Storie originali > Romantico
Segui la storia  |      
Autore: Alixy_    01/08/2015    1 recensioni
"Nerd: Giovane di modesta prestanza fisica e dall'aspetto insignificante, che compensa la scarsa avvenenza e le frustrazioni che ne derivano con una passione ossessiva e una notevole inclinazione per le nuove tecnologie.
Penso che questa definizione calzi a pennello alla protagonista di questa storia, a parte l’ultima parte, che andrebbe corretta in “…e una notevole inclinazione per la fotografia e lo studio”. Perché a lei non importava nulla della tecnologia, anzi. Era una frana con computer e cose di quel genere.
Charlotte Wright era una frana in molte cose. La tecnologia, la ginnastica, il disegno, erano solo pochi esempi di ciò che la ragazza non riusciva a fare. E lei odiava non riuscire in qualcosa. Chiamatela presunzione, chiamatela arroganza, fatto sta che era così.
Lei non voleva perdere.
Eppure, per riuscire ad essere se stessa, doveva fingere di essere qualcun altro."
In cui una ragazza che a scuola viene trattata da secchiona in realtà è ricca e fa la modella.
Ha sempre mantenuto il segreto, ma quando Zack Hamilton arriva a scuola continuare a farlo non sarà più così semplice.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nerd: Giovane di modesta prestanza fisica e dall'aspetto insignificante, che compensa la scarsa avvenenza e le frustrazioni che ne derivano con una passione ossessiva e una notevole inclinazione per le nuove tecnologie.    
Penso che questa definizione calzi a pennello alla protagonista di questa storia, a parte l’ultima parte, che andrebbe corretta in “…e una notevole inclinazione per la fotografia e lo studio”. Perché a lei non importava nulla della tecnologia, anzi. Era una frana con computer e cose di quel genere.
Charlotte Wright era una frana in molte cose. La tecnologia, la ginnastica, il disegno, erano solo pochi esempi di ciò che la ragazza non riusciva a fare. E lei odiava non riuscire in qualcosa. Chiamatela presunzione, chiamatela arroganza, fatto sta che era così. 
Lei non voleva perdere.
Eppure, per riuscire ad essere se stessa, doveva fingere di essere qualcun altro. Ragionamento contorto, non trovate? Malgrado ciò, lei persisteva nel suo pensiero, e nessuno le dava torto. Forse perché nessuno la conosceva davvero. I suoi genitori erano sempre assenti per lavoro, lei viveva da sola per la maggior parte del tempo e aveva pochi amici, che più che amici erano colleghi di lavoro.
Ciò nonostante, lei non era triste o depressa, affatto. Lei era decisa a continuare in quel modo fino alla fine del liceo, quando avrebbe finalmente abbandonato la sua maschera, facendo quello che amava veramente.
«Wright?»
«Presente» rispose tranquillamente Charlotte alzando la mano per farsi vedere dalla prof che annuì, scribacchiando qualcosa sul registro e chiamando gli ultimi due nomi.
Quando finalmente l’appello terminò, la professoressa Stewart si alzò in piedi, camminando sui tacchi alti che aveva indossato quel martedì fino alla lavagna, non senza inciampare un paio di volte. Qualcuno ridacchiò e la donna fulminò uno ad uno i volti degli alunni presenti nell’aula, per poi indicare con l’indice la mappa concettuale disegnata col gesso sull’ardesia nera. «Copiatela velocemente» ordinò con fare secco e tutti sbuffarono, tranne una che cominciò immediatamente a riprodurla ordinatamente sul quaderno a righe che aveva comperato all’inizio dell’anno. Charlotte aveva ubbidito, anche se dentro di sé stava sbuffando, e avrebbe voluto roteare gli occhi.
Dopo un’altra mezz’oretta la lezione finì e i ragazzi cominciarono ad uscire dalla classe, la maggior parte correndo come una mandria di bufali, gli altri più lentamente ma comunque affrettandosi per raggiungere la mensa.
Charlotte, dal canto suo, se la prese comoda, depositando le sue cose con cura nello zaino grigio e anonimo che aveva scelto a inizio anno. Sentì vibrare il cellulare in tasca, ma quando fece per prenderlo e vedere da chi arrivava il messaggio, qualcuno le afferrò le spalle.
Fece un salto, trattenendo un urletto di paura, per poi voltarsi e vedere il volto sorridente della sua unica amica Piper con in mano due sacchetti del pranzo. Charlotte si prese un attimo per analizzarla. Quel giorno i capelli scalati e color del grano erano legati in una treccia, gli occhi azzurri erano accesi come sempre e i vestiti – gonna a ruota corta e nera e maglia bianca – perfettamente stirati. Piper era bella, Charlotte lo sapeva come lo sapeva tutta la scuola. Niente a che vedere con i capelli marroni a caschetto e gli occhi scuri dell’altra, che indossava sempre felpe o maglioni troppo grandi per lei e dei grandi occhiali dalla montatura nera.
In molti si chiedevano come mai Piper Mc Donald, che avrebbe potuto essere molto popolare, uscisse con la Wright, una sfigata nerd di prima categoria. Lei rispondeva che erano amiche da sempre, anche quando Piper aveva l’apparecchio, era cicciottella, ed era brutta.
«Ti ho preso il pranzo Charlie!» Sorrise la bionda sventolando davanti al viso dell’altra uno dei sacchetti.
«Come diavolo hai fatto ad aprire il mio armadietto?» chiese di rimando Charlotte, prendendo il sacco marroncino e lanciando un’occhiata al suo interno, vedendo una mela e un panino, che avrebbe sicuramente regalato all’amica.
«Grazie Piper, sei stata gentile a portarmi il pranzo» storpiò la voce di Charlie, facendo una smorfia contrariata. «Dai, hai la stessa combinazione da anni ed è la più scontata del mondo. 0000, davvero?»
Charlotte alzò gli occhi al cielo, stringendosi al petto il proprio pranzo, mentre si metteva in spalla lo zaino. «Non mi veniva in mente nulla» si difese debolmente, cominciando a camminare per il corridoio, seguita dalla bionda. «Com’è andata l’interrogazione? » chiese, più per cortesia che per altro. Piper e lei non erano esattamente migliori amiche. Le migliori amiche sanno tutto l’una dell’altra, si vedono dopo la scuola, escono insieme, studiano insieme. Loro invece, si vedevano solo a scuola, ma andava bene così. Piper sapeva che Charlie era una persona complicata eppure conosceva il suo lato dolce e simpatico che tirava fuori spesso quando erano solo loro due.
«Oh, lascia perdere. Quella professoressa mi odia! Mi ha chiesto cose dell’anno scorso, cioè dico: dell’anno scorso!» esclamò gesticolando come una forsennata l’amica e Charlotte dovette reprimere un sorriso divertito a quella vista. «Ridi sotto i baffi per caso, Charlie?» domandò fintamente arrabbiata la bionda, guardandola dall’alto, dato che era un po’ più alta di lei. «Insomma, che razza di amica sei? Io sono triste e ho bisogno di conforto e tu ridi!» mise il muso e a quel punto la mora scoppiò definitivamente a ridere, portando una mano alla bocca e tentando di smetterla, ma senza riuscirci.
«Sono felice che un mio quattro ti diverta tanto» mugugnò l’altra, tentando di non ridere come Charlotte. La mora, davanti a lei, stava ancora ridacchiando, piegata in due, il corpo minuto scosso da piccoli singhiozzi a causa delle risate. Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sospirò, calmandosi.
«Devo andare!» si ricordò all’improvviso Piper,lo sguardo le schizzò immediatamente sull’orologio appeso al muro. «Devo vedere Matthew. Augurami buona fortuna!» disse maliziosa, prima di scappare via verso la palestra. Matthew Hamilton era la cotta di Piper da tutto il liceo e da qualche giorno aveva preso a parlarle, dopo più di quattro anni ad ignorarla completamente.
«Buona fortuna» mormorò Charlotte, ritrovandosi da sola di nuovo. Si incamminò verso la mensa, lentamente, senza fretta, godendosi il silenzio che aleggiava nei corridoi vuoti. Silenzio che venne interrotto da alcuni passi frettolosi che arrivavano dalla parte opposta alla ragazza.
Quando dal corridoio sbucò Lance Wilson, lei si irrigidì, affrettando il passo a testa bassa, sperando di mimetizzarsi tra gli armadietti rossi della scuola, ma quello la notò lo stesso, e un sorriso gli si formò in viso.
«Wright» esordì e lei deglutì, maledicendo qualunque divinità le venisse in mente in quel momento. «Che piacere rivederti» ghignò inclinando la testa di lato e osservandola. «Avevo proprio un languorino…» a quelle parole Charlotte sospirò, stringendosi al petto il suo pranzo che, dopo pochi secondi, le venne strappato dalle braccia. Lance tirò fuori la mela e il panino, soppesandoli. Diede un morso alla mela, sputandolo poi ai suoi piedi e buttando a terra il frutto, mentre scartava il sandwich e si allontanava ridacchiando. «Ci rivediamo domani alla stessa ora qui, Wright! E porta qualcosa di diverso da una mela, magari».
Lei, impassibile, raccolse la mela morsa e la buttò nel secchio lì accanto, senza rispondere. Non le importava molto del pranzo buttato, più che altro le dispiaceva che una mela andasse sprecata solo a causa di uno stupido ragazzino che doveva fare il bullo per fare il figo.
Cominciò a correre verso il giardino, per poi sedersi di peso sul prato sotto una semplice quercia. Si sistemò gli occhiali sul naso, grattandoselo per un momento. Si distese, chiudendo gli occhi, rilassandosi e godendosi quel piccolo istante di pace. Quel misero istante venne interrotto dalla voce di qualcuno.
«Anche tu sei scappata?»
Charlotte sussultò, aprendo di scatto le iridi scure e mettendosi seduta, lanciando un’occhiata al ragazzo accanto a lei. I capelli biondi erano sistemati in un ciuffo come quelli che andavano di moda quell’anno, gli occhi azzurri non la guardavano, anzi scrutavano la strada davanti a sé, mentre un accenno di barba gli solleticava la mascella. E sembrava alto, molto alto.
Charlie annuì, schiarendosi la voce e quello parlò di nuovo. «E’ un posto tranquillo, non credi?»
Di nuovo, la ragazza fece sì con la testa, non sapendo cosa dire.
«Perché non sei a mensa?»
A quel punto, la mora sospirò, portandosi entrambe le mani in grembo e cominciando a torturarsi la pellicina del pollice, come sempre. «E’ l’unico momento in cui posso stare in pace» disse sinceramente, portando le ginocchia al petto e appoggiandovi sopra il mento. «C’è una sorta di magia qui. Sei estraniato dal mondo, nessuno può arrivare e rovinarti il momento e…» si bloccò improvvisamente, imbarazzata. Stava facendo una brutta figura in quel modo, quindi decise di tacere stringendo le labbra rosee.
«Hai ragione» disse dopo qualche secondo il ragazzo, stupendola. «Cioè, non che io conosca così tanto questo posto. Sono arrivato qui solo ieri» si portò una mano fra i capelli, sistemandoli un po’ e Charlotte distolse lo sguardo, posandolo sulle sue normali scarpe da ginnastica bianche. Si strinse nell’enorme felpa blu che indossava quel giorno mentre l’aria fresca di ottobre le scompigliava i capelli. Lui continuò: «Ma sembra davvero un posto fuori dal mondo»
Restarono in silenzio per alcuni minuti, quando la campanella che indicava la fine della pausa pranzo risuonò in ogni angolo della scuola. Charlotte si morse il labbro indecisa, ma poi si alzò, spazzolandosi i pantaloni. «Beh, ciao» disse semplicemente.
Il ragazzo si voltò a guardarla per la prima volta e annuì, passando la lingua sul piercing al labbro che lei non aveva notato. «Ci si vede».
E Charlotte si allontanò, senza voltarsi indietro, sforzandosi di mettere un piede dietro l’altro come ogni giorno.
“” “” “”
«Che vuol dire che non è un problema tuo?» strillò Jessica e Charlotte roteò gli occhi prima di voltarsi a guardarla. La ragazza – la solita oca bionda cogli occhi chiari – stava battendo il piede a terra, le mani sui fianchi e un’espressione rabbiosa in viso.
Certo, come se dovesse essere lei quella scocciata.
«Jessica, ti ripeto che non è stata colpa mia. L’anno scorso ancora non ero io la coordinatrice del club, quindi non ero io che decidevo» disse senza distogliere lo sguardo dal computer di fronte a sé. Aggrottò la fronte quando quello si bloccò per l’ennesima volta e rinunciò, chiudendo la sessione e spostando gli occhi sulla bionda. La ragazza era venuta a lamentarsi per la milionesima volta del fatto che sull’annuario dell’anno prima era stata pubblicata una foto in cui lei era ‘orribilmente orribile’, per citare le sue parole, e Charlie aveva davvero perso la pazienza.
«Si certo, quei nerd non fanno una mossa senza di te!» ribatté con voce acuta Jessica e la mora sospirò, aggirandola per prendere la sua macchina fotografica. Se la mise al collo e tornò a guardare la bionda che sembrava oltraggiata dal fatto che l’altra la stesse ignorando.
«Questo è l’ultimo anno e voglio che la mia foto sull’annuario sia perfetta!» esclamò ancora, puntando un dito contro Charlotte che tentò di resistere all’istinto di spezzarlo all’istante.
«Bene, sarà così» acconsentì col capo, sperando che così Jessica andasse via e così accadde. La bionda si voltò, cominciando a camminare muovendo  i fianchi e con un’andatura decisa anche su quei tacchi.
«Odiosa» sussurrò, sistemando le ultime cose sulla scrivania e uscendo dalla stanza.
Faceva parte del club dell’annuario già dall’anno prima, quando la coordinatrice di allora non aveva potuto rifiutare la sua richiesta a causa dell’esperienza che Charlotte aveva con la fotografia. Tuttavia, quando lei se ne era andata al college tutti gli altri membri del club avevano lasciato il lavoro nelle sue mani e Charlie si era ritrovata ad essere la coordinatrice – nonché unica iscritta – al club.
Uscì dalla scuola salutando con un piccolo sorriso Piper che cercava di andare verso di lei ed entrò nell’auto scassata che usava per andare e tornare da scuola. Guidò piano, guardandosi attorno per accertarsi che nessuno della scuola fosse nei paraggi, e svoltò a destra dopo circa dieci minuti.
Una villa a due piani si presentò davanti a lei. Le grandi vetrate permettevano di vedere l’interno della casa, che aveva i muri di un bianco immacolato. Non c’era nessuna piscina in bella vista, come sicuramente molti si sarebbero aspettati, ma Charlotte sapeva che sul retro c’era una grande vasca rettangolare di acqua dolce con degli scalini che portavano al mare.
I vantaggi di vivere a Miami.
Charlotte parcheggiò la macchina d’epoca nel grande garage contenente la sua vera macchina e quelle dei suoi genitori e suo fratello e bussò alla porta. Attese invano che qualcuno le venisse ad aprire, così capì che i suoi dovevano essere ripartiti senza nemmeno avvisarla. Tirò fuori le chiavi dalla tasca ed entrò in casa, chiudendosi alle spalle la porta di legno.
Sentì una vibrazione in tasca e tirò fuori il suo Iphone 6 notando due chiamate perse da suo fratello Connor. Sorrise istintivamente, mentre lo richiamava e accostava il telefono all’orecchio.
«Pronto?» la voce insonnolita del fratello le giunse dall’altro capo del telefono.
«Connor, ehi» sorrise Charlotte, con voce allegra.
«Pulce, ciao! Come va da quelle parti?» Connor si rianimò e la sua voce, ancora roca per il sonno appena interrotto, si fece più felice.
«Bah, tutto bene. Mamma e papà sono appena ripartiti, credo per l’Asia, ma non ne sono sicura» la ragazza alzò gli occhi al cielo, sedendo sul divano di pelle. «Stavi dormendo? Non dovresti essere a lezione?»
Dopo qualche secondo di silenzio scoppiarono a ridere in contemporanea. «Si certo, Charlie, a lezione. Come no».
Dopo ancora un paio di minuti a parlare di come fosse il college, Connor dovette attaccare e si salutarono. Charlotte sospirò, e quando fece per passarsi una mano fra i capelli si rese conto di non essersi ancora cambiata. Fece scivolare via dalla testa la parrucca che indossava ogni giorno a scuola e sciolse i suoi lunghi capelli scuri e mossi, facendoli ricadere dolcemente sulle spalle. Tolse gli occhiali finti che portava e li posò sul tavolino dove aveva appoggiato i piedi e si spogliò della felpa, rimanendo con una semplice canottiera bianca e skinny jeans blu.
Rimirò il suo riflesso alla tv spenta, volumizzando i capelli con le mani. Le gambe magre adesso erano incrociate, mentre le braccia secche erano posizionate sui jeans. Aveva un bel fisico, ne era consapevole, anche se a scuola tentava d nascondersi in quelle grandi felpe.
Perché farlo? Beh perché voleva essere considerata normale, non la figlia di due ricchi coniugi, quella che aveva un bel sedere o dei bei fianchi. Strano, ma preferiva essere trattata male che essere trattata bene solo per il suo aspetto esteriore e la sua famiglia.
Il cellulare vibrò di nuovo e con uno sbuffo la ragazza lo sbloccò, notando un messaggio di James, il suo capo.
Da: James
Charlie oggi puoi passare un po’ prima, verso le tre e mezza?
Grazie, James xx

Charlotte non rispose, decidendo di presentarsi semplicemente lì a quell’ora.
Col cellulare in una mano e le chiavi di casa nell’altra uscì subito di casa, andando in garage. Era davvero immenso. C’era un bancone per cocktail, che usava Connor quando invitava i suoi amici prima che andasse al college, un mini-frigo ed un angolo cottura per ogni evenienza. E poi, ovviamente, c’erano le auto.
Erano sei in quel momento. Due di Charlie – quella per la scuola e quella per il lavoro –, una di suo fratello che aveva lasciato la Range Rover perché troppo grande e tre de suoi genitori. Forse era esagerato ma, ehi, quando sei ricco non ti importa di esagerare.
In una decina di minuti si trovò davanti la Moore’s  Models’ Company. Lavorare lì come fotografa era il suo sogno sin da bambina e quando aveva ottenuto quel lavoro si era davvero entusiasmata, nonostante non fosse esattamente ciò che immaginava.
Entrò nel palazzo salutando con un sorriso il portiere che le fece un cenno di saluto con la mano. Quando arrivò davanti all’ufficio di James fece una smorfia nel vedere il suo capo con uno sguardo così stanco. Forzò un sorriso e bussò allo stipite della porta, appoggiandovisi.
«Ehilà James»
James Moore alzò gli occhi verdi dai documenti che stava leggendo e sorrise, spostandosi una ciocca di capelli castani dal viso. Aveva circa 25 anni ed era molto giovane per gestire un’intera azienda, ma quando i suoi genitori erano morti tutto era passato nelle sue mani.  «Ciao Charlie»
«Come va? » sorrise lei, avvicinandosi e gettando un’occhiata ai fogli che leggeva il suo capo. Erano dei grafici su come andavano più o meno le cose per la società.
«Diciamo bene» sospirò lui, mettendo gli stampati in una cartella ed alzandosi, osservando la ragazza. «Oh insomma Charlie, quanto ti costa truccarti prima di venire qui? Risparmieresti un sacco di lavoro alle truccatrici» brontolò affiancandola mentre si dirigevano verso la sala foto.
«Va da Tasha, ti aiuterà a prepararti» le indicò la stanza per il trucco e lei annuì, facendo il segno militare. «Agli ordini, capo» disse scherzosamente, dirigendosi dove l’altro aveva indicato. Superò la soglia della camera, salutando alcune colleghe che davanti allo specchio, si facevano truccare. Raggiunse Tasha che le fece cenno di sedersi, mentre cominciava a spazzolarle i lunghi capelli mossi e scuri, affrettandosi a truccarle il viso quanto bastava per le foto.
«Grazie Tasha, fantastica come sempre» ringraziò Charlie scendendo dalla sedia e dando alla donna un bacio sulla guancia, ormai solcata da un paio di rughe. Raggiunse James e i fotografi nella sala accanto e si guardò attorno.
Le pareti erano bianche, con numerosi specchi. Molteplici cavalletti per le fotocamere erano posizionati per la stanza, puntando sempre ad una porzione di muro.
La ragazza lanciò un’occhiata alla stanza, correndo poi a cambiarsi. Rimasta in intimo di pizzo nero firmato Victoria Secret raggiunse James e il fotografo.
Quest’ultimo la guardò con malizia, mentre lei ricambiava lo sguardo con invidia. Invidia per il lavoro che egli faceva. Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto fare la fotografa invece che la modella di intimo per l’azienda. All’inizio, quando aveva presentato il suo curriculum, aveva intenzione di essere quella dietro la fotocamera, non davanti.
Eppure, alla fine si era ritrovata ad essere una modella. E brava, anche. Le edizioni con lei in copertina erano quelle più vendute, a quanto pareva. Come mai nessuno la riconosceva? Beh, a parte il fatto che a scuola indossasse parrucca, occhiali finti e grandi felpe a nasconderla, nessuno dei lettori conosceva il suo nome. Sulla rivista era conosciuta semplicemente come Charlie e solitamente era molto truccata.
«Che vuol dire che te ne vai?» esclamò improvvisamente James, riscuotendola dai suoi pensieri. Stava parlando col fotografo davanti a sé, mentre sul suo viso si dipingeva una smorfia arrabbiata. «Tra qualche giorno esce il prossimo numero, Ralph!»
Il fotografo – che ha quanto pareva si chiamava Ralph – sospirò, passando una mano tra i capelli brizzolati. «Mi dispiace James, ma ho ricevuto un’offerta migliore»disse tentando di sembrare dispiaciuto, ma con tono così menefreghista che nemmeno l’essere più idiota del pianeta avrebbe potuto crederci. Rimase per un attimo fermo, forse soppesando la situazione, poi si voltò verso l’uscita, camminando con le mani in tasca e strascicando i piedi.
«’Fanculo » mormorò James, poi tirò un pugno al muro, alzando la voce. «’Fanculo! » esclamò, appoggiando la fronte alla parete. Charlie, un po’ intimorita si avvicinò, avvicinando esitante la mano alla sua spalla e accarezzandola piano. «Andrà tutto bene James, non ci serve quel cazzone» disse, osservando il volto del ragazzo che aveva chiuso gli occhi.
«Già» rispose lui, riaprendoli e staccandosi dal muro. « Non ci serve, per niente»detto questo si voltò verso la sala, richiamando l’attenzione con un fischio. «Ascoltate gente! Ralph se n’è andato, ciò vuol dire che mi serve un sostituto. Organizzate i provini, entro due giorni pretendo un altro fotografo!»
«Provini? » si intromise Charlotte, facendosi avanti un po’ in imbarazzo essendo in intimo. «James, avevi promesso che mi avresti assunta come fotografa non appena si fosse liberato il posto!» esclamò, offesa. Lo sguardo di James si fece vacuo per un momento, come se fosse dispiaciuto. «Mi dispiace Charlie, ma per adesso ancora non si può fare. Ci fai guadagnare troppo, non possiamo rinunciare a te».
E, semplicemente, Charlotte se ne andò, sbattendo i piedi con rabbia.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Alixy_