Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Harryette    04/08/2015    7 recensioni
[...] Ci fu un silenzio imbarazzante, prima che Margareth si decidesse a riprendere e concludere il discorso.
‘’Questa sono io. Sono Margareth, la stessa persona che era affacciata sul balcone di quel ristorante italiano e la stessa persona a cui hai detto che, andandosene, si rinuncia non solo alle cose brutte ma anche a quelle belle. Sono contenta di averti dato ascolto, perché – io – l’ho trovata una cosa bella. E scusami, davvero perdonami, perché io sono innamorata di te e non so neanche perché te lo sto dicendo adesso’’
Dall’altra parte ci fu, ancora una volta, silenzio. Le parve di udire un sospiro, ma non ne era proprio sicura.
‘’Ho finito’’ disse. ‘’Mi dispiace per l'ora, e...''
Stavolta, però, lui la interruppe. ‘’Stai piangendo?’’ le domandò.
''Cambierebbe qualcosa?'' chiese.
''Non piangere'' lo sentì addolcirsi. ''Non piangere, Marge''.
[SPIN-OFF DI ''MORS OMNIA SOLVIT'', DA LEGGERE ANCHE SEPARATAMENTE]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Gli inarrivabili del Bronx'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
j
 

| Epilogo |
It's far from over
 
A te


Margareth sentì, dal fondo della sua stanza, i passi di qualcuno che si avvicinava progressivamente sempre di più. Probabilmente era Hollie che era venuta ad avvisarla di scendere per il pranzo o sua madre che voleva semplicemente fare due chiacchiere ed evadere dal castello di cristallo che aveva voluto costruirsi.
Ma, quando bussarono alla porta e lei disse il fatidico ‘avanti’, si rese conto di quanto tutte e due quelle sue previsioni fossero profondamente sbagliate.
Dan Grey, con i capelli più bianchi rispetto all’ultima volta che l’aveva visto, prima che partisse per la Danimarca, era di fronte a lei. Il solito completo gessato ed elegante, la solita cravatta Hermès, i soliti gemelli appuntati sulla giacca. Più rughe, forse, ma lo stesso identico volto che l’aveva cresciuta e l’aveva terrorizzata.
Suo padre era sempre stato un bell’uomo, indubbiamente l’età aveva fatto la sua parte ma il fascino dell’irraggiungibile ventenne ricco ed in carriera non l’aveva abbandonato. Lo stesso fascino che l’aveva portato lì dov’era, nonostante la forte famiglia agiata alle spalle, e che aveva messo un anello di brillanti al dito di sua madre.
Eppure, Margareth se ne rese conto, c’era qualcosa che era da sempre mancata sul volto di Dan: un sorriso sincero. Uno di quei sorrisi brillanti che esplodono all’improvviso e che contagiano tutto il resto, quei sorrisi spontanei che sono dati spesso per scontati ma che valgono oro colato. Suo padre non aveva mai sorriso, o almeno non davanti a lei, né tantomeno si era dimostrato di buon umore o particolarmente allegro durante una giornata sì. Probabilmente non l’aveva nemmeno mai avuta, una giornata sì.
E non entrava nella sua stanza dalla morte di Morgan, anni prima, per cui fu inevitabile che una brezza d’ansia le attraversasse la spina dorsale. E la paura che qualche notizia potesse rovinare la sua giornata e potesse scombussolare l’equilibrio precario su cui viveva, la travolse.
‘’Papà’’ disse, non alzandosi dal letto ma mettendosi più comoda.
Dan non le rispose. Dall’alto dei suoi occhi chiari e dei suoi capelli brizzolati, infilò le mani nelle tasche dei suoi pantaloni di cachemire e le si avvicinò, chiudendo la porta.
Maggie si allarmò ancora di più.
‘’E’ successo qualcosa?’’ domandò apprensiva, cercando di non trarre conclusioni affrettate. Suo padre era sempre stato il primo e l’unico uomo capace di farla sentire a disagio in casa sua e di gettarla in un limbo di panico. Non tanto per il suo aspetto, ben curato e ben tenuto, quanto per il fatto che ogni volta che le parlasse sembrava aver pronto qualcosa in grado di ferirla.
‘’Sono solo passato a salutarti, sono appena tornato’’
Maggie sapeva che era dovuto correre e restare in Danimarca per un po’, per le stesse questioni burocratiche che precedentemente l’avevano spinto in giro per il mondo. Eppure, al rientro dai suoi viaggi, mai era entrato in camera sua per salutarla.
Pensò di usare la carta della cortesia, quella che proprio i suoi genitori le avevano affidato. ‘’Bentornato’’ sorrise, tesa. ‘’Sarei venuta a salutarti io a pranzo’’ aggiunse.
C’era qualcosa che non tornava.
Dan le fece un cenno teso col capo, prima di fare un passo indietro ed appoggiarsi alla scrivania. Qualcosa diceva a Maggie che la discussione era appena cominciata, e lei aveva voglia zero di litigare di prima mattina.
‘’Margareth, ascolta’’ iniziò lui, non curante del fatto che lei stesse ascoltando da tantissimo tempo. ‘’Ieri mi ha chiamato il dottor Broome.’’
Il dottor Broome?
Non sentiva parlare di lui da anni, da quando Morgan vi si recava una volta a settimana per tenersi sotto controllo. Le era sempre stato simpatico quell’uomo, nelle poche volte che aveva accompagnato sua sorella. Un arzillo sessantenne con i capelli bianchi e la barba ispida che era capace di fare un prelievo anche alla persona meno predisposta del mondo. Eppure era convinta che la sua famiglia ed Edgar Broome non avessero più niente a che fare dalla morte di sua sorella.
Era stato il suo medico curante, dopotutto.
‘’E perché?’’ gli domandò, allora.
‘’Mi ha detto che recentemente sono stati scoperti altri tre casi molto simili a quello di tua sorella’’ non dice il suo nome, pensò la bionda, tipico. ‘’La malattia è sempre considerata abbastanza rara, ma adesso che ci sono più possibilità di studiarla attivamente lui pensa che…si, insomma, pensa che possa essere trovata una specie di cura.’’
Margareth rabbrividì.
Forse un tempo si sarebbe arrabbiata con il mondo, o magari con Dio, perché reputava immensamente ingiusto che a sua sorella quella cura fosse stata negata perché aveva avuto la sfortuna di ammalarsi prima delle altre. In quel momento invece, con sua grande sorpresa, non provò rabbia e nemmeno rancore. L’unico sentimento che invase il suo cuore fu sollievo.
Sollievo non solo perché a qualcun altro, forse, sarebbe stato risparmiato il calvario che era toccato a lei e alla sua famiglia, ma anche perché sapeva che era uno dei desideri più grandi di Morgan.
Ricordava benissimo tutte le parole che la sorella diceva ai medici e alle infermiere, tutte le sue ricerche, tutti i libri che si faceva spedire da tutte le parti del mondo e che leggeva con un dizionario di inglese accanto, tutti gli appelli che aveva fatto anonimamente alla sanità e alle associazioni del Find a cure.
Ed ora, a distanza di tempo, Maggie riuscì a figurarsi davanti agli occhi quello che sicuramente Morgan doveva aver pensato nel momento in cui aveva realizzato di star per morire.
Che la mia morte non sia vana.
Che la tua morte non sia vana.
‘’Sono…contenta, credo’’ disse, cauta, a suo padre. ‘’La medicina sta facendo progressi, è confortante’’
‘’Non è questo quello che volevo dirti, Margareth’’ sospirò suo padre, come se avesse ancora un enorme macigno che gli premeva sul petto. E allora lei tornò a tendersi e ad allarmarsi. ‘’C’è una cosa che non sai riguardo tua sorella, una cosa che io e Celine abbiamo preferito non dirti…era da un po’ che pensavo che avessi il diritto di sapere, la telefonata del dottor Broome l’ho vista come una specie di segno. Non credo in queste cose, e lo sai bene, ma penso ancora che tu abbia il diritto di sapere. E credo che, ora come ora, tu sia in grado di accettare la notizia ed elaborarla.’’
‘’Vai al punto, per favore.’’
Non era mai stata così in ansia, principalmente perché suo padre non aveva parlato mai in privato con lei di Morgan.
‘’E’ stata Morgan a staccarsi il respiratore e i lavaggi’’ ansimò, come se gli costasse fatica perfino ricordare. ‘’I medici non se ne sono accorti perché li riattivava nel momento in cui li vedeva entrare, per poi rimuoverli subito dopo. Il dottor Broome, al tempo, mi disse che se lei non l’avesse fatto avrebbe potuto resistere molto di più. Non saprei dirti di quanto ma…’’
Margareth alzò una mano per interromperlo e lui si fermò. Quando era agitato, suo papà iniziava a parlare senza sosta. E lei aveva bisogno di silenzio.
‘’Mi stai’’ sussurrò. ‘’Mi stai dicendo che si è uccisa?’’
‘’No’’ rispose. ‘’Ti sto dicendo che avrebbe potuto vivere un po’ più a lungo. Sappiamo entrambi che sarebbe finito tutto allo stesso modo, ma il finale non l’ha scelto il caso o il destino. L’ha scelto Morgan.’’
‘’L’hai chiamata per nome’’ Margareth non si rese conto di avere le lacrime agli occhi fino a che suo padre non le si avvicinò e si sedette accanto a lei. ‘’Era da anni che non lo facevi.’’
Suo padre non rispose e non si mosse, eppure lei notò chiaramente un’ulteriore ruga solcare il suo volto stanco. Non cercò contatto, non dimostrò segni di cedimento, i suoi occhi non si inumidirono neanche per un secondo, eppure Margareth riuscì a respirare tutto il suo dolore.
Aveva sempre dato per scontato il suo dispiacere per primo, poi aveva imparato a conoscere anche quello struggente di sua madre, ma non si era mai fermata a pensare all’uomo che aveva davanti.
Dan Grey, apparentemente indistruttibile, un infallibile politico, una risposta tagliente sempre pronta e una stretta di mano sempre forte e sicura. Proprio come Morgan.
Tutti crollano, tutti soffrono, tutti subiscono in silenzio i colpi che la vita manda, tutti respirano a rantoli, tutti si nascondono dietro patine di finzione, dietro una vita che sembra perfetta, dietro una famiglia che sembra insolubile, dietro un lavoro sicuro e una casa di quattro piani.
Dall’esterno, pensò Maggie, erano sempre apparsi come la famiglia ideale, quella che si vede in televisione, quella dove si parla a tavola dei problemi e dove si ricordano a memoria compleanni e feste comandate. Una famiglia ricca ed unita, una casa a Manhattan, una servitù a disposizione, un futuro assicurato e già scritto per generazioni. Una famiglia che era rimasta unita anche dopo la morte della primogenita, che andava a messa la domenica insieme e cenava e pranzava con puntualità.
E poi guardò suo padre più da vicino, da vicino come non l’aveva mai visto, e si rese conto di quanto le apparenze ingannassero.
Si rese conto di quante crepe e quante cicatrici potessero essere nascoste magnificamente dietro una parvenza di ostentata quotidianità. Come se andare in chiesa e andare a scuola fosse sinonimo di rinascita.
E quando Margareth osservò meglio suo padre, quel giorno, capì che non ci sarebbe stata nessuna rinascita. Non per lui, non per sua madre. Non ci sarebbe stata nemmeno per lei se non fosse stato per Carl.
Avrebbe voluto avvicinarsi a suo padre, almeno poggiargli una mano sulla spalla, ma non se la sentiva. Non quando non l’aveva mai fatto.
‘’Papà’’ ritornò a parlare, attirando di nuovo la sua attenzione. ‘’Non hai paura di dimenticarla? Di dimenticare il suo volto o la sua voce?’’
Non ne avevano mai parlato. Non avrebbe nemmeno mai pensato che sarebbe successo, prima o poi. E suo padre le sembrò senza protezioni e senza difese per la prima volta, fragile e volubile.
Come lei all’inizio, e conosceva quell’opprimente sensazione di impotenza.
‘’Non c’è giorno in cui non smetta di pensarci per paura che accada’’ rispose. ‘’E mi dispiace anche per te, Margareth. Non deve essere stato facile’’
‘’Non sarà mai facile’’ si avvicinò un po’ di più. ‘’Però penso che ne valga la pena. Morgan avrebbe voluto così’’
Suo padre si alzò e si sistemò il pantalone da pieghe inesistenti, prima si ritornare ad indossare la sua maschera e dirigersi verso la porta.
Prima di andar via, però, si fermò di spalle e disse esattamente quello che Maggie pensava non avrebbe mai detto.
‘’Morgan sarebbe stata fiera di te.’’
Anche io sono fiero di te.
 
 
__________________________________
 
 
Carl le accarezzò la spalla nuda e poi il seno, inondando di baci tutto quanto il suo collo. L’altra mano era ancora ancorata sul suo fianco, stretta come se fosse una questione di vita o di morte, mentre le loro gambe erano intrecciate in modo indissolubile.
 
Holland le accarezzò il fianco, per poi risalire sul braccio e sulla spalla e finire sull’incavo del suo collo. Morgan era nuda ed immobile sotto di lui, gli occhi azzurri chiusi e la bocca ancorata sul petto bianco del ragazzo.

Sentiva il suo profumo, quell’odore che aveva imparato ad amare e che aveva dato senso anche ai giorni più insensati, sentiva i suoi capelli con sfumature rosse accarezzarle la pelle sensibile e solleticarle l’incavo del collo, lo sentiva muoversi sempre più velocemente. E poi sentiva lei, con le gambe attorno alla sua vita, con le mani sulle sue spalle e le unghie nella carne, mentre baciava ogni centimetro del suo volto.
 
Holland non si era mai spinto dentro di lei così, prima di quel momento. Non aveva mai avuto un odore così pungente, così presente, come se volesse marchiarle anche la pelle come un animale. I capelli biondi ossigenati le graffiavano la spalla mentre lei afferrava e stringeva in un pugno il copriletto di filo bianco. Lo sentiva lì, lì ed ora, nelle ossa e nella carne, che la apriva e la rendeva qualcosa di immateriale.

Carl la penetrò poco tempo dopo, in modo così delicato che quasi all’inizio non se ne accorse. Era la prima volta che si dimostrava così sensibile e delicato, e Maggie sapeva anche perché. L’aveva chiamato, proprio come aveva sempre fatto dall’inizio, stavolta senza piagnistei, e gli aveva detto che aveva bisogno di lui. Che Morgan aveva deciso spontaneamente di stroncare prima la sua vita e che lei aveva bisogno di lui.
 
Forse Holland sentiva che quella sarebbe stata l’ultima volta, perché spinse dentro di lei con una forza che non aveva mai utilizzato prima. Morgan non sentì dolore, forse perché era così dilaniata e graffiata che tutto il resto, inevitabilmente, avrebbe perso senso. L’aveva chiamato, proprio come aveva sempre fatto dall’inizio, ovviamente senza piagnistei, e gli aveva detto che aveva bisogno di lui. Che, anche se lui non lo sapeva e non glielo aveva chiesto, aveva appena deciso di allontanarlo ed aveva bisogno di lui.

E Carl era arrivato a casa sua, aveva chiuso la porta a chiave dietro di se, si era voltato verso di lei e si era avvicinato silenziosamente. Margareth era seduta ai piedi del letto, ancora il pigiama a coprirla e i capelli legati in malo modo, lui le aveva preso la mano e l’aveva fatta alzare.
Margareth non era così stupida da credere che Carl non avesse notato gli occhi gonfi, perché fino a poco prima era stata chiusa in un mutismo e in qualche lacrima, ma apprezzò il fatto che non ne fece parole né le chiese altro. Sapeva che glielo avrebbe detto lei, non appena la situazione fosse migliorata.
E allora le aveva sciolto i capelli e aveva passato una mano al loro interno, in modo così lento che Margareth dovette trattenersi dal saltarsi addosso solo perché non ne aveva la forza materiale. Si era avvicinato alle sue labbra ma non le aveva baciate. Aveva sussurrato sopra di esse qualcosa che Maggie non riuscì a capire, e poi lentamente le aveva lasciato un bacio sull’angolo della sua bocca.
‘’Fai l’amore con me, Marge.’’

Holland le aveva sfilato la maglietta gialla non appena si era chiuso la porta della stanza di Morgan dietro di se. Non le aveva chiesto niente, non aveva fatto riferimento al suo volto palesemente triste e palesemente sconvolto, non l’aveva assillata nonostante sapesse che si stesse comportando in modo strano da fin troppo tempo. Morgan aveva sentito la sua presa ferrea sul polso e il suo fiato sulla guancia, ma non si era fermata. Si era lasciata guidare ed aveva agito come fosse una bambola di porcellana.
Land aveva passato una mano callosa fra i suoi capelli, a lei non era sfuggito il fatto che avesse sostato per un po’ sulla nuca.
E poi le aveva lasciato un bacio sull’angolo della bocca.
‘’Fai l’amore con me, Morgan.’’

 
E quando si stese accanto a lei, appagato e completo, e la attirò a sé, Margareth sentì il suo cuore battere sotto il leggero strato di pelle tatuata che lo copriva.
Era ancora più stanca di prima, ma si rese conto che era proprio di quello che aveva bisogno. Non si premurò di coprirsi meglio con il lenzuolo o di rimettersi almeno il reggiseno, come aveva sempre fatto all’inizio, perché semplicemente non le importava. E non le importava nemmeno che Hollie e le altre domestiche fossero in giro per casa, che sua madre o suo padre potessero rientrare da un momento all’altro, che qualcuno avesse potuto sentire le sue urla.
‘’Morgan aveva staccato i lavaggi e il respiratore’’ disse di soppiatto, mentre Carl le passava una mano sul braccio. Su e giù, su e giù. ‘’Si è uccisa.’’
Non lo disse con la voce rotta o con tristezza palpabile. Non riusciva a capire come si sentisse, ma di certo non era la stessa tristezza che l’aveva avvolta all’inizio. Qualcosa era cambiato, dentro e fuori di lei, e riusciva a riconoscerlo solo allora che aveva scoperto la cosa alla quale non avrebbe mai pensato al mondo. Carl si irrigidì, lo sentì chiaramente, eppure non temette neppure per un attimo che potesse dirle qualcosa di sbagliato.
Dopotutto, era e rimaneva un poeta. Uno scrittore. Nonostante fosse un ossimoro, e fosse silenzioso come pochi, aveva la capacità di gestire e usare le parole in modo sempre corretto.
Forse era una qualità delle persone come lui, di quelle che riuscivano a scrivere pagine e pagine di pensieri poetici anche su una semplice mela, di quelle che trovavano arte anche nelle cose più semplici e di quelle che avevano la capacità di creare un mondo dove tutto girava secondo le loro condizioni. Un mondo dove non esiste ciò che odiano e dove vince ciò che vogliono far vincere loro.

Holland non le aveva mai detto di amarla e lei non l’aveva mai fatto a sua volta. Nonostante Morgan si premurasse di nascondere bene i suoi sentimenti era convinta che fosse palese il suo imbarazzante innamoramento. Fu in quel momento, quando Holland si stese nudo accanto a lei e le avvolse un braccio attorno alle spalle, che si rese conto che per lui era esattamente lo stesso.
La cosa la spaventò terribilmente, ma si disse che – dal momento che aveva deciso di troncare – avrebbe almeno potuto avere la soddisfazione di essere arrivata al suo cuore e la consapevolezza di avergli perlomeno lasciato qualcosa.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa, invece chiuse gli occhi e finse di essersi addormentata. Non aveva mai circuito alcun problema, aveva sempre affrontato a testa alta qualsiasi tipo di situazione, eppure Holland Todd aveva il potere di renderla la ragazzina più intimidita e spaventata del mondo. Che lo amava, lo sapeva già da qualche tempo, o perlomeno ne aveva un fondato sospetto. In quel momento, accertatasi dell’autenticità dei suoi sentimenti, si sentì soffocare. Per un secondo, le venne meno il coraggio di lasciarlo andare. Per il suo bene, per la sua salute, per il suo futuro.
Vivi.

 
‘’Mi dispiace’’ rispose, dopo un po’. ‘’E’ normale che tu ci stia male, ma io credo che avrei fatto la stessa cosa.’’
‘’Come?’’ si sollevò di poco per osservarlo meglio, facendo ricadere ciocche di capelli biondi sul volto.
‘’Morgan sapeva che sarebbe morta, come lo sapevate anche voi. Tu hai sempre pensato al dolore di chi resta dopo la morte ma mai al dolore di chi effettivamente muore. Ed è comprensibile. Però la persona che ha sofferto di più in tutta questa storia è stata Morgan, ed è anche la persona che adesso sta meglio. Ha sbagliato sicuramente modo, ma senti di biasimarla perché voleva liberare voi da un peso e lei da un’agonia?’’
‘’Morgan non era un peso, per noi’’
‘’Neanche Holland lo era per noi, eppure ha vissuto gli ultimi mesi credendolo fermamente. Non puoi dire ad un malato terminale di non essere un peso e pretendere che ti creda, perché lui resta il malato terminale e tu resti una persona che respira e respirerà ancora un po’ di tempo prima di smettere. Non credi anche tu?’’
Sì, lo credeva.
Non giustificava Morgan per la scelta che aveva preso, non giustificava i suoi genitori per averglielo nascosto per così tanto tempo, non giustificava nemmeno se stessa per non averlo capito prima. Però la compativa, li compativa e si compativa.
E pensava di meritarsi un periodo di pausa dai rimorsi e dalle paure.
Margareth si voltò verso di lui e gli lasciò un leggero bacio a fior di labbra. ‘’Hai ragione’’ sussurrò nel suo collo. ‘’Mi fa male adesso, me ne farà per sempre, però adesso Morgan sta bene. Ed io sto bene.’’
 
Holland si addormentò davvero poco tempo dopo, con un braccio ancora attorno alle sue spalle e la testa di Morgan sul petto. Fu solo allora che la bionda aprì lentamente gli occhi e li riabituò alla rada luce della sera che filtrava dalla sua finestra.
Lo vide dormire così, profondamente, con la guancia affondata nel suo cuscino e i capelli biondi sparsi ovunque. Lo vide dormire senza una sola paura a fluttuargli sulla testa, appagato e apparentemente sereno. Gli si avvicinò lentamente e gli lasciò un delicato bacio sulla tempia.
‘’Mi dispiace, amore mio’’ sussurrò sulla sua pelle. ‘’Mi dispiace tanto.’’
Solo allora, dopo anni, Morgan Grey si permise di piangere. Silenziosamente e poco, ma quelle che solcarono le sue guance scarne erano proprio lacrime salate. Lacrime non solo di dolore, non più.
Non aveva mai temuto la morte.
Sin da bambina, conoscendo la sua malattia degenerativa, era cresciuta con la convinzione e la paura di poter morire da un momento all’altro. Fino a qualche mese prima, avrebbe riso di fronte all’ennesima analisi andata male del dottor Broome. Non aveva mai tenuto davvero alla sua vita, l’aveva sempre vista come qualcosa di passeggero e fuggente.
E invece Holland Todd era lì, accanto a lei, presente e vero, e le stava ricordando che cosa si sarebbe persa. Tutte le sue mattine, tutte le altre volte che avrebbe dormito così, tutti i suoi risvegli.
Se tu non sei la vita, la vita non esiste.
‘’Ti amo’’ sussurrò sulla sua spalla. ‘’Ti amo da morire.’’
E represse un sorriso per la comicità della frase.

 
Sentì la presa sui suoi fianchi di Carl diventare più stretta, prima che baciasse la sua tempia. ‘’Sei incredibile’’ ironizzò.
‘’E tu sei la mia vita, quindi adesso siamo pari’’ gli diede una leggera gomitata sul fianco. Rimasero così, in silenzio per alcuni secondi prima che Carl prendesse di nuovo la parola.
‘’Mi piacerebbe farti conoscere meglio mio padre, qualche volta’’
Non l’aveva detto tanto per dire, l’aveva detto perché ne era convinto. Marge ne fu onorata, anche se non aveva ancora capito bene le dinamiche della famiglia Pearson e di Peter. Sapeva che era agli arresti domiciliari per buona condotta, o qualcosa del genere, e sapeva il motivo per cui si era costituito. Non le era mai parsa una persona malvagia, non aveva pregiudizi. E se aveva cresciuto un figlio come Carl, qualcosa di buono in lui doveva esserci per forza. Margareth tracciò il contorno di quello che era diventato il suo tatuaggio di Carl preferito – If you want to do it, you can do it – mentre rispondeva.
‘’Mi farebbe molto piacere conoscerlo’’ sorrise sinceramente.
‘’Non sei restia o…spaventata?’’
‘’Avrei motivo di esserlo?’’
‘’No, però…’’
‘’Allora non vedo perché dovrei. E’ il padre del ragazzo che amo, ha cresciuto il ragazzo che amo e l’ha fatto diventare la persona che è. E che amo. Quindi mi farebbe piacere conoscerlo’’

Morgan accarezzò il tatuaggio di Holland – Then you come to revive, wait, wait, wait, I’m alive – e si asciugò le lacrime.
L’stante immediatamente successivo, Land aprì lentamente gli occhi e sorrise. ‘’Che stai facendo?’’
La mano di Morgan era ancora ferma sul tatuaggio, così si sforzò di sorridere e la allontanò. Toccò il suo, da sotto le coperte, di nascosto. ‘’Niente, non riuscivo più a dormire’’
Sentì la presa di Land diventare più ferrea, mentre lo avvicinava a lei.
‘’Io avrei qualche idea in mente per passare il tempo.’’
E Morgan sorrise di nuovo, più sinceramente.

 
Carl non rispose niente di rimando ma, come faceva sempre, si fece capire benissimo attraverso dei semplici gesti. Semplicemente le alzò una gamba e la avvolse attorno al suo bacino, prima di avvicinarsi e baciarla. C’era quasi violenza, una certa urgenza, in quel bacio, a cui Maggie rispose immediatamente attirandolo ancora più vicino a se.
‘’Ti amo anche io’’
E dall’altro lato della città, in una casa un po’ più piccola, Laurine aveva appena detto la stessa cosa a Cameron Kyle e Robyn Young aveva appena vinto una borsa di studio.
 
 
_______________________________________
 
 
Otto mesi dopo
 
 
Margareth uscì dal cimitero.
L’aria di Ottobre si era fatta più pesante e pungente, e l’aveva costretta ad indossare un parka scuro. I capelli le erano diventati più scuri per via dell’assenza del sole, ma avevano conservato il loro colore chiaro. Li coprì con un capello di lana, perché a New York era impossibile non sentire freddo. Tra poco si sarebbe diplomata, e l’ansia per quel giorno si univa ad una fame incontenibile.
Si avvolse le braccia attorno al corpo, e si voltò alla sua destra sorridendo.
‘’Io opto per il Burger King.’’
‘’Non ci credo. Va bene che dovevi riprendere peso, Maggie, ma così rasenti l’impossibile’’ la voce di sua madre avrebbe voluto risultare intimidatoria ma uscì fuori solamente divertita.
‘’Una volta ogni tanto non fa niente, offro io.’’
‘’Ah bhè, allora non possiamo lasciarci scappare l’occasione’’ sghignazzò Celine, prima di voltarsi dall’altra parte. ‘’Dan tu hai qualche appuntamento di lavoro?’’
‘’No, ci sono’’ rispose suo padre, riponendo il Blackberry nella tasca del pantalone di lino. ‘’Però offro io.’’
Margareth sbuffò ma accettò di buon grado, mentre attraversavano le strisce pedonali e si lasciavano il cimitero alle spalle. Non avrebbe mai pensato di ritornare a far visita a sua sorella con i suoi genitori, fino a qualche tempo prima sarebbe stato qualcosa di assolutamente impossibile. E non avrebbe mai pensato che l’avessero aspettata in disparte, mentre riponeva anche delle piccole peonie scure sulla tomba di Holland Todd.
Non aveva pianto come le altre volte.
Non solo la presenza – reale – dei suoi genitori le aveva dato forza, ma anche l’aver finalmente ritrovato se stessa. L’essere il riflesso giusto. L’essere viva.
Si voltò verso di loro quando si accorse di averli seminati, e li vide parlare tra di loro con una leggerezza forzata ma anche nuova. Erano ancora lungi dall’essere una coppia felicemente sposata, ma ci stavano lavorando. Ed erano ritornati a parlare davvero.
Sorrise prima di voltare le spalle e continuare a camminare, decisa a dargli un po’ di tempo per loro lontani dal lavoro. La domenica si erano sempre limitati ad andare in chiesa insieme, da buoni cristiani, e a tornare a casa per poi chiudersi nelle rispettive stanze e rivedersi nel mutismo del pranzo. Da qualche settimana a quella parte, qualcosa era cambiato. Dopo la messa, la tappa da Morgan era obbligatoria. A volte andavano a prendere un caffè o a fare un brance, niente di troppo sofisticato.
E tutte le volte Margareth era dietro – o davanti – a loro.
Sentì la leggera risata di sua madre e si domandò cosa avesse detto di tanto divertente un tipo come Dan Grey per portarla a tanto. Preferì non interferire. E poi, in quel momento, il suo iPhone si illuminò e le segnalò l’arrivo di un sms.
Sorrise ancor prima di aprirlo e leggerne il contenuto.
 
Da: Carl <3
Mi è arrivata una lettera da Yale
 
E poi, subito dopo, in perfetto stile da Carl Pearson, un successivo.
 
Da: Carl <3
Mi hanno preso
 
Marge sorrise così tanto, in quel momento, che per poco non le venne una paralisi alla mascella.
‘’Mamma, papà, stasera festeggiamo’’ si girò verso di loro, urlando ed agitandosi. ‘’E’ stato ammesso!’’
Se tu non sei la vita, la vita non esiste.
 

Accadono cose che sono come domande,
passa un minuto oppure anni,
e poi la vita risponde.

- Alessandro Baricco
 
 
 
_________________________________________________

E' finita.
Mi fa stranissimo dirlo, considerato che ho iniziato questa storia quasi per scherzo.
E' sempre stata importante per me, lo sarà sempre, mi sono affezionata ai personaggi come non avrei
dovuto fare. Ho vissuto con loro, sofferto con loro e gioito con loro.
Non voglio farla lunga, non voglio scrivere uno spazio autrice più lungo del capitolo e strappalacrime perchè
- come penso sappiate - sarei in grado di farlo. Semplicemente, non voglio.
Voglio che la vostra attenzione si focalizzi ancora per un pò sulla fine di QUESTA storia, che è anche parte
della MIA storia personale. C'è un pezzo di me, come in tutto quello che scrivo, come in Margareth e in Morgan.
L'unica cosa che mi sento in dovere di dire, e di sperare, è di avervi trasmesso qualcosa.
Non voglio peccare di presunzione, non voglio credere che questa sia la vostra originale preferita o che l'abbiate amata,
mi basta solo sapere che - dopo aver letto l'ultima riga - vi siate fermate per un secondo e abbiate pensato.
Prima di essere una storia d'amore e una storia di passione, è una storia di CRESCITA. E non parlo
solamente di crescita esteriore, ovviamente. 
Trovo superfluo perfino ringraziarvi, perchè ormai sapete bene di essere parte integrante della mia vita.
Voglio solamente augurarvi il meglio dalla vita, da questo momento in poi, e spero che troviate nel vostro percorso
tutto quello di cui avrete bisogno e che vi renda felici.
E vi auguro anche di crescere dentro, proprio come Margareth e come Carl, e di imparare che prima di tutto
conta vivere. Esistere ed esserci. E voi ci siete ed esistete, indi per cui contate.
Sicuramente contate per me.
E vi lascio con un ritorno al titolo dell'epilogo: vi assicuro, vi prometto, siamo lontane dalla fine.
Con immensa gratitudine
Harryette

 
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Harryette