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Autore: The Writer Of The Stars    02/08/2015    0 recensioni
Roger Taylor ha cinque anni quando incontra per la prima volta Rachel, la bambina dai lunghi capelli castani e gli occhi color cioccolata che gli ruberà il cuore. Roger e Rachel crescono insieme, legati da un'amicizia e un sentimento indissolubile che li accompagna fino ai diciassette anni. Roger suona la batteria e non sa ancora cosa sarà un giorno, mentre Rachel ha già deciso il suo destino; studiare alla Royal Ballet di Londra per coronare il suo sogno di divenire ballerina. Ma a volte non tutto va come dovrebbe. Basta uno strano dolore alla gamba, una normale visita di controllo perché tutto il mondo cada a pezzi, frantumandosi come un castello di sabbia. Ed è mentre Rachel prova a rialzarsi e a scrollarsi le macerie di dosso che Roger dovrà fare i conti con se stesso, con le proprie paure, con le proprie insicurezze e con la consapevolezza che forse a Rachel non è stato concesso più un futuro. E scavando dentro di sè, scoprirà di essere in grado di amare come non avrebbe mai creduto possibile ...
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Long AU| Roger/nuovo personaggio
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Roger Taylor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La scuola di danza di Rachel si trovava nella periferia di Truro, ad un paio di chilometri dalla stazione. Era una scuola piccola, umile. La sede stava all’ultimo piano di un vecchio edificio fatiscente risalente alla prima guerra mondiale e se non vi fosse stata quella seppur minuscola insegna ad indicarla, nessuno avrebbe mai creduto che all’interno di quella baracca vi fosse un talento come quello di Rachel.

Rachel aveva lezione quattro volte a settimana e anche quando non doveva andarci, lei era sempre alla scuola a provare e riprovare variazioni fino allo sfinimento, specie nell’ultimo periodo. Quello era il nostro ultimo anno di liceo e mentre io non avevo ancora nessun piano per il mio futuro, Rachel aveva deciso che sarebbe entrata a far parte della Royal Ballet di Londra e divenire così una vera ballerina. Era armata di una tenacia esorbitante che francamente mi spaventava; io, ad esempio, al momento suonavo in una band insieme ad altri ragazzi del posto e andavamo anche piuttosto bene. Ci chiamavamo “The Reaction” e  in Cornovaglia eravamo alquanto conosciuti. Ma non avevo altri piani, idee per la testa. Finire il liceo e la mia batteria. E Londra. Oh, come bramavo la misteriosa capitale, come volevo fuggire via da quel covo di arretrati mentali che mi opprimevano qui a Truro! Amavo casa mia, sia chiaro, ma sono convinto che prima o poi ognuno di noi dovrà spiegare le ali e volarsene via, per la propria strada. Rachel era già pronta a farlo, a differenza mia.

A Truro novembre era uno dei mesi peggiori. Faceva freddo, ma era un freddo diverso, inquietante, capace di farti gelare le ossa, sebbene già provate dal tipico clima inglese. Non mi piaceva novembre, mi metteva addosso troppa depressione, troppa inspiegabile malinconia al solo vedere le foglie staccarsi dagli alberi con quella fragilità costante, con quella inspiegabile voglia di raggiungere quanto prima il terreno, fluttuando sospinte dal vento gelido. Gettandosi verso l’oblio. E se c’era una cosa che mi terrorizzava, quello era l’oblio.

Erano all’incirca le 19,30 ma già era calata la notte in paese. Fermo davanti all’palazzo pericolante, osservai immobile le imposte in legno consumato e l’intonaco scrostato che si staccava da molteplici punti dell’edificio, sentendo intanto le mie mani ficcate all’interno del cappotto di lana congelare. Conscio che Rachel non sarebbe scesa a breve, decisi che se volevo evitare di trasformarmi in un cubetto di ghiaccio, dovevo entrare là dentro. A passi svelti mi avvicinai al portone in legno rovinato, spingendolo con forza perché si aprisse. La mia entrata fu accompagnata da un inquietante cigolio di benvenuto e quando fui sicuro di aver messo piede nel posto giusto mi chiusi il portone alle spalle. La porta sbatté con un tonfo e davanti a me calò l’oscurità. Procedendo tentoni mi avvicinai verso quelle che dovevano essere le scale e una volta accertatomi della veridicità della mia ipotesi, presi a salire gli scalini con lentezza, ad uno ad uno, temendo di inciampare. Fu solo dopo aver percorso quattro rampe di scale al buio in quel posto da brividi che finalmente riuscii ad intravedere una flebile luce. Ero arrivato. Continuai più rassicurato, arrivando sino al piano dove si trovava la sala prove. Rachel la vidi subito; stava all’interno della sala prove e stava danzando, naturalmente. Avevo visto Rachel danzare centinaia di volte; ai saggi di danza, alle feste di paese dove spesso la chiamavano per esibirsi, a casa sua, chiusa nella sua stanza con me come spettatore. Eppure nonostante ciò, vederla ballare aveva su di me lo stesso effetto ogni volta; mi stregava. Credo non esistesse termine più adatto per descrivere ciò che Rachel riusciva a farmi al solo muoversi a tempo con la musica. Era capace di ipnotizzarti con un solo movimento del braccio e di calamitare tutta l’attenzione su di sé in meno di un secondo. E se incrociavi il suo sguardo mentre danzava, allora eri proprio finito. Ballando Rachel aveva vita negli occhi, c’era fuoco che bruciava, c’era la voglia di farsi valere e la consapevolezza di avere talento, di essere nata per fare quello. Sembrava una maga incantatrice che attira a sé le sue prede ipnotizzandole in silenzio e senza che tu te ne rendevi conto, quando Rachel smetteva di ballare, sentivi subito piombare su di te la realtà che si era congelata. Lo sentivi l’incantesimo che si spezza e nelle tue vene circolava come una droga il bisogno di vederla danzare nuovamente al tuo cospetto.

“Hey, Roger!” sobbalzai di scatto, colto alla sprovvista. Voltando il capo notai che colei che mi aveva chiamato era stata Heather, l’insegnante di danza di Rachel. Heather Morris era una donna sulla cinquantina, bionda e dai tratti delicati, il fisico asciutto come si conviene ad una ballerina professionista quale era. Dopo aver girato il mondo calcando tutti i maggiori teatri in ogni continente, Heather aveva infatti deciso che fosse ora di appendere le proprie scarpette al chiodo e di tornare in Cornovaglia, a casa sua, per aprire una scuola di danza. I primi anni la scuola era andata a gonfie vele ma ultimamente gli iscritti erano via via diminuiti e rimasti pochi allievi, Heather tirava avanti a fatica per arrivare a fine mese, dovendo accontentarsi di quella misera stanza come sala prove. Heather amava Rachel. L’aveva presa sotto la sua ala all’età di cinque anni e da allora in poi non l’aveva più lasciata, diventando come una seconda mamma. O forse meglio prima madre, visto l’esempio di donna che aveva messo al mondo Rachel, ma questa è un’altra storia.

“Heather, ciao!” la salutai sorridendo, staccando a malincuore gli occhi da Rachel. Heather mi sorrise, lanciandomi un’occhiata furbetta prima di indicare Rachel.

“Sei venuto a vederla, eh?” chiese retorica, sorridendo tra sé. Avvampai leggermente, preferendo restare in silenzio. Con Heather la scusa dell’ “fuori avevo freddo” non avrebbe mai funzionato. Tornai così a guardare Rachel danzare, pronto a perdermi nuovamente nella sua magia. Non era una variazione di danza classica, ma stava ballando un pezzo musicale che ricordava molto il flamenco per la sua potenza e la passione contenuta negli abili arpeggi di chitarra dell’artista. E Rachel non avrebbe saputo interpretarla meglio. Ogni suo gesto era incantevole. Lei, timida e sempre silenziosa, stava mostrando di essere in grado di ballare il flamenco con una passione e un’energia che mai avrei detto sua. Si muoveva sensuale, con i suoi gesti da ammaliatrice e il suo sguardo seducente, non più puro e illibato ma colmo di passione e infuocato, come il sangue nelle sue vene. I lunghi capelli scuri erano sfuggiti al magistrale controllo della coda di cavallo e la frangetta scompigliata si era appiccicata alla sua fronte a causa del sudore. Eppure era bellissima.

“Si sta preparando per l’audizione per la Royal Ballet. Dovrà sostenerla tra due o tre mesi e vuole perfezionare ogni tipo di balletto. Sai com’è fatta, è una perfezionista …” mi sussurrò Heather, vedendomi così preso dall’esibizione.

“Ce la farà, ne sono sicura. Ha un talento incredibile.” Continuò lei, senza smettere di osservare Rachel volteggiare. Ad un tratto accadde però qualcosa. Rachel stava eseguendo una complessa quanto sensuale sequenza di passi quando ad un tratto si fermò di scatto. Barcollò per alcuni istanti, come se stesse perdendo l’equilibrio e si portò una mano sulla gamba, stringendola con forza. Heather corse a spegnere la musica per poi avvicinarsi a Rachel.

“Rachel!” esclamai, avvicinandomi anche io allarmato. Rachel si piegò un po’ in avanti, prendendo fiato e massaggiandosi la gamba che evidentemente le doleva.

“Va tutto bene?” chiese allarmata Heather, mettendole una mano sulla spalla. Rachel annuì decisa tra sé, prima di alzare di scatto la testa, mollando la gamba che l’aveva fermata.

“Deve andare bene.” Rispose seria, tornando dritta come prima.

“Dovresti farti visitare da qualcuno, anche l’altro giorno ti faceva male quella gamba.” Esclamai preoccupato, mordendomi il labbro inferiore pensieroso. Rachel annuì.

“Sì, tanto domani ho la visita di controllo per la Royal Ballet. Serve anche quella per il provino.” Esclamò tranquillamente, anche se dalla sua voce capii che era preoccupata quanto me.
 


La sera dopo mi trovavo nella mia stanza, disteso sul letto a leggere un libro, quando ad un tratto sentii il telefono squillare. Fu mia madre a rispondere e dopo alcuni istanti di silenzio sentii risuonare per la tromba delle scale un “Roger!” alquanto forte.

“Cosa c’è?” chiesi di rimando.

“Al telefono, è per te!” disse. A quelle parole mi alzai dal letto, uscendo dalla mia stanza e correndo giù per le scale, fiondandomi sul telefono in salotto, afferrando la cornetta e chiedendomi chi potesse chiamarmi a quell’ora.

“Pronto?”

“Roger, sono io.” spalancai gli occhi, sorpreso.

“Rachel!” esclamai, per poi ricordare. Oggi aveva avuto la visita medica per la Royal Ballet! Sicuramente voleva dirmi com’era andata.

“Che fine avevi fatto?” chiesi.

“Sono stata importunata da mia madre. Ha parlato per un’ora con il medico dopo che è finita la visita e lui si comporta in modo strano!” esclamò agitata. Corrugai lo sguardo.

“In che senso?”

“Vuole che per la mia gamba mi faccia vedere da uno specialista.” Rispose.

“Scusa, ma perché non puoi tornare semplicemente dal fisioterapista, dicevi che ti faceva bene!” esclamai confuso. Sentii Rachel deglutire.

“Io credo sia perché il dolore non passi. Lui crede possa essere una cosa seria! Non lo so, io so soltanto che devo fare altre cinque ore di esami medici!” esclamò tutto d’un fiato. Aveva la voce tremolante, era evidentemente preoccupata.

“Cavolo, cinque ore sono tante …” osservai tra me.

“Infatti! Devo passare una notte in ospedale e così perderò una lezione con Heather e questo non va affatto bene, è una cosa inaccettabile!” sputò tutto d’un fiato col respiro corto. Io rimasi in silenzio per diversi attimi.

“Non sono arrabbiata con te, scusami. È solo che adesso non ho tempo per questa cosa e non c’è nessuno che lo capisca!”  Io scossi la testa tra me, ancora sconvolto per ciò che mi aveva detto.

“No, io lo capisco, fidati.”


Se volete farvi un'idea della danza eseguita da Rachel: ( https://www.youtube.com/watch?v=BdDD9JX-Tyg )
   
 
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