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Autore: extraordinharry    03/08/2015    14 recensioni
Un passo nel vuoto, dal 24esimo piano di una camera d'albergo.
Ma se la caduta si fermasse a piani diversi, per permettere a colei che ha tentato il suicidio di vedere tutto quello che ha perso e che non ha mai saputo apprezzare?
-
Michael si alza dal divano, incamminandosi verso la finestra e affacciandosi.
Ci fissiamo, i miei occhi marroni nei suoi verdi. «Così te ne vai?» mormora con un pizzico di rabbia nella voce.
Genere: Drammatico, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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24 Floors.

 

 

24 floors, up in some hotel room .

Feeling so low, thinking of jumping soon.

Look up and see the stars, look down at speeding cars.

 

 

 

Osservo lentamente la camera dell'hotel a cinque stelle che ho prenotato per una sola notte, in Los Angeles. E' bella, è lussuosa, è accogliente.

Ho sempre pensato che bisognasse fare le cose in grande stile, nella vita. Con drammaticità e teatralità; anche morire. Per questo ho preso il primo volo disponibile e sono partita in California, nella città degli angeli, per uccidermi.

Mi avvicino alla finestra della camera, grande quanto una porta e la apro, sistemandomi sul bordo. Raggiungo l'equilibrio stabile e mollo la presa delle mie mani sui lati.

Sono al 24esimo piano di una stanza d'albergo. Eppure mi sento così giù, così senza speranza che non voglio aspettare. Voglio saltare il prima possibile.

Sollevo il volto verso il cielo e vedo le stelle, vedo la loro luce. Come se volessero illuminarmi mentre cado.

Abbasso il volto verso la strada, oltre l'Hotel, e osservo le macchine sfrecciare sulle strade Californiane.

E' silenzioso attorno a me. E' come se l'intero mondo avesse deciso di fare silenzio per qualche minuto, per far sentire a tutti la mia morte. Un po' per ripagarmi del fatto che durante i miei diciotto anni di vita nessuno ha mai davvero fatto silenzio per sentire cosa avessi da dire.

O almeno, sentivano ma non ascoltavano.

Mi vedevano ma non mi osservavano.

Ho vissuto la mia vita come una semplice comparsa, non come protagonista. Ho lasciato che le telecamere riprendessero tutti eccetto me, rimanendo in un angolino a osservare.

E sono stanca. Sono stanca di non poter vivere come vorrei io, stanca di non essere mai abbastanza per nessuno, stanca di non essere mai abbastanza brava in qualcosa, mai abbastanza bella, mai abbastanza simpatica.

Sono stanca di non essere indispensabile.

Quella carina, ma non bella. Quella simpatica, ma non divertente. Quella disponibile, ma mai gentile in ogni occasione.

Deglutisco e faccio un passo nel vuoto.

Non penso potrei mai descrivere la sensazione che si prova nel cadere dal 24esimo piano di un edificio. L'aria è contro di te, ti sospinge verso il basso, ti fa male.

Il mondo è luminoso stanotte, ha i suoi fari puntati su di me. Mi sento come se qualcuno mi stesse osservando cadere sempre più in basso, uno spettatore.

E poi è come se questo spettatore avesse premuto il tasto "pausa", perché mi ritrovo sospesa, davanti alla finestra del 20esimo piano.

Non capisco cosa stia succedendo, vorrei gridargli di lasciarmi cadere, di non farmi soffrire ulteriormente.

Ma poi vedo una chioma familiare attraverso i vetri, che si spalancano. Lo riconosco, il mio migliore amico. Michael Clifford. La persona più pazza che abbia mia conosciuto.

Accanto a lui, con grande stupore, scorgo la mia figura. Siamo seduti su un divanetto in pelle bianca, davanti alla tv.

«Questa è difficile, sei pronta?» domanda. «Sette per otto.»

«Quarantotto, asino cotto!» urlo.

Michael si sbatte una mano sulla fronte, esasperato. «Sonny, ti rendi conto che hai 18 anni e non sai ancora le tabelline?»

«Ti rendi conto che abbiamo 18 anni e di sabato sera stiamo in casa a guardare un film anziché andare ad ubriacarci in qualche pub?» ribatto io spintonandolo. «E poi lo sai che tutti quei numeri mi confondono terribilmente. Sono più portata per le lettere.»

Lui mi spettina i capelli. «La mia scrittrice. Sai come ci vedo tra 5 anni?»

«Calvi tutti e due per colpa delle tinte mensili che ci facciamo?» è da quando avevamo 16 anni che tingevamo i capelli insieme, abbinando i colori. Nessuno aveva mai capito la nostra fissazione.

Mike ride. «Anche. Ma soprattutto ti vedo già come una scrittrice affermata, premio nobel per la letteratura, milioni di fan, best sellers,...»

«...sposata con Adam Levine.» suggerisco.

«Adesso non esagerare, rimani con i piedi per terra.»

Ridacchio, dandogli un pugno giocoso sul braccio. «Allora, la prossima tinta?»

«Proponi tu.»

Ci penso qualche istante. «Viola, se hai le palle.»

«Certo che le ho. E da quando Chrissy mi ha lasciato sono sempre piene...» commenta, senza che nessuno glielo avesse chiesto.

Mi abbandono a una risata seguita da un verso schifato.

Sorrido nell'osservare la scena, avvenuta il giorno prima che prendessi il volo per Los Angeles. Michael si alza dal divano, incamminandosi verso la finestra e affacciandosi.

Ci fissiamo, i miei occhi marroni nei suoi verdi. «Così te ne vai.» mormora con un pizzico di rabbia nella voce.

Abbasso il capo. «Mikey, mi dispiace...»

«Non chiamarmi così, cazzo. E non dire che ti dispiace!» urla dando un pugno al vetro della finestra, spaccandolo in mille frammenti che precipitano nel vuoto. Esattamente dove cadrò anche io.

I suoi occhi sono colmi di dolore, lucidi. Guardarli è come sentire quelle scaglie di vetro in tutto il corpo. «Non ce la faccio più, Michael, cerca di capirmi ti prego.» lo supplico disperatamente.

«Quindi mi abbandoni così? - allarga le braccia – Abbandoni tutto così? Dopo tutto quello che ho fatto per te? Dopo tutte le volte in cui ho provato ad aiutarti?» piange, piange amaramente e fa piangere anche me.

Vorrei avvicinarmi a lui per abbracciarlo e dirgli che andrà tutto bene. «Io...»

«Esatto, tu. Si è sempre trattato di te, Sonny. A me non hai mai pensato.» sibila con la voce tremante, sta cercando di contenersi. «So che è stupido da dire... Ma a casa ho due tubetti di tinta. Non riesco a pensare che uno non verrà mai usato da te... Io...» prende un respiro.

 

I hear the words you say If you were here with me.

You'd say: "you don't wanna die tonight,

take one more breath to clear your mind.

Every moment's relevant, bittersweet an delicate.

Tomorrow may not come again.

Tonight is all there is."

 

«Tu non vuoi morire stanotte. Avresti dovuto respirare profondamente e fare chiarezza nella tua mente. Ogni momento della vita è importante, amaro e dolce al tempo stesso. Domani potrebbe non arrivare per te. Stanotte è tutto quello che hai.» dice, convinto.

«Perdonami, ti prego.»

Clifford non riesce a rispondermi, perché il telespettatore ha premuto il tasto "play" e la mia caduta continua lungo i piani dell'hotel.

Questa volta, però, mentre cado, sono meno convinta di prima a morire.

Il dolore di Michael è bloccato nella mia mente, non vuole andarsene.

Non posso pensarci troppo, perché il tempo si ferma ancora. Questa volta sono al 15esimo piano, davanti alla finestra di un'altra camera. Come potrei non riconoscere subito quegli occhi neri come la pece e così profondi?

Vorrei continuare a cadere, piuttosto che rivivere la scena che ho davanti, avvenuta un anno fa.

Sono seduta sul divano, ancora, ma ho il capo chino e piango. Calum Hood mi accarezza una spalla, confuso. «Mi vuoi dire cosa succede, Sonny? Per favore.» sussurra dolcemente.

Scuoto la testa. «Cambierebbe tutto.»

Un sospiro. «Non cambierà mai niente tra noi due, chiaro?»

Quando i miei occhi colmi di lacrime incontrano quelli di Calum, mi sembra di sentire ancora quel dolore. «Mi chiedo come tu possa non essertene accorto, dopo due anni.»

«Di cosa?»

«Sono innamorata di te, irrimediabilmente. E lo so che tu non proverai mai quello che provo io per te, stai tranquillo.»

Cala il silenzio. La bocca di Calum si spalanca, per poi richiudersi e abbandonarsi a un sospiro. «Non voglio che tu pianga per me, Sonny. Non devi stare male per me, non lo sopporto.»

Scuoto la testa, lasciando sfuggire un singhiozzo. «Vali tutte le lacrime che sto versando.»

«Ci sono sette miliardi di persone al mondo, migliori di me. Io sono un disastro, Sonny.» dice.

Come se potesse in qualche modo consolarmi. «I disastri portano distruzione. Un tornado può radere al suolo una città, un terremoto può far crollare tutti i suoi palazzi, uno tsunami può inondare le strade. Tu non hai fatto niente di tutto questo, tu sei stato come una rivoluzione.»

«Se non sono un disastro, allora perché adesso stai piangendo?»

Deglutisco, tirando su con il naso. «Perché devo accettare che tu non mi amerai mai.»

«Sonny, io non vado bene per te...» mormora.

Mi allontano dalla sua presa. «Ovvio, è sempre così. Non vai bene per me, sei un disastro, io sono troppo per te, sono una persona magnifica...» gli dico con voce bassa. «Sono io a non andare bene per te, non fare troppi giri.»

«Non abbiamo futuro noi due. Ma ci sarò sempre per te, come amico.»

«Ti amo, Calum.» sussurro guardandolo negli occhi.

La sua mano mi accarezza la guancia. «E io ti voglio un bene dell'anima, Sonny.»

Forse è questo il rifiuto che fa più male.

Poi Calum si alza dal divano e mi viene incontro, affacciandosi alla finestra. I suoi occhi neri mi paralizzano, facendomi vergognare. «Ho sentito che te ne vai.»

Annuisco.

«Non voglio pensare di essere uno dei motivi...» scuote la testa, disperato.

«Non farlo, allora.»

«Sonny, la vita và presa come viene. Non puoi deciderla tu. E non è bello così? Vivere nell'incertezza di cosa accadrà domani, quale sorpresa ci aspetta.»

«Non è più una sorpresa per me. Ogni giorno è un rifiuto in più. Una delusione. Sono un "no" vivente.»

Lui fa schioccare la lingua sul palato, mostrandomi la sua disapprovazione. «Sai, a volte bisogna saper accettare che non sempre l'amore è ricambiato, ma questo non significa che non sarai mai più capace di amare o che nessuno ti amerà mai. A volte bisogna saper vedere il bello che c'è nel brutto, il positivo nel negativo. E anche quando le cose vanno male, è solo una sfida.»

«Che ho perso.» ribatto flebilmente.

Hood annuisce. «Sì, l'hai persa. Ma ogni momento della nostra vita è importante, anche quello più doloroso. Agrodolce, posso dirlo? E in fondo, come potremmo conoscere la dolcezza senza aver assaggiato l'amaro?»

 

Every moment's relevant, bittersweet and delicate.

 

Non faccio in tempo a rispondere alla sua frase, perché la mia caduta continua. Sono meno convinta di prima a morire, ma ormai non posso tornare indietro. Lo accetto, deve andare così. Il mondo sta aspettando in silenzio che trovi la pace.

Questa volta sono all'ottavo piano.

Dalla finestra vedo il solito divano in pelle bianca, ma davanti ad esso vi è posto un tavolino con libri, quaderni e una calcolatrice. Luke Hemmings sta scuotendo la testa, esasperato. «Avrebbe dovuto darti zero, invece ti risulta trecentottantamila.»

Ci guardiamo.

«Trecentottantamila. Ti rendi conto?»

Scoppia a ridere, come un bambino, mostrando il piercing al labbro. Io, incrocio le braccia al petto, sbuffando. «Insomma, io ti pago per aiutarmi in matematica, non per ridere di me.»

«Ed è quello che farò. Hai qui davanti il figlio bono di Einstein.» si indica con molta modestia e ammicca.

Alzo gli occhi al cielo. «La smetti di fare la diva e mi aiuti?»

«E tu la smetti di fare l'anguilla e ti applichi un minimo?» domanda spettinandomi i capelli. «Hai il test questo mercoledì, vuoi passarlo sì o no?»

«Che domande – mi lamento – Ovvio. Se non lo passo la mia vita andrà a rotoli. Mi bocceranno, i miei genitori mi toglieranno dal testamento, finirò per strada, sotto un ponte, a chiedere l'elemosina per poi andare a comprare quei menù da un euro al Mc Donalds.»

Lui aggrotta la fronte. «Da quando disdegni qualcosa del Mc?»

«Nei menù da un euro non c'è alcun Mc Chicken. Solo miserie.»

Mi sorride. «Vedrai che ce la farai, Sonny. Pensa a Galileo. La sua teoria era giusta, poverino, ma nessuno gli credeva. Eppure ha continuato a farsi il culo per renderla il più dimostrabile possibile.»

Trattengo una risata. «Galileo.»

«...Sì?»

«Ma come fai a chiamare tuo figlio Galileo Galilei?!» esclamo scoppiando a ridere come una cretina, mentre Hemmings guarda verso il cielo e si chiede cosa abbia fatto di male. «Come se i tuoi genitori ti avessero chiamato Hemmo Hemmings!»

Il ragazzo socchiude gli occhietti azzurri. «Non è male Hemmo, però.»

Scatto sul divano e lo afferro per le spalle. «Potresti chiamarlo così il tuo canale youtube. Hemmo96!»

«Ancora questa storia? Non aprirò nessun canale, Sonny. Ora riprova l'equazione e vediamo quanto ti risulta.» afferra il libro e lo sfoglia.

Glielo tolgo di mano. «Hai una voce troppo bella per tenerla nascosta all'intero mondo. Andrai lontano, Luke, ne sono sicura.»

«Non è il caso...»

«Andiamo! Ti ho sentito! Hai una voce meravigliosa.»

Lui arrossisce. «Facciamo un patto – propone – Tu ti impegni e prendi la sufficienza nel compito di matematica, e io pubblico una cover nel canale Hemmo96.»

Batto le mani. «E' perfetto!»

Mi rimetto al lavoro, sul quaderno, mentre Hemmo Hemmings si alza dal divano e si affaccia alla finestra, come ormai di rito. «Hai mollato.» constata osservandomi sospeso nell'aria notturna.

«Già.»

«Perché?»

«Perché non sono Galileo Galilei. Se la mia teoria, giusta, non viene approvata, lascio perdere.»

«Domani avresti dovuto fare il test. Abbiamo studiato così tanto, Sonny... Perché proprio adesso?» chiede, ma la sua voce si incrina sull'ultimo.

E vorrei andargli incontro e stringerlo forte, stringerlo e ringraziarlo per tutto quello che ha fatto. «Promettimi che creerai il canale e pubblicherai le tue cover, Luke, promettimelo.»

«Tu mi avevi promesso ti saresti impegnata e adesso sei qui. Perché dovrei farlo?»

Le sue parole mi pungono sul vivo. Ha ragione. «Parlavamo di matematica, Hemmo...»

«Io parlavo in generale. Credi non mi sia accorto di quanta sofferenza nascondessi? Speravo di spronarti a lottare, almeno un minimo.»

I suoi occhi azzurri lampeggiano nei miei insistentemente. «Non perdere questa occasione per colpa mia. Ti prego.»

«Non vuoi morire, stanotte. Lo so. Lo sai.»

La caduta continua, spaventandomi. Sono sempre più vicina al suolo, i 24 piani quasi compiuti tutti. Le loro parole continuano a riecheggiare nella mia testa. "Non vuoi morire stanotte".

Voglio morire stanotte?

Delle risate nell'aria.

Sono al primo piano.

Vedo Ashton, mio fratello, con mamma e papà.

«Ah, non vedo l'ora di un bagno caldo!» esclama papà, appena rientrato da lavoro.

Ashton sghignazza. «Ci sarà come al solito Sonny. Quella ragazzina è un parassita.»

«Fletcher, non parlare così di tua sorella.» lo sgrida mamma.

«Non chiamarmi Fletcher, mamma, dai.»

«E' il nome di tuo nonno, dovresti essere contento che abbia acconsentito a dartelo.» ribatte lei apparecchiando la tavola.

L'Irwin più grande rotea gli occhi al cielo, sistemando meglio la sua stupida bandana. «Grazie mille nonno Fletcher, davvero.»

Poi mio padre compare di nuovo, preoccupato. «Sonny non è in casa. Dov'è finita?»

«Non è in casa? Ma sei sicuro?» Ashton è stranito. «Ieri ha dormito da Michael, ma credevo fosse tornata.»

«Da quanto è fuori casa?»

«Più di un giorno, praticamente.»

«Adesso la chiamo.» esordisce mamma, con il telefono in mano. Compone il mio numero e lo porta all'orecchio.

La sento.

Sento la suoneria del mio telefono, poggiato sul tavolino nella camera d'albergo. Nonostante sia lontana 23 piani, la sento. Sento la mia cantante preferita, Taylor Swift. Non posso rispondere. E' troppo tardi.

Quando torno con lo sguardo alla finestra, Ashton vi è appoggiato, con le mani strette. «Sorellina...»

«Ash...»

 

Think of my family, how they'll remember me?

 

 

"Non vuoi morire stanotte."

No, non voglio.

Il colpo finale me lo danno proprio loro, la mia famiglia. Vedo lo sguardo deluso di Ashton, sofferente. Le lacrime di mamma, il dolore di papà. Stanno pensando che è colpa loro, che non sono stati dei bravi genitori.

E vorrei tornare indietro.

Vorrei che al posto di "play" il mio spettatore riavvolgesse il nastro, riportandomi su quella finestra.

Prenderei un respiro profondo, farei chiarezza nella mia testa, realizzando che non voglio morire.

Al contrario, voglio vivere. Voglio realizzare il mio sogno della scrittura, voglio ridere dei capelli viola di Michael, voglio andare da Calum e voglio volergli bene, voglio essere la prima visualizzazione nelle cover su youtube di Hemmo, voglio abbracciare Ashton e la mia famiglia.

Invece è troppo tardi, ho già saltato.

E' troppo tardi per capire che il suicidio non risolve i tuoi problemi. Il dolore che pensavi di non poter sopportare ancora è quello che proveranno le persone che tengono a te.

Sono una vigliacca. Sono scappata dai miei problemi anziché affrontarli. Ho deciso io per prima di non voler essere la protagonsita della mia stessa vita, mi sono spostata io in un angolo, da sola. Ho ignorato le mani che mi hanno teso, convinta che nessuno avrebbe mai potuto capirmi davvero.

E ora me ne pento.

«Ti prego, non farmi cadere!» urlo verso il cielo, non so a chi.

Ma la caduta continua.

Un solo metro.

Percepisco l'impatto violento del mio corpo contro il suolo, il cranio che sbatte contro l'asfalto.

Il silenzio del mondo che mi osserva.

Il chiasso che esplode di nuovo quando il buio mi avvolge.

 

 

Aieah

Che one shot triste.

Mi stanno tanto a cuore le tematiche delicate come questa e sono convinta che non se ne parli mai abbastanza.

Ancora di più sono convinta che non vengano prese abbastanza seriamente.

Perché la storia non parla del capire di non voler morire e tornare indietro per non saltare. Parla del saltare e realizzare che non puoi più tornare indietro.

Molto spesso facciamo cose di cui ci pentiamo, perdiamo tempo a dire "vorrei non averlo mai fatto, vorrei tornare indietro", quando a parere mio dovremmo accettarlo e imparare dal nostro errore per il futuro.

Ovviamente, se parliamo del suicidio, non possiamo trarne un insegnamento futuro. Forse le persone attorno a noi possono. E sentiamo tante storie così di recente.

E niente, Sonny ha sempre pensato di essere sola, quando non lo era. Non ha accettato l'aiuto degli altri, ha capito di averlo solo quando ormai aveva fatto il passo nel vuoto. Un po' troppo tardi.

La vita è un dono meraviglioso, con i suoi alti e con i suoi bassi, e sebbene sia la prima a scoraggiarmi per ogni minima cosa, so quanto sia fortunata ad avere la vita che ho.

Spero solo vi sia piaciuta e vi consiglio di ascoltare la canzone che la ha ispirata: 24 Floors dei The Maine. Ne vale la pena.

Per qualsiasi cosa mi trovate qui:

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Wattpad – cucchiaia

#STAYSTRONG

 
 
 
 
   
 
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