Serie TV > Supernatural
Ricorda la storia  |      
Autore: Soqquadro04    05/08/2015    1 recensioni
[In qualche punto della seconda stagione | Child!Sam + Child!Dean | 3224 parole | possibile OOC]
«Dean.» lo chiama con questo tono – un po' cantilenante, agitato, acuito dalle emozioni – quando ha bisogno di aiuto, e quando è spaventato, ed è così da quando riesce a ricordare.
Questa volta nella sua voce c'è abbastanza terrore da spezzargli il cuore – gli è accanto in un attimo, seduto sul letto, stavolta, la sedia abbandonata in favore della vicinanza.
«Dean.» sussurra di nuovo, la testa appena sollevata dal cuscino, gli occhi che vagano senza vederlo, persi nella confusione della febbre.
Si china su di lui per appoggiare l'asciugamano sulla sua fronte, mormorando appena, rassicurante, perché è tutto quel che può fare anche se detesta che sia così.
«Sono qui. Qui vicino. Cosa c'è?» cerca di sorridere, ma gli esce una smorfia contratta e per nulla rassicurante ed è solo felice che Sam non sembri vederlo, perché non sarebbe certo d'aiuto.
Si aggrappa al suo braccio, le dita serrate sulla stoffa della sua maglietta, come quando era più piccolo e aveva paura di perdersi per le strade di qualche città sconosciuta.
[...]
«Era solo un brutto sogno, Sammy. Non avere paura.»
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autore: Soqquadro04
Disclaimer: non mi appartengono (purtroppo) e da tutto ciò non guadagno il becco di un quattrino u.u
Generi: Malinconico, Fluff, Sentimentale
Avvertimenti: possibile OOC, child!Sam & child!Dean, missing moment
Rating: Verde
N/A - Note dell'Autrice:
Buonsalve, lettrici.
Sono un po' emozionata perché questa è la prima volta - anche se spero non l'ultima - che scrivo sul fandom. Sto recuperando in tutta calma, ma per ora devo ancora finire la seconda stagione, cosa che non mi ha impedito di affezionarmi tremendamente ai Winchester e a tutta la combriccola delle vite incasinate.
Ho tentennato un po', a dire il vero, prima di decidermi a pubblicare questa cosina, perché ho paura di aver fatto un disastro enorme con la caratterizzazione di Dean, (nel caso, sappiate già che mi dispiace moltissimo - è un pg complicato ed evidentemente devo ancora prenderci la mano) e poi dopotutto la storia non è una storia, non va da nessuna parte, è solo un momento come ne saranno stati descritti tanti, ma avevo un certo bisogno di scriverlo quindi eccoci qui.
Detto questo, buona lettura, spero <3

A presto,
la vostra Soqquadro

_________________________________________________________________________________________________________________________________________
 

For he today who sheds his blood with me

(shall be my brother)


Non siamo solo i custodi di nostro fratello. In infiniti modi, grandi e piccoli, siamo i creatori di nostro fratello.
Bonaro W. Overstreet

 

Evanston, Wyoming


Chiude la porta del bagno il più silenziosamente possibile, l'asciugamano umido fra le mani, cercando di non svegliare Sam.
Nella penombra del locale si sentono solo il respiro affannato di suo fratello e, di tanto in tanto, il mormorio delirante che gli scappa dalle labbra, pezzi di frasi incomprensibili e sogni febbrili e violenti che lo tengono sull'orlo del dormiveglia – la luce fredda dei neon filtra dalle tende appena accostate, mentre in lontananza echeggiano urla di ubriachi e il rombo costante delle macchine sull'autostrada.

Si avvicina al letto e appoggia con delicatezza la stoffa bagnata sulla sua fronte, proprio come una perfetta infermiera da campo, poi va alla finestra per tenere d'occhio il parcheggio, irrequieto.

Non che se anche decidessero di attaccarli riuscirebbe a vedere granché, in realtà – questa volta sono minuscoli parenti alla lontana di certi spiriti dei boschi che hanno incontrato una volta in New England, non hanno nome o almeno non uno pronunciabile e sono decisamente più cattivi e dotati di piccoli, insidiosi speroni velenosi per nulla simpatici.

È saltato fuori che sono anche piuttosto agili – abbastanza da graffiare Sam, ma non da evitare di venire neutralizzati subito dopo, anche se non era stato esattamente facile trovare un druido di sangue scozzese non esageratamente diluito, nel bel mezzo di quel nulla a malapena abitabile che è la maggior parte del Wyoming.

Tale druido gli aveva assicurato che la quantità di veleno che era penetrata nell'organismo di Sam era ben lontana dall'essere mortale, ma che gli avrebbe provocato una febbre spaventosa e un delirio altrettanto spaventoso per almeno ventiquattr'ore, prima di essere espulso autonomamente – si era convinto della cosa solo ed esclusivamente perché non sapeva dove altro battere la testa.
Il tutto li ha portati in quella stanza calda e semibuia, con lui ancora sveglio a quell'ora impossibile per controllare che nessun clan amico decida di vendicarsi giusto quella notte in cui Sam è fuori gioco e lui sente di poter crollare da un istante all'altro, non appena smaltita l'adrenalina residua che gli fa rizzare ancora i capelli sulla nuca e digrignare in silenzio i denti per la tensione e lo lascia ancora beatamente ignaro dei muscoli tirati dallo sforzo, perché suo fratello non è più un bambino e trasportarlo di peso sulle scale pericolanti fino al ballatoio non sarebbe una passeggiata nemmeno per qualcuno più alto di lui.

Fa un giro per controllare che non ci siano spazi nelle linee di sale, poi si lascia cadere sull'altro letto, vicino alla finestra, le tende scostate e lo sguardo fisso agli alberi dall'altra parte della strada, male illuminati e dalle chiome folte – sono un nascondiglio ideale per quei piccoli bastardi alati e non ha certo voglia di ritrovarseli davanti, non di nuovo questa notte e possibilmente mai più, grazie e arrivederci.

Lancia un'occhiata distratta alla sbarra di ferro sopra la porta, sperando sia abbastanza da tenerli fuori – dovrebbe, ma non si sa mai.
Sam si rigira di colpo, nel sonno, abbastanza bruscamente da farlo voltare a sua volta, preoccupato, perché alla fine non è che sembrasse poi degno di così tanta fiducia, il loro mago improvvisato, con quei ridicoli capelli rossi tinti e gli abiti impregnati dell'odore poco piacevole di alcool di scarsa qualità. Non sa se sia un modo di onorare i suoi antenati scozzesi o cosa, ma non è esattamente incline ad affidare la vita di suo fratello a un ubriacone dall'accento improbabile.

Il problema è che non sa cos'altro fare, e aspettare al momento sembra la soluzione migliore, probabilmente perché è anche l'unica praticabile – certo non può viaggiare con l'altro in quelle condizioni, nessuno sa niente riguardo le fatine diaboliche e sicuramente non può presentarsi al Pronto Soccorso in tutta tranquillità (ehi, il mio fratellino, qui, è stato accidentalmente infettato dal veleno di qualche folletto inglese arrabbiato, cosa potete fare?).

Non è la prima volta che si ritrovano in una situazione del genere e non sarà neanche l'ultima, è una delle tante condizioni imposte dal lavoro e per lui dovrebbe essere normale, ormai, perché dopotutto buona parte della sua esistenza è stata scandita da un susseguirsi continuo di ferite e strane malattie e dolore in generale (gli occhi di papà le notti in cui tornava da una caccia finita male e la sera in cui si era reso conto di non ricordare il volto di sua madre e il modo in cui Sam chiamava il suo nome dopo un incubo), ma la verità è che non puoi mai veramente abituartici, perché se lo fai significa che non hai più la speranza di poter diventare qualcun altro, un giorno. Non che lui lo desideri, no.

E Dean è stanco – davvero, davvero stanco –, ma una parte di lui, anche se è piccola e nascosta e dovrebbe essere già stata assassinata da una moltitudine infinita di mostri e ricordi e rimpianti, riesce ancora ad averla, quella speranza, e non sa nemmeno più se è davvero per se stesso, sicuramente non del tutto, eppure deve esserci qualcosa o sarà la fine e, beh, non può permetterselo. La fine è ancora lontana.

Forse in fondo è perché si tratta di Sammy, e quando è una vita intera che l'unica cosa importante è prendersi cura di lui (assicurati che stia al caldo che mangi che riesca a dormire consolalo quando piange curalo se si ammala), vederlo così e sapere di essere completamente impotente non è una bella sensazione – gli riporta alla mente certe serate inutili della sua infanzia in cui John era chissà dove da troppi giorni e lui era costretto a lasciarlo solo per andare a cercare un telefono con cui contattare Bobby, cercando di capire se era ancora vivo.

Ce n'è una in particolare che preferirebbe seppellire da qualche parte nello scomparto più nascosto e polveroso della sua memoria e che invece torna sempre fuori nei momenti meno opportuni – come questo, ad esempio, con Sam che sembra molto più giovane, rannicchiato com'è sul letto mezzo disfatto. Nonostante sia passato tanto tempo – e nonostante da allora abbiano affrontato ben di peggio che una brutta influenza – la considera ancora adesso una delle notti peggiori della sua vita, e non importa poi molto che sembri esagerato persino nella sua testa.

Aveva dodici anni e nessuno, a dodici anni, dovrebbe mai trovarsi in una situazione come quella, né dovrebbe, più di un decennio più tardi, risentire con chiarezza allarmante l'ansia e la preoccupazione e il panico, a un certo punto, panico vero, di quello che provi quando finiscono i proiettili. Ma, dopotutto, a dodici anni non si dovrebbe neppure saper imbracciare un fucile.

Del resto, non sono mai stati bambini ordinari.

 

 

 

Fairfield, Montana – 7 Dicembre 1991
 

Strizza la stoffa con foga forse eccessiva, le mani screpolate dalla ripetuta esposizione all'acqua gelida, scrollando le gocce in eccesso – l'asciugamano è un peso confortante fra le dita intirizzite, mentre chiude il rubinetto e corre nell'altra stanza, facendo davvero troppo rumore per essere d'aiuto al mal di testa di Sammy e maledicendosi un poco per questo.

Si avvicina al letto, sistemandosi sulla sedia che ha trascinato lì un paio d'ore prima per non essere costretto ad allontanarsi troppo, e gli scosta i capelli dalla fronte cercando di non svegliarlo, tamponando la pelle secca e bollente con il panno azzurro e umido.
Lo lascia lì sperando di dargli sollievo e scruta preoccupato il viso corrucciato dell'altro, il fiato che esce a scatti brevi e rapidi e per nulla regolari.

Infila cauto una mano sotto le coperte provando a non svegliarlo, e prende con delicatezza il termometro, attento a non scuoterlo.
Segna 38.5°C1 e questo sarebbe già abbastanza da spaventarlo, ma la cosa davvero terribile è che Sammy sembra diventare più caldo di secondo in secondo e lui non ha esattamente un'idea di cosa fare e si sta ispirando a vecchi film visti in televisione e alle raccomandazioni vaghe di papà.

(Papà che non c'è, e lui che non può nemmeno chiamare i soccorsi senza rischiare di attirare domande indesiderate – sono soltanto loro due e dovranno uscirne da soli).

Ha anche pensato di uscire per raccogliere manciate di neve da far sciogliere, in modo da avere acqua più fredda, ma non si fida a lasciarlo solo persino per quei pochi minuti, quindi si accontenteranno di quella del rubinetto.
Resta seduto per un po', anche se il sedile di legno duro è scomodo, le dita intrecciate in grembo, le spalle curve – osserva costantemente l'altro, ansioso, poi si alza di nuovo per inumidire ancora la pezza, che si asciuga a una velocità preoccupante.

È già di ritorno dal secondo viaggio verso il bagno quando il farfugliare confuso di suo fratello si fa per un istante distinto, facendolo bloccare sul posto quando afferra le parole.
La parola.

«Dean.» lo chiama con questo tono – un po' cantilenante, agitato, acuito dalle emozioni – quando ha bisogno di aiuto, e quando è spaventato, ed è così da quando riesce a ricordare.
Questa volta nella sua voce c'è abbastanza terrore da spezzargli il cuore – gli è accanto in un attimo, seduto sul letto, stavolta, la sedia abbandonata in favore della vicinanza.

«Dean.» sussurra di nuovo, la testa appena sollevata dal cuscino, gli occhi che vagano senza vederlo, persi nella confusione della febbre.
Si china su di lui per appoggiare l'asciugamano sulla sua fronte, mormorando appena, rassicurante, perché è tutto quel che può fare anche se detesta che sia così.


«Sono qui. Qui vicino. Cosa c'è?» cerca di sorridere, ma gli esce una smorfia contratta e per nulla rassicurante ed è solo felice che Sam non sembri vederlo, perché non sarebbe certo d'aiuto.
Si aggrappa al suo braccio, le dita serrate sulla stoffa della sua maglietta, come quando era più piccolo e aveva paura di perdersi per le strade di qualche città sconosciuta.

«C'è un uomo con gli occhi strani. Un uomo cattivo.» si volta di scatto, strappando le dita alla presa dell'altro e alzando i pugni istintivamente perché è quello che avrebbe fatto papà, aspettandosi di trovare chissà chi alle sue spalle con un coltello sollevato – ovviamente non c'è nessuno, perché come sarebbe poi entrato, con il sale ovunque e la porta chiusa con tre catenacci?

Si gira di nuovo verso Sam, interrogativo, ma quando vede le lacrime sulle sue guance capisce che non è niente più di un incubo partorito dalla sua mente febbricitante e allora l'unica cosa che gli resta da fare è sedersi più in alto, accanto a lui, e carezzargli i capelli come ricorda faceva sua madre, a volte, se non si sentiva bene, perché anche se della mamma non rammenta più molto, ormai, ci sono certe cose sepolte tanto a fondo dentro di lui che sa non potrà mai dimenticarle (la sua mano leggera sulla fronte i suoi occhi la sua speranza), ed è abbastanza grande da capire che è una fortuna.

«Va tutto bene.» dice, cercando di tenere la voce ferma, facendosi violenza per impedire alla preoccupazione di trasparire quando prende nuovamente le sue piccole dita fra le proprie e le sente troppo calde. «Era solo un brutto sogno, Sammy. Non avere paura.» e ci crede davvero, anche se lui di paura ne ha tanta, perché non può certo farglielo capire, non ora che ha bisogno di lui.
Suo fratello non gli risponde, si limita a stringere più forte la sua mano e strofinare il capo contro la federa, e Dean spera soltanto di averlo calmato, in qualche modo, perché non sarebbe in grado di gestire anche una crisi di panico, con il rischio, fra le altre cose, di peggiorare la situazione.

Gli cade lo sguardo sull'orologio e sobbalza al vedere l'orario – sono le due e lui dovrebbe essere a dormire da un pezzo, ma con Sammy in quelle condizioni non si azzarda neanche a sdraiarsi per un po' perché rischia di addormentarsi e quella non è un'opzione concepibile.

Potrebbe avere un altro incubo, o svegliarsi senza trovarlo lì, o- deve stare sveglio e basta.

Sospira, rassegnandosi a passare il resto della notte sulla sua sedia scomoda, ma quando prova ad alzarsi per cambiare il panno e magari rovistare nel kit del Pronto Soccorso, muovendosi piano per non disturbare Sam, lui alza la testa di scatto e rinsalda la presa sulla sua mano con forza sorprendente.

«Non andare via.» è quasi un gemito, la voce sottile inasprita dal mal di gola, «Dean, non andare via.» e vorrebbe davvero poter restare lì, fermo accanto a lui, e riuscire comunque ad aiutarlo, ma non può, perché ci sono veramente tante cose da fare e forse dovrà uscire a cercare una farmacia, una di quelle aperte tutta la notte, anche se fuori nevica tantissimo e lui non sa nemmeno se in quella cittadina sperduta esista una cosa simile.
Per ora, comunque, può soltanto ricambiare la sua stretta e mormorare qualche rassicurazione angosciata.

«Non sarò tanto lontano, d'accordo? Vado soltanto a vedere se abbiamo qualche medicina per te.» deglutisce, osservando ansioso il volto pallido dell'altro. Sam riesce ad annuire, o comunque prova a fargli un cenno d'assenso, prima di chiudere gli occhi e ricadere nel suo dormiveglia inquieto.
Libera la mano con riluttanza, poi si volta verso l'altro letto, dove ha appoggiato la borsa con i medicinali qualche ora prima, anche se sperava di non averne bisogno – è una grande sacca nera dove papà tiene un po' di tutto, dalle aspirine a strani contenitori intagliati che contengono liquidi maleodoranti di cui non conosce l'utilizzo.

Anche nel vasto assortimento che hanno a disposizione, Dean non riesce a trovare nulla che assomigli anche solo vagamente a un medicinale contro la febbre – sospira stancamente, osservando Sam da sopra la spalla, preoccupato.

Si avvicina alla finestra, scostando la tenda per studiare la situazione, fuori, ma capisce subito che non è possibile avventurarsi verso il centro città, non con la strada in quelle condizioni.
La neve cade da ore a fiocchi grossi e pesanti che si attaccano in fretta, e ormai sull'asfalto si sono accumulati circa una trentina di centimetri, almeno da quel che riesce a vedere dall'alto.
Nonostante l'ora, potrebbe comunque chiedere alla proprietaria dell'albergo – dorme in una stanza vicino alla reception, e aveva visto il suo sguardo impensierito quando erano arrivati, tre giorni prima. Aveva squadrato papà con quella che aveva tutta l'aria di essere disapprovazione, non appena Sammy aveva accennato a starnutire.

Si volta del tutto verso di lui, indeciso – non dovrebbe svegliarsi, la stanza è a prova di qualsiasi cosa e, in ogni caso, non ci metterebbe molto.
Ma potrebbe svegliarsi.

Potrebbe svegliarsi dopo un altro incubo, o aver bisogno di qualcosa, e lui non sarebbe lì.

Pondera per un attimo l'idea di rimanere. Poi ascolta bene il respiro di Sam – niente di rassicurante, troppo veloce, un ansimare spaventato – e la scaccia immediatamente, allungandosi per prendere la giacca da sopra l'altro letto.

 

Due minuti dopo sta bussando con energia alla porta della signora Miller, la punta delle orecchie mezzo congelata e i capelli corti inumiditi dalle raffiche di neve che il vento gli spinge addosso.
Lascia passare qualche secondo, e quando la signora non risponde alza il pugno chiuso per bussare di nuovo, ma non fa in tempo a toccare il legno che la porta si spalanca sullo sguardo assonnato della proprietaria, sguardo che diventa istantaneamente ansioso quando vede che è lui a cercarla a quell'ora di notte.

«Dean, tesoro? Cosa c'è?» si ricorda il suo nome anche se non li ha mai visti prima, e gli parla con tono basso, dolce, sinceramente interessata – Dean non ricorda nemmeno più l'ultima volta in cui qualcuno ha parlato a lui con un tono simile a quello, non quando sono tanti anni che lo utilizza lui stesso per calmare Sam.

Si schiarisce la voce, ricacciando giù l'improvvisa e inopportuna voglia di (piangere) sospirare per la tensione che viene rilasciata improvvisamente, senza che nemmeno si fosse accorto di trattenerla, fino a quel momento.
«Signora Miller, ha del... paracetamolo?» esita appena, cercando di ricordare se il nome è quello giusto – la vede aggrottare la fronte, poi annuisce, una ruga di preoccupazione che si fa più evidente all'angolo della bocca mentre si volta per andare a prenderlo.

Dean non ci fa caso, sposta il peso da un piede all'altro, impaziente, e quando lei torna con una boccetta quasi vuota si limita a ringraziarla e correre via, irrigidito dal freddo.

 

«Dai, Sammy. Svegliati.» lo scuote con delicatezza, ignorando lo sbuffare scontento che provoca – nell'altra mano tiene il bicchierino con la medicina, pieno per un quarto.
Quando lo vede aprire gli occhi, si sistema dietro di lui per tenergli sollevata la testa, mormorando parole di conforto mentre lo aiuta a bere – è abbastanza sicuro, a giudicare dalle sue smorfie, che il paracetamolo sia veramente pessimo, ma se gli serve non importa.

Lui inizia a tossire, Dean lancia il bicchiere da qualche parte sulle coperte e si siede meglio sul letto, dandogli un paio di pacche leggere sulla schiena.
Poi gli lascia appoggiare il capo sulle sue gambe, passando piano le dita fra i capelli troppo lunghi – Sam farfuglia qualcosa di incomprensibile, poi richiude gli occhi e già dorme di nuovo, più tranquillo.

O almeno gli sembra che sia più tranquillo e anche, dopo una decina di minuti, un po' più fresco.

Reclina la testa all'indietro, contro la testata del letto, sospirando di sollievo, e si addormenta senza nemmeno accorgersene.

 

(La mattina dopo John era tornato e li aveva trovati ancora così, suo fratello sdraiatogli comodamente in grembo e lui con la testa reclinata sulla spalla, contro il muro.
Sam non aveva quasi più febbre.

Quando si era svegliato, lentamente, con il peso confortante di Sammy addosso, Dean aveva sulle spalle una coperta che era sicuro di non aver preso, la sera prima).

 

 

 

Evanston, Wyoming
(di nuovo)


Dean ha il sonno leggero, teso, inquieto, sempre almeno un coltello a portata di mano e sempre pronto a balzare in piedi al minimo rumore – per questo trova decisamente esagerato che Sam senta il bisogno di chiamarlo ad alta voce, per svegliarlo, quando basterebbe un tocco sulla spalla.
«Dean.» è solo un mormorio, ma lo sente comunque. Mugugna un assenso, aprendo gli occhi di colpo solo per trovarlo addormentato, in condizioni molto migliori di quelle della sera prima.
Lui, al contrario, ha i muscoli indolenziti per aver dormito seduto in una posizione scomoda e le ossa che scricchiolano come vecchie tavole di legno.

Sam ha due occhiaie che lo fanno assomigliare a un procione, per di più preso sotto da un'auto – questo non è un bene, invece, perché significa che è rimasta qualche traccia di veleno nel suo sangue e che non possono ancora lasciare il Wyoming, quando invece sarebbe un'ottima idea cominciare a levare le tende.
Si tira in piedi a fatica, allungando le braccia sopra la testa – dando un'occhiata al cielo fuori dalla finestra, vede soltanto il suo riflesso. Aggrotta la fronte, stranito.

«Ah, Sammy.» a guardarlo meglio, Sam non sembra stare poi così bene – è pallido e sudato e indossa quel ridicolo pigiama che si ostina a infilarsi quando non devono partire troppo presto il giorno dopo, il che non migliora certo l'insieme generale.
Solleva un angolo della bocca – uno solo, perché non vuole dargli troppa soddisfazione anche se non può vederlo – e capisce perfettamente che alla fine, fra loro, non cambia mai nulla anche se passano gli anni.

(Non si è mai troppo grandi per gli incubi, vero?)

Sospira, prima di avvicinarsi per controllargli la temperatura.
Gli sfiora la fronte, leggero, e la sua sembra più una carezza.

Dopotutto, forse non si è mai troppo grandi neanche per lasciarsi consolare.





____________________________________________________________________________________________________________________________________________

Note tecniche:
1 Lo so che tecnicamente in America usano i Fahrenheit, ma ho preferito utilizzare la scala Celsius per comodità – in ogni caso, la temperatura in Fahrenheit sarebbe di poco superiore a 101°F :)

Il titolo è una citazione dall'Enrico V di Shakespeare, atto quarto, scena terza.


 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: Soqquadro04