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Autore: HabbyandTsukiakari    06/08/2015    2 recensioni
[Autrice: Tsukiakari] [WARNING! Maid!England!] [Accenni a tante, troppe pairing, tra cui FrUK, DenNor e HongIce, ma tante, troppe di più!] [Dedicata a Tay66!]
"Arthur non aveva mai trovato tanto scomodi i suoi vestiti. Eppure, la divisa era della sua taglia! Allora come spiegarsi il fatto che quasi non riusciva a respirare? Si accorse anche di una leggera pressione sulla sua testa. Che diavolo aveva combinato, quel mostro?"
Buona Lettura!
Tsukiakari
Genere: Demenziale, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: 2p!Hetalia, Allied Forces/Forze Alleate, Altri, Axis Powers/Potenze dell'Asse, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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August the Sixth

First Part

 

Aprì un occhio, poi l’altro. Il verde elettrico delle sue iridi fu illuminato da un raggio di sole malevolo, che lo indusse a serrare di nuovo le palpebre e a girarsi dall’altra parte. Ma ormai il danno era fatto. Scansò malamente le coperte e si mise a sedere sul letto, stropicciandosi gli occhi.
-Shit!-
Arthur Kirkland odiava il sole. Preferiva le giornate umide e fredde, quando il vento uggiola piano e la nebbia ristagna nell’aria, che gli ricordavano la sua amata Londra. Ma quel giorno c’era il sole. Non gli piaceva tutta quella luce, aveva l’impressione che lo illuminasse troppo, troppo bene. Preferiva rimanere nel morbido mistero della foschia, che appannava le pupille e lo proteggeva dal resto del mondo.
Si trascinò in cucina, inciampando nei pantaloni del pigiama e sbattendo le palpebre ancora appiccicate dal sonno. Diede un’occhiata spassionata all’orologio, aggrottò le cespugliose sopracciglia e storse la bocca sottile in una smorfia: non avrebbe avuto molto tempo per mangiare. Sarebbe arrivato all’ora di pranzo di cattivo umore – be’, peggiore del solito – abituato com’era alle colazioni abbondanti. Sospirò e, mentre l’acqua per il tè bolliva, tirò fuori qualche biscotto dalla dispensa. Si scottò mentre preparava l’infuso, e poco ci mancò che si versasse addosso il latte, imprecando nella sua lingua madre. Ma che bella giornata.

Quel sei di agosto non si prospettava così diverso dalle altre giornate. Si recò alla fermata dell’autobus per andare a lavoro, e trovò come al solito ad aspettarlo Lukas e Vladimir.
Quest’ultimo sembrava essere parecchio su di giri, anche più del solito, e stringeva tra le mani una specie di involtino di stoffa. Non la smetteva di chiacchierare, gesticolando e mettendo l’oggetto sotto il naso di Lukas, che roteava con una certa insopportazione gli occhi ombrosi.
–Cos’è?- chiese Arthur, gli occhi verde prato illuminati da una rara scintilla d’interesse. Vladimir sussultò. –Che diavolo, non si saluta più ora?- ridacchiò, dando una pacca sulla spalla di Arthur.
Lukas non proferì parola. Sembrava di pessimo umore, anche se cercava di non darlo a vedere, mantenendo nei lineamenti sottili la sua espressione usuale di assoluta indifferenza.
Vladimir srotolò la stoffa, rivelando così lo strano oggetto. –Bella, vero? Me l’ha data Sadik!- spiegò il rumeno allegramente. Arthur non rispose. Era rapito. Nelle mani di Vladimir c’era una meravigliosa lampada orientale d’oro, intarsiata da stucchi e vetri rosa e azzurri.
Fece per toccarla, ma Vladimir la scostò dalla sua portata con una risatina. –Eh no, caro mio! Il mio istinto mi dice che si tratta di una lampada magica. Non provare a sfiorarla, lo faremo stasera insieme, alla riunione del club di magia.-.
Arthur annuì. Aveva senso. Quella lampada emanava una strana energia, sarebbe stato meglio prendere precauzioni ed essere sicuri di restare in segreto.
–Stasera non ci sarò- intervenne per la prima volta Lukas, con quella sua voce profonda e sussurrante, che incuteva timore e accarezzava l’udito.
Vladimir fece un sorrisetto, scoprendo i lucenti canini decisamente troppo appuntiti, e diede una gomitata all’inglese. –Oggi esce con Mathias Kohler, quel danese esagitato di cui si lamenta sempre. Ecco perché sembra furioso, in realtà è in preda a una crisi di nervi perché secondo me non sa cosa mettersi…- il norvegese lo interruppe lanciandogli un’occhiata da far gelare il sangue – non quello di Vladimir. Arthur si era sorpreso a sospettare che neanche ce l’avesse, il sangue. –Ovviamente non è per quello, idiota- si degnò di replicare il norvegese, con una nota di rancore nella voce usualmente atona e avvolgente. Infilò le mani nivee nelle tasche dei jeans trasandati, rivolgendo lo sguardo pesante verso un punto non ben definito dall’altra parte della strada.
C’è da sapere che solo in occasioni estremamente rare l’apatico Lukas si apriva agli altri e raccontava qualcosa su di sé; ma quando lo faceva, si confidava principalmente con le sue fatine, con Arthur e Vladimir, oppure con lo spensierato Mathias, che per qualche ignota ragione lo faceva sentire più… leggero.
–Qualsiasi cosa ti faccia preoccupare così tanto, non pensarci. Quel poveretto ha sputato sangue per strapparti un appuntamento, si vede che ci tiene- gli fece notare Vladimir, abbandonando distrattamente la lampada nelle mani di Arthur. –Che poi cosa ci troverà mai in un asociale come te… ahi!-.

Ormai Arthur non prestava più la minima attenzione ai due amici, che continuavano a battibeccare e a lanciarsi frecciatine.
Era ipnotizzato dalle sinuose linee degli stucchi, dalla lucentezza dei vetri, dall’oro puro della lampada.
Sentiva ancora quell’aura strana, eppure così familiare, provenire da essa. Gli provocava contemporaneamente attrazione e repulsione, in un certo senso. Non riusciva a staccare gli occhi da essa.
Solo lo stridere dei freni dell’autobus lo riportò alla realtà.
Scrollò la testa e tese l’oggetto a Vladimir, ansioso di separarsene. Non gli piaceva, non gli piaceva affatto.
–Oh no, amico. Questa la tieni tu, io non posso. Devo andare a lavorare e sai quanto s’incavola il mio capo quando mi porto dietro queste cose… particolari.- -Cosa?- -Sì, te l’ho detto l’altra volta! Quando mi ero portato la pelle di Girilacco…- -No, intendo…- lo interruppe Arthur alzando una delle cespugliose sopracciglia, –…me la lasci sul serio?- -Certo!-. Lo sguardo dell’inglese si incupì. Aveva uno strano presentimento, ma quella lampada era così

Avrebbe portato solo guai, se lo sentiva. Ciononostante, la ripose con cura nel panno. L’avrebbe lasciata tutto il giorno nel ripostiglio del locale in cui lavorava, giusto per accertarsi che stesse al sicuro e non potesse combinare danni.


Se c’era qualcosa che Arthur Kirkland odiava più del sole, quel qualcosa era il suo lavoro. Faceva il cameriere in un grazioso locale vicino ad un lago, fuori città. Fortunatamente non era troppo lontano da casa sua.
Aveva già avuto precedenti esperienze in quel mestiere, ahimè, tutte negative: il suo brutto carattere faceva in modo che il proprietario lo licenziasse puntualmente dopo un mese dall’assunzione. Senza contare quando i piatti serviti da lui arrivavano al tavolo rosicchiati o mezzi vuoti, e a nulla era servita l’esauriente spiegazione dell’inglese (“Ma quel pixie aveva fame, jerk!”).
Entrò sbattendo la luminosa porta a vetri, in preda ad un certo nervosismo che non gli aveva dato tregua per tutto il viaggio in autobus.
Mei, la sua giovane collega asiatica, sobbalzò. Poi si voltò, e sorrise nel vedere l’inglese. Era poco più che una bambina nell’aspetto, estremamente graziosa: aveva lunghi capelli castani ondulati e grandi occhioni color cioccolato fondente che ben spiccavano sulla pelle d’alabastro, un nasino a patata leggermente schiacciato e una piccola bocca sorridente, che sembrava un petalo di rosa. I suoi lineamenti erano morbidi e minuti. Arrivava appena al mento di Arthur, nonostante l’inglese in questione non fosse molto alto.
–Buongiorno, Arthur-kun! Dormito bene?- domandò con voce gentile. Arthur non le rispose. Sapeva che se avesse aperto bocca ne sarebbe uscita una sfuriata, e Mei non se la meritava di certo. Le fece un cenno sbrigativo di saluto e si recò nel ripostiglio dov’erano custodite le divise dei dipendenti.

Nonostante facesse un caldo pazzesco, Arthur fu costretto ad infilarsi una stretta camicia, un paio di pantaloni eleganti beige e a legarsi un papillon rosa intorno al collo. Quella roba gli teneva un caldo asfissiante, oltre ad essere ridicola. Si tirò su le maniche della camicia fino al gomito, sapendo che le regole del locale non permettevano altro. Non ci teneva a dover cercare un altro posto di lavoro.
Cercò un angolino dove potesse riporre la lampada, con scarsi risultati: lo stanzino era completamente ingombro di cianfrusaglie, dai vasetti di sottaceti che non avevano trovato posto in cucina alle spirali verde scuro di citronella antizanzare. Faticosamente, trovò un angoletto impolverato e ce la ficcò a forza, facendo quasi cadere i vasetti. Si asciugò la fronte, sollevato, quando vide la lampada tremare.
Spalancò gli occhi scioccato.
Con un colpo secco, la fece cadere a terra per evitare di danneggiare i vasetti.
La lampada, incredibilmente, non cadde a terra con un colpo secco, ma volteggiò soavemente fino a poggiarsi delicatamente a terra.
Con un morbido suono, il coperchietto si spalancò e lasciò uscire un getto di fumo profumato, rosa.
Il cuore di Arthur perse un battito.
Conosceva quel fumo.
Conosceva quell’odore.
Conosceva la figura che si stava delineando lentamente in quella foschia leggiadra.
Un paio di occhi acquamarina scintillò nella penombra del ripostiglio. Si sentì uno schiocco di dita, e una luce fortissima si accese, andando a illuminare ogni angolo dello stanzino e accecando gli occhi di Arthur – quanto odiava quella luce!

-Che diavolo ci fai qui?- sputò l’inglese, rivolgendo alla figura l’occhiata più carica di acidità e odio di cui fosse capace.

Il fumo si dissolse dolcemente, disperdendosi nell’aria e profumandola di zucchero, rivelando l’identità della sagoma: un ragazzo mingherlino, incredibilmente simile ad Arthur. T
uttavia, aveva un aspetto decisamente più stravagante. Aveva capelli morbidi e fulvi, quasi rosati, che contrastavano piacevolmente con il limpido sguardo verde acqua. La sua carnagione era più chiara rispetto a quella del londinese, gli zigomi erano costellati di lievi efelidi. Ma il dettaglio che più si notava del volto delicato era l’enorme sorriso abbagliante, che sembrava brillare di luce propria.
‘ello, love!- salutò, chiudendo gli occhi. –Ok, lo ammetto: sono uscito dallo specchio. Non te l’aspettavi, eh?- ridacchiò amichevolmente, dando colpetti col gomito sul braccio di Arthur. –Torna subito lì dentro, Oliver. Ora!- sbraitò questi, schiaffando via il braccio dell’altro. Quest’ultimo finse di guardarsi intorno, corrucciando la bocca e portandosi ironicamente una mano sopra gli occhi a mo’ di schermo dal sole. –Spiacente, non vedo alcuno specchio qui- sorrise, alzando le spalle. –Fuck you, you bloody wanker!- -Piano con i complimenti. Non ti interessa sapere perché sono qui?- insistette Oliver, con voce carezzevole. –No.- –Faresti bene ad interessartene, invece! Riguarda proprio te.-. Arthur spalancò gli occhi. Aveva un brutto presentimento. –Tranquillo, non sarà niente di grave… potrebbe semplicemente trattarsi solo della definitiva condanna della tua reputazione. Prendila come una piccola vendetta: non mi lasci mai uscire dallo specchio!- assunse un’espressione malinconica, per poi tornare al suo usuale sorriso. Si frugò in una delle tasche dei pantaloni e ne estrasse un sacchettino pieno di zuccherini colorati, quelli che si mettono sopra ai cupcake. Arthur sbiancò. Non c’era niente di buono se Oliver tirava fuori i suoi cupcake o qualcosa che aveva a che fare con essi. Oliver versò una gran quantità di zuccherini sul pallido palmo della sua mano, per poi chiudere il pugno e ridurli in polvere colorata. Soffiò quest’ultima in faccia al londinese, che cercò di ritrarsi senza tuttavia riuscire ad evitare la polvere. Tossicchiò. –What the…-

Una spirale di luce rosa cominciò ad avvolgerlo completamente, roteando su se stessa. Arthur sentì una specie di bruciore, e, soprattutto, un gran profumo di zucchero che gli dava alla testa. Durò poco. Tutto si dissolse lievemente, accompagnato dalla cristallina risata di Oliver.

Arthur non aveva mai trovato tanto scomodi i suoi vestiti. Eppure, la divisa era della sua taglia! Allora come spiegarsi il fatto che quasi non riusciva a respirare? Si accorse anche di una leggera pressione sulla sua testa. Che diavolo aveva combinato, quel mostro?

Oliver non riusciva a smettere di ridere. –Come stai bene! Dovresti indossarne più spesso!-. Aveva addirittura le lacrime agli occhi, e si teneva la pancia dalle risate. Arthur trovò il coraggio di guardarsi. Cacciò un urlo poco virile, come del resto lo era l’abbigliamento che si era trovato addosso.




Angolo dei pomodori lunatici
Hola!
Questa storia è dedicata alla fantastica Tay66, per il suo compleanno! Spero che ti piaccia! ^^
Rating giallo per, ehm, linguaggio scurrile ^^"
Fatemi sapere che ne pensate!
Adios, churros y besos,
Tsukiakari

PS: per le lettrici di The Sleeping Frying Pan! Il capitolo è pronto, ma non so quando riuscirò a postarlo... sowwy ^^"
   
 
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