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Autore: Holly Rosebane    07/08/2015    0 recensioni
Era così preso dal non sentire assolutamente niente, che si accorse del cambiamento soltanto quando il volume della musica passò dal rimbalzargli nella cassa toracica ad assordarlo con la propria assenza. Fu allora che spalancò gli occhi, lievemente infastidito, notando l’inconfondibile figura di Michael Clifford in piedi accanto allo stereo, le labbra rosate storte in una smorfia di disgusto. La penombra non rendeva giustizia al colore assurdo dei suoi capelli e forse era un bene. Ad Ashton non erano mai piaciuti i toni fluo.
«Porca merda, fratello, questo posto sembra una discarica» esordì, con la sua solita finezza da rimorchiatore di navi, lanciando un’occhiata circolare all’ambiente intorno a sé. «E basta con gli Enter Shikari. Questa robaccia ti fotte il cervello» seguitò, questa volta riferendosi al misto di urla e sintetizzatori psichedelici che gli avevano martellato direttamente sul cranio fino a pochi secondi prima.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Threshold



 
"Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato."
H. MURAKAMI

 
 
Ma la situazione non mutò molto. Daphne faceva dei piccoli miglioramenti, riuscendo ad essere meno assente di prima, cercando di reagire. Ma ogni tanto l’angoscia tornava ad assalirla, tagliandole la lingua e spegnendole gli occhi. Luke non aveva cuore di vederla in quel modo, ma cosa poteva fare? Fortunatamente non la vedeva quando lui era via, mentre lei si aggirava per l’appartamento con aria smarrita, cercando d’intrattenersi come meglio poteva per sfuggire alla noia e al dolore; provando a suonare degli accordi a casaccio sulla pianola, e finendo poi per artigliarsi il petto, preda di una delle sue solite crisi di vuoto, in cui si sentiva perfettamente paragonabile al niente. Era in quei momenti che Daphne si lasciava cadere sul letto, gli occhi rigati di lacrime, il torace squassato dai singhiozzi, passandosi le mani fra i capelli, pregando che tutto finisse.
D’altro canto, anche Ashton non se la passava meglio. Ogni volta che riusciva a recuperare un minimo di voglia di fare, un ricordo particolarmente doloroso lo investiva, rievocando la serata e il momento in cui la giovane aveva aperto la porta, cogliendolo sul fatto. Un paio di volte aveva perfino sollevato la cornetta del telefono di casa, con l’intenzione di chiamarla. E poi non ce l’aveva fatta, rimanendo a fissare l’apparecchio come se lo vedesse per la prima volta, mentalmente assente, completamente inutile. Allora si lasciava nuovamente andare sul divano, inveendo mentalmente contro se stesso e contro la propria incredibile capacità di riuscire a cacciarsi in situazioni assurde, senza mai venirne a capo.
 


«Oggi pomeriggio non ci sarò, Daph» disse Luke, guardandola dall’altro capo della tavola, mentre si stringeva un cuscino al grembo e si mordicchiava un’unghia.
«Perché?» Chiese lei, incolore, senza nemmeno guardarlo.
«Devo fare da babysitter alla bambina della signora Tanner, da mezzogiorno fino alle sette di questa sera» spiegò. «Ce la farai a resistere? Ti ho portato dei libri, potresti leggerli mentre aspetti».
La ragazza annuì, mesta. Un intero pomeriggio senza Luke. Un intero pomeriggio di solitudine. Lanciò una veloce occhiata ai testi che lui le aveva lasciato sul tavolo, in un guizzo di attiva lucidità. Erano romanzi umoristici, di avventura. Il genere perfetto per distrarsi.
Quando il giovane la salutò per andar via, tirandosi dietro la porta, Daphne avvertì il vuoto della casa tentare di risucchiarla al suo interno. Cercò di sottrarvisi, agguantando uno dei romanzi di Luke e immergendosi nella lettura, ma ogni quattro pagine la sua attenzione calava, costringendola a rileggere un paio di volte lo stesso passaggio, per riuscire ad andare avanti. Riuscì a finire un testo per intero e notò che erano solo le cinque. Altre due ore da trascorrere le parvero un’infinità. Finché un’idea non cominciò a farsi strada nella sua mente, scavando come un tarlo.
Sarebbe potuta andare a casa di Ashton. Non lo vedeva né sentiva da una settimana, anche se la sua essenza era perennemente presente nei suoi sogni, dietro le sue palpebre, nel retro della sua mente. Rimase così colpita dalla possibilità d’incontrarlo, che si vestì in tutta fretta, indossando i primi abiti ragionevoli che le capitarono sotto mano, rendendosi appena presentabile allo specchio e uscì.
 


«Potresti anche andare a trovarla, sai? Non morirai, per questo» biascicò Michael Clifford con la bocca piena, addentando voracemente il suo panino.
«Sì, certo. Così Luke potrà finalmente pestarmi per bene, prim’ancora che io abbia suonato al campanello» ribatté Ashton, senza toccare cibo. Il suo amico scosse la testa con aria serafica.
«Non ci sarà, oggi. Ha un turno di babysitteraggio dalla Tanner, una mia vicina di casa. È via da mezzogiorno alle sette» l’informò, spazzolando l’ultimo boccone e leccandosi indice e pollice. Gli occhi del biondo si accesero d’interesse.
«Dici davvero?»
«Parola di scout» ribatté, posandosi una mano sul cuore e alzando tre dita nella migliore imitazione della confraternita dei lupetti. Ashton ridacchiò, osservando quel buffo spettacolo e il volto del giovane pieno di briciole.
«Finiscila, cazzone, quando mai sei stato uno scout?» Lo spintonò, amichevolmente. Ricevette un leggero gancio in risposta, mentre Michael si allungava sul tavolo per appropriarsi della bottiglia d’acqua.
«Quando avevo sette anni, stronzo» rispose, ingollando ampie sorsate. «Ero il migliore amico della natura».
«Disse quello che lascia lattine sporche ovunque e cicche di gomme da masticare in posti più impensati».
«Falla finita, è mia madre che fa la raccolta differenziata» commentò, fra le risate. Appena Michael l’ebbe lasciato solo, Ashton curò il proprio aspetto più che poté, cercando di non sembrare il relitto umano in cui si era ridotto negli ultimi giorni. Uscì che l’orologio affisso alla parete di casa segnava le quattro e mezza. Decise di fermarsi perfino al fioraio poco lontano dall’isolato, per comprare a Daphne un mazzo di rose. Poteva recuperare. Poteva farcela.
 
 


Appena Daphne giunse nei pressi della porta di casa del ragazzo, ebbe una sgradevole morsa ghiacciata a stringerle lo stomaco, bloccandola in cima alla rampa delle scale per alcuni secondi. Non sapeva se avanzare o no, ferma lì com’era. Decise di avvicinarsi piano, suonando lievemente il campanello. Ma non ottenne risposta. Allora provò a bussare sonoramente, ma neanche quella volta riuscì a farsi aprire. Fu in quel momento che un’onda di disperazione l’investì completamente, da capo a piedi, piegandole le ginocchia e facendole battere piano la testa contro la fredda superfice di legno. Le lacrime le rigarono silenziosamente le guance, mentre singhiozzava senza far rumore.
 


 
Ashton accostò l’orecchio alla porta di Daphne, non udendo alcun rumore provenire dall’interno. La casa sembrava vuota e disabitata, il che poteva essere poco probabile. Magari stava dormendo.
Una serie infinita di pensieri e possibilità invasero la mente del giovane, mentre il suo dito indice indugiava sul pulsante del campanello. Avrebbe suonato, la ragazza si sarebbe svegliata. Gli avrebbe aperto e poi? Cosa sarebbe accaduto? Le sarebbero piaciuti i fiori? L’avrebbe colta nel bel mezzo del pianto? Avrebbe ottenuto rabbia? Urla? Una porta sbattuta in faccia? Come si sarebbe comportato dinanzi ad ognuna di quelle evenienze?
Fu lì lì per suonare, pochi millimetri separavano il polpastrello dalla fredda plastica. Ma, proprio prima di affondare il dito, gli mancò il coraggio. Emise un gran sospiro d’insofferenza, nascose il volto nel voluminoso mazzo di rose, aspirandone il profumo dolciastro. Le depositò con cura ad un angolo della porta e si voltò, sprofondando le mani nelle tasche. Fuori aveva cominciato a piovere.
 


 
«Michael, sai dov’è Daphne? L’avevo lasciata a casa, prima di andar via… e ora non c’è più!» Esclamò Luke al telefono, correndo disperatamente lungo le strade dell’isolato, nella notte, incurante dell’ombrello né del freddo. Quale sconforto quando, spalancata la porta di casa, aveva trovato l’appartamento vuoto. L’aveva cercata ovunque, sotto il letto, nei posti più impensati, sui pianerottoli, in cortile, ma nulla. Della ragazza non c’era traccia. Come se si fosse dissolta nell’aere, sparendo da un momento all’altro.
«Spiacente, amico, non ne ho idea. Pensavo fosse ancora lì», rispose Michael, dall’altro capo della linea.
«Beh, a quanto pare ci sbagliavamo entrambi», commentò Luke, chiudendo la comunicazione e infilandosi il cellulare nei jeans ormai fradici. Non v’era un’anima, in giro, e quelle sparute persone che avevano ancora il coraggio di girovagare per le strade, si stringevano nei loro cappotti, armati di ombrello. Soltanto il giovane continuava freneticamente a perlustrare ogni angolo delle vie con lo sguardo, sperando di cogliere una testa, un abito, un modo particolare di camminare, che potessero segnalargli la presenza della ragazza. Ma nulla, Daphne non era lì e sarebbe stato alquanto inutile aspettare ancora sotto la pioggia, prendendosi un malanno ed esser poi costretto a giacere a letto per giorni. Si passò le mani fra i capelli zuppi, tirandoli indietro in un gesto di disperazione. Tornò sui suoi passi con la tristezza nello spirito, giungendo nei pressi del consueto condominio. Decise di prendere le scale, controllando un’ultima volta il percorso fino al terzo piano.
Quando giunse sulla soglia dell’ultimo gradino, trovò proprio Daphne, che camminava lentamente verso la porta d’ingresso, dandogli le spalle. Capo chino, abiti e capelli fradici, spalle abbassate.
«Daphne?» La chiamò, quasi in un sussurro, mentre superava lo scalino. Vide tutto come al rallentatore. La giovane si voltò, sorpresa di trovarlo lì. I tratti del suo volto si riempirono di stupore, mentre Luke correva ad abbracciarla, stringendola a sé. Lei ricambiò la stretta, seppellendo il volto fra le sue spalle e la giacca a vento, anch’essa piuttosto umida. Il ragazzo non poteva udire nient’altro al di fuori dei passi di rincorsa del suo cuore, che rumoreggiava contro lo sterno.
«Dov’eri?» Le chiese, senza sciogliere l’abbraccio. Daphne scosse il capo, continuando a stringerlo. La condusse nell’appartamento, notando con dispiacere che un forte tremito aveva cominciato a scuoterle le membra.
«Hai bisogno di un bagno caldo, Daph. Ti ammalerai, così», le disse, aiutandola a levarsi uno dopo l’altro gli abiti ormai ridotti a stracci bagnati, e non senza una punta considerevole d’imbarazzo. Tanto che non riuscì a sbottonarle la camicetta, sentendo di violare in qualche modo la sua intimità. Ma lei non sembrò farci caso, scossa com’era dal freddo. Continuava ad osservarlo, con i suoi occhioni verdi, come se dipendesse da lui in tutto e per tutto.
«Ora ti preparo la vasca e…»
«Non lasciarmi sola. Resta con me», sussurrò, stringendogli la mano e aspettando che lui la conducesse verso il bagno.
«O-okay» rispose Luke, dalle guance ormai purpuree per la vergogna. Si fece strada verso i sanitari, chinandosi sulla vasca e aprendo il rubinetto, aspettando che il getto di acqua calda la riempisse completamente.
«Finisci di levarti gli abiti, io… io aspetterò fuori, sì. Quando sarai dentro, poi, mi richiamerai» balbettò, guardando ovunque tranne che verso la ragazza, la quale aveva annuito. Il giovane attese dietro la porta socchiusa, cincischiando con le sue stesse dita, sentendo un groppo in gola e il cuore ancora agitato. Era una situazione surreale, mai si sarebbe immaginato di dover fare una cosa del genere. Quando Daphne lo chiamò, alcuni minuti dopo, sussultò e indugiò qualche istante sulla porta, prima di entrare.
La giovane era quasi completamente immersa nell’acqua piena di schiuma saponata, soltanto il capo, le braccia e le spalle erano rimaste fuori. Non c’era nulla di sensuale in quell’immagine, constatò Luke, mentre le passava il bagnoschiuma sulla schiena. Si trattava semplicemente di una donna nel pieno della sua giovinezza, il cui cuore era stato però ridotto a brandelli da uno sciocco incidente. Era un corpo come tanti altri, l’affetto e la sofferenza per la sua condizione prevalevano sui suoi istinti maschili, che non gli diedero pena nemmeno quando si trovò a pochi centimetri dal suo volto, per spostarle qualche ciocca di capelli bagnati appiccicatasi sul viso.
«Oggi sono andata a casa di Ashton, Luke» disse Daphne, giocherellando con la schiuma biancastra e voluminosa. «Ma indovina? La porta era chiusa. E sono rimasta lì fuori per qualche momento. Da sola», seguitò. Il ragazzo spalancò gli occhi, guardandola costernato.
«E perché l’hai fatto? Senza avvertirmi, poi!» Esclamò. La giovane annuì.
«Certo. Altrimenti me l’avresti impedito».
«Ma…» protestò, ma ella aveva già sollevato una mano per indurlo al silenzio, lasciando che lo sciaguattare dell’acqua fosse il solo suono udibile.
«Ho capito una cosa fondamentale, Luke. Che, se si arriva ad estremi come questo, vuol dire che il rapporto è già minato. Non ne sarebbe uscito fuori nulla di buono, a lungo andare», disse Daphne. «Amavo Ashton, avrei dato il mondo, per lui. Ma, per arrivare ad un’azione del genere, era chiaro che forse, accecata da tutto, dovevo aver dimenticato un paio di problemi lungo la strada. È finita, non credo che torneremo mai più insieme».
Ascoltando quel discorso, senza sapere nemmeno perché, Luke pianse. Prima lasciando colare soltanto un paio di lacrime dagli occhi ed affrettandosi ad asciugarle col dorso della mano. Poi, il pizzicore al naso portò con sé altre stille di sofferenza, e successivamente i singhiozzi. Non capiva nemmeno lui perché fosse crollato a quel modo, le parole di Daphne non erano state particolarmente tristi o lapidarie. Si trattava di un semplice ragionamento scaturito dalla riflessione su alcuni episodi della vita. Non c’era nulla da piangere, per quelle cose.
Eppure, non riusciva a smettere. Mano a mano che singhiozzava, avvertiva tutta la tensione emotiva di giorni e giorni scivolare via insieme alle lacrime, il blocco di rabbia e frustrazione nel suo petto sciogliersi pian piano, inondando le sue stesse emozioni. Consumò più di mezzo rotolo di carta igienica, per contenere tutto il flusso di sentimenti che erano riusciti ad erompere col pianto. Vedere Luke ridotto in quello stato, fu come uno schiaffo in pieno volto per Daphne, che sembrò risvegliarsi da un sonno durato anni.
«Ehi» lo richiamò, posandogli una mano sulla spalla che ebbe da poco smesso di sussultare. «Perché piangi?»
«Non lo so», commentò lui, cestinando direttamente nel water l’ennesimo pezzo di carta inservibile. «Immagino sia lo stress».
«Vieni qui».
E Daphne lo strinse in un abbraccio, non curandosi di nient’altro al di fuori del rincuorarlo, accarezzandogli piano i capelli. Anche lui cinse la sua schiena con le braccia, beandosi del calore della sua pelle umida e del profumo dolce del bagnoschiuma.
Dopo un tempo che parve interminabile, Daphne si scostò lievemente da Luke, prendendogli il volto fra le mani e asciugandogli quelle poche lacrime che ancora erano rimaste imprigionate fra le sue ciglia. Poi, delicatamente, posò le labbra sulle sue. In un gesto sul quale nessuno dei due si fermò mai a riflettere.
Intanto, fuori, la pioggia era cessata.




Nota: ed è finita anche questa. La vita di questa storia è passata quasi come in sordina, è stata la prima che ho scritto sui 5sos. Ancora non sapevo bene come comportarmi con i loro caratteri, come inquadrarli e che taglio dargli. Cosa che tutt'ora non mi è ancora molto chiara, hahahah! Immagino sarà tutto più facile con il passare del tempo! Anyway, non mi dilungo oltre! Chiusa una porta... si apre un portone!! E io ho un bel po' di cose in serbo per voi! Holly rocks again.
Vi lascio qui il banner della mia nuova long sui 5sos e l'account wattpad! Per qualsiasi cosa, io sono disponibilissima a chiarimenti, modifiche, e il più delle volte non mordo, se mi parlate! Quindi, no fear! Grazie per l'attenzione che avete prestato a questa mini storia, per i preferiti/ricordati/seguiti e le letture silenziose! Ci si vede in giro!! 



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