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Autore: Jay_Myler    08/08/2015    0 recensioni
Passai la mia intera vita a cercarla.
L’aspettai, molto, a lungo, forse qualcuno direbbe troppo.
Genere: Fluff, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vedevo la malinconia negl’occhi di quella ragazza, si vedeva che le mancava qualcosa, che non si sentiva completa ed al posto giusto; cercai molte volte di aiutarla, chiedendole se fossi in grado di sollevarle il morale anche di poco. Ma la sua malinconia era dettata dalla tristezza vera e propria, qualcosa che io non potevo sanarle in alcun modo: le mancava casa. Le chiesi dove si trovava la sua famiglia, la sua terra, la casa che tanto anelava. Non ebbi mai una risposta, si limitava a guardarmi con il vuoto nelle sue pupille senza emettere un fiato. Certe volte mi impauriva molto quella strana ragazza, non solo i suoi occhi mi mettevano tristezza, anche il suo viso, in particolar modo nelle nottate molto buie ed afose, mi spaventava atrocemente, vedevo l’odio che nutriva verso il mondo e la sua innaturale bellezza, non faceva altro che trasfigurarle il viso ancora di più, rendendola un mostro senza anima. Mi accorsi che aveva una vera passione per il mare, lo adorava alla follia, non riusciva mai a staccarsi dalla riva, continuava a camminare ed a sospirare senza alcun freno, desiderando di nuotare. La portavo spesso in acqua con me, ma dopo le prime due bracciate tornava con i piedi piantati sul terreno ed incominciava a piangere. A quei tempi non capivo la ragione, mi limitavo a stare vicina a quella ragazza vulnerabile, stringendola tra le mie braccia, pregandola di non struggersi così tanto. Non sapevo assolutamente nulla di lei, eppure la accolsi nel mio appartamento, le diedi la mia camera, condivisi con lei il mio cibo e le mie intere giornate; fisicamente era già una donna bella e che fatta, la sua mente invece era paragonabile a quella di una ragazzina adolescente, ancora in procinto di conoscere il mondo. Adoravo ogni suo movimento, ogni suo sguardo furtivo, ogni carezza che mi regalava senza motivo; era bellissimo vederla emozionata per qualsiasi cosa, che fosse il pattinaggio, un pub o anche una passeggiata nel parco. Non si perdeva mai nulla, i suoi occhi rubavano i segreti della vita, carpivano i movimenti delle persone e li faceva suoi, continuando a sperimentare e ridere senza una ragione. Nonostante la sua gioia di vivere, bastava un niente e la sua vita si incupiva, lei diventava fredda e distante, da tutto, non solo da me, che mi limitavo a guardarla da lontano, sapendo di non poter farci nulla. Dopo i primi mesi inizia a chiamare quel suo comportamento “letargo emotivo”; era giusto una settimana precisa, di fuoco, che non si faceva avvicinare da nessuno, che non voleva avere contatti umani, passando le sue giornate in camera a piangere senza toccare una briciola di cibo e poi eccola lì, usciva dalla sua tana e tornavamo alla vita di sempre per un altro mese. Pensai fosse strana tutta quella storia, ma mi ricordai che tutte le ragazze tendono ad essere strane almeno una volta al mese e di conseguenza non badai molto alla cosa. Ogni volta che uscivamo, non passava mai inosservata, con quei vestiti così sgargianti e vertiginosamente corti; la avevo avvertita che una simile “lunghezza” di vestiario poteva portarle un po’ di attenzione indesiderata, ma lei mi rivolse uno sorriso, uno dei suoi più belli e mi rispondeva che adorava ogni parte del suo corpo e che le sue gambe erano la cosa che preferiva, le trovava perfette. Quando me lo disse, nella sua voce non sentii un minimo di vanità, di superbia o di superficialità, le leggevo negli occhi che era seriamente e disinteressatamente amante del suo aspetto. Portava spesso vestiti corti, ma non le vidi mai indossare un tacco, solo scarpe basse ed aperte; a quanto pareva adorava anche i suoi piedi. Il suo vestirsi leggero la aiutava molto in quelle giornate afose. Quanto odiava il sole, il caldo, la terra sotto i piedi scottare; mi ripeteva sempre quanto odiasse tutta quella luce. Iniziai a portarmi dietro una bottiglia di acqua fresca, per idratarla spesso, così quel problema lo risolvemmo. Aveva dei gusti molto particolari, mi chiedeva sempre di mangiare fuori, ma quando la portavo nei migliori ristoranti della città, si limitava a sbocconcellare pane e qualche verdura. Qualsiasi cosa fosse verde, per lei era ben accetta. Detestava mangiare il pesce, e mi guardava malissimo quando lo facevo io; mi chiesi se per caso fosse vegetariana e non ebbi il coraggio di chiederglielo la prima sera. Dovemmo aspettare la seconda settimana di ristoranti a vuoto; non era colpa mia se abitavamo proprio vicino al mare. Dopo l’ennesimo rifiuto anche solo di assaggiare il miglior pesce di tutto il paese, mi venne spontaneo chiedere che razza di regime alimentare seguisse. Le chiesi direttamente ed anche in tono abbastanza sgarbato, se fosse una di quelle fanatiche, vegetariane, vegane o come si fanno chiamare loro, le sbottai anche che la specialità della nostra terra fosse qualsiasi cosa il mare ci offrisse e che quello mangiavamo noi che abitavamo là. La classica espressione stupita si affacciò sul suo volto ed allora capii che non sapeva il significato di quella parola. Abbastanza stupefatto che non sapesse cosa significasse una cosa così vicina al suo modo di essere, glielo spiegai con calma, scusandomi anche per il tono non amichevole e per niente appropriato che avevo usato poco prima, dicendole che cosa o meno mangiassero i vegani e spiegandole che buonissima carne invece avevamo noi in città.
Lei di tutta risposta mi chiese in che tipo di mare o oceano si poteva pescare una vitello. Scoppiai a ridere; per quanto infantile e spicciolo, il suo umorismo era adorabile; mi aveva proprio preso per il naso, considerando cosa le avevo detto prima. Le ordinai immediatamente una bistecca, molto al sangue; mi chiese se avessi mai avuto rapporti di amicizia con un vitello. Le dissi ovviamente di no e lei mi disse, rimproverandomi con l’indice sinistro che era solo il fatto che non avevo mai socializzato con una di quelle bestie, che mi portava a mangiare la sua carne.
Alla fine, mangiò la sua bistecca di gusto, chiedendo più volte scusa a quell’animale ormai già bello e che cotto.
I suoi occhi erano innocenti, di un verde molto brillante, ma sporco, c’era qualcosa che li incupiva, ciononostante riusciva ad ammaliarti con un solo sguardo; ci provai molte volte con lei, cercai di approcciarmi come amico, poi come confidente, anche se rimaneva sempre chiusa in sé stessa; ostentava un aspetto così aperto ed estroverso eppure era così pudica e timida che nessuno dei miei abbordaggi andò a buon fine. Non accettava le mie avances eppure mi permetteva di stare sempre vicinissimo a lei: dormivamo nel letto insieme, andavano a fare il bagno nudi, si svestiva davanti a me con molta tranquillità, eppure non si fece mai sfiorare da un gesto che avesse malizia anche se molto nascosta; alla fine mi rassegnai ad aspettare che fosse lei a cercare me in quel senso e mi limitai a starle vicino, nel nostro amore platonico, accontentandomi di tutto quell’affetto che ricevevo costantemente. Adoravo toccarle i capelli, erano così morbidi e setosi; erano di un colore davvero bizzarro, erano di un verde bottiglia molto accentuato e scuro, me ne accorsi una notte di luna piena, mentre ci stavamo tuffando nell’acqua gelida della notte. Erano davvero stupendi, mi piaceva intrecciarli e poi scioglierli, per passarci le mie dita dentro, perdendomi in quelle onde naturali. Non mi sentivo alla sua altezza, ma lei mi parlava con così tanto amore, rispetto e naturalezza, che non potevo non pensare di essere allo stesso livello di quella creatura fantastica.
Era ormai un anno che stavamo insieme.
Mi chiese di dormire con lei.
Le sorrisi, dicendole che lo avrei fatto, come tutte le notti precedenti e quelle a venire.
Arricciò il suo piccolo naso all’insù e mi sorrise anche lei; quel sorriso era diverso da tutti gli altri, aveva qualcosa di diverso; mi baciò senza preavviso, senza darmi un attimo per apprezzarlo in pieno e così come era iniziato, finì. Quel bacio aveva un retrogusto molto amaro.  
Quella notte fummo una sola cosa; facemmo l’amore per tutta la notte, la sentii mia e mi donai del tutto a lei, anima e corpo e poi non la vidi mai più.
La mattina dopo le uniche cose che mi rimanevano di lei erano il ricordo di un anno passato insieme ed un biglietto lasciato attaccato al suo cuscino.
“Aspettami” aveva scritto.
Ma dove dovevo aspettarla? Per quanto tempo? Sarebbe tornata lei da me, o dovevo andare a cercarla?
Mi aveva abbandonato, mi aveva spezzato il cuore ma aveva l’alibi perfetto: lei non esisteva; era stata un fantasma nella mia vita, era entrata a farne parte all’improvviso ed ora era sparita, non c’era più.
Passai la mia intera vita a cercarla.
L’aspettai, molto, a lungo, forse qualcuno direbbe troppo.
Ho dovuto aspettare l’ultimo giorno di autunno, dieci anni dopo che mi aveva abbandonato, per vederla seduta sulla riva del mare; o forse vidi un’ombra, un’eco, solo un miraggio; non saprò mai come sarebbe stata la mia vita con lei, ma mantenne la sua promessa ed io la mia.
L’aspettai e lei tornò.
Fu solo pe un momento che la vidi, prima che scomparisse tra i flutti, ma aspetterei altri dieci anni per poter rivedere, anche solo un’istante, quel suo sorriso ingenuo.
C’era una volta, il nostro tempo insieme, ma ora ne era arrivata la fine.
 
Jay Myler
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