WE ARE OUT FOR PROMPT
– 31 LUGLIO/02 AGOSTO 2015
Titolo: For
the night is dark
Personaggi: Ade, Persefone
Prompt ©Tamara Patarini: Modern!AU. Ade è considerato il classico
tipo poco raccomandabile, ed in effetti lo è. Ma quando vede che un uomo sta
importunando l'ingenua e sorpresa Persefone, fino a tentare di avere un
rapporto sessuale con lei, Ade non riesce a fermarsi ed interviene. A te
decidere se, alla fine della situazione, Ade la porta a casa sua (riferimento
al mito, perciò può proprio rapirla) o se fa altro, magari la accompagna a
casa. Se la accompagna, Demetra deve essere presente e molto arrabbiata per la
presenza di Ade.
Note: Noir, Violenza, Roaring Twenties!AU.
Il titolo è un palese
riferimento a una frase ricorrente nella serie TV Game of Thrones.
Il Green Mill Cocktail Lounge di North Broadway Street, oggi uno dei
migliori bar jazz di Chicago, era un locale famoso durante l’epoca del
Proibizionismo per i suoi legami con la malavita (addirittura, al di sotto dell’edificio
vi era una rete di tunnel sotterranei che venivano utilizzati dai gangster per
vari scopi). Era anche uno dei locali preferiti da Al Capone.
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For the night is dark
…and full of terrors.
Notte fonda. Ha da poco smesso
di piovere. Sull’asfalto, le pozzanghere d’acqua brillano alla debole luce
riflessa dei lampioni, creando un’atmosfera stranamente onirica. Dai tombini
proviene aria calda che si condensa subito al contatto con l’aria gelida della
notte, formando sulla superficie della strada una leggera nebbia pallida. Gli
scuri delle finestre dei palazzi sono chiusi – la città è addormentata.
Nel quieto silenzio di una
strada vuota, il rumore secco di una scarpa che spegne una sigaretta, strofinandola
con forza contro il marciapiede, riecheggia quanto l’eco di uno sparo.
L’uomo si stacca dal muro,
emergendo dall’ombra con le mani in tasca, ma la posa fintamente rilassata non
è che una misera illusione. Non c’è nulla nella sua persona che esprima
pensieri rassicuranti: è una visione scura e minacciosa, completamente in nero,
dalla punta del cappello in feltro a quella delle scarpe in vernice, lucide ed
eleganti, che denunciano la sua provenienza. Il pesante cappotto nasconde la
presenza della fondina ascellare e della Smith&Wesson che vi riposa, il cui
peso familiare è confortante contro il suo braccio.
Mezzanotte è passata già da un
po’, e benché Chicago non sia una città particolarmente raccomandabile a
quell’ora della notte, Ade non è preoccupato – si trova nel suo piccolo angolo
di inferno, e chiunque ci abiti sa bene che non è saggio muovere un solo dito
contro di lui. Scivola silenzioso lungo la via, dando un’occhiata alle
tapparelle chiuse delle botteghe e scambiando un cenno di saluto con i
proprietari dei bar che iniziano a chiudere: ha un buon rapporto con i
commercianti, visto che è l’unico grosso fornitore di alcolici della città. Il
Proibizionismo, pensa con un guizzo divertito della mascella, è stato la
maggior causa dei suoi introiti.
I suoi pensieri vengono
bruscamente interrotti quando, passando distrattamente davanti a un vicolo
immerso nell’oscurità, sente il debole eco di un pianto, accompagnato da gemiti
e sussurri soffocati e bruschi rumori di qualcosa che sbatte contro i bidoni
della spazzatura.
La sua indecisione dura solo un
momento: un attimo prima è fermo all’entrata del vicolo, quello seguente lo sta
attraversando con lunghe e rapide falcate, deciso a scoprire che cosa diavolo
sta succedendo nel suo quartiere a quell’ora ben oltre il coprifuoco. Subito è
di fronte all’origine di quel trambusto attutito: un uomo – sempre se si può
definire tale, un tale esempio di feccia – tiene una ragazza premuta contro il
muro, una mano a bloccarle i polsi sopra la testa e l’altra a frugarle freneticamente
tra i vestiti, dentro il cappotto, nella camicetta, e un ginocchio puntato alla
parete per tenerle le gambe ben divaricate.
E non ci sarebbe nulla di male o
particolarmente strano in tutto questo, in fondo – se la ragazza non avesse il
viso arrossato dalla vergogna e dal terrore e le guance inondate di lacrime, di
sicuro non un segno del fatto che lei sia consenziente.
E Ade potrà anche essere uno dei
capi della malavita organizzata di Chicago, potrà avere le mani macchiate di
sangue, potrà aver fatto di sicuro cose discutibili – ma c’è qualcosa che non
tollera, ed è la violenza sulle donne e contro i bambini. Un uomo d’onore se la
prende con chi è alla sua altezza, e chi cerca di umiliare e colpire chi è più
debole di lui non merita neanche il favore di una morte dignitosa.
All’improvviso, lo sguardo di
lei si posa su di lui, e tra i due deve aver deciso che lo sconosciuto è una
sorte migliore di qualsiasi cosa il tipo che le sta premuto addosso ha in serbo
per lei – forse è lo sguardo carico di disprezzo che Ade rivolge proprio a
quest’ultimo che in un qualche modo la rassicura – perché in un attimo le sue
labbra si muovono e silenziosamente mimano tre parole. Aiuto. Ti prego.
Ade non se lo fa ripetere.
Silenziosamente, infila una mano all’interno del cappotto e afferra il manico
della sua pistola, tirandola fuori con movimenti calmi e controllati e notando
gli occhi della ragazza che si sgranano impercettibilmente.
Chiudi gli occhi, la avverte senza parlare. Lei obbedisce, e a quel
punto lui toglie la sicura con un dito e punta l’arma a pochi centimetri dal
cranio dello stupratore, angolandola in modo che non ci sia il rischio che il
proiettile colpisca anche lei.
Lo sparo assorda entrambi,
immobilizzandoli in un frammento di tempo che non sembra reale.
Poi, il corpo crolla bruscamente
per terra in un groviglio di lembi distorti, e a quel punto la vita torna a
scorrere.
La ragazza sta continuando a
piangere, ma è più un residuo dello spavento e del terrore provati fino a quel
momento che una reazione all’omicidio a cui ha appena assistito. Il suo battito
è accelerato, alterna singhiozzi a respiri frammentati, e le gambe continuano a
reggerla soltanto perché tutto il suo peso è tenuto dal muro alle sue spalle.
Quando infine osa aprire gli occhi e vede Ade nascondere nuovamente la pistola
all’interno del proprio cappotto, deglutisce e tira un profondo sospiro di
sollievo.
«Grazie», mormora, e la sua voce
è fragile come le ali di una farfalla.
Ade non le risponde. Si limita a
osservarla con pacato interesse, notando dettagli che nella foga del momento
gli sono sfuggiti. I capelli rossi, tagliati corti alla garçonne com’è la moda
più recente, spuntano scarmigliati da sotto il cappellino scivolato più in su
di quanto sia lecito; le sue mani tremanti richiudono i bottoncini della
camicia che per un attimo gli ha fatto intravedere la biancheria intima e la
procacità del suo corpo, quasi una novità rispetto all’aspetto androgino che le
donne usano preferire; la gonna è sgualcita e sollevata ben oltre il ginocchio,
e le calze graffiate e strappate in più punti. Se avesse tardato di pochi
minuti sarebbe arrivato troppo tardi – con una gelida occhiata in direzione del
cadavere, Ade non riesce a provare il benché minimo rimorso per averlo ucciso
alle spalle.
Ad ogni modo, malgrado la
ragazza gli abbia mostrato gratitudine, non può lasciarla andare così – deve
accertarsi che non vada a raccontare in giro ciò che ha visto, e soprattutto
che arrivi a casa sana e salva. Che senso avrebbe avuto salvarla, altrimenti,
se poi le avesse fatto riattraversare la città da sola?
Scavalcando con noncuranza le
gambe del cadavere, Ade le è di fronte in un attimo e le porge un fazzoletto –
si chiede se sia il caso di farle notare che ha schizzi di sangue su collo e
volto, ma poi decide che è meglio tacere: non vuole spaventarla più di quanto
non sia già.
Tuttavia lei sembra ancora sotto
shock, perché lo guarda con occhi vacui e non accenna a prendere il fazzoletto,
così Ade sospira e inizia a ripulirle gentilmente il viso. Non può di certo
permetterle di girare ricoperta di sangue.
«È un po’ tardi per gironzolare
da sola, miss», offre pacato come spunto di conversazione, sperando che il
suono di una voce rilassante la aiuti a non avere un attacco di panico.
Lei sbatte diverse volte le
palpebre, cercando di stabilire un contatto con la realtà e ignorare il tocco
gentile sul viso dell’uomo che l’ha salvata. «Io… ah… faccio questa strada
tutti i giorni», balbetta, la gola ancora stretta e la bocca secca. «Il mio
turno finisce a mezzanotte meno un quarto.»
I profondi occhi grigi di Ade
saettano per un momento su di lei, assestandola, poi aggrotta la fronte e torna
al suo lavoro. «Non ha l’aria di una ballerina», mormora piano, leccandosi un
pollice per poi passarlo gentilmente su una macchiolina di sangue che non vuole
andar via.
Irrigidita e sorpresa
dall’intimità di quell’azione, la ragazza si limita ad annuire. «Non lo sono.
Faccio la sarta», spiega, sforzandosi di mettere insieme le parole. «Al Green Mill di North Broadway Street. Le
ballerine hanno sempre bisogno di una sistemata dell’ultimo minuto», aggiunge
miseramente, senza ben capire perché sta fornendo a quell’estraneo tutte le
informazioni che la riguardano senza che lui gliele abbia neanche chieste.
Forse sta davvero andando sotto shock?
Ade si limita ad annuire. Niente
di strano che quel tipo l’abbia probabilmente inseguita una volta uscita dal
locale – la poverina lavora in uno speakeasy, e raramente gli avventori di quei
posti sono sobri.
Una volta che ritiene che sia
presentabile – per le macchie di sangue sui vestiti non c’è nulla che possa
fare, ma se non altro al buio si notano poco – ritira il fazzoletto con
intenzione di bruciarlo in seguito e fa un passo indietro. «Venga», le dice
quindi, porgendole una mano. «La porto a casa.»
All’improvviso gli occhi della
poverina diventano impossibilmente larghi, e inizia a tremare. «Oh – oh no, non
ce n’è bisogno, sul serio, abito qui vicino», spiega frettolosamente. «Ha già
fatto abbastanza… voglio dire, ha già fatto tanto per me, non vorrei impormi
ulteriormente e approfittare della sua gentilezza – la prego, apprezzo la sua
offerta, ma non c’è bisogno-»
«Miss», la interrompe allora
lui, e tutt’a un tratto la sua voce ha assunto una vena d’acciaio che è
impossibile contraddire e che la riempie di terrore. «Mi ha appena visto
uccidere un uomo. Lei capisce bene che non posso semplicemente lasciarla andare
via.»
Osserva senza poterlo impedire
gli occhi di lei che si riempiono nuovamente di lacrime, e ascolta con scarso
interesse le sue suppliche singhiozzanti. «La prego», sta insistendo lei, le
mani giunte come una cristiana in chiesa. «La prego, io non la conosco nemmeno. Non dirò niente a nessuno!»
«Non ha motivo di essere
spaventata», cerca di farle capire, impassibile. «Non le farò del male. Voglio
solo assicurarmi che nel suo stato attuale lei non faccia o dica nulla di cui
potrebbe pentirsi una volta calmata a sufficienza.»
La ragazza indietreggia
bruscamente, non apprezzando per niente la sottile minaccia che si cela tra le
parole dello sconosciuto. D’istinto i suoi occhi saettano da una parte
all’altra del vicolo, calcolando, studiando, cercando una via di fuga e un modo
per seminarlo – ma lui questo pare averlo capito subito, perché fa un
minaccioso passo in avanti attirando nuovamente l’attenzione di lei su di sé.
«Non è saggio quello che sta
pensando di fare», le intima severo. «Non mi costringa ad abbassarmi a usare le
maniere forti, miss; venga con me stanotte, si rilassi, si riprenda da questo
shock, e domani potrà riandarsene per la sua strada. Ha la mia parola che non
alzerò un solo dito su di lei, e sappia che non faccio promesse alla leggera.»
Ah, vorrebbe ribattere lei, che
cosa me ne faccio della promessa di un assassino?
Ma si morde la lingua ed esita,
perché quell’assassino l’ha appena salvata da una violenza terribile e forse
anche da morte certa se quel tizio fosse stato a sua volta armato, e per una
notte ha già sfidato la sorte abbastanza.
Inumidendosi le labbra con la
punta della lingua, la giovane scruta il volto dell’uomo alla ricerca di
qualcosa che le impedisca di fidarsi. «Ha detto… la sua parola…?» Insiste,
volendone essere certa.
Lui annuisce subito. «Non avrei
motivo di farle del male dopo essermi spinto tanto oltre per impedire a lui di farne a lei, non crede?» Le
chiede retorico, la voce bassa e rassicurante ancora una volta.
Con un cenno affermativo del
capo, lei giunge a una decisione. «Come… come si chiama?» Se lei deve fidarsi
di lui, allora anche lui può fidarsi di lei e risolvere l’enigma sulla sua
identità. Ma l’improvvisa ombra scura che cala sui suoi occhi la avvisa che lui
ha frainteso il motivo della sua richiesta, così si affretta a risolvere il
malinteso prima che sia tardi. «Il mio nome è Persefone. Volevo solo sapere chi
devo ringraziare, non… non c’è altro», mormora con una breve scrollata di
spalle.
Dopo un lungo silenzio, l’uomo
pare acconsentire. Dopotutto nessuno sa il suo nome di battesimo – nel mondo
del crimine è conosciuto come Aidoneo, è quello è anche il nome che si trova
nei fascicoli della polizia – per cui dubita che ci sia del male nell’offrire
alla ragazza un appellativo per rivolgersi a lui.
«Ade», le dice quindi, a mezza
voce. Poi le offre nuovamente la mano, e ripete il gesto di poco prima. «Venga,
ora. Una volta a casa si potrà rilassare.»
Stavolta, Persefone accetta la
sua offerta senza alcuna protesta.
Ancora non si immagina che Ade
non ha alcuna intenzione di lasciarla andare, e che non rivedrà casa sua per
parecchio tempo.
Ma per stanotte, che lo creda pure.
Oneshot: 2061 parole.