemelli rossi a discutere e finii di caricare il mio baule. Fui fortunata e trovai uno scompartimento libero proprio accanto all'uscita. In quel momento era deserto, ma individuai un altro baule, caricato sulla rastrelliera. Avrei pensato più tardi ad affrontare il proprietario, sperando che questo avesse voglia di dividere lo spazio con me e non mi cacciasse via. Magari avevo beccato lo scompartimento di qualche Serpeverde... Ignorai un borbottio all'altezza dello stomaco - ansia mista a fame - e scesi nuovamente dal treno. 
«Ecco dov'eri finita!» esclamò uno dei due gemelli. Ecco, ora non riuscivo più a distinguerli.
Lo guardai, interrogativa. «Come, prego?»
«Come, prego?» ripetè l'altro. «Bella risposta!» e scoppiò a ridere. «Davvero una bella risposta, Georgie.»
«Ti avrei aiutata io, a caricare il tuo pesante baule» disse quest'ultimo, le mani piantate sui fianchi magri. 
Entrambi indossavano pantaloni troppo corti per le loro gambe dinoccolate, maglioni infeltriti che avevano senza dubbio visto tempi migliori e scarpe con le suole bucate. Non avevano un aspetto splendido, ma li trovai comunque simpatici e brillanti, lo potevo leggere sui loro visi. 
«Non avevo bisogno di aiuto, comunque» aggiunsi sorridendo e scrollando le spalle «ma grazie lo stesso del pensiero.»
«Nah» esclamò Fred agitando una mano. «È Georgie quello galante dei due, io sono il mascalzone» così dicendo mi fece l'occhiolino e ricordò al fratello che lo avrebbe aspettato sul treno, per poi dileguarsi lungo il binario, diretto chissà dove.
George si voltò verso e mi rivolse un sorriso sghembo. «George Weasley» esclamò porgendomi una mano. «Incantato.»
«Frida» risposi ricambiando il sorriso e stringendogli la mano, improvvisamente imbarazzata. «Frida Lennox (2)
 
§
 
{1° agosto 1992}
 
“Non lo disse ad alta voce perché sapeva che a dirle, le cose belle non succedono.” (3)
 
No, non avevo davvero voluto sperare di passare il compleanno con i miei migliori amici. Compiere gli anni in estate era sempre stata una fregatura e da quando frequentavo Hogwarts ne ero sempre più convinta. L'anno prima avevo passato il mio compleanno in Francia, ad Avignone, mentre ero in vacanza con i miei genitori e mia sorella e non avevo quindi potuto vedere nessuno. Al ritorno a casa avevo trovato un pacco di Cioccorane da parte dei gemelli e un quaderno rilegato con annessa piuma d'oca da parte della mia migliore amica Katie Bell, ma mi mancavano tanto e non vedevo l'ora di tornare ad Hogwarts per rivederli. Due mesi erano decisamente troppo lunghi.
Anche quell'anno, nonostante non fossi in Francia ma a casa nello Yorkshire, mi ero arresa all'idea che non li avrei visti e che avrei quindi festeggiato il compleanno come al solito, nel grande giardino pieno di fiori. Mia madre avrebbe preparato una torta e mio padre avrebbe sparato in cielo i fuochi d'artificio. Probabilmente sarebbero venuti i nonni, ma le feste in famiglia erano sempre piuttosto tranquille e moderate, non certo le feste che organizzavano i gemelli a casa Weasley. Una volta ero stata invitata lì con i miei genitori, visto che i signori Weasley volevano conoscerli - e volevano conoscere "la famosa Frida Lennox tante volte citata dai loro figli". Fred e George avevano organizzato una vera e propria festa e i rossissimi Weasley erano tutti al completo e riempivano il piccolo salotto con le loro teste accese e i sorrisi solari. Mi ero sentita come a casa, alla Tana - così la chiamavano, e il dettaglio aggiungeva solo un tocco di stramberia in più a quella famiglia così particolare - e a fine serata ero andata via a malincuore.
Per cui rimasi piacevolmente stupita quando i gemelli mi fecero una sorpresa, la mattina del primo agosto, e piombarono a casa Lennox svegliando tutti i suoi occupanti. Sentii le loro voci acute riecheggiare nel salotto al piano terra e papà che cercava evidentemente di capirci qualcosa. Non mi feci attendere e corsi di sotto, piombando in salotto come un tornado. I miei miglori amici erano lì, in piedi, Fred poggiato alla mensola del caminetto, intento a stordire mio padre di chiacchiere, e George con le mani in tasca, altissimo davanti alla poltrona nella quale sedeva mia madre, che spandeva sorrisi incerti tutto intorno, mentre entrambi cercavano di dare un senso al fiume di parole di Fred. 
George fu ovviamente il primo ad accorgersi della mia presenza e il suo viso si illuminò di un sorriso bellissimo. Mi corse incontro e mi abbracciò, letteralmente sollevandomi da terra, visto e considerato che lui era molto alto per i suoi quattordici anni e io ero invece molto piccola - non raggiungevo il metro e sessanta ed ero cambiata poco da quel settembre di due anni prima. 
«Buon compleanno, Frida!» esclamò mentre mi teneva stretta e io lo stringevo a mia volta. Fred ci raggiunse e ci abbracciò entrambi, urlando a squarciagola e facendo un casino bestiale. Erano due pesti tremende e a volte sapevano essere dannatamente irritanti, ma volevo loro un bene dell'anima. Erano i miei migliori amici. Quello fu il primo di una lunga serie di compleanni perfetti.
 
§
 
{26 dicembre 1993}
 
“Proverai la tremenda ansia di non essere abbastanza. L’amore ci rende fragili.” (4)
 
Capii di essere innamorata di George che fuori nevicava. 
Avevo passato il mio primo Natale alla Tana (5) e mi sentivo felice, ricoperta dall'affetto di tutti e dal bellissimo maglione che la signora Weasley aveva fatto per me e che avevo trovato sotto l'albero la mattina di Natale - blu, con un'aquila color bronzo sul davanti e una grande "F" corredata da un otto, la mia iniziale e il numero della mia maglia nella squadra di Quidditch di Corvonero, dove giocavo come Cacciatrice. Riscaldata dalla cioccolata alla cannella appena bevuta, ero tremendamente conscia dell'ingombrante presenza di George sul divano accanto a me, la sua gamba che premeva contro la mia e il calore del suo corpo attraverso i pantaloni di velluto di lui e il mio pigiama blu, decorato con delle pluffe rosse, che mi avevano regalato proprio i gemelli. 
«Non avresti dovuto perderti la battaglia a palle di neve solo per me» iniziai sorseggiando dell'altra cioccolata «sarei potuta restare a casa anche da sola, sai?»
«Nah» rispose George voltandosi verso di me. «Non me lo sarei mai perdonato.»
«Non prendermi in giro, stupido!»
«Non ti sto prendendo in giro, Lennox» si difese alzando le mani sulla testa. «Hai una brutta influenza e non dovresti stare da sola. Oltretutto l'influenza a Natale rende tristi.»
«Rende tristi?» gli chiesi, incuriosita.
«Ma sì, tutti gli altri possono uscire, divertirsi, godersi le vacanze e invece a te tocca restare a casa, magari a letto, infagottata nelle coperte a mangiare brodo di pollo. Bleah. Una tristezza, non trovi?»
In effetti non ci avevo mai pensato. Tutte le volte in cui ero stata male, mia madre si era sempre presa cura di me, non facendomi mancare la compagnia e le premure. 
«Credo che tu abbia ragione» ammisi però, pensando a chi non aveva tutte quelle fortune. Sorseggiai dell'altra cioccolata e mi persi ad osservare la fievole nevicata che aveva preso a cadere dal cielo grigio. «Gli altri torneranno a momenti.»
«Credo di sì» convenne lui e lo sentii giocherellare con i miei ricci, passarci le dita attraverso, per poi appuntarmene uno dietro l'orecchio. Io mi sentii avvampare e sperai che lui imputasse la cosa alla cioccolata bollente che stavo bevendo. Il fatto era che George giocava con i miei capelli indomabili praticamente da sempre: perché questa volta era diverso? Cos'era cambiato?
Non potei fare a meno di voltarmi a guardarlo, perdendomi nei suoi caldi occhi nocciola spruzzati d'oro, così belli e così vivi, ammantati di allegria e di qualcosa che lì per lì non riuscii a identificare ma che mi colpì al cuore, facendomi attorcigliare lo stomaco così rumorosamente che temetti avesse sentito tutto. George però non se ne accorse, a quanto pareva, perché continuò a tormentarmi i capelli e io continuai a guardarlo. 
E in quel momento seppi che lo amavo. L'illuminazione mi spezzò il respiro e mi fece chiudere gli occhi per un momento infinitesimale. Lo amavo così tanto che quella consapevolezza minacciò seriamente di farmi alzare in piedi di scatto e fuggire via, lontano da quel salotto e da George e da tutto ciò che i suoi occhi mi dicevano. 
Lo amavo per tutte le piccole cose: per gli scherzi organizzati ai danni dei Serpeverde durante i pomeriggi primaverili in riva al lago; per le gite ad Hogsmeade, con le abbuffate di dolci di Mielandia e le incursioni da Zonko; per le serate di pioggia passate fuori dalla sua sala comune, al riparo di una scala e cercando di evitare Gazza e Mrs Purr; per le partite di Quidditch combattute e sudate e la stretta di mano alla fine, onore ai vincitori e rispetto per i vinti; per le risate in Sala Grande e i banchetti e la complicità di Katie, unita insieme a me contro i gemelli; per la sua costante presenza al mio fianco, sempre pronto a risollevarmi il morale con la sua allegria contagiosa, ma pronto ad affrontare discorsi seri quando le circostanze lo richiedevano. Era un irrimediabile buffone, un amico vero, la mia àncora. 
E lo amavo. Faceva male perché sapevo che lui non poteva ricambiare. Lo sapevo e ne ero così certa che sentii la stretta allo stomaco farsi più forte e risalire poi verso il cuore. Prima o poi si sarebbe spezzato e lo sapevo. George me lo avrebbe spezzato.
 
§
 
{25 dicembre 1994}
 
“Ma chiunque abbia avuto un dolore così grande da piangere fino a non avere più lacrime,
sa bene che ad un certo punto si arriva ad una specie di 
tranquilla malinconia,
una sorta di calma, 
quasi la certezza che non succederà più nulla.” (6)
 
Quella sera l'ho osservato ballare. L'ho guardato ridere insieme a Fred, Angelina e Alicia. L'ho guardato divertirsi, ma non con me. (7)
Sedevo con Katie su uno dei tanti divanetti sparsi per la Sala Grande ed erano ormai le undici, ero stanca e mi facevano male i piedi - non ero abituata ai tacchi, aggeggi infernali -, l'umore era pessimo e avrei tanto voluto alzarmi e scappare via. Katie invece mi aveva fermata, trattenendomi al suo fianco. «Non puoi abbandonarmi, capito? Te lo impedirò.»
E così ero rimasta. Ero rimasta e avevo assistito alla morte del mio cuore. 
Qualche tempo dopo, George ci raggiunse insieme ad Alicia, ed erano per mano e mi sforzai di non guardare le loro dita intrecciate, perché altrimenti non avrei retto. Mi sentivo svuotata. 
«Come stanno le mie migliori amiche?» chiese. Sedette accanto a me, allungando le gambe e stiracchiandosi. 
«Come stavamo due ore fa, Georgie» rispose Katie. La sua voce trasudava sarcasmo e l'amai solo per questo. 
«Splendido!» esclamò lui e mi chiesi con terrore se non fosse brillo. Troppa Burrobirra può farti ubriacare? O forse girava del Whiskey Incendiario di contrabbando?
«Tu ti stai divertendo, a quanto vedo» continuò Katie lanciandogli un'occhiataccia. Alicia, seduta accanto a lei, fissava il soffitto, persa nei suoi pensieri. Sì, girava decisamente del Whiskey Incendiario di contrabbando.
«Eccome, sorella.»
«Come, scusa?» esclamò Katie inorridita.
«Lascia perdere, Katie, è brillo» aggiunsi sottovoce.
«Andiamo, ragazze, dovreste pensare a divertirvi, invece di starvene qui sedute con il muso. Nessuno vi inviterà a ballare» rise George e mi chiesi se, oltre al Whiskey, non girasse qualche altra strana sostanza. Magari allucinogena.
Non era George quello che parlava, che ci prendeva in giro così e che rideva di noi. Non era lui e mi sforzai di non mandarlo al diavolo. 
«Dai, torniamo a ballare, George» esclamò Alicia alzandosi in piedi e allungandogli una mano, il labbro inferiore piegato in un broncio viziato. 
«Va bene, ma voi vedete di divertirvi, okay?» aggiunse all'indirizzo mio e di Katie. 
«Contaci» borbottai guardandoli allontanarsi, di nuovo per mano.
«Lascialo perdere, Fri, non è in sè» disse Katie, pratica. 
«Cercherò di ricordarmelo» risposi osservando George baciare Alicia, mentre il mio cuore moriva.
 
§
 
{10 luglio 1996}
 
«Ma avere un cuore da bambino non è una vergogna, è un onore». (8)
 
Lo andai a trovare ai Tiri Vispi Weasley in un'assolata giornata di luglio. George mi aveva promesso che avremmo pranzato insieme e non potevo che essere felice all'idea di passare del tempo con lui dopo tanto tempo, anche se in compagnia di Fred e nonostante l'idea sotto sotto mi spaventasse infinitamente. 
I Tiri Vispi erano la personificazione di Fred e George. Tutto ciò che quel negozio costituiva e tutto ciò che conteneva era la perfetta espressione del loro genio, delle loro personalità, del loro essere intrinsecamente unici. 
George mi accolse con un sorriso e si vedeva che era felice di vedermi, ma qualcosa tra noi era cambiato, da quella sera di due anni fa, quando la vista di lui che baciava Alicia Spinnet mi aveva spinto a lasciare la Sala Grande e il Ballo del Ceppo e a non rivolgergli la parola per due settimane intere. Qualcosa si era rotto e non sapevo se George ne fosse consapevole. 
«Come stai?» mi chiese osservandomi e all'improvviso il mio corto vestitino a righe bianche e blu mi sembrò così stupido...
«Sto bene» risposi solo sorridendogli senza sforzo, come mi capitava sempre.
«Vieni, andiamo fuori, così parliamo meglio.»
«Ma Fred non viene?» chiesi, interdetta, lanciando un'occhiata al mio amico, in piedi dietro al bancone, intento a spiegare ad alcuni ragazzini il funzionamento delle bacchette finte.
«Non può lasciare il negozio, no.»
«Possiamo fare un altro giorno, se oggi siete incasinati, non è un problema...»
«Cerchi sempre di sistemare le cose per tutti» disse George ridendo di gusto. «Sei incorreggibile, sai?»
Pranzammo in silenzio, ad un tavolo tranquillo al Paiolo Magico.
«Allora?» iniziò lui poggiando il suo bicchiere. «Che te ne pare dei Tiri Vispi?»
Gli sorrisi, evindentemente entusiasta. «Mi piace da morire» ammisi.
Il viso di George si illuminò, quasi trasfigurandosi. 
«Temevo che l'avresti targato come "infantile" e "stupido".»
Aggrottai le sopracciglia, stupita che la pensasse in questo modo. 
«Ci hai sempre rimproverati di essere dei bambini, in realtà» aggiunse.
Misi una mano sulla sua, poggiata sul piano in legno consumato del tavolo. «Avere un cuore da bambino non è una vergogna, è un onore.»
«Dove l'hai letta, questa?» esclamò George guardandomi, sorpreso e incuriosito insieme.
«Non me lo ricordo» risi e lui si unì a me e quello fu uno dei pomeriggi più belli di sempre.
 
§
 
{1° agosto 1997}
 
“Lui rideva, e anch’io, ma dentro sapevamo tutt’e due che la verità era un’altra, 
la verità era che stava per finire tutto, e non c’era più niente da fare, 
doveva succedere e adesso stava succedendo.” (9)
 
George Weasley mi baciò per la prima volta più di un anno dopo quella giornata passata insieme a Diagon Alley.
Durante l'anno ci eravamo visti poco: lui e Fred continuavano a gestire il loro negozio - che per la cronaca andava a gonfie vele e avevano addirittura assunto una ragazza molto simpatica, Verity, per aiutarli - mentre io studiavo come una matta per conseguire i M.A.G.O. 
Il primo giorno di agosto di quell'anno, avemmo modo di festeggiare sia il matrimonio di Bill e Fleur, sia il mio compleanno, così come la fine del mio percorso scolastico ad Hogwarts, conclusosi a pieni voti e con risultati ottimi. 
Quelli erano tempi strani e la morte di Albus Silente aveva gettato il mondo magico nell'angoscia più completa. Nessuno era più sicuro di nulla, ormai, e si viveva alla giornata, ora dopo ora. Convivevamo con la paura e speravamo. Nient'altro. 
La Tana quel giorno era in festa e vi si respirava un'aria di fermento e gioia. Tutti sembravano intenzionati a dimenticare la situazione corrente, almeno per tutta la durata della cerimonia e dei successivi festeggiamenti. 
George mi trascinò fuori dalla grande tenda che era stata eretta per l'occasione nel giardino, subito dopo esserci scatenati in un ballo così sconclusionato che la vecchia zia Muriel ci aveva guardati e poi aveva piegato le labbra in una smorfia talmente divertente a vedersi che eravamo stati costretti a correre via per non scoppiare a riderle in faccia, cosa che mi avrebbe bollato come un'ingrata maleducata per il resto della mia esistenza in casa Weasley. 
«Hai visto la sua faccia?» esclamai lanciando ancora delle occhiate alle mie spalle, verso uno degli innumerevoli ingressi della tenda. «Oddio, se ci ripenso non posso fare a meno di scoppiare a ridere come una scema.»
E in quel momento George mi baciò. Prima sentii la sua mano lasciare la mia - neanche mi ero accorta che continuava a stringerla anche dopo esserci rifugiati fuori, lontano dalle Maledizioni Senza Perdono di zia Muriel - e posarsi veloce sul mio viso. Entrambe le mani si posarono sul mio viso, lo strinsero leggermente, esercitando una lieve pressione, e poi sentii le sue labbra sulle mie, calde e ancora impregnate della Burrobirra che aveva bevuto poco prima. Aveva un sapore dolce ed elettrizzante e mi ritrovai a ricambiare il bacio senza ritegno, forse perché aspettavo questo momento da troppo tempo e l'avevo immaginato così tante volte da portarmi a credere che non sarebbe arrivato mai. E invece George mi aveva ancora una volta stupita. 
Ci staccammo l'uno dall'altra per un momento, i respiri corti e gli occhi lampeggianti. «Wow» sussurrai inconsciamente sulle labbra di George, che mi guardava in silenzio. Gli avevo poggiato le mani sul petto e lo sentivo alzarsi e abbassarsi velocemente, mentre il cuore gli batteva all'impazzata. Io ero completamente assuefatta, esposta a galleggiare in un limbo tutto mio popolato da calde immagini di noi due, nel futuro, a lavorare insieme in negozio, oppure nella nostra casa a Diagon Alley, magari con un paio di bambini dai capelli rossi come il papà e un sorriso bellissimo, le serate passate davanti al caminetto, la cioccolata calda mentre fuori nevicava e i Natali tutti insieme alla Tana. La bolla mi faceva fluttuare verso scenari lontani, troppo belli per essere pienamente compresi in quel presente così incerto, ma che venivano dal profondo della mia anima, dai miei desideri inespressi, dal mio ancora più inespresso amore per George, che era scoppiato tanti anni prima e che ancora mi faceva tremare, e sognare, e sperare. E solo Merlino sapeva se avevamo bisogno di speranza, in quei giorni!
George mi prese nuovamente per mano, carezzandomi piano le dita, lo sguardo basso, così innaturalmente silenzioso che cominciava a spaventarmi. Era strana tutto quella quiete, quando c'erano di mezzo i gemelli.
«George» lo richiamai, e lui alzò lo sguardo su di me, sollecitato dalle mie mani piantate sulle sue guance - accaldate dal sole e dal bacio. Lentamente gli sollevai il viso per guardarlo negli occhi. Era bellissimo anche con quella brutta fasciatura che gli copriva l'orecchio mancante, terribile monito di ciò che non poteva essere dimenticato. «C'è qualcosa che non va?»
Lui scosse la testa e scoppiò a ridere e quella risata risuonò così strana che mi chiesi perché non volesse mai ammettere le sue paure, perché si ostinasse ad indossare sempre quella stessa maschera fatta di ironia, parole pungenti e scherzi continui. 
«Non c'è assolutamente niente che non vada, Fri» rispose appuntandomi un ciuffo ribelle dietro l'orecchio - questa volta niente riccioli da attorcigliare, visto che Hermione mi aveva consigliato la Tricopozione Lisciariccio (10), veramente miracolosa anche se terribilmente difficile. 
Ci baciammo di nuovo e George premette il suo corpo contro il mio, stringendomi a sè, e quasi dimenticai quella strana espressione dipinta sul suo viso. Avevo riso anche io, subito prima di baciarlo, ma mi rendevo tristemente conto che qualcosa stava cambiando, nel mondo. Un'ombra ancora più scura si addensava all'orizzonte e minacciava di prenderci tutti. La guerra premeva ancora più insistente ai confini del nostro universo. Stava succedendo.
 
§
 
{2 maggio 1998}
 
"L'infanzia non va dalla nascita a una certa età, 
[quell'età in cui il bambino è cresciuto e mette da parte le cose infantili. 
L'infanzia è il regno in cui nessuno muore." (11)
 
Quella notte contammo i morti. 
I corpi erano raggruppati nella Sala Grande gremita - tutti insieme, vincitori e vinti, vittime e carnefici, giocatori inconsapevoli sulla grande scacchiera della storia. 
E io assistevo a tutto quanto dall'esterno. Ero stretta ai miei genitori e a mia sorella, grata a tutti i Fondatori che fossimo ancora vivi, tutti noi, e che fossimo insieme. E allo stesso tempo piangevo dentro, mentre la famiglia Weasley si sgretolava intorno al corpo senza vita di Fred e su quello di George, chino su di lui, piangente, disperato, dilaniato dalla sofferenza, per sempre spezzato. Da quel giorno gli sarebbe sempre mancato qualcosa, come un arto che ti viene amputato e tu però continui a sentirlo, cullandoti nell'effimera illusione della sua presenza. E quando alla fine ti accorgi che manca davvero, comprendi di aver vissuto tutta una vita senza mai accettare davvero la sua assenza. Capisci di essere perduto. 
 
§
 
 
Epilogo (12)
 
In quel momento, in quel giorno maledetto, capii che le nostre vite non sarebbero più state le stesse, e non mi stupii quando, circa un mese dopo, George mi cercò, quando non ci parlavamo da quel dannato giorno di maggio, e mi disse che non ci sarebbe riuscito, a stare con me come una volta aveva pensato. Tutto quello che avevamo apparteneva ad una vita fa, ad un tempo che non sarebbe tornato e che al momento non voleva rievocare nemmeno nella memoria, perché la pena era troppa e il dolore infinito. E così lo lasciai andare, e lo guardai darmi le spalle e incamminarsi lungo il vialetto di casa Lennox per poi sparire, Smaterializzandosi, puf!, come se non fosse mai veramente entrato nella mia vita e io avessi semplicemente sognato tutto quanto. Mi sarei risvegliata da un brutto, bruttissimo sogno, per scoprire che era il trentuno di agosto di diciotto anni prima e io stavo per iniziare il mio primo anno a Hogwarts. Forse non avrei mai incrociato il cammino di Fred e George Weasley e della loro formidabile famiglia, forse non sarei diventata loro amica e non mi sarei innamorata del fratello che era sopravvissuto. Del fratello spezzato.
 
E spezzata lo ero anche io e sarei rimasta tale ancora per tanto tempo, attaccandomi al conforto dello studio per diventare docente e del mio piccolo impiego al Ghirigoro; alla pace della casetta che avevo comprato a Diagon Alley e nella quale non abitavo con George, come avevo così infantilmente immaginato quell'estate, ma che dividevo con la mia vecchia amica Katie, che studiava da Medimago al San Mungo; all'affetto delle amiche con cui cenavo il venerdì e con le quali avevo visitato Parigi; all'appoggio continuo e costante della mia famiglia. 
 
Anche quando venni a sapere che George si era sposato con Angelina Johnson e che aveva messo la testa apposto e preso casa, mentre continuava a gestire il negozio con l'aiuto iniziale di suo fratello Ron e quello costante di Verity; anche quando antiche ferite tornarono a fare male, mentre tanti piccoli pugnali mi affondavano nella schiena e non riuscivo a respirare; anche quando lo incontrai al parco, con la piccola Roxanne - bella e fiera come sua madre - e lui mi salutò e mi chiese come stavo e io risposi "bene, benissimo"; anche in quei momenti, mi solcò la disarmante certezza che tutto ciò che avevo vissuto fosse contato, nonostante si fosse poi perso nel vento. Ebbi la certezza che il passato avesse formato Frida Lennox e che il futuro mi aspettasse dietro la prossima curva, misterioso ma non per questo meno bello. 
 
E alla fine ringraziai George Weasley - il mio primo amore - per tutto ciò che sarebbe venuto dopo: altri amori, altre vite, altre gioie e altri dolori in eguale misura, perché chi pensa di vivere solo delle prime, in realtà non ha capito niente. I dolori ci formano, ci fortificano, ci plasmano e ci cambiano. E sapevo per esperienza che anche dopo tanto dolore, alla fine il sole spunta sempre e l'ombra striscia via, lontano, perdendosi nella nebbia.
 
“Un giorno tu ti sveglierai e vedrai una bella giornata. 
Ci sarà il sole, e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido. 
Quello che prima ti sembrava impossibile diventerà semplice, normale. 
Non ci credi? Io sono sicuro. E presto. Anche domani.” (13)
 
 

 
NOTE
(1) Carlos Ruiz Zafón, "Marina".
(2) Frida Lennox è un OC - inventato dalla mia amica Frida - che si muove nel mondo di HP. Possiamo parlare di self insertion. Frida è di un anno più grande di Harry&co. e uno più piccola dei gemelli Weasley e si colloca nell'anno di Katie Bell. Tutti i dettagli relativi a Frida Lennox e al suo personaggio sono di invenzione di Frida Peregrin.
(3) Ernest Hemingway.
(4) Gabriel García Márquez.
(5) Ci troviamo al terzo anno di Harry e nel "Prigioniero di Azkaban" la Rowling ci fa capire che i gemelli non sono ad Hogwarts per le festività natalizie, per cui li ho immaginati a casa, alla Tana.
(6) Clive Staples Lewis.
(7) Faccio riferimento al Ballo del Ceppo, svoltosi durante il quarto anno di Harry. Per quanto riguarda il Ballo, mi sono presa una "licenza poetica", diciamo così, scegliendo Alicia Spinnet come accompagnatrice di George per la serata, visto il rapporto d'amicizia che la lega ad Angelina Johnson, accompagnatrice di Fred.
(8) Ernest Hemingway.
(9) Alessandro Baricco, "Novecento".
(10) La Tricopozione Lisciariccio viene citata proprio da Hermione nel capitolo 24 de "Il Calice di Fuoco".
(11) Edna St. Vincent Millay.
(12) L'epilogo rimane volutamente senza data proprio perché si può benissimo collocare in un punto imprecisato del mese successivo alla battaglia di Hogwarts e i lettori possono farsene un'idea soggettiva, ispirata dalle parole scritte in esso. 
(13) Fëdor Michajlovič Dostoevskij, "Le notti bianche".
 
Il titolo è tratto da "Tomorrow", canzone dei Daughter.


E niente, faccio ritorno in questo fandom dopo mesi di inattività -  e mancanza di ispirazione. Non ho particolari note aggiuntive su questa shot, tranne che forse è un po' lunghetta (sono 12 pagine di Word), ma scrivevo e scrivevo e forse mi sono dilungata, per cui chiedo perdono. Ringrazio ovviamente chiunque sia arrivato fin qui nella lettura.

Marti.
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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