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Autore: Syd Sewell    07/08/2015    2 recensioni
Sono passati anni dal loro primo concerto, quando erano ancora gli High Numbers; tempi ormai lontani, vivi solo nei ricordi di quattro musicisti tormentati ciascuno dal proprio fantasma personale. Un'istantanea del loro ultimo concerto, un fotogramma delle loro anime splendide e complicate.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La folla era in delirio. Il rock e le sue note aggressive ruggivano così forte da dare l’impressione che le molecole si distorcessero ogni secondo di più e che la struttura stessa del mondo stesse per crollare...ma se ne fregavano tutti. La folla a terra urlava estatica, loro, sul palco, splendevano ardenti come stelle nel firmamento. O così pareva a chiunque li sentisse suonare i loro inni generazionali, anarchici e sovversivi. Ma, a guardarli bene, più che brillare, bruciavano, e in loro c’era qualcosa di diverso. E non in positivo.

Roger non era più ormai da anni il teddy boy strafottente che era stato espulso da scuola perché sorpreso a fumare in classe, quello con la voce anfetaminica e balbettante e l’acconciatura sempre perfetta; a dire la verità erano passati anche i tempi in cui deteneva il titolo di leader della band, ma, tutto sommato, questo per lui era il male minore...certo, la strada che la sua vita e quella dei suoi compagni d’avventura avevano imboccato non gli piaceva affatto. Si stavano tutti annichilendo, sopraffatti dall’ impetuoso vorticare del mondo; gli altri, così presi dai propri problemi – tutti serissimi, non lo metteva in dubbio –, stavano inesorabilmente tralasciando il gruppo, e lui non poteva farsene carico da solo. Era insoddisfatto del comportamento che li caratterizzava in studio, sul palco, nella loro vita privata...le loro scelte li danneggiavano, e lui per rimediarvi poteva fare ben poco. Era per questo che ora la sua voce suonava graffiante di rabbia e frustrazione...

John avrebbe solo voluto fermarsi e ricordare ciò che si provava ad essere tranquilli, privi di preoccupazioni e timori; ma non poteva assolutamente perdere di vista il proprio protetto o cessare di vegliare sul suo delirio autodistruttivo. Riposarsi era un lusso che non si poteva più permettere. Prima, quando erano semplici ragazzini accecati dal successo, era stato bello assaporare con voracità i frutti della gloria: gli era sempre stato accanto, ma non aveva saputo cogliere gli oscuri segni di quello che sarebbe stato il futuro che li attendeva. Lui stesso aveva partecipato attivamente a quelle notti di bagordi ed eccessi, con l’unica differenza che aveva sempre saputo riconoscere i propri limiti, il suo protetto, invece, no: perciò cercava di proteggerlo, di curare le ferite che si autoinfliggeva, si illudeva di poterlo salvare. Ma nella sua anima si faceva sempre più strada la certezza di conoscere ciò che sarebbe successo...ciò che un giorno gli avrebbero detto con voce rotta nella cornetta di un telefono...

Pete se ne fregava, di steccare durante gli assolo. D’altronde, ormai, non parlava più con il mondo se non con le frasi – a volte enigmatiche, a volte fin troppo esplicite – delle canzoni scure ed opprimenti che componeva: frasi piene di vergogna che poi il chitarrista smentiva con le sue azioni sregolate e mai del tutto motivate. Era iniziato tutto quando aveva deciso di inseguire quel progetto che alla sua mente si era presentato nitido e luminoso, ma che era in breve diventato un labirinto dal quale era impossibile uscire se non a costo della propria lucidità; e lui non aveva esitato a sacrificare questa lucidità alla Musa, sperando di ottenere in dono la realizzazione della melodia intraducibile in note che continuava a vibrare nella sua anima. Peccato che ora, a distanza di anni da quel progetto, fosse ancora impantanato nella palude di liquori e pillole a cui si era consegnato, muovendosi su quel palco come un diavolo depresso e solo...

Keith era gonfio, e non solo fisicamente; la sua intera anima era ingrassata, satura di rassegnazione e soprattutto di quella creatura che gli cresceva dentro, devastando ed ingoiando ogni emozione positiva trovasse sul proprio tragitto. La folle vitalità che lo aveva sempre accompagnato nella sua vita lo aveva improvvisamente abbandonato, noncurante del fatto che quell’uomo di appena trentun’anni – ma che portava molto male la sua età – in quel particolare periodo avesse bisogno di qualsiasi tipo di energia per cercare di rialzarsi dallo stato di prostrazione in cui era caduto. Perché? Non riusciva ad immaginarlo. Poteva solo osservare come in breve tempo fosse stato invaso da una gelida paura che pian piano aveva devastato tutto dentro di lui e preso possesso di ogni sua azione. Temeva la solitudine, temeva l’abbandono, temeva la realtà che rifuggiva sistematicamente, temeva perfino la propria ombra; e un giorno si era svegliato e aveva visto nello specchio il volto di un uomo che non era Keith, un volto triste con occhi spenti. Su quella fiamma ormai flebile soffiava un vento potente la cui forza si intensificava sempre di più, sempre più inesorabile e letale...

L’unico rumore che si sentiva era il feedback della Rickenbacker ormai distrutta di Townshend, e l’unico movimento percepibile era quello del fumo che si levava dall’amplificatore sventrato.



*Angolo dell'autrice*
Eccomi di nuovo in questa sezione, dopo mesi di assenza...tra l'altro con una fanfic tra le più difficili a cui mi sia mai accostata. E' la prima che ho ideato, e mi ci è voluto molto tempo per trasformarla in un racconto partendo dalle frasi buttate giù tra una versione e l'altra quasi un anno fa...tra l'altro parlare di un momento così difficile per il mio gruppo preferito è stato davvero complicato. Ho cercato di immedesimarmi al meglio in ciascuno dei quattro, di dar voce ai loro tormenti e ai loro tarli, e spero di aver reso questo lavoro di introspezione in maniera discreta... Ringrazio in anticipo chiunque legga e recensisca questa fic! 
A presto!
Syd


 
   
 
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