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Autore: Sassanders    05/08/2015    1 recensioni
Dal testo:
"-Voglio andare a Reykjavik.-
-Dov’è che vuoi andare?-
-A Reykjavik.-
-E dove sarebbe?-
-Buon dio, è la capitale dell’Islanda, Johnny.-
Muriel, alzò gli occhi al cielo, spiaccicandosi una mano in fronte, in preda alla disperazione.
-In Islanda? E che vuoi farci in Islanda?- chiese Brian, con gli occhi sbarrati.
Gli altri la guardarono perplessi.
-Ci sono dei paesaggi spettacolari, e voglio visitarla da quando avevo dieci anni.-
-Tra quanto tempo dobbiamo essere in Germania?- continuò.
-Quattro giorni.- rispose pronto, Zacky, il secondo chitarrista, soprannominato anche promemoria vivente.
-Ottimo. Tra quattro giorni ci vediamo a Monaco.-"
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Sai, Muriel Grace Harper? Sei attraente anche mentre mangi una coscia di pollo arrosto con delle patatine, come se non vedessi del cibo dall’estinzione dei dinosauri.-
-Brian Elwin Haner Junior, sta’ zitto. Tu non sei conciato tanto meglio.-
-Dovrei prenderlo come un complimento?-
-Non ne ho la più pallida idea.-
Muriel Grace Harper, era seduta su una sedia in pelle di un penoso ristorante situato in una cittadina di cui aveva momentaneamente dimenticato il nome. No, non lo aveva dimenticato. Che poi, come si faceva a dimenticare Roma? Era impossibile. La città eterna, la città più bella del mondo. Piena di monumenti, di vita, di negozi.
-Concordo con Gates, bimba.- aggiunse il reverendo, addentando malamente una coscia di un altro povero pollo, fatto fuori solo per soddisfare le esigenze di tre americani che non spiccicavano una parola di italiano. Nemmeno una. I camerieri avevano fatto fatica a comunicare con loro, anche per il fatto che in Italia l’inglese fosse, per la maggior parte della popolazione, solo una leggenda mistica. Due di questi tre americani, facevano parte di una band abbastanza famosa, con un nome ridicolo e insensato; la terza persona, era una ragazza, di ventisette anni, di una bellezza eterea e ingiusta, agli occhi della gente. Capelli castani, raccolti in una graziosa -proprio come il suo secondo nome- treccia laterale e due grandi, enormi, occhi blu. Non blu come il mare, quello sarebbe stato un paragone banale, e forse anche riduttivo. Il blu delle ortensie, il blu della lavanda. Uno sguardo che catturava chiunque. Nessuno riusciva a sfuggire allo sguardo della ragazza. Nessuno. Ti faceva ancorare i piedi per terra, e nemmeno con una forza di volontà immane, ti permetteva di andare via. Un metro e settantasei di bellezza e talento, con un naso all’insù e delle labbra carnose e maledettamente invitanti. Indossava una camicetta che faceva pandan con gli occhi, un jeans scuro che le fasciava le gambe chilometriche e non aveva un filo di trucco, eppure risultava ugualmente mozzafiato.
-Ci vivrei tranquillamente, in Italia.- affermò Brian, ad un tratto, e Jimmy lo guardò perplesso, mentre Muriel rise di gusto.
-E come, senza sapere nemmeno una parola?- domandò, bevendo un sorso di coca cola ghiacciata. Era astemia, la ragazza.
-Me ne infischio, della lingua. Potrei impararla con il tempo. Qui ci sono così tanti posti da vedere, un cibo invidiabile e delle donne meravigliose.- osservò, umettandosi leggermente le labbra e sghignazzando.
Ad un certo punto, nel locale, si sentì una musica che attirò i tre dell’apocalisse: Wild Boys, dei Duran Duran. Brian arrossì e sorrise contemporaneamente, mentre gli altri due rischiarono di strozzarsi, per via delle risate.
-Ma perché cazzo siamo in un locale dove trasmettono solo ed esclusivamente musica inglese? Prima i Coldplay, poi i Muse, poi gli Oasis e ora i Duran Duran, cristo redentore.- sbuffò James, bevendo un sorso di Heineken.
-Tutte quelle pippe che piacciono ad Harper, in sostanza.- aggiunse.
-I Duran Duran mi fanno schifo. Piacciono a questo impiastro, al massimo. I Muse, i Coldplay e gli Oasis sono fantastici. E sono inglesi. Come i Led Zeppelin.- ribatté, compiaciuta.
-Avrei i miei dubbi.- intervenne Brian, piccato.
Muriel comincio a muovere le braccia a tempo di musica, mostrando tutta la sua bravura nell’air guitar, e cantando le parole, con una delle voci più sottili che sapesse riprodurre.
-Grace, non sfottere troppo o potrei pensare di vendicarmi.- avvertì Synyster, alzando un sopracciglio.
Anche con delle semplici mosse, riusciva a risultare terribilmente attraente. Aveva un corpo formoso, forse per quello che molta gente le puntò gli occhi addosso. Aveva grazia nei movimenti, e sorrideva languidamente in direzione dei due, che dovettero sforzarsi di far placare qualcosa nei piani inferiori.
-Smettila, stai dando spettacolo.- impose Gates, tracannando della birra ghiacciata.
Lei sbuffò, e roteò gli occhi al cielo, tornando composta. Poco dopo, però, partì l’ennesima canzone dei Muse: Plug in baby. Adorava quel brano, la adorava con tutta sé stessa. E’ per questo che Brian e The Rev cercarono di alzarsi ed uscire dal ristorante, evitando di sorbirsi una noiosa lezione su quanto stratosferica fosse quella band.
-Ma è Plug in baby, non possiamo andarcene.- esclamò, con un’espressione sconvolta dipinta sul volto pallido.
-Bimba, non se ne parla. L’abbiamo già sentita troppe volte la lezione su Bellamy. La rimandiamo alla prossima volta, eh?- domandò Jimmy, porgendo una mano alla ragazza, e facendola alzare dalla comoda sedia in pelle. Lei sbuffò nuovamente, facendo svolazzare una ciocca di capelli davanti agli occhi, che spostò successivamente con le dita.
Pagarono in fretta, e uscirono rapidamente dal ristorante, tirando un sospiro di sollievo.
-Riel, sappiamo che adori i Muse, ma vorremmo che tu ci risparmiassi, ogni santissima volta, il tuo monologo su quanto sia formidabile Bellamy. Magari quando saremo in Inghilterra, li beccheremo e ti smolleremo da loro, che ne pensi?- domandò Synyster, sorridendo divertito.
-Non dire stronzate.-
-Oh, avanti, stavo solo scherzando. Nessuno te la porterà via, nemmeno quel bell’imbusto del cantante di quelli.- aggiunse, roteando gli occhi celesti al cielo.
Muriel afferrò un polso del reverendo e gli posò un bacio sulla guancia.
-Nonostante facciate una musica totalmente ed inequivocabilmente di merda, non vi sostituirei nemmeno con tutto l’oro del mondo. Nemmeno con i Muse.-
-Sono notevolmente commosso.- si espresse Brian, guardando i due che si scambiavano un casto bacio sulle labbra.
Era stramba, Harper. Troppo stramba. Ma in fondo non si stupivano nemmeno più di tanto, non da quando aveva deciso, circa due anni prima, di girare il mondo in compagnia di quei cinque scapestrati, su un tour bus. Aveva stretto amicizia fin da subito con Brian e Jimmy, e proprio quell’affetto, l’aveva spinta a fuggire da quella città insignificante del Nevada. E tutto questo, prima che si mettesse con Sullivan. Aveva sempre amato alla follia viaggiare. Era una fotografa, e non aveva niente a che fare con il mestiere del suo ragazzo, ma non ci aveva pensato minimamente. Era solo stata accecata dalla profonda amicizia con quei quattro, e dall’amore per quel gigante dagli occhi celesti. Portava sempre con sé la sua Canon, per fotografare tutti i paesaggi che aveva visto. E ne aveva scattate, di foto, in quel periodo. Capitava sovente che girasse per il tourbus, infastidendo i musicisti, immortalando ogni momento che le trasmettesse vagamente qualcosa di forte, dalla colazione mentre avevano l’aria di zombie, al momento in cui componevano e scherzavano tutti insieme. La rendevano felice inconsapevolmente, quelle teste calde. La scheda della macchina fotografica era piena zeppa di foto degli Avenged Sevenfold e di paesaggi dei vari posti in cui erano stati. Era scappata dalla sua città natale, tanto non aveva nulla da perdere. Era cresciuta in un orfanotrofio, non aveva mai visto i suoi genitori e non c’era niente che la tenesse ancorata a quel posto. Niente di niente. Quindi perché rinunciare all’amore della sua vita, all’amicizia di quattro ragazzi con un quoziente intellettivo pari a quello di un opossum siberiano, e a viaggi per tutto il mondo? Non aveva né fratelli, né sorelle. Aveva alcuni amici, sì, ma nessuno era degno di nota. Gli unici veri amici erano la sua adorata Canon, un blocco da disegno e il suo gatto, Felix. Un animale stronzo e presuntuoso, così l’aveva definito Brian, solo perché non andava molto d’accordo con Pinkly, la sua adorata cagnolina. O meglio, questo risaliva a due anni prima, visto che poi si erano abituati l’uno alla presenza dell’altro, e tutti vivevano serenamente. Si era persino inventato di essere allergico al pelo di gatto, Synyster. Muriel, naturalmente, non ci aveva creduto nemmeno per un secondo. Qualche giorno dopo la sua partenza, viste le continue lamentele del ragazzo per via di Felix, non aveva esitato un secondo ad andare su tutte le furie, cosa decisamente non da lei.
Smettila di frignare come una fottuta bambina di nove anni, per dio! Tra qualche tempo andranno d’amore e d’accordo, e tu prova a dire un’altra parola e giuro che il mio gatto ti farà visita di notte e la mattina dopo ti troverai una quantità indefinibile di graffi addosso.’, aveva esclamato, e da allora quel cretino di un chitarrista non aveva più fatto storie. Jimmy aveva riso un sacco per la reazione della sua ragazza, prendendo il suo migliore amico in giro per i successivi dieci giorni. Sì, insomma, farsi sgridare e minacciare in quel modo da una signorina, che perdeva raramente le staffe, era stato davvero esilarante, per il resto dei membri della band, che avevano assistito a quel teatrino, un po’ allibiti, un po’ divertiti. La cosa positiva era che, da quel momento, Brian e Muriel avevano legato ancora di più, diventato amici stretti. James era la persona meno gelosa di questo mondo, quindi non si faceva problemi a vedere la propria donna in braccio al suo chitarrista, e tantomeno non si preoccupava per gli abbracci a tutti i ragazzi. Era fatta così, era spontanea, ed era proprio per quello che lui se ne era perdutamente innamorato. Era diretta, affascinante e terribilmente intelligente, e di certo un pizzico di logica, in mezzo a quell’ammasso di uomini tutti muscoli e niente cervello, non avrebbe danneggiato nessuno. Anzi, avrebbe contribuito a rendere più stabile e meno precaria la loro sanità mentale. 
-Torniamo al tour bus?- domandò Sullivan. Gli altri due annuirono e iniziarono a camminare. Riel, però, si fermò dopo qualche metro, intenta ad osservare il panorama che si estendeva davanti ai suoi occhi blu. Un pezzo di Colosseo nello sfondo, un cielo scuro e stellato, tante abitazioni e un via vai di turisti e gente del posto. Aprì la borsa, afferrò la macchina fotografica, e premette il pulsante per scattare, una decina di volte. Brian e Jimmy si fermarono, guardandosi e sorridendo, scuotendo la testa. Quando ebbe finito, tornò da loro, tutta pimpante e sorridente, come una bambina che aveva appena scartato i regali di Natale.
 
                                                                                    **
 
-Voglio andare a Reykjavik.-
-Dov’è che vuoi andare?-
-A Reykjavik.-
-E dove sarebbe?-
-Buon dio, è la capitale dell’Islanda, Johnny.-
 Muriel, alzò gli occhi al cielo, spiaccicandosi una mano in fronte, in preda alla disperazione.
-In Islanda? E che vuoi farci in Islanda?- chiese Brian, con gli occhi sbarrati.
Gli altri la guardarono perplessi.
-Ci sono dei paesaggi spettacolari, e voglio visitarla da quando avevo dieci anni.-
-Tra quanto tempo dobbiamo essere in Germania?- continuò.
-Quattro giorni.- rispose pronto, Zacky, il secondo chitarrista, soprannominato anche promemoria vivente.
-Ottimo. Tra quattro giorni ci vediamo a Monaco.-
-Sei impazzita?- domandò il vocalist, Matt Shadows, alzandosi dalla sedia e mostrandosi in tutta la sua imponenza.
-No, Matt, non sono impazzita. Ho abbastanza soldi per comprare il biglietto, stare lì un paio di notti e poi raggiungervi in Germania.-
Gli altri non provarono nemmeno ad obiettare, sapevano come era fatta, e se si metteva in testa una cosa, nemmeno una catastrofe naturale poteva impedirle di fare ciò che aveva programmato.
-Ti accompagno.- affermò Christ, sorridendo a trentadue denti.
-Scordatelo.- impose Matt, puntandogli l’indice contro.
-Abbiamo da lavorare, dobbiamo programmare e…- iniziò, ma venne prontamente interrotto dal bassista.
-Amico, fai due respiri profondi e calmati. Tra quattro giorni esatti saremo in Germania, non salteremo nessuno show, te lo garantisco.-
Matt sospirò, pensando a quanto quel suo compagno di band -e anche gli altri, senza dubbio- fosse cerebroleso per voler fare una pazzia del genere.
-Prova solo a fare un’ora di ritardo e giuro che sgozzo entrambi con le mie fottute mani.- acconsentì Matt, scuotendo la testa e dirigendosi in bagno. Riel saltò in braccio a Johnny, abbracciandolo.
-Grazie, grazie, grazie, nano! Ti devo un favore.- lo ringraziò, dandogli un bacio sulla guancia.
-Figurati, non mi devi niente.- ribatté, sorridendo.
Corsero entrambi a prendere due valigie, misero il necessario per sopravvivere quattro giorni, e chiamarono un taxi. 
-Fate attenzione, imbecilli.- si raccomandò Zacky, dando delle affettuose pacche sulle spalle ai due.
-Sì, mamma Zack. Tra quattro giorni potremo abbracciarci di nuovo, stai tranquillo.- rispose Muriel, come una cantilena, ricambiando la pacca.
-Voglio vedere tutte le foto, poi.- disse Jimmy, avvicinandosi e baciando la ragazza, che annuì.
-Harper, sono accettati scatti anche di altro tipo, non so se mi spiego.- intervenne Brian, ammiccando. Ricevette un sonoro schiaffo sul collo, per tutta risposta.
-Dio, Brian, sei una fantasmagorica testa di cazzo.- esclamò lei, saltandogli in braccio e stampandogli un bacio sulla guancia.
Fu poi il turno di Matt, che sembrava ancora titubante a lasciarli andare via.
-Matthew, cristo santo, stiamo andando a fare una piccola vacanza, non c’è bisogno di preoccuparsi così tanto. Tra quattro giorni ci riavrai di nuovo fra i piedi, e sono sicura che avrai più muscoli di quanti tu ne abbia attualmente.-
Il cantante cedette, e si lasciò sfuggire una risata.
-State attenti, dobbiamo sentirci ogni giorno.-
-Charles, sei proprio un paparino perfetto. Ti manca solo il grembiulino rosso e un mestolo in mano.- osservò Synyster, ridacchiando.
-Elwin, stai attento a te. Non vorrei che il qui presente Mr. Muscolo ti riduca in poltiglia.-
-Non lo farà, stai tranquilla. Mi ama troppo per ammazzarmi.-
-Potrei decidere di fare al forno Pinkly e mangiarmela.-
Brian assunse un’espressione inorridita e terrorizzata.
-Pinkly no, piuttosto mi sacrifico io.-
-Ragazzi, il taxi è arrivato.- li interruppe Johnny.
-Christ, prenditi cura della mia donna.- disse Jimmy, abbracciandola ancora una volta.
-Ti garantisco che tornerà viva e vegeta, senza nemmeno un graffio.-
Congedarono tutti quanti e salirono sul taxi, comunicando la destinazione al tassista che aveva evidenti difficoltà con l’inglese, e ci mise un po’ a decifrare cosa volessero dire quei due americani da quattro soldi, con quell’aria da tossicodipendenti.
 
                                                                               **
 
L’aereo atterrò, e tutti i passeggeri cominciarono ad applaudire al pilota. Muriel l’aveva sempre trovata una cosa assolutamente insignificante, quindi sbuffò, infastidita. Poi si ricordò di essere in Islanda, e un senso di allegria le pervase il corpo, dalla testa ai piedi.
-Johnny, cazzo, siamo in Islanda!- esclamò, battendo le mani e sorridendo.
Il bassista si svegliò e la guardò, sospirando successivamente.
-Ricordami perché ho scelto di venire in questo posto da far congelare le palle, fare dodici ore di volo, prendere un torcicollo allucinante ed essere svegliato malamente da gente che batte le mani ad un fottuto pilota che ha condotto un volo pieno di turbolenze.-
-Beh, perché mi vuoi bene. E io ne voglio a te.-
-Non credo possa giustificare il tutto.-
-Nano, ti divertirai. Promesso.-
Johnny prese le valigie, inforcò gli occhiali da sole e scese la rampa dell’aereo, stando attento a non ruzzolare giù. Cosa che non avvenne per poco, visto che la ragazza lo afferrò per un lembo della t-shirt che aveva addosso. Aveva quasi preso un infarto, nel sentire quanti gradi ci fossero. Non erano nemmeno dieci. E lui era con una maglietta a maniche corte, senza nient’altro addosso. Scese in fretta e aprì il bagaglio, prendendo un maglione e infilandoselo alla svelta, sotto gli sguardi divertiti e perplessi degli altri passeggeri.
-Ti avevo detto di indossare qualcos’altro, razza di idiota. I ragazzi mi ammazzeranno, se tornerai con la febbre.-
Riel trascinò la valigia, guardandosi intorno ed entrando finalmente nell’aeroporto, trovando un po’ di calore, e sospirando. In fondo, erano appena arrivati dall’Italia, dove la temperatura era circa di quindici gradi più elevata, essendo in pieno luglio. Lì, invece, si gelava anche il diciassette di luglio. Pazzesco.
Johnny continuava a borbottare imprecazioni, mentre Muriel sorrideva e si guardava intorno, anche se era solo uno stupido aeroporto.
-Dai, Christ, non senti l’emozione di essere a Reykjavik, quasi al polo nord?- domandò, spintonandolo leggermente.
-Non sapevo manco dove fosse, questa cosa impronunciabile, fino a ieri.-
-Visto? Hai imparato un’altra cosa grazie a me. Ti stai facendo una cultura anche tu, con il passare del tempo.-
Il nano scosse la testa, infilando un berretto nero e rabbrividendo leggermente. Pranzarono velocemente, con un ennesima bistecca e una zuppa insipida, giusto per racimolare un altro po’ di caldo. Chiamarono un altro taxi e comunicarono l’hotel dove sarebbero voluti andare, al tassista, che capiva perfettamente l’inglese, per loro fortuna. Il tragitto fu pregno di esclamazioni gioiose da parte della ragazza, che doveva risultare parecchio isterica, e del bassista che non faceva altro che sbuffare e rabbrividire dal freddo, chiedendosi perché cazzo aveva accettato di andare in quel posto di cui non aveva mai nemmeno sentito parlare.
Quando uscirono dalla macchina, Muriel Grace spalancò gli occhi e la bocca, alla vista di quello spettacolo naturale. C’era l’aurora boreale. Aveva sempre sognato di guardarne una, e al solo pensiero le vennero gli occhi lucidi. C’erano montagne e vulcani, e una vegetazione fittissima tutto intorno. Non ricordava più niente, nemmeno il suo nome. Non esitò, però, a tirare fuori la Canon e a immortalare quel paesaggio, da varie angolature. Anche Johnny rimase estasiato, non aveva mai visto una cosa del genere.
-Visto che spettacolo?-
-Madre di dio, che bello.-
L’autista rise sommessamente, sentendo le loro affermazioni.
-Non avevate mai visto un’aurora boreale, eh?-
-No, è la prima volta. Sa, sono una fotografa e desideravo venire qui da quando ero alta così.- rispose, sorridendo e indicando con la mano un punto vicino alla coscia, per far capire quanto fosse piccola, all’epoca.
-Vi auguro una gran fortuna. Ora che ci penso, potrebbe farmi un autografo? Sa, mia figlia adora lei e la sua band.-
Johnny annuì, sorrise, prese un pezzo di carta e lo firmò, dopo aver chiesto il nome della fanciulla.
-Però, mi raccomando, dica che gliel’abbiamo mandato tramite qualcuno. Scoppierebbe un putiferio se sapessero che siamo qui.-
-Oh, certamente. Grazie mille e buon soggiorno qui a Reykjavik.-
-Grazie, signore.-
Si congedarono e rimasero qualche altro minuto fermi, a fissare il cielo.
-Johnny.-
-Mh?-
-Non so come ringraziarti.-
-Offrimi una birra e il debito sarà saldato.-
-Dico davvero, era il mio sogno da quando ero un marmocchio.-
-Nemmeno a me dispiace essere qui.-
Entrarono nell’albergo, posarono le valigie nella camera. Dopo una doccia veloce e un cambio di abiti, decisero di uscire nuovamente.
-Andiamo in giro per la città.-
-Certo, nessun problema.-
Camminarono con il naso all’insù e gli occhi puntati al firmamento, fin quando non furono malamente attaccati da un torcicollo. La gente attorno a loro non era messa tanto meglio, ma poco importava, davanti a delle bellezze della natura come quelle. Risero e scherzarono per tutta la serata, camminando fin quando le gambe non ressero più e dovettero fermare l’ennesimo taxi della giornata, per farsi portare in hotel. Erano stanchi morti, non percepivano più gli arti inferiori, ma almeno avevano visto molto ed erano pienamente soddisfatti. A Muriel, dopo un po’, squillò il cellulare, e la foto di Brian apparse sul display. Accettò la chiamata.
-Brian, tesoro, ciao!-
-Bimba, non dovresti chiamare me “tesoro”?- domandò un'altra voce, che non apparteneva al chitarrista solista.
-Jimmy, amore, Brian è il mio tesoro in senso amichevole, lo sai meglio di me.-
-Sì, beh, non me ne frega una cicca. Come state?-
-Alla grande. Abbiamo visto tante di quelle cose che nemmeno immagini, c’è persino l’aurora boreale. E Johnny è rimasto felicissimo, nonostante le lamentele iniziali per il freddo.-
-Brian, hai sentito? C’è l’aurora boreale!- urlò, allontanando leggermente il telefono dall’orecchio.
-Passami un attimo la tua ragazza, cerebroleso.-
Dopo poco l’interlocutore cambiò, e sentì una voce leggermente meno nasale di quella del suo ragazzo.
-Riel, tesoro.-
-Ciao, tesoro.-
-L’aurora boreale? Dici sul serio?-
-Mmh. E’ spettacolare.-
-Oh, immagino. Il nostro bassista è ancora vivo?-
-Possibile che pensiate solo a lui? Okay che gli volete bene, ma pensare anche un po’ a me vi farebbe schifo?-
-Ma noi pensiamo a te, bimba. Solo che sarebbe un casino trovare un altro bassista, per questo quella testa di cazzo la rivogliamo intera.-
-Ne sono onorata. Comunque sì, è vivissimo, ha solo un po’ di freddo. Vero, nano?-
-Confermo.- aggiunse Johnny, ridendo.
Sentì che il telefono veniva strappato dalle mani di Synyster e un’altra voce, decisamente più ansiosa e profonda delle precedenti, parlò.
-Muriel? Come state? Johnny come sta?-
-Matt, mammo, calmati, gesù cristo. Quest’impiastro sta più vivo di voi, a momenti, tranne che per il freddo.-
-Freddo? Quanti gradi ci sono?-
-Una decina al massimo.-
-Benedettissimo dio, se si becca una febbre lo strozzo.-
-Sì, okay. Salutami tutti, dobbiamo andare. Un bacio.- disse, senza nemmeno aspettare una risposta e chiudendo la chiamata. Risero entrambi, per la situazione più che comica.
 
                                                                                 **
 
-Il volo ZHCR4678 diretto a Monaco di Baviera, subirà un ritardo di un’ora a causa del maltempo, ci scusiamo per i disagi.-dichiarò, una voce femminile e metallica, facendo trasalire Muriel e Johnny.
-Merda. Siamo nella merda.-
-Chiamo Matt.-
La ragazza digitò il numero del vocalist, mordicchiandosi il labbro inferiore per il nervosismo.
-Matt, ciao, il volo fa ritardo di un’ora.-
-State scherzando, vero?-
-No.-
Sentì delle urla, e allontanò il cellulare dall’orecchio, onde evitare la perdita permanente dell’udito.
-Vi avevo detto che non sareste dovuti partire! Siete delle fottute teste di cazzo, l’ho sempre detto!-
-Matt, ti prego, sta’ calmo.-
-No che non mi calmo, tra cinque ore dobbiamo essere su quel palco. E non oso immaginare cosa succederà se tu e quel minchione non vi farete vivi.-
-Cinque ore? Bene, possiamo farcela.-
-Sarà meglio per voi.-
-Stai tranquillo. Ora dobbiamo andare, ti chiamiamo tra un po’.-
Chiuse la conversazione, sospirando in preda all’agitazione.
-Altro ritardo?-
-Lo schermo dice che è di un’ora e un quarto.- mormorò Johnny, indicando lo schermo appeso al muro di fianco a loro. Muriel sferrò un pugno alla parete, ringhiando.
-Riel, calma.-
-Tra cinque ore devi essere su quel palco.-
-L’hai detto anche tu, ce la faremo.-
La ragazza annuì, mangiucchiandosi le unghie.
-Due ore, Riel.-
-Due ore di ritardo?
Johnny annuì, spalancando gli occhi. Riel digitò il numero di Matt, aspettandosi le peggiori sfuriate.
-Matt, passami Brian.-
Sì senti un ringhio, e un fruscio, poi la voce del primo chitarrista.
-Bimba, dimmi tutto.-
-Abbiamo due ore di ritardo.-
-Cazzo.-
-Ti prego, fa che Matt non mi riduca in polvere quando saremo lì. Se saremo lì, naturalmente.-
-Bimba, stai tranquilla, glielo impediremo. Anche se ne ha tutte le intenzioni.-
-Cristo.-
-Già, cristo. Preghiamo.-
-Okay, ti faccio sapere più tardi. Manda un bacio da parte mia a James. Ti voglio bene.-
-Anche io, bimba. A più tardi.-
Muriel chiuse la chiamata, ancora più nervosa di prima, se possibile.
-Johnny. Prega che Matt non decida di strapparci le orecchie a morsi.-
-Come Mike Tyson?-
-Sì, qualcosa del genere.-
-Bene. Anzi no, male. Molto male.-
-Tu hai uno show e gli servi come bassista, non ti farà fuori. Dici che devo preoccuparmi per qualche parte del mio corpo?-
-No, sei una donna. Non mette le mani addosso una donna, quell’armadio.-
-Lo spero.-
Si sedettero davanti al gate, in attesa di qualche altro annuncio. La gente cominciava a spazientirsi, soprattutto quelli che magari avevano da lavorare in Germania.
Muriel si addormentò, sfinita sulla spalla di Johnny, non molto tempo dopo. Circa un’ora e mezza dopo Christ, aveva delle splendide occhiaie, fortunatamente coperte dagli occhiali da sole.
-Riel, svegliati, dobbiamo metterci in fila per il gate.-
La ragazza si svegliò di colpo, afferrando le valigie e piazzandosi davanti ad una signora con tre bambini piccoli. Sarebbero dovuti partire mezz’ora dopo, ed erano le sedici e trenta. Fece un rapido calcolo e, visto che la durata del volo era di due ore, all’incirca verso le diciannove sarebbero atterrati a Monaco, salvo ulteriori ritardi, per cui si sarebbero sicuramente strappati la milza.
-Nano, per le diciannove dovremmo essere lì.-
-Muriel?-
-Sì?-
-Non hai calcolato il fuso di due ore. Arriveremo lì alle ventuno.-
-Oh santa maria del cielo.-
La bruna iniziò seriamente a temere per la propria incolumità. Digitò quindi il numero del suo migliore amico, nonché quello scellerato del primo chitarrista.
-Brian? Sì, ciao, sono io. Alle ventuno atterriamo a Berlino.-
-Alle ventuno?-
-Sì, non avevo contato il fuso orario.-
-Oh santa maria del cielo.-
-La stessa cosa che ho detto io a malapena venti secondi fa.-
-Matt darà di matto.-
-Dovrai proteggermi, lo sai vero?-
-Sì, bimba, tranquilla. Matt al momento sta facendo i pesi.-
-Quando fa i pesi vuol dire che è nervoso. Molto nervoso.-
-Esattamente.-
-Da domani mi fermerò in ogni chiesa che troveremo e pregherò tutti i giorni. Se sarò viva, naturalmente.-
-Bimba, calmati. James e Zack stanno provando a tranquillizzarlo, lo sai che io non sono molto bravo a calmare le persone.-
-Sì, lo so. Comunque siamo in fila per il gate, partiamo tra mezz’ora.-
-Bene, allora. Buon viaggio, bimba. Salutami quello stronzo.-
-Lo farò, ciao tesoro.-
Chiuse la chiamata, e intanto la fila si era mossa di parecchi passi. Sospirò sollevata. Sfilò i documenti dalla borsa, prendendo un sospiro di sollievo nel momento in cui notò che non li aveva dimenticati da qualche parte. Rimasero in silenzio, controllando l’orologio all’incirca ogni trentadue secondi, come se stessero andando incontro alla morte. In effetti, sì, stavano andando incontro alla furia di Matt, e più o meno, era la stessa cosa. Presero posto il aereo alle sedici e cinquantasei, e il decollo avvenne alle diciassette e diciassette. Atterrarono, invece, alle ventuno e venti, con ulteriori venti minuti di ritardo. La situazione si stava mettendo male. Molto male. Muriel sentì il telefono squillare, era ancora Brian.
-Bimba, noi tra un quarto d’ora dobbiamo essere sul palco.-
-Noi siamo appena usciti dall’aeroporto. Prendiamo un taxi e arriviamo.-
-Bene. Preparatevi ad uno splendido cazziatone. Matt è più arrabbiato di quando Jimmy ruppe la sua copia di Cowboys From Hell. Non lo vedevo così infuriato da cinque o sei anni.-
-Buon dio, saremo lì tra poco.-
Chiuse la chiamata e fermò di getto il primo taxi che passava di lì, caricando i bagagli nell’auto in fretta  e fiondandosi sui sedili posteriori, assieme al bassista.
-Ci porti allo Zenith, il più in fretta possibile.-
Il tassista annuì, ingranando la marcia e partendo alla svelta. Erano le ventuno e trentadue.
-Tra quanto tempo saremo lì?-
-Massimo un quarto d’ora.- rispose l’uomo, con un forte accento tedesco.
Sospirarono entrambi, nervosi. Dopo dieci minuti esatti, erano fuori dallo Zenith, e corsero all’entrata posteriore, dove trovarono una Matt Berry, con un’espressione leggermente incazzata.
-Tu fila a prepararti. Tu dai le valigie a me e fila anche tu di là.- ordinò, con un tono che non ammetteva repliche. Annuirono, agitati, mordendosi un labbro. Corsero nei camerini, e incrociarono Brian che provava un riff. Muriel gli corse incontro e lo abbracciò da dietro.
-Tesoro, santo cielo, ce l’avete fatta.-
La ragazza annuì, stampandogli un bacio sulla guancia. Dopo poco arrivò Jimmy con le bacchette in mano.
-Amore, ciao.- salutò il batterista, baciandola sulle labbra e abbracciandola.
-Dov’è Matt?-
-Sono qua.- rispose una voce, quella del vocalist, che di pacifico non aveva proprio niente.
Muriel gli saltò addosso, riempiendolo di baci sulla guancia.
-Matt, ti prego, scusami.-
-Riel, non sei tu che devi scusarti, non è colpa tua. E’quella testa di cazzo del mio bassista, che ha proposto di accompagnarti.-
La ragazza si scostò immediatamente, guardandolo con gli occhi spalancati.
-Quindi non mi ucciderai? Non mi mangerai le orecchie come Mike Tyson? Non mi spaccherai la testa?- chiese, con tono implorante, indietreggiando di un passo ad ogni domanda.
-La tentazione ce l’ho, ma non lo faccio, sei pur sempre una donna.-
-Grazie, ma non prendertela con Johnny. Non si attaccano i più piccoli e i più deboli.-
Tutti risero di gusto.
-Lo terrò a mente e cercherò di porre rimedio.-
-Si va in scena!- esclamò una voce e tutti si prepararono, compreso Christ, che era pronto con il proprio basso in mano.
-Sono ancora viva, non posso crederci. Buono show, ragazzi.- affermò, abbracciandoli uno ad uno, con le immagini dell’aurora boreale di Reykjavik ancora in testa.
 
 
 
 
 
 
N.d.A
Cosa nonsense, troppo lunga e scritta in due giorni, solo perché avevo un po’ di tempo da perdere.
Perdonatemi.
Un abbraccio,
Sassanders.
   
 
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