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Autore: Cleopatra Nekomata    06/08/2015    0 recensioni
In un mondo dove le libertà di chi nasce nobile ma ultimogenito sono pari a zero, l'unica speranza per sottrarsi a una vita in monastero è dedicarsi alla via della spada; così Roslìn si opporrà al destino scelto per lei e il futuro le riserve amarezze, ma anche gioie.
Una storia di come una rosa possa fiorire tra le spine del destino e magari trovare qualcuno che la colga e la porti via con sè, per Roslìn si svolge una favola, amara ma dal finale rassicurante.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mondo è crudele, così tanto da lasciar morire gli innocenti e i giusti e lasciare che i crudeli e gli assassini possano ancora respirare.

In un turbinio di pensieri oscuri una piccola bambina, dai capelli color nocciola e l'abitino panna ricamato d'oro, se ne stava sulla cassapanca foderata di cuscini della sua stanza a piangere. “La mamma era buona, perché doveva andarsene e lasciarmi sola?” pensava la piccola distrutta dal dolore.

Sentendo i singhiozzi, una ragazza apparve dalla porta e con un'espressione di immenso cordoglio e dolcezza la strinse a sé «Non piangere Roslìn. La mamma è andata in paradiso e da là ci veglia, non ci capiteranno cose cattive vedrai!» «Allora perché non impedisce a nostro padre di mandarmi in convento e te in sposa al principe? Noi non lo vogliamo e nemmeno lei voleva! Perché? PERCHÉ ANTOINETTE?» la sorella maggiore la strinse a sé e piansero insieme.

La mattina dopo la carrozza delle monache era arrivata alla corte di buon ora, Roslìn piegata dallo sgomento non faceva che piangere e rimaneva aggrappata alla gonna della sorella, mentre il fratello e il padre parlavano con la badessa: una donna statuaria e granitica, che con abile gesto della mano sganciò la stretta della bambina che subito venne condotta in convento. Roslìn spogliata di ogni diritto e di ogni avere sarebbe divenuta una monaca, in quanto terza figlia del Duca di Remon, una frazione del più vasto impero di Keylos.

La badessa controllava le sue adepte, mentre Roslìn veniva rasata e pulita, la piccola lacrimava e la badessa con voce severa le disse «Smettila di piangere, se vuoi puoi continuare a adoperare la spada, ma abbracciando il Signore dovrai pregare più di noi altre...» Roslìn sorpresa alzò lo sguardo e la badessa sorrideva tristemente. In seguito con la calma che si confà alle monache, Roslìn seppe che quella donna, quella monaca, era stata lei stessa portata a forza in convento, ma con la sua determinazione era riuscita a cambiare il suo stato e ora come badessa, poteva vedere il fuori dell'abbazia. La bambina trovò la spinta giusta, se avesse proseguito i suoi studi di spada, un giorno avrebbe potuto metterla al servizio del padre in battaglia.

Roslìn crebbe quindi nella fede in Dio e nella fede delle armi.

Le stagioni si susseguivano, il tempo mutava da sereno a tempesta e poi di nuovo a sereno e come ogni anno, tornava il giorno del compleanno, dove era concesso ai familiari di fare visita alle monache, ma in quella particolare ricorrenza c'era qualcosa di differente per Roslìn. Nel giorno del suo quindicesimo compleanno avrebbe dimostrato al Duca quale spadaccina aveva come familiare.

Nella bella mattina di primavera il sole alto segnava le undici, e per primo arrivò il padre. Il Duca di Remon era un uomo alto e che incuteva timore e rispetto, ma vedendola così cresciuta dall'anno prima, non poté non commuoversi ed abbracciarla.

«Figlia mia, sei divenuta una donna ordunque!» Roslìn a quell'affermazione scosse la testa in segno di diniego «No padre, sono divenuta monaca.» lui rimase sorpreso, poi le guardò i bei occhi da cerbiatta e il viso pallido dalle guance lievemente colorate, si chiese se non avesse fatto male a renderla monaca e non usarla per un matrimonio combinato; in quanto sua figlia era cresciuta come una rosa in mezzo a dei rovi: sana, rosea e splendida. I suoi pensieri vennero interrotti dall'arrivo della sorella Antoinette. Ella era una donna dalla salute cagionevole, incline alla debolezza, ma con coraggio portava in grembo il secondo erede al trono. Era pallida e smunta in viso, notarono il padre e la sorella.

Roslìn era solita darle mille premure e la fece accomodare. L'unica della sua famiglia che aveva il permesso per poter sostare all'abbazia per più giorni era proprio Antoinette , in quanto l'aria di mare aiutava a farla stare meglio e il luogo era sempre ben protetto, senza male lingue o cattivi ascoltatori.

Per ultimo arrivò infine il fratello maggiore, Roslìn non aveva mai avuto buoni rapporti con lui, era già molto se ne ricordava il nome: Devrin. Lui era spocchioso, irriverente, maleducato oltre ogni immaginazione; odiava che venisse fin dentro l'abbazia, in quanto spesso dava prova di essere un molestatore di monache, senza rispetto per la religione in cui lui stesso era battezzato.

Dopo molti convenevoli, il pranzo frugale ma leggermente più buono del solito e chiacchiere, finalmente arrivò il momento per Roslìn di mostrare al padre e al fratello quanto valeva.

Ci furono prima delle discussioni accese per quella scelta, ma la Badessa mise a tacere i due uomini.

«Fratello, incrocia con me la spada e decidi dunque se merito uno schiaffo o l'arruolamento!» Devrin, che non perdeva occasione per sminuire la sorella, estrasse dal fodero l'arma deciso ad ammazzarla una volta per tutte. Roslìn si fece benedire dalla badessa la sua spada, per poi inchinarsi e mettersi in guardia. Senza nemmeno inchinarsi Devrin fece vibrare la sua arma, un fendente alto che permise a Roslìn di sgusciarvi sotto e di parare il colpo. Devrin seccato, provò un affondo prendendo una rincorsa, con estrema freddezza Roslìn lo riuscì a disarmare, agganciando la spada di lui e gettandola lontano. Devrin la rincorse e quando finalmente l'ebbe recuperata suo padre si alzò in piedi della panchina, vicino all'altra figlia. «Basta così Devrin!»

«Ma padre! Questo è un affronto!» il padre lo schiaffeggiò «Tu sei un affronto! Farsi disarmare e poi protestare per la sconfitta, non è degno di un cavaliere!» infine si rivolse alla figlia «Non sono felice che tu voglia imbracciare le armi, ma se è il volere di Dio e del Clero, ti darò posto nel mio esercito» Roslìn era felicissima e mostrò la lettera da parte del cardinale, destinata a suo padre, per concederle il permesso di lasciare il convento. Il Duca sorrise e accompagnò personalmente la figlia fuori da lì qualche giorno dopo.

 

Non era raro trovare tra le fila dei soldati delle donne, il loro mondo non era fatto di sole donne deboli e fragili ma, anche di spaventosamente forti e di volontà, però una monaca guerriera era insolita, molto insolita. A Roslìn venne data un'armatura, e tutto ciò di cui poteva aver bisogno ma, quando il padre volle darle anche un cavallo lei si oppose rispondendogli «Sono un soldato come gli altri se non con un pizzico di fede in più, nient'altro mi è dovuto.» così dicendo sorrise e se ne andò verso l'accampamento. Ognuno di quei soldati la scherniva, non credendola capace di reggere il peso nemmeno di un elmo. Tra di loro vi erano anche alcune donne, mogli e figlie di miliziani che la presero a cuore e Roslìn riuscì inaspettatamente a fare amicizia con loro. La ragazza si sentì piena di gioia, finalmente dopo molto tempo.

 

Ci furono molte battaglie negli anni che vennero e il plotone cambiò, facendo crescere Roslìn e dandole modo di scalare la gerarchia del comando. Finché il giorno del suo ventunesimo compleanno fu promossa a Generale! “Dio opera in maniera misteriosa” le solevano dire al convento, ma in quel momento lasciò che Dio le facesse percorrere quella strada, che lei stessa adorava. Nella sua scintillante armatura bianca, dalle rifiniture in ferro laminato (poiché aveva abbracciato l'austerità e non accettava quindi l'argento) e la croce sul petto, Roslìn era l'unica donna Generale del reggimento del padre, egli era fiero che almeno lei fosse così brava in quel mestiere; in quanto il fratello era più concentrato sulle donne e sul vino che sui suoi soldati in battaglia.

Il giorno dell'investitura seppe che le sarebbe stato affidato un nuovo comandate.

Il suo nome era Reginhald Redfield. Anche lui si era distinto in battaglia per ferocia e astuzia. Quell'uomo era famoso per gli occhi profondi come due specchi d'acqua, aveva fama di essere in grado di far innamorare tutte le fanciulle che incrociavano lo sguardo con lui e questo gli aveva procurato qualche disagio nella gavetta nell'esercito ma, tutto sommato era riuscito ad arrivare dov'era.

Con fare pensieroso Reginhald si aggirava per la chiesa e non riusciva a non immaginare al suo Generale come a una specie di donna cannone, in quanto non era mai stato in quel battaglione e aveva solo sentito voci sulla figlia del Duca divenuta monaca e poi guerriera. La storia della donna misteriosa era una favola da raccontare ai bambini prima di addormentarsi, pensava lui.

Durante la messa nessuno la vide, poiché il posto riservato alle monache si trovava separato dalla navata principale e risiedeva nell'abside, assieme al Vescovo e ai preti e la sua cerimonia si svolse lì. Il Duca avrebbe voluto che tutti vi assistessero, ma niente aveva potuto smuovere il Vescovo. Dopo il termine della funzione Reginhald salutò gli uomini di Chiesa e si mise in attesa del suo Generale in fondo alla navata, vicino al portone. Le monache uscirono dall'abside in preghiera e si andarono a sistemare nelle panche vicino al santuario di S. Giorgio e finalmente l'uomo la vide, l'armatura bianca e argentea della casata Remon indossata sopra la cotta di maglia e un ulteriore cappuccio bianco che le copriva la testa e il collo, le mani giunte e lo sguardo basso in segno di rispetto, ma di una tale fierezza che lo fece sentire misero, così misero da provare il bisogno di pregare e magari di chiedere ammenda per i propri peccati, andando a confessarsi. Il mormorio delle preghiere recitate a bassa voce erano un canto mistico alle orecchie di Reginhald che a sua volta recitava quel poco che sapeva del rosario ma, poco dopo il mormorio cessò e il Generale si alzò in piedi, ma non si voltò o diede cenno di volersene andare; Reginhald aspettò impaziente.

Non capiva cosa stesse facendo lì, in piedi, ma all'improvviso come se fosse arrivato un angelo cominciò un cantico, la voce della monaca era limpida e celestiale mentre intonava “La preghiera”. Anche lui lo conosceva, ma intimorito faceva eco con le monache dietro la splendida voce di Roslìn.

Quanti sentimenti provava il povero Reginhald! Amore, compassione, tristezza e molti altri, non riuscì più a contenerli e delle lacrime sgorgarono dai suoi occhi. Sentendolo singhiozzare il prete gli si avvicinò e mettendogli una mano sulla spalla gli sussurrò «Bella vero? A tutti fa questo effetto la prima volta.» poi con dolcezza guardò anche la monaca.

«Posso, approfittare per chiederle di confessarmi, Padre?» il canonico acconsentì, ma l'uomo non volle andare in confessionale, un po perché i suoi peccati li conosceva anche il prete ma anche perché non voleva perdersi quel canto meraviglioso.

Passò una mezz'ora buona prima che Roslìn avesse terminato la preghiera del pomeriggio, quando fu pronta recuperò il suo elmo, la spada e si diresse verso l'uscita, dove ad aspettarla c'era il suo nuovo comandante, lo riconobbe dall'armatura.

«Generale! Sono Reginh...» la monaca lo zittì con un gesto della mano rapido e secco, lui si sentì trapassare come da un fendente invisibile e col capo abbassato chiese di perdonarlo. Non ci pensava più che la donna di fronte a lui potesse essere così rigorosa, ma la sua dottrina era stata cresciuta con lei. Il Generale gli fece cenno di uscire e subito lui obbedì.

La vista dalla Basilica di S. Cristoforo era meravigliosa. La chiesa si ergeva su di un promontorio e le scale per raggiungerlo erano lastricate di marmo bianco, ogni dove si poteva vedere lo stemma della casata Remon e i suoi stendardi svettavano dai torrioni delle mure di cinta e persino in cima al campanile. Nel sole caldo di quel pomeriggio, le loro armature avevano assunto un colorito giallo vivace e le lamine in argento per lui, e in ferro per lei splendevano come gioielli.

«Perdonatemi per poco fa, sono stato irrispettoso» la donna scosse il capo e lo invitò a proseguire con le presentazioni «Sono Reginhald Redfield, comandante del terzo battaglione di Sua Signoria il Duca di Remon» Roslìn annuì e accennò un sorriso «D'ora in avanti risponderete a me Redfield, penso che conosciate il mio nome ma comunque... Sono Roslìn Catherina Remon Generale e terza figlia del Duca Remon. Vi chiedo di osservare il massimo pudore in mia presenza.»

«Signorsì!» rispose lui intimorito e palesemente paonazzo, le dicerie di Don Giovanni sul suo conto

erano arrivate alle orecchie della monaca. Roslìn lo fissava con i suoi occhi bruni, lo squadrava e ne metteva i pezzi al loro posto come un puzzle. Con lei non avrebbe fatto effetto il bello sguardo del comandante, lui non se ne dispiacque in quanto provava una profonda ammirazione per gli uomini e le donne di chiesa, ma in fondo pensò che fosse un peccato che fosse una monaca, perché il volto aggraziato era piacevole da vedere e magari da toccare.

«Vi ho visto in chiesa, siete credente?» domandò lei

«Sì, mi sono convertito qualche tempo fa. I miei genitori, povere anime credevano in Dei antichi, ma io non provavo simpatia per loro, così mi sono fatto battezzare...» la monaca lo fissava con occhi indagatori, ne dedusse che per la donna fosse importante sapere questo genere di cose «Perdonate mi fido di voi come soldato, ma vorrei sapere della vostra fede in quanto monaca, avete fatto la prima comunione?»

A quella domanda Reginhald arrossì un poco «No! Non ancora perché sto studiando, ma sono uno zuccone» Roslìn rise di gusto «Nostro signore ci ama tutti, intelligenti o meno se si ha la fede si può fare tutto, non si arrenda Redfield e se ha bisogno per studiare chieda a me» l'uomo rimase colpito dalla gioia che la monaca dimostrava e al contrasto con lo sguardo fiero che aveva visto prima.

Roslìn esortò Reginhald a seguirla e tornarono nel palazzo delle guardie dove per i prossimi mesi avrebbero alloggiato.

 

Sangue e morte ovunque.

Lo scenario di splendida sabbia bianca, contrastava con le chiazze di rosso purpureo, e nemmeno il mare con la sua aria benefica sembrava poter fare nulla contro l'odore di morte che aleggiava nel territorio dei Remon. Dopo pochi mesi dall'investitura di Roslìn, suo padre aveva ingaggiato una battaglia sanguinosa con un potente signore che contrastava gli interessi di suo cognato, il Re. Roslìn pregava ad ogni partenza e a ogni ritorno dal campo di battaglia e Redfield aveva preso l'abitudine di pregare con lei.

Dopo la preghiera Reginhald si permise di parlare «Se posso permettermi, perché siete divenuta un soldato? Una monaca professa la pace e quant'altro...»

Roslìn si voltò, era ancora dolorante per tutti i colpi subiti e per precedenti ferite «Non vi ricordate? Io sono terzogenita, il mio ruolo non era importante e farmi studiare in convento era la cosa più conveniente, ma in realtà sin da piccola il mio desiderio era unirmi a mio padre in battaglia, per essere utile... credo»

Reginhald rimase stupito, da dove veniva lui ogni figlio era importante o forse tra i nobili era tutto differente. «Siete indubbiamente una gran risorsa! E una donna di spirito.»

A quelle parole Roslìn sorrise, stanca e depressa, ma consapevole della sua forza. Lui di rimando. Anche se passavano molto tempo insieme, nessuno dei due poteva di certo dire di conoscere l'altro abbastanza da prendersi confidenze.

Il tempo curò questo aspetto, Roslìn aiutò Reginhald a diventare un Cristiano e lui le raccontava della religione dei suoi genitori. Quando l'uno citava alcune cose della sua vita passata, l'altra poteva fare lo stesso. Erano così diventati buoni amici nell'arco di qualche mese.

Cosa che non passò inosservata a Devrin, che sotto il suo sguardo perso, tramava di far passare alla sorella dei guai.

Non c'è niente di peggio delle chiacchiere della gente!

Quando alle orecchie del Duca riecheggiarono affermazioni sulla figlia, decise di indagare lui stesso. Lo stesso pomeriggio le fece visita, nella cappella di famiglia.

«Roslìn, mia cara devo parlarti» disse l'uomo dalla barba ormai brizzolata, alle spalle della ragazza, che voltandosi gli rispose «Sì padre, ma prima unitevi a me in preghiera»

«Non ve ne è il tempo, devi venire subito con me!» a quella affermazione la monaca si sbrigò a seguirlo. Il padre aveva fatto convocare la Badessa che nel vedere la ragazza ormai divenuta grande si commosse un poco, ma subito reagì consapevole di ciò che si diceva sul suo conto. Quando Roslìn vide la reazione non poté più tacere «A cosa è dovuta la vostra visita Badessa? A quanto pare non è una visita di piacere»

La monaca profondamente addolorata cominciò a spiegarle «Cara Roslìn, girano voci molte dubbie nei tuoi riguardi. Uomini sono pronti a giurare di averti vista rompere la tua promessa di castità con l'uomo che è tuo sottoposto. Noi siamo qui per accertarcene» a quelle parole la rabbia risalì le vene della giovane «Menzogne! Buttano su di me il fango che non possono altrimenti, gettare sul nome di mio padre!» L'uomo, pallido di stanchezza sedeva in fondo alla stanza, a quelle parole si era risollevato, credeva ancora nella sua bambina. Fu allestito un paravento, e alla monaca venne chiesto di spogliarsi almeno delle braghe. La Badessa si accertò che la vulva fosse intatta e così era. Quando il Duca di Remon lo seppe, dichiarò che tutti coloro che avevano calunniato il suo generale fossero arrestati a condotti a lui. Roslìn si sentiva tradita, sporca e sopratutto iraconda verso coloro che avevano dubitato della sua fede.

Quella sera il suo comandante le si avvicinò, ma lei ancora sconcertata dall'accaduto lo cacciò via in malo modo. Reginhald non sapeva bene cosa fare, Roslìn solitamente non reagiva così, nemmeno quando era molto stanca o turbata; e subito pensò che fosse accaduto qualcosa di grave. Così, senza sapere bene dove andare, girò per le stanze gremite di soldati, quando a un certo punto due donne cominciarono a fare a pugni con dei commilitoni. Subito Redfield si precipitò a sedare la rissa, ma i due uomini riconoscendolo gli gridarono «Eccolo! Se non credete a noi chiedete a lui!» il comandante non riuscì a capire quello strampalato discorso finché non gli venne posta la domanda da una delle due combattenti «É vero che avete fatto rompere il voto di castità al Generale Remon? Siete voi quel mostro anticristiano?»

«É lui! Dicono che voglia offrire ai suoi dei le nostre donne di fede!»

«Che mostro!»

«Meritate di essere castrato!»

Reginhald non riuscì a dire niente in giustificazione, perché venne accerchiato e preso a botte e per quanto fosse abile e forte, non poté nulla contro una decina di uomini.

Sentendo un gran trambusto il Duca, sceso per placare gli animi e assieme alla Badessa per sfatare le dicerie, assistette al pestaggio e subito li fermò, con quel suo tono freddo e implacabile «Costui è innocente, razza di bifolchi! Mia figlia non ha mai conosciuto uomo, come la Santa Vergine!» dicendo quello, la Badessa chiamò in assemblea i soldati e poté dire che tali voci erano ingiuste, infamanti e contorte, ai danni di un Generale e del suo Comandante e che presto chi fosse stato il mandante di tali calunnie avrebbe subito una punizione esemplare.

Fu solo qualche giorno dopo, che grazie a pochi uomini che erano stati pagati per diffondere le menzogne, additarono Devrin.

Disgustato da quel comportamento, il Duca ordinò che gli fosse tagliata la lingua, bruciate le mani e ne dispose l'immediato allontanamento dall'esercito, diseredandolo e non riconoscendolo più come figlio suo. A fronte di tutto questo, Roslìn non aveva potuto rimanere impassibile nei confronti di Reginhald e volle scusarsi per il suo comportamento. L'uomo le stava di fronte, osservava l'abito monastico di rosso scuro, la cuffia bianca le copriva la nuca calva e ad ornarla c'era solo un velo, delicato e rifinito di pizzo; le sorrise dolcemente e si inchinò. «Per voi Milady questo e altro, vi seguirei fino oltre i cancelli del tartaro... scusatemi fino negli inferi!» Roslìn, non poteva dimostrare affetto con gesti plateali, così per farlo gli asciugò le ferite col suo fazzoletto «Allora accompagnatemi sul campo di battaglia come avete sempre fatto, quello è un inferno sceso sulla terra.» il cuore di Reginhald, e lui lo sapeva, da quel momento in poi non sarebbe mai più stato di nessun'altra donna.

 

Passò un anno da quel tragico evento, le calunnie erano passate, ma comunque il dolore della perdita del fratello aveva messo Antoinette in una sorta di depressione infinita. Era ormai in stato avanzato di gravidanza del terzo figlio, quando la sua salute peggiorò vistosamente.

Roslìn questo non lo sapeva, poiché sul campo di battaglia le notizie non arrivavano mai puntuali. Durante la marcia per le vie della città, dove furono accolti in pompa magna, né lei né suo padre potevano immaginarlo. Soltanto quando arrivarono al palazzo reale fu rivelato loro dal Re in persona, lo stato di salute della regina. Roslìn era incredula e decise di andarla a trovare; quando la vide distesa sul letto pensò che si fosse mimetizzata con le lenzuola bianche, da tanto che era pallida «Sorella mia, siamo tornati dalla guerra, abbiamo vinto!» Antoinette sorrise lievemente e si accarezzò il ventre «Tu hai vinto Roslìn, ma io perderò questa battaglia, sono troppo stanca.»

«Suvvia non dite così! In voi alberga ancora l'amore per la vita e poi il vostro bambino non può vivere senza voi» la donna, o quel che ne rimaneva, rise flebilmente «No, i miei figli non li ho potuti nemmeno cullare, c'erano altri che si occupavano di loro tutto il giorno. No io non servo» Roslìn la pregava di non dire così, ma l'altra era veramente inconsolabile. Alla giovane sorella non rimaneva che pregare per lei.

Una volta uscita dalla stanza si ritrovò di fronte a suo padre che volle entrare, si scambiarono poche parole, perché il Duca capiva bene la situazione. Roslìn rimase lì, davanti a quella porta, mentre per il corridoio si affrettavano i servi intenti nelle loro mansioni. Così distratti da non notare le lacrime che scendevano copiose dagli occhi della donna.

“A quanto pare Dio vuole toglierci ancora dei cari!” pensò amaramente. No, lei non era mai stata veramente una fedele, odiava quel Dio che le portava via le persone che amava!

Nel momento in cui questo turbinio di pensieri la gettavano nello sconforto, Reginhald arrivò di fronte a lei. Il comandante le porse il suo fazzoletto, il suo volto dai lineamenti dolci, intaccati solo da una lieve barba, era intriso di mestia e cordoglio, ma per non peggiorare la situazione disse questo a Roslìn «Abbiate fede, non vacillate proprio adesso!»

Roslìn alzò gli occhi finalmente ad incontrare il viso di lui. Reginhal le vide lo stupore dipinto in volto, ma non ci pensò e le sorrise come sempre, come quando ne combinava una delle sue.

Roslìn ora sapeva.

Ora capiva.

Vedendo quegli occhi, per la prima volta capì che Dio ti apre strade impensabili, e Reginhald... Era la sua strada?

Distolse lo sguardo e lo ringraziò, ed insieme andarono a pregare nella cappella regale.

 

Passarono poche settimane, quando, nel bel mezzo della notte, Roslìn fu svegliata di soprassalto dalla levatrice di sua sorella. Aveva gli occhi appiccicosi e le orecchie ancore otturate dal sonno, capì solo che sua sorella stava per dare alla luce l'ultimo dei figli del Re, ma aveva bisogno che qualcuno aiutasse la sua signora, perché non “voli in cielo”.

Roslìn non si curò di avere solo la camicia da notte addosso e corse ad aiutare, sebbene non sapesse bene come fare.

Antoinette era pallida, gridava di dolore e piangeva, Roslìn aveva il cuore che le si stringeva in petto nel vederla così; la levatrice le disse di aiutarla a tenerla su col busto, così la prese alle spalle come in un abbraccio e le stringeva le mani. Antoinette in preda alle doglie stringeva forte le mani della sorella, ma la sua presa era poco energica. Roslìn cercò di non pensarci e cercò di incitarla.

Ci volle più di un'ora perché il bambino nascesse, ma con gioia fu accolto anche questo maschietto che venne dato alla regina, ma Antoinette era così stanca che non aveva la forza di tenerlo in braccio e per lei ci pensò la sorella.

«Antoinette! É maschio ed è bellissimo!» la sorella estenuata le sorrise e poi chiuse gli occhi. Roslìn la coprì e la lasciò riposare.

Dopo qualche tempo il Re e il Duca entrarono per vedere il bambino. Furono momenti di gioia, finché il Re si apprestò a dare un bacio alla sua regina, le scostò i capelli e appoggiò le labbra sulla fronte umida e... fredda. Non fredda come quando il sudore si asciuga, ma fredda di morte.

L'uomo scioccato tentò di svegliarla, la chiamava la implorava di svegliarsi, ma lei non reagiva.

Il Duca prese Roslìn e la portò fuori dalla stanza. Un attimo dopo anche loro erano in lacrime, lei stringeva il piccolo appena nato che cominciò a singhiozzare di risposta ai due adulti.

Reginhald che aveva appena smontato la guardia aveva visto il palazzo in fermento. Avendo intuito l'arrivo del terzo principino, volle subito andare a congratularsi, coi sovrani e con Roslìn e il Duca.

Quando arrivò trovò una scena ben diversa da quella che si era immaginato, Roslìn era di fronte al padre e piangeva, il piccolo tra le braccia di lei, era stretto in maniera che non le cadesse di braccio, il padre con le lacrime agli occhi le accarezzava la testa calva e nuda. Ora più che mai il comandante ebbe un moto in fondo al cuore e l'istinto di abbracciarla era forte, ma di fronte al Duca non avrebbe mai fatto ciò. Roslìn alzò lo sguardo e singhiozzando lo chiamò a sé. Reginhald avanzò con le braccia spalancate e lei ci si tuffò dentro.

«Mi dispiace tanto, io non avrei mai immaginato...» cercò di dire mentre la teneva tra le braccia, poi rivolse una carezza pure al piccino. Quella notte la bandiera del Re fu messa a mezz'asta, pure il vento smise di soffiare come se anche lui fosse dispiaciuto.

 

Molti giorni più tardi Roslìn, finalmente riuscì a parlare a Reginhald in privato. Lo ringraziò per aver fatto lui la sua parte mentre lei preparava i funerali.

«Per quanto riguarda l'altra sera...»

«Era solo un abbraccio di cordoglio Milady...?»

«Sì... Sì! Consideralo tale, per favore»

«Certo Milady»

Ad entrambi facevano male quelle parole, ma non c'era modo per nessuno dei due di poter mutare le cose da così come si presentavano.

Roslìn ne era conscia, non doveva provare nulla, eppure non riusciva a togliersi dalla mente il profumo di lui, le sue braccia forti e i suoi gesti d'affetto. Non ne era certa, ma pensava che in qualche modo la corrispondesse e il cuore le doleva in petto per questo. In quanto a Reginald il suo stato era misero, non aveva mai pensato ad innamorarsi; una notte per lui era sufficiente per stare con una donna, ogni istinto si poteva placare, ma non quello che lo muoveva adesso. Desiderava più di ogni altra cosa poter stare con quella donna! Ma come una mannaia tra capo e collo gli tornarono alla mente le calunnie del figlio del Duca, di appena un anno prima. Tremò al pensiero che la sua signora potesse venir macchiata ancora di tali accuse, tanto da irrigidire ogni pensiero su Roslìn.

 

Il tempo lenì le pene per la morte della Regina nel cuore della sorella, ormai era passato un anno da quel tragico evento. Anche la vicinanza di Reginhald le fu di grande aiuto, ormai per i due era difficile nascondere il sentimento che era sorto nei loro cuori. Ogni sguardo che i due si lanciavano, se osservato con malizia, avrebbe rivelato tutto l'amore che vi era celato.

Ogni giorno diventava sempre più difficile. Finché ...

“Un anno” pensò Roslìn, mentre si guardava allo specchio della sua camera, stava indossando la sua corazza, quando tutto d'un tratto sentì bussare alla porta «Avanti» incoraggiò l'altro, con una voce così limpida che riecheggiando per la stanza un dono musicale alle orecchie del padre, stanco e afflitto da qualcosa che Roslìn ancora non conosceva. La figlia con molta premura, fece sedere il padre e lo invitò a dire ciò che visibilmente lo stava affliggendo «Roslìn, cara figliola. Non so nemmeno che parole usare, per darti questa notizia. Oggi il Re, ha ricevuto un “invito” a deporre le armi contro il Duca di Norìmba, ma per fare questo c'è bisogno di un matrimonio...»

Roslìn trasalì e divenne bianca come un cadavere, prima che potesse aprire bocca, suo padre le spiegò «Il Re, non ha figlie femmine e non aveva mai pensato a prendere sotto la sua protezione fanciulle di nobile rango. Se la Chiesa ce lo concede, la scelta sarebbe ricaduta su di te» la donna non disse nulla, scostò la sedia per poterla usare, si apprestò a raggiungere il calice del vino e ne bevve abbondantemente. Il Duca rimase a fissarla per lunghi attimi «Perdonami... Sei l'ultima dei miei figli e debbo manovrarti così per dei giochi politici...»

«ALLORA NON FATELO!» sbottò Roslìn, facendo ricadere violentemente il calice sul tavolo e innaffiando la tavola di vino.

«Se vi dispiace così tanto, dite che ormai sono la sposa del Signore. Che ormai la mia mano non può essere concessa! A cosa è valso due anni fa, allontanare mio fratello se poi oggi mi chiedete di venire meno ai miei voti!?»

Il Duca Remon la guardava con gli occhi vuoti, Roslìn capì allora che anche suo padre non stava più bene.

«Siete malato? Volete mandarmi a vivere come una signora ...»

«Perché ho paura che qualcuno ti faccia del male» le rispose secco lui

Ne seguì un silenzio agghiacciante.

Roslìn scosse la testa

«No, mi rifiuto» il padre si prese la testa tra le mani, «Mi dispiace, non era una cortesia da chiedere, il Re ha già chiesto al Vescovo di intercedere per il ritiro dei voti e l'organizzazione della cerimonia nuziale in primavera.»

A quelle parole Roslìn si sentì come pugnalata alle spalle, cercò di trattenere la sua frustrazione «Sarete stanco, perché non andate a riposare? Padre...» così dicendo la donna lo stava invitando a uscire, perché non era più in grado di trattenere le lacrime.

Dopo un'oretta circa, Reginhald si affacciò alla porta della sua signora.

«Generale? Milady, ci siete?»

Quando il comandante entrò nella stanza, trovò la donna accovacciata sui cuscini che ricoprivano il davanzale della finestra a piangere.

«Milady...» il cuore di Reginhald ebbe un sussulto, accostò la porta e le andò incontro. L'abbracciò forte, le prese il volto tra le mani e cominciò a baciarle il viso. Roslìn, non si oppose anzi gliene restituì più che poté, nonostante i singhiozzi del pianto. Il comandante, l'avvolse tra le sue braccia ancora una volta, e le sussurrò «Non posso più vedervi soffrire. Fuggite con me!» la donna incredula si scostò un po’, per poterlo guardare in faccia.

«Vaneggi? E come potrei fuggire? L'unica soluzione che vedo è la morte!»

Reginhald spavaldo le annuì, «Sei forse pazzo? Con il suicidio con arriverai mai a Dio»

«Ma un finto suicidio, ci darebbe modo di allontanarci da questa realtà dove non abbiamo più nulla, e potremmo vivere insieme, come due persone normali» quell'idea era malsana, folle! Ma a Roslìn piacque, lo abbracciò e lo tenne stretto a sé. Non voleva perdere anche lui, quel dono prezioso arrivato dal cielo.

Quella sera Roslìn cenò vicino al padre nella sala grande, dove tutta l'armata era solita riunirsi a desinare. Il Duca mangiava volentieri in mezzo al suo esercito, ormai divenuto parte integrante della sua famiglia e di solito lo rilassava abbastanza da mangiare spensieratamente ma non quella sera; mangiò molto poco e parlò ancora meno, quando il generale sua figlia aprì finalmente bocca, i commensali erano andati altrove e i servitori stavano già sparecchiando.

«Padre, per quanto riguarda quello che mi avete detto oggi...»

«Sì, figliola dimmi pure»

Lei lo osservò, il volto piegato di rughe apparse solo da un anno a quella parte lo rendevano ancora più stanco agli occhi della donna, si fece coraggio e proseguì nel discorso.

«Ho un solo desiderio prima di sancire il matrimonio, andare per un'ultima volta in battaglia»

Il Duca di Remon alzò gli occhi opachi e annuì «Sì, te lo concedo. Per te e per i tuoi sottoposti, ve lo meritate» il Duca si alzò da tavola e se ne andò con un andatura poco stabile ma sicura del fatto suo.

“Perdonatemi padre, con questo vi porterò a morte certa, ma se non lo faccio sarò io a morirne...” Roslìn fissava la schiena del vecchio padre andarsene e poi sparire dietro la porta che si richiudeva dietro di lui, istintivamente la donna portò la mano a un ciondolo intagliato che portava al collo, ben nascosto. Una piccola rosa intrecciata ad una spada che sembrava una croce. La guardò e sorrise pensando al momento in cui le era stata donata. Quel pomeriggio infatti Reghinald con il suo modo di fare spontaneo, le aveva donato quel ciondolo, intagliato da lui stesso dicendole: «L'ho fatto pensando a voi: bella come una rosa, forte come la fede e tagliente come una spada» lei di rimando «Quindi è voluto che questa spada sembri una croce?» ne seguì un silenzio imbarazzato «No... In realtà mi è venuta solo male» e si mise a ridere di fronte a lei che ne era rimasta sorpresa, così l'uomo le prese le mani tornando serio «Però ciò che penso di voi è sincero, vi amo dal profondo del cuore» e le sorrise come un bambino dispettoso. A quel sorriso Roslìn rispose con un bacio, dato in fronte. «Quando saremo lontani da qui, vi prometto altri tipi di baci, ma per ora dovrete accontentarvi» il cuore di Reghinald batteva forte, con un sorriso l'abbracciò nuovamente e poi si congedò.

 

Dopo circa due settimane, le truppe si erano schierate sul campo di battaglia. Le armature splendevano sul campo scuro di pioggia e sangue. Gli stendardi del ducato Remon e quelli del Re troppo zuppi stavano accasciati sulle aste, i cavalli stranamente tranquilli sembravano non aver voglia di quell'ultima battaglia. Lo squadrone da fronteggiare erano dei ribelli di un ducato minore che contrastava il Duca di Norìmba, il Duca di Remon si era offerto di sedarlo una volta per tutte per accontentare la figlia e rendere omaggio al futuro cognato. Infatti giusto il giorno prima, Roslìn era stata sciolta dai voti di castità, ma era stato tenuto segreto per permetterle quell'ultima e tanto desiderata battaglia.

Quando i corni suonarono, la battaglia ebbe inizio. La fanteria partì alla carica e stava avendo facilmente la meglio su quel manipolo di persone ormai disastrate dai precedenti scontri e logorati dalla fame e dalla fatica. Roslìn capì che in quella situazione non si sarebbe creata la confusione ideale per permetterle a lei e a Reghinald di fuggire, così per la prima volta dopo quasi dieci anni di servizio militare fece la cosa più stupida di ogni altra agli occhi degli altri generali e si scagliò in mezzo alla calca seguita dal suo comandante, sotto lo sguardo del Duca di Remon; che in quel momento capì e sorrise, dopo molto tempo, sorrise col cuore leggero. Lanciarono i cavalli a perdifiato giù per la collina e falciarono alcuni soldati nemici, fu in quel momento che il comandante nemico, andò incontro a Roslìn a spada tratta e con ferocia inaudita la fece cadere da cavallo, l'armatura si dipinse di scuro e il soldato nemico smontò senza dire nulla. Si tolse l'elmo e Roslìn trasalì, quello che le stava davanti era Devrin! Aveva lo sguardo assetato di vendetta, non ci pensò due volte e cercò di reciderle il collo con la sua spada, ma Roslìn che era più piccola e più agile lo schivò abilmente. Intervenne anche Reghinald in soccorso del suo generale. Parò due colpi e riuscì a ferirlo, così Devrin con un grido cadde a terra dolorante.

Reghinald si girò per vedere se Roslìn stava bene e la vide alle prese con alcuni soldati, forse mercenari, nemici. Preso da una scarica di adrenalina mista a una buona dose di spazientimento li accoppò il prima possibile.

«Adesso mi sembra il momento giusto!» gridò tra lo stridore delle spade il comandante alla donna, mentre la prendeva per mano. Accanto a loro c'era un dirupo, alla fine della quale scorreva un torrente impetuoso. I due volevano saltare ma furono interrotti da un mugugno dietro di loro, Devrin provò a infilzare la sorella, ma Reghinald si parò di fronte alla sua donna che urlò disperata, mentre il vigliacco del fratello se la rideva in maniera così sguaiata e resa sgraziata dall'assenza della lingua, Roslìn affondò la spada nel suo cuore e mentre il fratello moriva lei si gettò con Reghinald tra le braccia nel torrente. Nella confusione il Duca di Remon vide solo Roslìn precipitare nel fiume e venire inghiottita dai flutti impetuosi.

 

Il Duca di Remon, venne portato presto a palazzo e la sua vita ebbe termine il giorno seguente. Il Re constatò la morte anche della figlia e del suo comandante ritrovati poche settimane dopo, i loro corpi orribilmente deformi e resi irriconoscibili a causa dell'annegamento, avevano però come prova della loro identità le divise e le armature ancora in uno stato decente, ma la prova finale era la croce di ferro di Roslìn, ormai intaccata dalla ruggine. Così il ducato di Remon cadde, ma la pace venne ottenuta lo stesso e i sudditi poterono finalmente vivere in pace.

 

Durante i funerali del Duca di Remon e della figlia Roslìn, una grande quantità di gente si riversò nella Basilia di S. Cristoforo per deporre un fiore sulle bare, tra questa moltitudine di gente c'erano anche un paio di pellegrini incappucciati, il più basso dei due depose una rosa bianca sulle mani del Duca e con la mano gli lasciò un bacio sulla guancia, mentre il più alto aveva un braccio al collo e aveva deposto sulla bara di Roslìn una rosa rossa. Questo non passò inosservato alla Badessa, che cercò di raggiungere le due figure incappucciate, ma la folla, come se Dio stesso le avesse fatti incollare tra di loro, era impenetrabile. La Badessa cercò di chiamarli, e forse qualcosa giunse all'orecchio della figura più bassa che si girò e da sotto il cappuccio marrone apparve un guizzo d'occhi che la monaca riconobbe; ma la figura tornò per la sua strada e prese per mano l'altro pellegrino.

«Oh mia cara... Spero che tu possa essere felice, e che Dio sia con te» a quel punto con un bel sorriso e le lacrime agli occhi, la Badessa tornò indietro.

 

«Sei sicura di non volerla salutare?» chiese il pellegrino più alto all'altra

«Caro, credo che Dio ci abbia aiutati e non voglio in alcuna maniera andare contro a ciò che ha tessuto per noi» l'altro rise forte, e prese sottobraccio la compagna.

«Cosa ti ridi? Io sono serissima!» l'altro si chinò sulla donna e le diede un gran bacio e si ricongiunsero a un gruppo di pellegrini poco lontano. «Allora? Siete già sposati?» chiese il pellegrino più anziano del gruppo.

«No, vuole aspettare che le ricrescano i capelli, sa come sono le donne.» gli rispose il pellegrino col braccio fasciato

«Ha ragione! Le donne nel loro giorno più bello, devono essere anche le più belle!» sorrise con ormai tre denti in bocca il vecchietto.

«State attenti però, se vi vede un prete, vi sposa prima del tempo!» ammonì ridendo un'altra pellegrina.

«Faremo attenzione» disse la donna sorridendo da sotto il cappuccio

«Da ditemi figlioli, quali sono i vostri nomi? Non ce li avete ancora detti!»

I due presi un attimo alla sprovvista si guardarono, sempre mano nella mano e come se quel collegamento fosse stato sia fisico che mentale risposero all'unisono

«Noi siamo: Spada e Rosa»

 

 

Evviva! Dopo mesi di assenza riesco a mettere di nuovo un racconto, sono passati ben otto mesi da quando lo iniziai. Comunque anche questo doveva essere un racconto un po' osé, ma alla fine ho preferito non mettere nulla e narrare qualcosa di leggero tanto per divertirmi. C:

Spero che questo racconto vi abbia intrattenuti e magari vi sia pure piaciuto.

 

P.S.

Roslìn alla fine si sposò davvero con Reghinald una volta che le ritornarono i capelli, si sposarono in una cittadina molto lontana e vissero a lungo felici con un sacco di bambini e di nipoti. :D

  
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