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Autore: Niglia    01/08/2015    4 recensioni
[Kagome/Inuyasha]
Alla fine di ogni battaglia, non importa quanti morti o sangue ha visto il giorno: c'è sempre un barlume di speranza.
Scritta per il 'Drabble Weekend Event' indetto dal gruppo FB "We are out for prompt".
Genere: Guerra, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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WE ARE OUT FOR PROMPT – 31 LUGLIO/02 AGOSTO 2015

Titolo: Dopo il caos, la quiete
Personaggi: Inuyasha/Kagome
Prompt ©Elisa Story Zabini. Anime, InuKag. AU storica. Ferite di battaglia.
Avvertimenti: AU, AH (All Human)
Note: Supponendo che "AU storica" significasse trasportare i due personaggi in un ambiente più realistico, ho mantenuto l'epoca Sengoku (conosciuta come 'periodo degli stati belligeranti') come punto di partenza e trasformato Inuyasha eKagome in due creature che avrebbero potuto incontrarsi facilmente in una simile situazione - una sacerdotessa (le infermiere da campo dell'epoca, se vogliamo) e un soldato. Spero che il risultato sia gradevole!
Buona lettura. :)



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Dopo il caos, la quiete





Un’altra lunga giornata si avviava stancamente al suo termine. Le cicale lasciavano il posto ai grilli e l’azzurro del cielo andava via via tingendosi di rosa e arancio, e più in alto, dove la volta celeste era già più scura, si intravedevano le prime stelle.
Kagome aveva smesso di trovare conforto nella bellezza della natura – aveva visto già troppa morte e disperazione nella sua breve vita per potersi permettere di essere così disincantata. Le sue orecchie non potevano apprezzare il canto notturno dei grilli, perché erano colme dei lamenti dei feriti e dei pianti di chi si doleva dei morti; i suoi occhi non riuscivano ad ammirare la semplicità del tramonto, perché tutto ciò che vedeva era sangue; e l’odore dei fiori era a lungo dimenticato, perché tutto ciò che permeava l’aria era l’odore acre del fumo e quello, indescrivibile, dei cadaveri che bruciavano.
Si trascinò con rassegnazione tra le fila dei feriti, portando quel po’ di conforto che poteva, spendendo una parola o due con chi giaceva, da solo, su giacigli di fortuna, e aiutandoli a bere acqua – i soldati avrebbero preferito senza dubbio qualcosa di più forte, ma il sakè era meglio utilizzato nel disinfettare le ferite.
I suoi occhi saettavano da una parte all’altra alla ricerca di chi aveva bisogno di lei, e d’un tratto una voce si innalzò dall’oceano di lamenti.
«Miko», la chiamò a fatica.
Kagome si volse subito verso di lui, ma non lo trovò immediatamente: non si trovava vicino agli altri feriti, ma al bordo della radura, appena fuori dal villaggio, e lei lo udì quasi per caso. Giaceva sdraiato contro un albero, e malgrado la stranezza della cosa Kagome vi si avvicinò e si accucciò al suo fianco per impedirgli di sforzarsi troppo. «Dimmi, soldato», invitò gentilmente, osservando con un misto di sorpresa e ammirazione – come poteva rimanere indifferente a quella visione? – i lunghi capelli argentei del ragazzo, il cui sangue incrostato teneva incollati sulle tempie e ai lati del volto.
Lo vide deglutire, quel ragazzo che non poteva essere molto più grande di lei, e indicare con un cenno del capo la borraccia che lei teneva tra le mani. «Acqua, per favore», gracchiò.
Gliela porse, avvicinandogliela alle labbra e aiutandolo a bere a piccoli sorsi. Quando egli ebbe finito, tuttavia, Kagome si accorse che non desiderava andarsene. C’era qualcosa in lui, nella sua espressione, nei suoi occhi – non ne era certa, visto che le altre donne avevano appena iniziato ad accendere qualche torcia, ma avrebbe detto che fossero dorati – che la spingeva a rimanergli accanto.
«Non ti ho mai visto prima d’ora», sbottò prima di poterselo impedire. Subito però se ne pentì e piegò il capo in un breve inchino di scusa, maledicendo la propria curiosità. «Perdonami, soldato. Ho oltrepassato il mio limite.»
Fece per alzarsi e andarsene prima che Kaede-sama si accorgesse della sua indolenza e venisse a rimproverarla, ma prima che potesse fare un passo la mano del giovane si strinse intorno al suo polso, con una forza notevole in qualcuno che doveva faticare per mettere una parola appresso all’altra.
«Va tutto bene, miko», mormorò lui, dandole un delicato strattone per convincerla a tornargli accanto. «È bello parlare con qualcuno che non urla ordini o insulti.»
La sua indecisione non durò a lungo – la curiosità prevalse. Tornando ad accucciarsi presso di lui, Kagome piegò appena il capo di lato, dimostrando la sua disponibilità ad ascoltare. «La tua uniforme… Perdonami, soldato, ma il rosso non è colore dell’Est.»
Lui non esitò nello scuotere il capo. «No, infatti. È il colore dell’Ovest», rispose, confermando le ipotesi della sacerdotessa. Ma la sua mano la teneva ancora ferma, e andarsene le era impossibile – per cui rimase a sentire cos’altro aveva da dire. «Ma nella morte abbiamo tutti lo stesso colore, miko.»
Lo sguardo clinico di Kagome lo percorse da capo a piedi, e infine aggrottò la fronte. «Posso assicurarti che non stai morendo, soldato», disse piano, allungando d’istinto una mano a sfiorargli la guancia e spostargli i capelli sporchi dal viso. Una ruga le si formò tra le sopracciglia nel rendersi conto di quanto fosse rovente la sua pelle, e un palpito di preoccupazione si fece largo nel suo animo.
«Keh», sbuffò lui, piegando il capo per meglio godere della gentile carezza. «Forse non oggi. Ma domani, o il giorno dopo… Chi può dirlo. Se questa guerra non finisce stanotte, miko, non arriverò a vedere un’altra primavera.»
Rimasero in silenzio a lungo, e infine Kagome ritirò la mano e posò per terra la borraccia. «Permettimi di controllare le tue ferite, soldato», si offrì gentilmente. Quando vide che il giovane era pronto a rifiutare, sollevò una mano per farlo tacere. «Devo rendermi utile, o non avrò alcuna scusa per restare qui.»
Il brusco cenno del capo che le rivolse fu risposta sufficiente.
Passandogli un braccio intorno alle spalle lo aiutò a mettersi seduto, poi, con infinita delicatezza, gli slacciò la corazza e la depose da un lato. A questo punto si occupò di sfilargli l’haori color rosso sangue che gli avrebbe sicuramente procurato dei problemi non appena il sole fosse sorto un’altra volta, e quando la sua schiena fu nuda contro l’aria della notte Kagome si lasciò scappare un gemito.
Il soldato si irrigidì leggermente, ma non si mosse. «Perdonami, miko. Avrei dovuto avvertirti.»
Sentendosi in colpa per la sua reazione, la sacerdotessa gli posò una mano sulla spalla e strinse appena in segno di conforto. «Ho visto di peggio. Sono solo stanca», si giustificò.
Kagome non credeva di aver mentito – aveva visto cose piuttosto impressionanti sin da quando aveva iniziato ad assistere i soldati che ogni giorno riempivano le vie disabitate del loro villaggio in cerca di cibo e riparo – eppure adesso non riusciva a ricordare nulla che fosse altrettanto tremendo. La sua schiena era una rete di cicatrici delle più svariate nature – frustate, colpi di spada, pugnale, punte di freccia – e creavano sulla pelle diafana un intreccio a tratti scuri e a tratti perlaceo, laddove le cicatrici erano più vecchie, dando l’impressione che pulsassero in modo imperituro per un dolore fantasma.
Cercando di concentrarsi sul suo lavoro, Kagome bagnò il panno che teneva allacciato al cinto dei propri hakama e iniziò ad occuparsi delle ferite più fresche, riconoscibili per via del sangue raggrumatovisi intorno. Quando lo udì sibilare addolcì il tocco, e decise di cercare una qualche forma di distrazione.
«Mi chiamo Kagome», mormorò, tamponando con cura intorno a una ferita che pareva inferta da qualche animale feroce. «E ti posso giurare che non riporterò la tua presenza al campo, soldato.»
Non aveva dubbi infatti che avrebbero potuto imprigionarlo – o, peggio, ucciderlo. Probabilmente Kaede-sama gli avrebbe offerto asilo in ogni caso, ma Kagome non si fidava della compassione degli altri soldati presenti. Aveva visto nei loro occhi la brama di sangue e vendetta, di cui il suo attuale paziente era privo.
«Inuyasha», fece lui dopo un po’, ricambiandole il favore attraverso denti stretti. «E ti ringrazio, miko Kagome. Ma sarò sparito prima dell’alba.»
Il silenzio si insinuò nuovamente tra loro. Kagome non poteva contraddirlo – era saggio che avesse in programma di andarsene prima di venire riconosciuto, poiché nessuno tra coloro che occupavano il villaggio avrebbe avuto un briciolo di rimorso a uccidere un nemico disarmato e al di fuori del campo di battaglia – eppure l’idea che se volesse andare col favore delle tenebre, stanco e ferito, privo di cibo e in pieno territorio ostile la metteva stranamente a disagio.
Ma cosa poteva fare? Condivideva la sua capanna con Kaede-sama e altre due ragazze, non avrebbe avuto modo di nasconderlo in nessun caso. Inoltre, a chi avrebbe dovuto offrire il suo sostegno? Come sacerdotessa si supponeva che dovesse aiutare chiunque fosse in difficoltà, ma come abitante dell’Est… In teoria, lui era un nemico tanto suo quanto degli altri soldati. Sospirò, pregando silenziosamente affinché i Kami le mandassero una qualche risposta.
«Mh», gemette in quel momento il soldato – Inuyasha, si corresse mentalmente – e lei temette di avergli fatto male. Ma poi lui continuò, con aria pacifica e assonnata. «Hai un tocco così delicato, Kagome...»
La giovane arrossì. «Stai sognando, Inuyasha?» Gli chiese sottovoce, osando allungare una mano per passargliela tra i capelli. Avrebbe voluto vederli in tempo di pace, lunghi e puliti da ogni traccia di sangue, splendenti sotto al sole, ma avrebbe dovuto vivere probabilmente con quel desiderio.
Egli mugugnò qualcos’altro che Kagome non riuscì a udire, e comprese allora che il soldato si era effettivamente addormentato. Accennando un sorriso si apprestò a rivestirlo, lasciando da una parte la corazza e sistemandolo in una posizione più comoda: istintivamente, il capo di Inuyasha trovò la strada verso il suo grembo, e lì rimase con l’aria più serena del mondo.
Fu allora, mentre prendeva ad accarezzargli e scioglierli i capelli con movimenti morbidi delle dita, che Kagome prese la sua decisione: lo avrebbe nascosto. C’era una caverna in mezzo al bosco, non troppo lontano da lì, dove lo avrebbe rimesso in salute finché non fosse stato abbastanza forte da andarsene con la certezza di sopravvivere fino al rientro nel suo territorio. Si sarebbe assicurata che Inuyasha vedesse la prossima primavera, e ai Kami piacendo, anche molte altre dopo di quella.
Era una sacerdotessa: era suo compito. A guerra finita cose come Est e Ovest non avrebbero più avuto il medesimo significato, e fu cullando quel barlume di speranza che anche lei si arrese al sonno.

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Oneshot: 1560 parole.
   
 
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