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Autore: alter_gioia    04/08/2015    4 recensioni
Come ci si sente quando qualcuno a cui vogliamo bene è costretto ad abbandonarci contro la propria volontà?
Laney sentirà la mancanza di un certo ragazzo (avete già capito chi è u.u).
Genere: Romantico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corey Riffin, Laney Penn
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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.:I WISH YOU WERE HERE:.


Non smettevo di fissare l’orologio, di dare un’occhiata ogni tanto fuori dalla finestra, di stritolare il cuscino. Erano passate le due e mezza di notte ed io non riuscivo a chiudere occhio. D’altronde, come avrei potuto? Mi sentivo troppo giù per fare qualunque cosa, anche per abbracciare il mio tanto amato letto e perdermi in chissà quali sogni per la durata di una notte, arrotolandomi felicemente nelle calde coperte. Persino la mia pigrizia non poteva nulla contro il mio stato d’animo, uno stato d’animo che sarebbe durato per chissà quanto. Che magari mi avrebbe accompagnato, seppur flebilmente, per tutto l’arco della mia vita. Mi sentivo così male già da quando Corey aveva dato l’annuncio un mese prima…
 
“Ragazzi… smettiamo un attimo di suonare. Devo dirvi una cosa…”
Il blu sembrava leggermente a disagio e si grattava il capo. Kin, Kon ed io finimmo subito di strimpellare e tenemmo tese le orecchie per ascoltarlo. I due gemelli gli chiesero subito cosa fosse successo, cominciandosi a preoccupare. Lui fissò qualcosa di invisibile in aria e poi pronunciò quella frase tutta d’un fiato:
“Fra un mese mi trasferirò in Germania. I miei hanno trovato lavoro lì ed io dovrò andare con loro!”.
I gemelli rimasero di sasso, come me del resto. Vista la situazione, cominciarono a tempestarlo di domande. Kon abbracciò il nostro leader piangendo, per poco non lo soffocava. Corey cercò di calmarli e sdrammatizzò dicendo loro che avrebbero potuto chiamarsi, fare delle videochiamate e mandare degli SMS. Ciò non basto per fermare le lacrime. Io come ci rimasi? Ero talmente scioccata dalla notizia che mi paralizzai come un ceppo di legno e non dissi niente. Le mie pupille si erano ristrette e il tempo per me si fermò. Com’era possibile? Com’era dannatamente possibile che il mio Core dovesse partire per una nazione tanto lontana da Peaceville? Mentre una parte di me cercava di vedere i falsi lati positivi, l’altra mi convinceva che non c’era nulla di fantastico nella partenza di Corey. Non l’avrei avuto più vicino, non avremmo più potuto suonare insieme, nessuna nuova avventura in sua compagnia. Non ce la potevo fare a dichiararmi in un mese! Era troppo poco tempo! Avrei rischiato solo di distruggere la nostra amicizia che sarebbe stata messa già a dura prova dalla distanza. E la band? Come avremmo mai potuto andare avanti tutti e tre senza di lui. Senza la nostra divertente e sempre allegramente immatura stella di riferimento, colui che organizzava i nostri folli e assurdi piani per ottenere i testi delle canzoni dal diario di Trina? La verità era che nulla avrebbe avuto più senso con la sua assenza. Ad un certo punto, una lacrima solitaria percorse la mia guancia e, seppur lentamente, ne arrivarono poche altre. Dopo più di cinque minuti uscii da quella sorta di trance solo perché Kin e Corey avevano cominciato ad agitarmi la mano di fronte alla faccia. Decisi di non mettermi a piangere come Kon. Così avrei rischiato di rattristare Corey e, francamente, era l’ultima cosa che mi andava di fare. D’altro canto, non ci riuscivo, neanche con la volontà. Così sbattei le palpebre più volte, trattenendo le lacrime. Fortunatamente gli occhi non si erano ancora arrosati, così nessuno sì accorse se effettivamente stessi piangendo o meno. Poi cominciai a fissare il pavimento mentre Kin e Kon continuarono a fare consuete domande al Frontman, interrotte da continui singhiozzi.
“Corey, dicci che ritornerai!” urlò Kon mentre si faceva passare il fazzolettino di carta dal fratello per soffiarsi il naso. Come faceva il batterista ad esternare così la tua tristezza? Io non ero capace di piangere e sfogarmi come una pazza. E forse, è anche per questo che mi sentivo peggio di quanto potessi mai immaginare.
“Vi prometto che un giorno ritornerò. Probabilmente sarà solo un anno…” rispose Corey ai due gemelli, cercando di calmarli (diventando così “il peluche” di Kon, vista l’energia con cui veniva abbracciato in ogni occasione). Non mi sembrava convinto. Probabilmente non sapeva nemmeno lui quando sarebbe tornato… sempre se avesse potuto fare ritorno. Mentre si trovava in quella soffocante ed energetica stretta, mi fissava come in cerca di aiuto. Ed io, prontamente, schivavo i suoi sguardi, abbassando più che potevo la testa.
 
Mentre ricordavo quel giorno, era passata un’ora. 3.50 di notte. Ed io ero ancora lì, indecisa a chiudere gli occhi come la saracinesca di un garage (guarda caso, facevo sempre riferimento, anche se involontariamente, al mio Core). Chissà… avrei passato una vita insonne, oltre a questa notte? Ma chi è quell’idiota che inventò la frase “Tranquilla, vedrai che passerà! Potrete sempre sentirvi per mezzo dei social e… blah… blah… blah!”
Se avessi potuto, avrei sputato in faccia al coniatore di quella frase tanto inutile ed insensibile.
Fissai un’ultima volta i numeretti verdi stilizzati della sveglia, ormai ammaccata dagli urti ottenuti nel tempo (quando la sottoscritta si alzava controvoglia dal letto), e scesi dal letto infilando i piedi nelle mie pantofole rosse. Girai lo sguardo verso la finestra: la luce della bellissima falce di luna presente nei cieli quella notte illuminava con una luce argentea la mia stanza. Normalmente avrei pensato che quello fosse un fantastico scenario, invece mi apparve decisamente cupo e monocromatico con quel tipo di illuminazione. Afferrai la prima T-shirt che trovai nell’armadio e la indossai al contrario, con l’etichetta che sbucava dalla parte anteriore del collo e il logo della band sulla schiena, senza nemmeno notarlo. Decisi di tenere il pantalone del pigiama e, senza badarci nemmeno stavolta, indossai erroneamente uno solo dei miei stivaletti neri, lasciando la pantofola all’altro piede. Poi bloccai il ciuffo ribelle di capelli rossi con il mio solito fermaglio dorato. Prima di varcare l’uscio di casa, afferrai un oggetto che Corey mi aveva regalato: una chitarra classica. Un anno fa circa, decise di provarla giusto per ascoltare come sarebbero risultate le nostre canzoni. Bhe, il risultato non era male. Una decina di volte Trina aveva “sfornato” dei testi più malinconici e con quello strumento erano dannatamente belle. Ovviamente Corey era più bello delle canzoni che suonava! All’aeroporto mi donò la chitarra per avere così un suo ricordo e mi spiegò brevemente alcuni passaggi per suonarla (logicamente non prestai molta attenzione perché ero troppo triste). A prima vista, mentre mi parlava, sembrava ottimista come sempre. Però, quella mezza volta che scrutai nei suoi bellissimi occhi, colsi in profondità che era effettivamente dispiaciuto di doversene andare. D'altronde, come non esserlo?
Durante quelle poche ore passate insieme, io ero taciturna e mi limitavo a fare cenni col capo.
 
Uscita di casa dopo aver fatto meno rumore possibile, cominciai a gironzolare per la città. Coordinando un piede dopo l’altro, pensai alle mille volte in cui avevo pestato lo stesso marciapiede con la Grojband. Quante ne avevamo passate insieme. Sempre uniti, come fratelli, per progettare folli piani al fine di ottenere facilmente i testi delle canzoni. La felicità che cresceva quando riuscivamo in qualcosa era un qualcosa di incommensurabile che rendeva il nostro legame d’amicizia ancora più solido.
Mentre pensavo, giunsi al parco di Peaceville e decisi di passeggiare lì. Il sentiero lastricato di grossolane lastre di pietra mi accolse con i cespugli che lo delineavano come se fossero dei muretti viventi. Qua e là erano sparsi dei fiorellini che per il buio si erano richiusi e facevano capolino alcune bottiglie di birra vuote, abbandonate da chissà chi nel primo posto che capitava. Gli alberi si distinguevano a malapena perché l’illuminazione pubblica non era delle migliori. Funzionavano solo alcuni lampioni che erano assediati dalle falene, attratte dalla loro luce. L’ambiente aveva assunto una strana atmosfera: leggermente inquietante ma serena. Io cercavo proprio la serenità, visto l’uragano che avevo dentro. Avanzai articolando ogni passo con attenzione ammirando nel frattempo gli incomprensibili e quasi impercettibili giochi di luce delle lucciole. Ogni tanto facevo una triste giravolta in mezzo a quelle luci dorate. Poi mi accasciai sotto un albero e ridiventai cupa in volto. Sentivo come se il cuore fosse in una pressa e avevo voglia di piangere di nuovo. Mi trattenni e mi guardai attorno. Il cielo si stava rannuvolando. Poi ricordai di aver portato la chitarra con me. La spostai dalla mia spalla e la imbracciai. Chissà, magari qualche accordo fatto ad orecchio avrebbe potuto distrarmi almeno per un po’. Potevo così sfogarmi. Pensai a cosa suonare e la prima canzone che mi venne in mente fu questa:
 
I can be tough
I can be strong
But with you, it's not like that at all
There's a girl
That gives a shit
Behind this wall
You just walk through it
 
And I remember all those crazy things ya said
You left them running through my head
You're always there
You're everywhere
But right now I wish you were here
All those crazy things we did
Didn't think about it, just went with it
You're always there
You're everywhere
But right now I wish you were here
 
Mi alzai continuando a suonare e nel mentre cominciò a piovere. Anche il cielo aveva intenzione di sfogarsi insieme con me? Camminai lentamente verso il riparo più vicino e rimasi lì sotto a fissare la pioggia che urtava il suolo. C’era anche un po’ di grandine.
 
Damn
Damn
Damn
What I'd do to have you here, here, here.
I wish you were here
Damn
Damn
Damn
What I'd do to have you near, near, near
I wish you were here
 
Smise di piovere e potei finalmente mettere la testa fuori. Camminavo qua e là, sempre suonando ciò che sentivo dentro. Era assurdo come la musica potesse dilatare il tempo ed annebbiare per un po’ le mie brutte sensazioni.
 
I love the way you are
It's who I am
Don't have to try hard
We always say
Say it like it is
And the truth
Is that I really miss
 
All those crazy things ya said
You left them running through my head
You're always there
You're everywhere
But right now I wish you were here
All those crazy things we did
Didn't think about it, just went with it
You're always there
You're everywhere
But right now I wish you were here
 
Arrivai ad una panchina di legno e salii lì sopra in piedi, continuando a strimpellare quella chitarra. Nonostante non avessi mai provato a suonarla, non me la stavo cavando male.
 
Damn
Damn
Damn
What I'd do to have you here, here, here.
I wish you were here
Damn
Damn
Damn
What I'd do to have you near, near, near
I wish you were here
 
Poi mi sedetti sul bordo dello schienale e, lasciando perdere per un attimo gli accordi, cominciai a suonare poche note alla volta.
 
No, I don't want to let go
I just wanna let you know
That I never wanna let go
Let go
No, I don't want to let go
I just wanna let you know
That I never wanna let go
Let go
 
Ripetevo quella parte mormorando, più che cantando. Scivolai con la schiena fino alla seduta e mi sedetti normalmente. Mi fermai, fissando il parco, e presi un profondo respiro. Ripresi a cantare, stavolta con più pesantezza e malinconia.
 
Damn
Damn
Damn
What I'd do to have you here, here, here.
I wish you were here
Damn
Damn
Damn
What I'd do to have you near, near, near
I wish you were here
Damn
Damn
Damn
What I'd do to have you here, here, here.
I wish you were here
Damn
Damn
Damn
What I'd do to have you near, near, near
 
E, mentre stavo per riaprire bocca per pronunciare l’ultima frase…
 
“I wish you were here…”
 
Rimasi un attimo basita. Chi aveva cantato? Poi sentii sospirare alle mie spalle. Riconobbi il sospiro e, soprattutto, la voce. Mi girai e… non potevo crederci!
“CORE!”
Gli balzai addosso con la foga e l’energia di una bimba di cinque anni e lo abbracciai. Lui era lì. Per la felicità, in quel momento, non badai a come ero conciata e fu come se mi dimenticassi di ciò che mi circondava. Volevo concentrarmi al meglio sulla sua presenza, ascoltare attentamente i battiti del suo cuore. Capire che vivere senza lui non era vivere…
Lui rispose al mio abbraccio (di quelli strettissimi e stritolatori) tenendomi per la vita e ci perdemmo a vicenda negli occhi dell’altro.
 
“Mi sei mancata.”
 
 




Angolo della Youtuber/ Fanfictioner/ Gotica pazza xD
 
Ok, dopo tre mesi di lavoro interrotto continuamente dalla mia pigrizia (sono talmente pigra che non volevo nemmeno scrivere l’angolo autrice :3), ecco qui questa One Shot orrenda! Inizialmente volevo usare When you’re gone (sempre di Avril Lavigne) ma poi ho pensato che tale canzone cambiasse leggermente di sfumatura di significato. Infatti When you’re gone mi da l’impressione di un addio “volontario” mentre Wish you were here mi fa pensare di più a qualcuno che se ne va senza volerlo e che lescia un vuoto incolmabile nel cuore delle persone care. (Alter… fare le parafrasi a scuola ti ha fatto male!!!)
Se trovati errori di vario genere (mofologici, sintattici ecc...), non esitate a farmelo notare! Potrebbero esserci molti orrori (come se questa storia non lo fosse già :P) visto che ho scritto il tutto in momenti diversi.
Detto questo, godetevi questo mio orrendo tentativo di riattivare un po’ questo fandom che merita un'attività decisamente maggiore! *yeah*

Alla prossima :D
 
P.S.= magari potrei pensare a qualche long o simili… bho xD
 
   
 
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