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Autore: Biohazard    06/08/2015    6 recensioni
Uno scintillio poco lontano catturò la sua attenzione. Tenendo i sensi all’erta, si diresse verso quel luccichio dorato, domandandosi di cosa potesse trattarsi. Mano a mano che si avvicinava, la curiosità lasciò lo spazio allo stupore: si trattava di un albero, un albero d’oro. Harry era totalmente rapito da quell’immagine, allungò le dita per poterlo toccare, ma in quel momento una voce risuonò direttamente dentro la sua testa.
“Aiutami.”
Genere: Avventura, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Blaise Zabini, Draco Malfoy, Il trio protagonista, Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Harry, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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NdA: Buongiorno a tutti, questa è la mia prima fic sul fandom di Harry Potter, piacere di conoscervi. Dunque da dove cominciare con questa introduzione…
La trama di questa storia nasce agli inizi del 2012 (se ci penso mi viene un colpo) e dopo alcune ricerche decido di cominciare a stendere la trama del racconto. Dovete sapere che quell’anno è stato molto importante per me, a Marzo mi sono laureata, nel mese di Luglio ho tenuto un colloquio di lavoro e a Settembre ho iniziato a lavorare. Una volta iniziato il lavoro ho praticamente abbandonato la scrittura, perché non avevo più tempo e quando ce l’avevo ero stanca morta e non con il cervello pronto per poter scrivere qualcosa di solo lontanamente decente. Adesso, dopo tre anni, ho imparato a gestire le cose diversamente e la mia passione per la scrittura è ritornata più potente di prima, con mille idee e nuove trame. Così un bel giorno ho deciso di riprendere in mano questo racconto e d’iniziare a scriverlo.
Il desiderio di scrivere questa long fic Drarry nasce dopo aver letto i racconti di autrici come Ernil e Stateira. Racconti che tutt’ora amo e rileggo sempre come se fosse la prima volta. Il mio desiderio era poter scrivere qualcosa che facesse emozionare i lettori così come io mi ero emozionata, leggendo le loro storie. Non so se ne sarò capace, lascio a voi l’ardua sentenza. In particolare volevo ringraziare Stateira. Dovete sapere che sempre nel 2012 avevo chiesto consiglio proprio a lei per la trama, anche se a tiro di tesi ho interrotto il nostro scambio epistolare. Tuttavia mi ha dato dei preziosi consigli che non ho dimenticato e per questo la ringrazio tantissimo.
NdA:// I luoghi e le leggende che saranno narrati in questo racconto sono realmente esistenti. Ho fatto delle ricerche prima di scrivere questa fic XD. Spero che la cosa possa rendere la trama più interessante.
Aggiornamenti: Ogni dieci giorni circa.
Ok, dopo queste premesse vi lascio al racconto.

Saluti!
 
 
 
 
 
 
 
“Rinchiuso per sempre, l'anima costretta a vagare per l'eternità: questa sarà la sorte.
Nove pietre pongono il sigillo;
un cervo e quattro leoni segnano la via per la liberazione:
oltre il castello di cristallo, la valle degli amanti e la fontana della giovinezza,
si aprirà la strada per la foresta incantata.
Là, nelle profondità più remote, si cela la sua prigione e con essa
Il Calice delle Anime”.
 
 
 
 
Harry si svegliò di soprassalto con le lenzuola arrotolate al corpo. Portò meccanicamente le dita in un punto ben preciso della fronte, ma il dolore che si aspettava non c’era. Si diede mentalmente dello stupido; dopo la morte di Voldemort, avvenuta sei anni prima, la cicatrice aveva smesso di fargli male e, con essa, erano cessati anche i sogni e le visioni che lo riguardavano.
Si mise a sedere appoggiando la schiena alla spalliera dell’ampio letto matrimoniale. Chiuse gli occhi cercando di ricordare il più possibile sul sogno appena fatto: la voce udita e la sagoma intravista appartenevano certamente a una donna; aveva parlato di un sigillo, di una foresta incantata e altre cose che Harry non riusciva a focalizzare. L’unica parola che continuava a rimbombare come un eco nella sua mente era Calice delle Anime. Sentendo il sonno dissiparsi, allungò il braccio verso il comò, cercando a tentoni gli occhiali. Dopo averli inforcati, lanciò un’occhiata alla sveglia: erano le quattro del mattino. Con un sonoro sbuffo si alzò dal letto, ben conscio che non sarebbe più stato in grado di rimettersi a dormire. Si incamminò verso il bagno, godendo del contatto rilassante con la superficie liscia del parquet. Accese la luce sopra lo specchio e subito si diffuse un chiarore rossastro, causato dal rifrangersi dei raggi luminosi contro l’arredamento cremisi della stanza. Aprì il getto d’acqua fredda facendo riempire il lavandino e, tolti gli occhiali, immerse il viso nell'acqua per qualche secondo, poi prese l’asciugamano bordeaux tamponando le gocce che scorrevano dalle punte dei capelli bagnati. Nel guardarsi allo specchio si accorse di avere un aspetto terribile: gli occhi verdi erano arrossati e i folti capelli neri più arruffati del solito, aveva un colorito cereo e la t-shirt nera completamente incollata al corpo dal sudore freddo.
“Se il buongiorno si vede dal mattino, si prospetta una giornata di merda” pensò spengendo la luce e tornando in camera da letto.
Si lasciò cadere mollemente sul materasso, scansando con un calcio le lenzuola rosse. Non gli capitava di svegliarsi così di soprassalto da molto tempo. Gli tornò alla mente la notte in cui Nagini, il serpente di Voldemort, aveva aggredito il signor Weasley (1): il dolore insopportabile alla cicatrice, il sudore gelido, il sapore di sangue inesistente in bocca.
Certamente, il sogno di poco fa non era paragonabile a quelli che faceva durante il periodo della guerra, ma allora cos’era quel vago senso di irrequietudine che cominciava a farsi strada dentro di lui?
Durante la sua giovane esistenza aveva visto e vissuto cose che la maggior parte dei maghi nemmeno poteva sognarsi e, proprio per questo motivo, sentiva che la faccenda non si sarebbe conclusa tanto facilmente.
“Calice delle Anime”.
 Harry aggrottò la fronte; non ne aveva mai sentito parlare. L’unica a cui poteva chiedere qualcosa al riguardo era Hermione: lei, sicuramente, avrebbe saputo dargli qualche informazione. Con molta probabilità, avrebbe omesso di dirgli che una donna non meglio identificata gli era apparsa in sogno enunciando frasi enigmatiche. Poteva già immaginare la reazione dell’amica: “Harry è evidente che sei stressato. Tutte queste indagini e questi controlli! Chiunque si sentirebbe sotto pressione. In ogni caso farò delle ricerche nei libri di medimagia per vedere se ci sono già stati casi simili al tuo in condizione di forte stress.”
Ron, al contrario, ci avrebbe scherzato sopra “Dai Harry, probabilmente avrai mangiato pesante. Voglio dire, i tempi di Tu-Sai-Chi, sono finiti da un bel pezzo e viviamo in pace. Non credo tu debba preoccuparti per una cosa simile. Vorrei essere io al tuo posto; ormai il mio incubo ricorrente è quello di presentarmi in mutande all’altare il giorno del matrimonio!”
Harry sorrise nell’oscurità.
Sì, forse stava veramente ingigantendo la cosa. Lanciò nuovamente un’occhiata alla sveglia che ormai segnava le cinque. Doveva provare a dormire almeno un altro po’: tra tre ore doveva presentarsi in ufficio e se fosse arrivato in ritardo si sarebbe beccato una bella lavata di capo da Kingsley. Prese a rigirarsi nel letto, maledicendo la sfocata figura onirica che aveva interrotto il suo riposo notturno, senza riuscire a trovare una posizione confortevole.
Cosa serviva essere il salvatore del mondo magico, se non poteva nemmeno ritardare al lavoro?
 
*****
 
 
“Ehi, tutto a posto? Hai una faccia questa mattina…” chiese Ron.
“Non ho dormito molto stanotte.” Harry vide l’amico assumere quel cipiglio che conosceva bene, così, per evitare malumori mattutini, si affrettò ad aggiungere “E non perché ero in compagnia”
A quelle parole Ron assunse un’espressione più serena.
“Sai dov’è Hermione?”              
“E’ nel suo ufficio. Sta finendo di archiviare le pratiche per il trasferimento al Dipartimento per la Regolazione della Legge Magica.” Ron si interruppe un momento, poi con tono incerto continuò “Ascolta Harry, perché non chiami Ginny? Non so…Potreste uscire…Fare una passeggiata e parlare un po’. Che ne dici?”
Harry alzò gli occhi al cielo esasperato. Era un mese che andava avanti così; ogni volta l’amico cercava sempre di tirare fuori l’argomento “Ginny” e ogni volta non faceva che dargli la stessa risposta. Sapeva che Ron non lo faceva di proposito, ma era a dir poco snervante.
“Mi sembra di averti già detto che io e Ginny ci siamo presi una pausa” probabilmente era circa la cinquecentesima volta che ripeteva quella frase “e questo non significa che ci siamo lasciati. Semplicemente abbiamo bisogno di un po’ di tempo per noi, per uscire con gli amici e coltivare i nostri interessi.”
“Sai, non è che voglia stressarti in continuazione, ma mamma è molto preoccupata e non riesco a cavare ad Hermione neanche una sola parola su come se la stia passando Ginny!”
“Beh, potresti sempre mandarle un gufo.”
“Molto spiritoso, sai benissimo di cosa sto parlando.” Gli rispose Ron, con aria indagatrice. Harry stava per ribattere qualcosa, quando venne interrotto dalla figura allampanata di Nesh.
“Weasley la tua presenza è richiesta al terzo livello: Ramsey ha scoperto chi è il proprietario di quella teiera maledetta, credo che vogliano fare una visita al diretto interessato” spiegò velocemente l’uomo.
“Ok, li raggiungo subito.” Rispose Ron, mentre Nesh si allontanava lungo il corridoio. “Forza, andiamo!”
I due amici salirono in ascensore accompagnati da decini di lettere volanti e altrettanti colleghi.
“Dipartimento delle Catastrofi e degli Incidenti magici.” La voce nell’ascensore annunciò l’arrivo al piano. Ron salutò l’amico, facendogli intendere che la discussione “Ginny” non fosse ancora finita. Le grate si richiusero davanti ad Harry e l’ascensore ripartì verso il primo livello. L’auror tirò un respiro di sollievo, pensando al mancato interrogatorio del migliore amico.
“Ufficio Applicazione della legge Magica.”
Era arrivato.
Attraversò il corridoio, salutando i vari colleghi, dirigendosi verso il suo ufficio. Anche se temeva la quantità di scartoffie che avrebbe trovato sulla scrivania, non vedeva l’ora di chiudersi la porta alle spalle, magari con un Colloportus, e ritagliarsi un attimo di tranquillità. Stava per varcare la soglia quando fu interrotto dalla voce di Hermione.
“Buongiorno Harry.”
“Ciao Hermione.” Rispose atono, lasciandosi cadere mollemente sulla sedia della sua scrivania.
“Caspita, che vitalità.” Considerò l’amica, osservando la faccia stralunata di Harry dietro gli spessi occhiali. “Ti senti bene?”
Harry lanciò uno sguardo all’amica, ripensando al sogno della notte precedente, ma in quel momento, dopo la discussione con Ron, sembrava che non avesse più molta importanza, così decise di lasciar perdere quella faccenda.
“Ron.” Si limitò a dire svogliatamente.
“Per Merlino! Non vorrai dirmi che ha cercato nuovamente di tirare fuori il discorso di sua sorella?”
Harry si limitò ad annuire ed Hermione gemette di disappunto.
“Gliel’ho già ripetuto milioni di volte di non assillarti.” Disse, andandosi a sedere sul bordo della scrivania, vicino all’amico.
Harry nel frattempo stringeva tra le mani una fotografia scattata sulle rive del mare di Nizza. Erano già passati due anni da quella vacanza magnifica. Lui e Ginny erano così felici in quella foto, ridevano abbracciati l’uno all’altro.
“Credi che le cose si sistemeranno?”
“Harry non cercare di forzare le cose. In fin dei conti avete deciso insieme questo allontanamento e sono convinta che gioverà ad entrambi.” Disse l’amica, cercando di rincuorarlo.
Harry sospirò.
“Forse hai ragione.” Rispose, sorridendo all’amica, visibilmente sollevata da quella reazione positiva.
“Dai, ti porto un caffè, poi torno subito di sotto a finire di sistemare la pratica su quel commercio illegale di uova di Chimera, voglio che sia tutto in ordine prima che il trasferimento sia definitivo.” Spiegò tutta contenta, stava per uscire, poi si fermò un attimo sulla soglia.
“Harry, seriamente, dovresti mettere ordine in quest’ufficio.” Disse, rimproverando l’amico, mentre gettava lo sguardo sulle miriadi di fogli, messaggi e pratiche sparse per tutto l’ufficio, senza contare quelli in terra e i catalogatori aperti qua e là. Harry si guardò intorno, facendo finta di non capire.
“Non so proprio di cosa tu stia parlando.” Hermione si lasciò andare ad un risolino, anche se cercava di trattenerlo sotto il suo solito cipiglio serio. “Dai, torno tra qualche minuto con il caffè.” Harry guardò l’amica, sparire dietro la porta, rimanendo solo.
Teneva ancora stretta tra le mani la foto di quell’estate di due anni fa. Non poteva credere che  le cose fossero tanto cambiate. Ginny era lontana adesso, più di quanto lo fosse mai stata in quegli anni. Qualcosa si era incrinato fra loro ed Harry sperava vivamente che tutto tornasse alla normalità. All’inizio erano stati piccoli segnali, come il non darsi più il bacio della buona notte, tenersi le mani stando seduti sul divano, forse troppo piccoli perché vi riuscisse a dare peso. La situazione, con l’andar del tempo, aveva cominciato a prendere delle pieghe inaspettate e anche allora aveva trovato delle giustificazioni, aggrappandosi a scuse come lo stress, il lavoro e gli impegni. Era stato un effetto a catena, come una palla di neve che rotolando, si trasforma in una valanga inarrestabile.
La realtà dei fatti era che lui e Ginny si erano lentamente trasformati in due estranei che condividevano lo stesso tetto.
Non c’era stato un motivo preciso o un litigio, semplicemente si erano allontanati l’uno dall’altro. Harry rientrava spesso tardi dal lavoro e Ginny, il più delle volte, era lontana da casa per il ritiro con la squadra di Quidditch.
Quando erano a casa chiacchieravano, scherzavano, facevano l’amore, ma Harry non avvertiva più quella scintilla, quel desiderio che lo aveva animato molto tempo prima. Era come se il loro rapporto fosse diventato qualcosa di scontato, di già scritto, come se il suo futuro fosse se già stato deciso, di nuovo. Perché era quello che tutti si aspettavano da lui e quando aveva cominciato a pensarci, erano comparsi i primi dubbi e le prime incertezze.
Amava davvero Ginny Weasley? Desiderava veramente passare la sua vita insieme a lei?
Se gli avessero posto quelle domande qualche tempo prima, non avrebbe avuto alcun dubbio, adesso invece brancolava nel buio. La luce che illuminava la sua strada si era spenta di colpo, lasciandolo come un cieco che si muove a tentoni.
Alla fine, aveva preso coraggio e aveva parlato con Ginny, scoprendo con stupore che anche lei stava vivendo il suo stesso stato d’animo. Erano rimasti abbracciati tutto il giorno, smarriti e confusi. Quella sera stessa, però, Ginny Weasley aveva preparato le valigie ed era tornata a casa dai suoi genitori. Se ripensava alla sua espressione sulla soglia di casa, sentiva le viscere contorcersi: piangeva e rideva allo stesso tempo.
Rideva, perché cerca di darsi forza e di sdrammatizzare, in fondo non si trattava di un addio. Piangeva, perché dopo tutti quegli anni era difficile pensare che le cose fossero cambiate, che loro potessero non essere destinati a stare insieme.
Piangeva, perché le separazioni sono sempre dolorose e lasciano quel vago senso di vuoto e scombussolamento che si trasforma in paura della solitudine.
Piangeva, forse, per gli stessi motivi per cui aveva pianto lui stesso quella notte.
Sospirò, appoggiando di nuovo la foto sulla scrivania e decise di seguire il consiglio di Hermione. Cominciò a raccogliere diversi fogli, quando l’ufficio cominciò a vibrare intorno a lui per sgretolarsi e ricomporsi come un puzzle. Sgranò gli occhi, lasciando cadere i fogli e si diede un pizzicotto sulla mano. La sensazione di dolore era reale, ma allora come diavolo aveva fatto a finire nel bel mezzo di una vallata?
Istintivamente prese la bacchetta dentro al mantello, guardandosi attorno. Sembrava non esserci nessuno, ma Harry avvertiva distintamente la grande aura magica che pervadeva quel luogo. Lo circondava, aleggiava nell’aria in maniera quasi palpabile.
Uno scintillio poco lontano catturò la sua attenzione. Tenendo i sensi all’erta, si diresse verso quel luccichio dorato, domandandosi di cosa potesse trattarsi. Mano a mano che si avvicinava, la curiosità lasciò lo spazio allo stupore: si trattava di un albero, un albero d’oro. Harry era totalmente rapito da quell’immagine, allungò le dita per poterlo toccare, ma in quel momento una voce risuonò direttamente dentro la sua testa.
“Aiutami.”
Il paesaggio cominciò a sgretolarsi nuovamente ed Harry si ritrovò di nuovo nel suo ufficio, la mano ancora tesa verso quell’albero che si trovava lì solo pochi secondi prima, mentre Hermione lo guardava terrorizzata.
“Harry, stai bene? Cos’è successo?”
“Sono sempre stato qui?” domandò senza rispondere all’amica.
“Certo che sei sempre stato qui!” Hermione strillò appena, con il tono di voce che faceva trasparire tutta la sua preoccupazione. “Eri come in trans, continuavo a chiamarti, ma non mi sentivi. Cosa sta succedendo?”
Harry la guardò serio, pronunciando parole mai dette prima in vita sua.
“Dobbiamo andare in biblioteca!”
 
 
  
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