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Autore: MissBethCriss    02/08/2015    0 recensioni
In questa vita di cicatrici e amore, una domanda sarà posta a chi saprà ricordare. E un fiore riuscirà a sbocciare nei cuori di chi saprà amare; è come un'onda il suo odore, vi inonderà con ardente passione. E chi saprà amare, ad occhi chiusi, si fiderà dell'altro, e amerà senza riserve. Poiché quando il sole sarà tramontato, al buio, vi rimarranno solo dei ricordi sulla linea del tempo.
▻ Day One: Post Glee
▻ Day Two: Book AU
▻ Day Three: NYU! Seblaine
▻ Day Four: Hogwarts
▻ Day Five: Free Day
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Beth's Corner: Buon inizio della Seblaine Week a tutti! Perché il "Beth's Corner" si trova qui su in cima? Per una semplice ragione: la mia cara Betta l'Omonima pubblicherà al mio posto per l'intera durata della Week visto che io, essendo una persona molto fortunata, mi trovo in Trentino e non ho accesso al pc. Ma siete in buone mani. Che altro dire? Grazie a quella santa donna che mi ha fatto da beta, beta Betta l'Omonima, per l'aiuto che mi ha dato. Sei la più meglio. Buona lettura!

Questa storia partecipa alla Seblaine Week 2015
Day One: Post Glee

 

Ricordi sulla linea del Tempo

Chi è Sebascian, papà?

 
— Papà! — chiamava ripetutamente la piccola Rose, sbattendo delicatamente i pugnetti contro il petto del padre per svegliarlo, provando a non stropicciare troppo i fogli che coprivano il genitore come una coperta. Ma la piccola non riuscì a ottenere alcun risultato, ad eccezione di borbottii gutturali che ricordavano vagamente un “non ora, Rosie”.
La piccola, però, aveva nel proprio patrimonio genetico la testardaggine di entrambi i genitori, perciò non si arrese e continuò imperterrita, pensando che se il padre non si fosse svegliato nel giro di quattro nanosecondi – che non sapeva bene quanto durassero, ma dal “nano” immaginava veramente poco (dopotutto i Nani di Biancaneve erano veramente bassi) - avrebbe riempito un bicchiere di acqua fredda in bagno e lo avrebbe svegliato così. Era convinta anche del fatto che il padre non si sarebbe potuto arrabbiare con lei per questa sveglia poco gentile, perché la colpa era solo sua e del suo sonno pesante.
— Papà, mi farai fare tardi alle prove del balletto! — gli urlò nelle orecchie. Blaine sobbalzò, facendo cadere il libro aperto che aveva in faccia e la penna rossa in equilibrio dietro l’orecchio. La piccolina rise, e quella risata fece dimenticare a Blaine il motivo per cui era arrabbiato, ma solo per un momento. Rose teneva i suoi vispi occhietti verdi puntanti in quelli nocciola e assonati del padre, incitandolo a darsi una mossa.
— Che ore sono? — le chiese sbadigliando, per poi stiracchiarsi facendo cadere alcuni compiti sul pavimento.
— Sono le quattro e trentaquattro minuti e cinquanta secondi. E sì, devo essere a scuola fra meno di mezz’ora.
Il padre sbarrò gli occhi e cominciò a borbottare frasi sconnesse. Alcune cose Rose fece finta di non sentirle, perché facevano parte di quelle brutte parole che non si dovevano mai usare. Si mise in piedi sul divano color crema e si esercitò nei plié, almeno fino a quando il padre, che aveva in mano la borsa di danza rosa della figlia, non la prese in braccio e corse il più velocemente possibile a prendere la bicicletta. Blaine ignorava come fosse riuscito a scendere le scale del condominio con la mano salda sulla canna della bicicletta, la piccola in braccio e lo zaino in spalla, ma in men che non si dica si trovò già per strada, percorrendo quelle vie che conosceva come le sue tasche.
 
— Faremo tardi — disse per la ventesima volta in tre minuti, con tono melodrammatico, la piccola Anderson, aggrappandosi più che poteva alla camicia del padre; odiava stare sulla canna della bici, ma in certe situazioni era l’unico mezzo che permetteva loro di muoversi velocemente.
—Rosie, il ripeterlo non farà dilatare il tempo per permetterci di arrivare in tempo. Fai la brava, dai, siamo quasi arrivati — le disse con il fiatone. Mentre sfrecciava per le vie di una Boston più assolata del solito, ringraziò il fatto di aver scelto una casa che fosse abbastanza vicina sia al college dove insegnava, sia alla scuola della figlia, accertandosi che nei dintorni ci fosse anche una scuola di danza.
Quando incominciò a intravedere l’insegna della scuola rallentò un po’, per non frenare troppo bruscamente di fronte all’entrata.
Quando finalmente i due arrivarono, Blaine aveva le gote rosse e non si ricordava quando fosse stata l’ultima volta che aveva respirato, visto che era troppo impegnato a evitare automobili o pali della luce. Fece scendere la piccola, che subito controllò l’orologio rosa che portava al polso e tirò un sospiro di sollievo: avevano ancora cinque minuti di tempo per riprendersi ed essere ancora puntuali.
Blaine la guardò e si mise a ridere, mentre lei lo fissava come faceva sempre la madre quando andavano ancora al liceo.
— Perché ridi, papà?
Blaine non le rispose, limitandosi a sorridere, quando all’improvviso alzò lo sguardo e si trovò di fronte, sull’altro lato della strada, colui che non sperava più di incontrare ormai da anni. Si sentiva raggelato, era come se tutto si fosse assopito, disintegrato sotto lo sguardo smeraldino di lui. Esistevano solo loro due. L’altro alzò un braccio e lo agitò in segno di saluto e Blaine fece lo stesso. L’uomo attraversò veloce la strada e Blaine riusciva a malapena a rimanere in piedi; gli sembrò assurdo il fatto che l’altro gli suscitasse lo stesso effetto, anche adesso che erano adulti.
— Blaine Devon Anderson — gli disse, quando fu abbastanza vicino.
— Sebastian Maurice Smythe — rispose l’altro stringendogli la mano, quasi come se si stessero presentando un’altra volta. — Non credo ai miei occhi —  sussurrò, senza parole. In quel momento, Rose si schiarì la voce, riportando con i piedi per terra il padre.
— E questa principessina? — chiese Sebastian, facendo un inchino scherzoso.
— Mi chiamo Tracy Rose Elizabeth Anderson, e sono una ballerina terribilmente in ritardo.
Il moro guardò dispiaciuto l’uomo più alto, mentre questo alzò le spalle sorridendo e facendogli un occhiolino. — Ti aspetto qui, Anderson?
Blaine annuì e prese per mano la figlia, sparendo dalla visuale di Sebastian nel momento in cui entrò nella scuola.
— Chi è Sebascian, papà? — chiese la bimba con la sua voce cristallina, con un tono troppo alto per passare inosservato, ma il francese non riuscì a sentire la risposta del moro e non sapeva se esserne sollevato o rammaricato. Sebastian si sistemò la giacca blu e si diresse verso una panchina lì vicino, per sedersi. Rimase da solo per poco tempo, perché qualche minuto dopo, Blaine uscì dalla porta bianca di corsa.
— Guarda che potevi anche fare le cose con calma, non sarei andato da nessuna parte — gli disse sorridendo, mentre si alzava in piedi.
Blaine arrossì e alzò le spalle. — Tranquillo, è da tutto il giorno che corro.
— Ti tiene in forma la piccola, vero? Ed ecco spiegato il motivo dei primi ricci che si ingrigiscono. La paternità ti dona, visto che ti ha fatto abbandonare quel gel che ti faceva sembrare un pagliaccio.
Blaine fece finta di non aver sentito l’ultima parte. — Non puoi capire quanto, è un piccolo tornado — gli disse ridendo, portandosi una mano sui ricci per tirarli indietro. — E meno male, aggiungerei! Ancora non ci siamo ambientati a Boston, conosciamo a malapena i nostri vicini, ma le nostre passeggiate ci hanno permesso di visitare la città e ci piace molto. Se non avessi lei, credo che sarei già impazzito.
Papà Blaine, suona bene.
Blaine gli sorrise e prese la bici. — Dai, andiamo, che la piccola finisce fra un po’. Conosco un bar qui vicino che fa delle torte buonissime e dei caffè che sono la fine del mondo.
— Andata. Allora, Anderson, cos’hai combinato in questi anni? — gli chiese mentre si avviavano al bar.
— Nulla di che, tu, invece? — fece con fare elusivo. Non gli andava di parlare di ciò che gli era successo in quegli anni, sebbene la sua terapista gli avesse detto più volte che, in molti casi, la parola è la migliore delle medicine.
— Rose sembra tutt’altro che “nulla di che”, Anderson —ribatté Sebastian, aprendogli la porta per farlo entrare per primo. Blaine si diresse svelto verso il bancone per ordinare, lasciando in sospeso la domanda di Sebastian. Sovrappensiero, ordinò ciò che il francese prendeva sempre quanto entrambi erano giovani. Quando si presentò al tavolo con le due tazze di caffè fumante, Sebastian sorrise.
— Ti ricordi ancora? — gli domandò, mentre prendeva la tazza bianca fra le mani.
— Certo, mi ricordo tutto. — Blaine cominciò a spezzettare il biscotto distrattamente, e quella procedura divenne all’improvviso stranamente interessante. Vi era una bellezza che evidentemente Sebastian non capiva nelle gocce di cioccolato che si appiccicavano ai polpastrelli. Blaine avrebbe fatto di tutto, pur di non guardarlo negli occhi. Sebastian posò una mano sulla sua, fermandolo, costringendolo a incrociare i suoi occhi verdi. Sebastian intravide negli occhi ambrati dell’uomo tanta tristezza, e si ritrovò ad accarezzargli il dorso della mano col pollice per tranquillizzarlo.
— Cosa ti è successo, Blaine Anderson? E Tracy Rose Elizabeth non mi sembra “nulla di che”.
— Infatti non lo è, è l’unica cosa bella che mi sia capitata in questi anni — affermò portandosi alle labbra la tazza, assaporando il caffè e lasciando la cannella che aveva aggiunto pizzicargli la punta della lingua.
— Si è presentata come Anderson, deduco che non è più rose e fiori con Hummel.
Blaine fece cenno di no. — Abbiamo divorziato quando Rose aveva due anni. Non so cosa ho sbagliato, ma ad un certo punto litigavamo e basta, alcune volte ci trovavamo a bisticciare senza sapere neanche il perché. Un giorno se ne uscì con questa cosa del divorzio, e nel giro di poco mi trovai sul tavolo della cucina dei fogli da firmare per iniziare la pratica. Mi chiese di fare addirittura la prova del DNA per vedere chi fosse tra i due il padre biologico, ma era inutile, io sapevo che era mia figlia. Mi disse che non voleva avere più a che fare con me, nel modo più assoluto, e ciò comprendeva nostra figlia. Non voleva nulla che fosse mio. E’ anche per questo che la bambina ha deciso di farsi chiamare solo Rose, perché gli altri due nomi erano stati scelti da Kurt.
— Che pezzo di merda — Sebastian fece una pausa, addolcendo il tono e cambiando discorso. —Ho notato che ha i tuoi stessi occhi e i ricci. Chi vi ha fatto da surrogata?
— Rach. Avrà pure i miei occhi, i miei ricci, ma è la sua copia. Ho visto delle foto di quando era piccola, è uguale a Rosie. E ha anche ereditato il suo caratterino — gli disse, con un sorriso tenero che solo i padri che amano con tutto il cuore i figli possono fare.
— Fortunatamente non ha ereditato anche il suo grosso naso, madre natura è stata più clemente con lei. Farà strage di cuori da grande.
— Rosie non farà strage di cuori perché non le permetterò di uscire con nessuno — disse Blaine passando in modalità “papà orso”. — Ho anni di boxe alle spalle e un dritto niente male.
— E un sedere niente male, se non ricordo male. — i due si guardarono e risero. — E poi non fare il papà geloso, che non ti si addice —disse Sebastian mentre estraeva dalla tasca interna della giacca una fiaschetta che Blaine riconobbe all’istante: gliel’aveva regalata lui per Natale quando andavano ancora al liceo. Gli faceva piacere che tenesse ancora qualcosa che gli ricordasse di lui. L’abitudine del francese di mettere del Courvoisier nel proprio caffè non era cambiata, chissà se teneva ancora lo stesso tenore di vita o l’età adulta lo aveva riportato sulla retta via. Blaine provò un moto di gelosia che gli strinse per un po’ la bocca dello stomaco, il pensiero di Sebastian con altri uomini lo infastidiva. Istintivamente, guardò di soppiatto l’anulare sinistro: non vide alcuna fede o altri anelli, ma Sebastian non era tipo da matrimonio,  non era una garanzia del fatto che fosse single.
Sebastian fraintese il suo sguardo.
— Già, la tengo ancora. Ormai mi sono affezionato a questa fiaschetta con l’usignolo inciso sopra. È un portafortuna.
— Mi fa piacere — gli disse imbarazzato. — Invece tu? Cosa ha fatto Sebastian Smythe in questi anni che non ho il coraggio di contare?
— Ho vissuto in Europa: sono ritornato in patria, Parigi mi mancava molto e ho preso le mie lauree lì. Sono diventato avvocato, come voleva mio padre, e adesso mi ritrovo sposato con il mio lavoro. È una convivenza molto dura, ma ormai mi sono abituato anche agli orari assurdi. Sono riuscito a farmi un nome in Europa e poi oltreoceano, infatti mi trovo qui per un cliente. È molto ricco e può permettersi le mie trasferte. Era da anni che non ritornavo in America, non avevo realizzato quando mi fosse mancata fino a quando non ci ho messo piede.
— Sto parlando con un prezzo grosso, mi sento onorato — lo canzonò Blaine prendendo un altro sorso dalla tazza blu. — Quindi sei qui solo momentaneamente?
Sebastian sospirò. — Starò qui fino a quando non vincerò il caso, poi, se avrò un valido motivo per restare, valuterò se mettermi in proprio: sono anni che sogno di aprire uno studio tutto mio.
Blaine ci ragionò un po’ su. — Una cena con i piatti delle principesse lo reputi un motivo valido per restare? Almeno per un po’? Puoi scegliere la principessa che preferisci. — gli chiese titubante, perdendosi in quegli occhi che sognava da anni di rivedere.
Sebastian gli donò uno di quei sorrisi che un tempo rivolgeva solo a lui, perché quando stava con Blaine si permetteva sempre di lasciare a casa la maschera che era solito indossare.
Lo guardò e ripensò a loro da giovani.
Ripensò a quanto lo aveva amato, a come lo aveva pregato di restare con lui, di lasciare Hummel e di dargli una seconda possibilità. Blaine, però, non lo aveva scelto.
Poi ripensò a loro due nella sua camera alla Dalton, quando Blaine gli confidò quello che voleva fare per la proposta di matrimonio, e lui si sentì come se fosse andato in frantumi, riuscendo a percepire ogni spigolo affilato del suo essere. Ricordò di come si era piegato sulle ginocchia, perché il corpo non era riuscito più a sorreggerlo, pregandolo di non farlo. Le braccia di Blaine lo avevano circondato, stringendolo forte mentre gli accarezzava con una mano i capelli sottili, senza dire una parola. Ancora oggi non riusciva a spiegarsi questa sua reazione, forse era semplicemente ciò che accadeva quando il proprio mondo finiva in mille pezzi.
Forse i due non erano pronti in quel periodo, entrambi dovevano affrontare i propri vecchi scheletri nell’armadio, e quando si ha troppo a cui pensare le cose non possono funzionare. Forse ora era il loro momento, era per questo che si erano incontrati per un caso fortuito, ora erano pronti, o forse non lo sarebbero stati mai, ma valeva la pena provare. Le seconde occasioni non vanno sprecate, valgono come oro perché non ti capiteranno più.
Sebastian si chiese quando aveva incominciato a farsi così tante domande prima di prendere la strada giusta, quando era giovane sceglieva la prima che gli capitava di fronte, senza pensare ai “se” o ai “ma”. Si vive una volta sola e non si deve perdere tempo dietro a dubbi interrogativi.
— Se non ti basta potrei anche aggiungere un film d’animazione con le principesse Disney, Rosie mi ha detto che assomigli tanto ad un principe dei suoi cartoni, solo che non si ricorda chi. Mi aspetta una bella maratona, non mi dispiacerebbe un po’ di compagnia.
Sebastian lo guardò, prendendogli la mano che stava giocherellando nervosamente con il suo cucchiaino.
— Suppongo che l’amore per tua figlia sia pari a quello che nutrivi verso il gel, ma non penso che sia un valido motivo per restare — gli disse, mentre sorseggiava l’ultima goccia del suo caffè corretto. Blaine lo guardava con l’espressione più triste che avesse mai visto, infatti si sentì subito in colpa e desiderò sapere cosa stesse pensando. Quando non riuscì più a stare al gioco gli sorrise, stringendogli la mano.
— Non mi sembra un motivo valido per una semplice ragione, — cominciò a dirgli. — Non sono il tipo a cui piacciono le principesse. Anche mio padre ha provato a farmele piacere, portava a casa la figlia di qualche suo collega ogni venerdì sera e mi toccava portarle fuori, passeggiare lungo la Seine con loro mentre blateravano sui loro capelli, sulle unghie e via dicendo. E mentre loro parlavano, io pensavo a quanto fossero interessanti i principi.
Blaine lo guardava confuso, non riuscendo a capire il fine del suo discorso. Era convinto che forse avesse messo troppo liquore nella sua tazza.
Sebastian si sporse in avanti avvicinandosi al moro, che lo guardava con occhi spenti. — Tu, voi, siete un motivo più che valido per restare.
 


Betta’s Corner: Ciao! Io sono Betta… cioè, l’altra Betta (@bettamcgustin su twitter e PrettyFrigginCool su efp, se voleste disagiare con me), e ho avuto il piacere di bet(t)are (ah ah! Che simpatica) tutte le os di Betta (troppe Bette, troppe) per la SW. Anche se è la mia prima esperienza da beta, spero di essere riuscita a fare un lavoro dignitoso, in modo da farvi godere la vostra dose quotidiana di idilliaca seblaine. A domani, con un’altra chicca!

 
   
 
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