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Autore: Bess Black    05/08/2015    4 recensioni
Regulus continuò a guidare il carrello fino ad approssimarlo il più possibile al treno a vapore, fino a quando Sirius non capì e gli si avvicinò.
«Non cambierà nulla ora che te ne vai, vero?»
«È solo Hogwarts.» Sirius lo disse dandogli una gomitata un po’ spinta, forzata laddove le parole non garantivano più di quello che significavano. «Il prossimo anno ci verrai anche tu.»
«Un anno.» Regulus sorrise, tirando una linea di labbra lunga quanto il tempo che contava.
«Un anno.» annuì Sirius. «Solo un anno e ce ne saremo andati entrambi da quell’Inferno.»
Il treno fischiò accompagnando la frase di Sirius con una ritmica buffa e dandole, così, un’espressività grottesca; esattamente quanto potevano esserlo quelle parole pronunciate da un bambino. Caricarono insieme il baule in carrozza per il puro gusto di fare qualcosa insieme e, mentre attorno a loro genitori e figli si facevano le prime promesse, loro si fecero l’ultima.
«Non cambierà nulla?» Regulus scese dal vagone e guardò il fratello dal basso.
«Non cambierà nulla.»
«Promesso?» La porta del vagone si chiuse ed il treno sbuffò per l’ultima volta, commemorando il momento.
Sirius rise. «Promesso.»
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Black, I Malandrini, Regulus Black, Sirius Black, Sorelle Black | Coppie: James Potter/Sirius Black, James Sirius/ Teddy, James Sirius/Dominique, James Sirius/Rose, James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'L'isola che non c'è'
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Grimmauld Place, numero dodici – 13 Maggio 1969
 

 

«…Tre, due, uno!»
Regulus fece appena in tempo a nascondersi dietro il portaombrelli, sul corridoio dell’entrata.
Aveva avuto più di trentacinque secondi per pensare ad un nascondiglio più recondito, più riparato, meno rischioso ed esplicito – ed in un certo senso l’aveva fatto, solo che alla fine si era recato spontaneamente al primo tra tutti i nascondigli che gli erano venuti in mente. Dietro il portaombrelli.
«Se ti trovo di nuovo sotto il vecchio comò dello zio Phineas, me ne vado da Andromeda e ti lascio a giocare a nascondino con Kreacher che fa finta di non sapere dove sei.»
Sirius scivolò lungo il corrimano, risparmiandosi più di una ventina di gradini. Si accasciò immediatamente a terra, contro tappeto indiano che dava sul salotto per controllare sotto il tavolo prima di entrare, in modo da poter avere, il tempo di tornare indietro di fretta. Accertato che suo fratello non era nascosto sotto nessuno dei tre tavoli del soggiorno, si azzardo ad entrarvi. Saltò con un balzò sopra il divano, appurando immediatamente che non era nemmeno lì. Si avvicinò alle tende e le spostò agilmente, nonostante fosse già certo che di Regulus non vi avrebbe distinto nemmeno l’ombra. Si fermò al centro della stanza e sbuffò sentitamente.
«Per favore, dimmi che non sei nascosto nello stanzino di Kreacher.» Si voltò verso la cucina, guardandola sospettoso. «Non ho intenzione di entrarci, ti avverto!»
Si fermò sulla soglia, senza attraversarla, ed incrociò le braccia al petto.
«Ti dico che non ci guardo nella cuccetta, tanto vale che vieni fuori.» Brontolò imbronciato, voltando il capo dalla parte opposta rispetto allo stanzino dell’elfo domestico, mentre lo scrutava diffidente con la coda dell’occhio, nello spiraglio tra il quale si chiudevano le ciglia dell’occhio destro e si aprivano quelle dell’occhio sinistro.
Il flutto di ciglia si ricongiunse accerchiando la pupilla non appena lo sguardo di Sirius si fu riassestato perpendicolarmente sulla porticina del ripostiglio. La scrutò avveduto, senza risparmiarsi una smorfia infastidita, risentita. Allungò la manica della camicia prima di toccare la maniglia dello stanzino ed abbassarla.
«Avanti, ora puoi venire fuori.»
Spinse un poco la porticina e fece un passo indietro, spiando nello spiraglio di polvere e muffa che intravvedeva.
«Cosa stai facendo in cucina, razza di disgraziato?»
Ad evitargli di sobbalzare sul posto fu solamente l’orgoglio. Sirius si allontanò dallo stanzino dell’elfo domestico, voltandosi e fronteggiando la madre.
«Io e Regulus stiamo giocando.» sillabò con tono sufficiente, instaurando un contatto visivo fermo.
La donna gli sorrise. «Giochi babbani, non è vero?» si abbassò a livello del suo sguardo, poggiando le mani sulle ginocchia. «Non è vero?»
Sirius non spostò lo sguardo e ricambiò lo stesso sorriso della madre in risposta.
«Sono questi gli esempi che dai a tuo fratello?»
Si appoggiò al bancone della cucina prima di risponderle, nonostante fosse fin troppo piccolo per arrivarci quanto bastava. «Hai ragione, sai?» concordò, annuendo. «Dovrei insegnargli a torturarli, i babbani, magari a partire dai nostri vicini, che dici?»
Sua mamma gli accarezzò la guancia. «Dico che sei in punizione e che se ti trovo ancora una volta a ficcargli robaccia babbana in testa, non vi lascio più giocare assieme.»
«Questo dovrebbe illuminarmi e convincermi a cambiare?»
«No, certo che no.» ridacchio, scuotendo il capo e smuovendo la pettinatura curata che le inquadrava il volto. «Però questo dovrebbe.» lo prese dai capelli saldamente, avvicinandoselo per guardarlo meglio, prima di spingerlo verso il ripostiglio dell’elfo domestico. «Magari una notte o due senza cibo e al freddo riusciranno ad illuminarti.»
Sirius permise che lo calcasse dentro, senza reagire in alcun modo, nemmeno quando richiuse la porticina e pronunciò un incantesimo per sigillarla.
«E lo sporco dovrebbe aiutarmi a cambiare?» domando sinceramente incuriosito, il bambino.
Ci mise qualche secondo di troppo a rispondergli ed, in realtà, fu questo ad allarmarlo, ancor prima che lei parlasse.
«Io non mi aspetto che cambi, Sirius.» Stava sorridendo, lo capì da quanto attillate ed appiccicose le uscivano le pause tra le parole che pronunciava. «Però illuminati.»
«Certo, vai pure a contare le teste degli elfi domestici, quando sarai tornata avrò compreso i valori etici ed istruttivi ai quali stai cercando di educarmi. Il tempo di un giretto e mi sarò illuminato.»
«Dolce amore di mamma, pensi davvero che lascerei la tua punizione in mano al tempo? O al freddo e la fame?»
Voleva vederla, guardarla mentre pronunciava quelle parole, voleva ricordarsi quel momento. Resistette alla tentazione di spiare dalla serratura. «In effetti, trovo più minacciosi i germi di Kreacher.»
«Il freddo non ti piace, ma non lo ripudi; la fame ti compiace, la sete ti gratifica; le punizioni non hanno alcun effetto su di te, l’ho capito da un bel po’, ormai.» si avvicinò alla porta e gli sussurrò la sua condanna, con la dolcezza di una ninna nanna. «Ora so qual è il tuo punto debole, Sirius.»
La signora Black sorrise un’ultima volta allo stanzino, piegando il capo di lato, compiaciuta della sua opera, giusto prima di completarla. Uscì dalla cucina, spegnendo le candele con un repentino soffio di bacchetta e chiudendosi la porta alle spalle. Attraversò il salone, uscendo sull’atrio, pratica nei movimenti.
«Piccolo, perché non vieni fuori?» si fermò davanti al portaombrelli, facendo una pressione sonora sui tacchi.
«Shh, mamma!» bisbiglio affiatato Regulus, ancora ben nascosto. «Mi farai scoprire!»
«No, la mamma non ti farà scoprire.» promise.
Il bambino azzardò un’occhiata oltre l’ombrello del padre. «Dov’è Sirius? Ancora nel salone?» domandò un poco imbarazzato.
«Ma, tesoro!» sospirò la sua mamma, abbassandosi il giusto per accarezzargli una guancia. «Sirius è andato dagli zii.»
«Cosa? E perché?»
La donna scrollò le spalle. «Voleva giocare un po’ con Andromeda.» spiegò, paziente. «Ha preso la Metropolvere.»
«E non mi porta con lui?» chiese, spostandosi verso il lato più luminoso dell’angolo, permettendo alla madre di contemplare l’opera finalmente completa. «Io sono stato bravo, non ho fatto nulla di male!»
«Tesoro, alcune persone non aspettano che tu faccia loro del male, per fartene a loro volta.» sancì la donna, fedele ai suoi principi. «La vera cattiveria non ha ragioni.»
«Ma…»
La signora Black si rimise in piedi, lisciandosi la gonna. «Lo so, Regulus.»
No, non lo sapeva.
 

Regulus rimase nascosto tutta la notte, ad aspettare che Sirius lo venisse a cercare, senza la pretesa che lo trovasse.





 

 
 
   
 
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