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Autore: Koa__    31/07/2015    7 recensioni
Amare Parigi è così facile... Odora come di pagnottelle infarinate e caffè alla panna. Ha un gusto delizioso di fragole e vaniglia, un retrogusto dolce e delicato di cognac.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Mycroft Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La storia è nata nel Drabble Weekend del gruppo “We are out for prompt”. Il prompt è di Donnie TZ. Mystrade, AU d’inizio ‘900: Mycroft è un gentiluomo inglese appena arrivato a Parigi, Lestrade un artista in crisi che si rifugia nell’assenzio.



 



 
Amando Parigi in Primavera




“Oh ma Parigi non è fatta per cambiare aerei…
è fatta per cambiare vita!
Per spalancare la finestra e lasciar entrare la vie en rose.”




Amare Parigi è così facile, che ogni qual volta che sei costretto ad andarci per via di quei certi affari di cui mai parli con qualcuno, vorresti non lasciarla più. Perché lei è così bohémien e tanto diversa da Londra, da farti ammattire. Parigi, meno rigida e impostata rispetto a ciò a cui sei abituato, si presenta in maniche di camicia e pantaloni laceri. Lei non porta colletti rigidi, bombette e bastoni da passeggio, ma baschetti calati sulla testa e foulard dai colori caldi che le riparano il collo dai venti gelidi. Parigi ha un profumo particolare, odora come di pagnottelle infarinate e caffè alla panna. Ha un gusto delizioso di fragole e vaniglia, un retrogusto dolce e delicato di cognac. Non passeggia Parigi, no, lei corre. Corre perché d’un tratto la luce può cambiare, o il dipinto rovinarsi per colpa della pioggia scrosciata d’improvviso. Va di fretta e a gambe levate, perché è in ritardo per lo spettacolo che danno appena dopo il tramonto. Corre, va ovunque e da nessuna parte al tempo stesso. E solo alla fine, quando quasi sta per levarsi l’alba, ecco che Parigi si rilassa. S’addormenta, stanca ed esausta, in un buio, inospitale, caotico e disordinato piccolo nido nel cuore di Montmartre. Questa città incredibile, ogni volta nuova. In primavera ti regala delle sensazioni che in autunno non ritrovi e, anzi, in quella stagione ne riscopri di diverse. Quando ti capita di doverci venire, ti rendi conto d’aver scovato un angolo differente. Un luogo che mai avevi visto. Al tramonto, Parigi è già irriconoscibile rispetto all’alba. Cambia la luce, cambia Parigi. Mutano i colori e i sapori, il numero dei ciottoli su di un viale. Diverso è persino lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli sui sampietrini, piuttosto che il canticchiare leggero dell’uomo dei lampioni. Differente in tutto, ma sempre bella e calda al pari di un sorriso.


Anche oggi, dunque, Parigi non contraddice sé stessa. E in questo ventoso giorno della fine di marzo, porta con sé dettagli che non avevi colto prima. Te ne stai seduto da una decina di minuti su di una sedia in un piccolo cafè. Di tanto in tanto occhieggi l’orologio da taschino che tieni nel panciotto e nel frattempo fumi un sigarino. È dannatamente scomoda la sedia che ti hanno dato: questo ferro battuto non è per nulla accogliente, il tavolinetto inoltre traballa ogni qual volta posi la tazza sul piattino. Ma è all’aperto e tu, Parigi, la devi respirare. Sì, il tè è orrendo, su quello non contavi. Ci vorrebbe la tua tata per preparartene uno come si confà ad un gentiluomo inglese. Tuttavia ti devi adattare e quindi sorseggi questo, che è troppo leggero e insapore per il tuo palato raffinato. Di tanto in tanto mangiotti un pasticcino alla crema, quasi fingendo d’essere saturo dal sapore della vaniglia. La realtà è che ti trattieni dal leccarti le dita, piuttosto che dall’ordinarne un’altra decina. Ti capita anche buttare un occhio al quotidiano, piuttosto che un pensiero ai tuoi affari. Quelli sono a buon punto, dovrai trattenerti ancora per qualche giorno e quasi già ti dispiace all’idea di dovertene andare. Non vuoi. Non lo vuoi mai. Ma ovviamente, ogni volta sei costretto a tornare a casa. Laddove sarai triste e malinconico, costretto a vivere in una città che non ti permettere di giocare ad essere bohémien.


È con uno sbuffo ed il pensiero di visitare la riva opposta, che richiudi il Times, ripiegandolo perfettamente per poi lasciarlo cadere sul tavolino decorato a fiori e foglie. Solo dopo ti decidi a portare lo sguardo a quello scorcio di fiume che intravedi di poco, tra gli spiragli che le case ti concedono. Il fiume ti attrae e per questo arricci le labbra, ti tendi mentre un venticello più caldo si alza, assieme al pensiero che sì, oggi Parigi è diversa. Frizzante e giocherellona. Illuso. Tu non sai nulla di lei ed ignori il tiro mancino che sta per giocarti. Anche quando fai caso a quell’uomo, dunque, non comprendi il tranello. Appena lo vedi, però, un sorriso si fa largo sul tuo volto dall’apparenza seria. Ti rilassi un poco mentre, felino, già estrai dalla tasca il portamonete e paghi la consumazione. È assai strano, ma non riesci a distogliere lo sguardo da quella figura. Da quel pittore dal fare assorto che fissa un qualcosa che non esiste, se non nella sua immaginazione. Cosa ti piace tanto di quell’artista? Non lo sai. Non è la maniera con cui se ne sta seduto, tesa e rigida, su di uno sgabello in legno. E non è neanche la tela ad interessarti, se non per il fatto che è ancora bianca. Forse è quella mano, annodata alla tavolozza, o piuttosto l’altra che regge un pennello sporcato d’arancio. Probabilmente è l’immagine d’insieme a piacerti in modo particolare, il fatto che non stia facendo niente se non fissare il nulla con fare eccessivamente insistente. Un pittore che non dipinge è un’assurda contraddizione. E lui infatti non lo sta facendo, ma resta fermo a qualche millimetro da quel quadro troppo bianco per non essere fastidioso. Non posa le setole, ma le tiene lì, a qualche istante dall’inizio della sua opera, senza però incominciarla. Sei attratto. Ti colpisce il suo guardare con espressione vuota i tetti di quella splendida città, quasi non sapesse da quale parte voltarsi o, piuttosto, come se non riuscisse ad esserne ispirato. Il che è ridicolo anche al solo pensiero, perché Parigi è un caleidoscopio di attrazioni, un tumulto di particolari interessanti.


Ma lui resta sempre immobile. Stoico. Teso. Quasi bloccato. Come fosse incantato dalla vendetta di una strega. Un pittore dalla mano abile che ha perduto la sua ispirazione.


Quando il pensiero ti folgora, ti alzi con un movimento fluido prima di scostare lievemente la sedia ed indossare bombetta e giacca. Ti stai avvicinando e quasi non te ne rendi conto. Ma lo fai. Lo fai a passo blando e sguardo deciso. Lo fai senza distogliere l’attenzione da colui il quale hai già nominato come il pittore maledetto. Il tuo nuovo parigino dettaglio da analizzare con cura. E quindi ti avvicini, sempre più attratto, sempre più affascinato, sempre più innamorato di quella Parigi magnifica. Intanto lo guardi con viva attenzione, a tratti temendo possa essere un’illusione, un pigro sogno di una città annoiata. No, non può trattarsi di una fantasia perché lui è reale. Ed è… appena un poco attraente, con quel velo di barba che gli infarina il viso ed i capelli brizzolati che s’intravedono sotto un basco calato sulla fronte. Lui con le maniche di quella camicia bianca arrotolate fin sopra i gomiti e pantaloni sporcati di tempera. Odora brutalmente di assenzio, al punto da infastidirti le narici e confonderti i pensieri.

Oh, però è tanto bello.
Il tuo pittore maledetto.
Il tuo protagonista di un quadro di Monet. Sfumato e al tempo dettagliato, come in un sogno evanescente. Colorato di toni vivi e accesi, dei colori di quella città che adori al punto d’esserne pazzo e innamorato.


«Ha perduto la sua ispirazione?» domandi, senza badare d’usare il francese e facendo incredibilmente centro. L’uomo infatti solleva lo sguardo, come ridestato da un sonno fastidioso, da un torpore che detesta al pari del suo non riuscire a far nulla di concreto.
«Lei è inglese?»
«Ovviamente» rispondi, sorridendo mellifluo. «Come lei del resto, deduco dall’accento. Soddisfi una mia curiosità, Mr…»
«Oh, mi scusi» borbotta, prima di posare pennello e tavolozza a terra e tirarsi in piedi. Poi si stira appena la camicia, levandosi il cappello, che infine ricalca di nuovo in testa.
«Gregory. Gregory Lestrade» annuisce.


Oh, sì. È lì che ti perdi. Proprio mentre le sue labbra si stirano in un sorriso che contagia gli apatici. Uno di un tipo che non hai mai visto. E che, forse, a Londra non esiste. Un sorriso che non può essere così luminoso. Eppure c’è e scioglie la tua compostezza inglese, il tuo rigido e freddo modo di fare, come neve al sole. Riduce in briciole persino il tuo giocare ad essere ciò che non sei: un parigino frou frou che è un po’ artista e un po’ poeta. In un attimo tutto svanisce, le tue assurde fissazioni e il tuo amare il nulla. E vacilli. Tentennano i pensieri si mozza il battito del cuore, lo stomaco si torce e tu resti assurdamente senza fiato.


«Vorrei commissionarle un dipinto» borbotti, senza nascondere il rossore che t’imporpora guance mai state tanto vive.
«Io non credo d’esserne in grado» ribatte lui, ora imbarazzato.
«Non dica assurdità: certo che lo è.»
«Come fa a saperlo? Non ho quadri qua con me. Non vendo un quadro da…» continua, ricadendo malamente sul seggiolino e tornando a fissare il vuoto «non dipingo un quadro da troppo tempo e se continuo in questo modo mi toccherà tornare a Londra e accettare quell’orrendo incarico a Scotland Yard.»
«Vorrei che dipingesse per me. La pagherei naturalmente.»
«Io…»
«Mi piacerebbe che ritraesse quel cafè» insisti «con me lì seduto. Non sono necessari dettagli del mio viso o della mia persona, non mi importa di quelli, voglio solo lo scorcio con me al centro. Non si faccia pregare, Gregory.»
«D’accordo» annuisce, infine, probabilmente arreso alla tua insistenza o forse allettato dalla tua promessa di un pagamento.


Di tutto ciò che avviene dopo ne impari tutti i dettagli. Studi ogni cosa. Ogni suo movimento. Ogni frangente di quella mano sicura ed esperta che tinge di vivi colori quella che, fino a poco fa, era un’orrenda tavola bianca. Gregory dipinge. Ritrae ciò che ricorda, lo fa a memoria e con sguardo incantato e perso alle setole che viaggiano. Pare estraniarsi. Di tanto in tanto, quando solleva il volto così da far riposare la vista, ti trova e ti sorride. E tu, idiota, non fai nulla se non arrossire. Nemmeno sei in grado di domare il battito del tuo cuore. No. Tu non fai niente, se non ammirarlo. E, segretamente, innamorartene. Ancora non sai che gli commissionerai altri dipinti, uno per ogni qualsiasi insulso dettaglio parigino ti venga in mente. Non sai che lo farai soltanto perché mosso dal desiderio di rivederlo. Non sai che riempirai il tuo studio a Londra dei suoi bei dipinti colorati. Ignori che sapranno sempre un po’ di assenzio e che quell’odore ti rimarrà a lungo impresso nella memoria. O che ti resterà tra le dita. Impregnato nei vestiti. Piuttosto che addosso, al pari di una seconda pelle. Non sai nulla. Nemmeno che ne sarà di te quando dovrai tornare a casa. Piuttosto che di lui e del suo sorriderti. Ora tu soltanto lo vivi. Mentre ti gusti i battiti del cuore che sì, per una volta pulsa per un qualcuno che vive davvero.
 


Fine
 

 
*La citazione è del film “Sabrina”.
   
 
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