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Autore: Amber    09/08/2015    2 recensioni
Ed era assurdo, tutti quei suoi sentimenti lo erano, fuori da qualunque ragionamento logico perché, e se lo diceva e ribadiva continuamente, tra lui e Derek non c’era mai stato nulla al di fuori del branco o dallo salvarsi la vita a vicenda ripetutamente e le congetture di Lydia, sul fatto che forse doveva accorgersi ed accettare i suoi sentimenti una buona volta, non potevano essere corretti perché altrimenti sarebbe stata l’ennesima prova che la sua vita, alquanto miserabile, era una vera e propria presa in giro.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oddio, finalmente la mia prima Sterek. La coppia mi crea un’implosione di sentimenti a non finire, amore incontrollato, tremolio sottopelle, ecc. Io li amo, davvero e Jeff sta scazzando, totalmente. Grazie a Dio esistono le fanfic… e youtube… e i fandom… e noi fans.
Comunque one shot senza troppe pretese e con un titolo che lascia decisamente a desiderare. Ma vabbeh, chiamatela come vi pare nella vostra mente che tanto il succo non cambia: Derek che se ne va con Braeden, Stiles che non capisce una mazza, Lydia che capisce troppo (al solito) e il ritorno del Werewolf… perché lui deve tornare. E tornerà.
Quindi, tanto amore e buona lettura.
Amber

 

DI FERRI ROVENTI E SENTIMENTI ILLOGICI
O di come Stiles capì che Lydia meritava una statua

Stiles si chiese per l’ennesima volta, come diavolo avessero fatto lui e Derek a stare così tanto tempo lontani l’uno dall’altro. Per due interi anni.
E due anni erano davvero tanti: un tempo infinitamente lungo composto di mesi, giorni, ore e minuti, interi secondi senza mai smettere di chiedersi quando si sarebbero potuti rivedere.
In realtà non credeva nemmeno che Derek ci pensasse a lui. Insomma… Derek era l’incarnazione della perfezione assoluta a causa di tutto quel ben di Dio che lo caratterizzava sia fisicamente che psicologicamente, compresa la sua tendenza alla stronzaggine e al suo essere vagamente sadico; lui, al contrario, era sicuramente la personificazione carnale del disastro assoluto, dell’imbarazzo totale, del ragazzino logorroico senza filtri o imbarazzo.
A Stiles il Werewolf mancava terribilmente, e i primi tempi era stato come se avesse dovuto imparare di nuovo a respirare e a camminare da solo senza la rassicurante presenza del lupo accanto a se, tanto che, appena succedeva qualcosa di anomalo o di divertente, girarsi a cercarlo per comunicarglielo o chiedere consiglio era quasi un riflesso. Ma soprattutto durante la lontananza, la sua mancanza fisica e psicologica era stato come un ferro rovente conficcato dallo stomaco fin su al cuore e davvero Stiles non ne capiva la ragione.
Chiariamoci, non che ci fosse mai stato chissà cosa tra di loro, quello no: i loro incontri si erano sempre e solo basati su questioni del branco, quando e se era in pericolo o per risolvere quello o questo in base all’esigenza.
Non c’era mai stato niente tra di loro, tanto che Derek non si era nemmeno preso la briga di salutarlo quando se ne era andato: non lo aveva mai chiamato, non lo era mai venuto a trovare, non gli aveva mai scritto, perché era una cosa normale trattarlo alla stregua di un conoscente. E Stiles, dopo l’iniziale indifferenza dovuta al non immediato ragionamento sulla questione, si era sentito così arrabbiato da diventare acido e molto più sarcastico del solito; questo almeno finché la cara e buona vecchia Lydia non gli aveva dato una bella lavata di capo facendolo quasi sentire in colpa verso gli altri del branco. La terza fase era stato, ovviamente, cadere in un baratro di tetra disperazione.
Ed era assurdo, tutti quei suoi sentimenti lo erano, fuori da qualunque ragionamento logico perché, e se lo diceva e ribadiva continuamente, tra lui e Derek non c’era mai stato nulla al di fuori del branco o dallo salvarsi la vita a vicenda ripetutamente e le congetture di Lydia, sul fatto che forse doveva accorgersi ed accettare i suoi sentimenti una buona volta, non potevano essere corretti perché altrimenti sarebbe stata l’ennesima prova che la sua vita, alquanto miserabile, era una vera e propria presa in giro.
E lui non ci stava proprio. Nossignore.
E poi parliamoci chiaro: come fai ad avere la prova di qualcosa se chi ti deve dare queste fantomatiche prove non c’è?
Poco importava se la sua storia con Malia non era durata che poco più di qualche mese dalla partenza del Sourwolf e che dopo di lei non era più riuscito a stare con nessun’altra perché solo l’idea gli faceva ribaltare lo stomaco e rendeva il suo inseparabile amico ferro rovente da stomaco a cuore un bel po’ più rovente e incazzato. Dettagli irrilevanti e illogici, come tutto il resto poi.
Illogico era la parola chiave della sua vita ormai. C’era quasi affezionato. Le volte in cui provava a essere logico o sembrava che qualcosa andasse nella giusta direzione, qualcosa dentro la sua testa scattava e il pensiero di Derek gli ricordava che tutta la sua vita era un susseguirsi di sensazioni e azioni illogiche e, finalmente, si sentiva in pace con se stesso.
Il buon caro e vecchio Scott, qualcuno gli ergesse una statua, aveva provato a tirare fuori più volte l’argomento spinto forse dai consigli poco velati di Lydia (perché si sa, di Scotty si poteva dire tutto ma non che fosse uno molto perspicace), poi ci aveva rinunciato battendo in ritirata con una frase del tipo “Fai come ti pare, anche se non condivido; quando vuoi io ci sono”. Caro ragazzo, così intelligente. E lo zampino di Lydia era sicuramente tornato fuori con prepotenza visto che dopo nessuno aveva più nominato Derek in sua presenza se non in qualche raro caso. Era meglio ergerla a lei una statua.
Comunque il tempo (due anni, mesi, giorni, minuti, secondi, in cui doveva ricordarsi di respirare, andare a scuola, ridere, dormire, salvare il culo al branco, dimostrare che tutto andava alla grande, sopravvivere) aiutava sempre. Soprattutto se non si aveva nulla a ricordare la persona in questione. No foto. No telefonate. No messaggi. No a un bel cavolo di tutto.
Però dai, passati quasi due anni Stiles faticava a ricordare l’esatto verde degli occhi del lupo anche se li aveva sognati decine di volte, o l’intonazione della sua voce quando era preoccupato per uno di loro, o il suo raro sorriso obliquo, o le intere conversazioni avute con le sue sopracciglia decisamente più loquaci del loro proprietario, o addirittura il ringhio che gli scaturiva dalla gola quando era arrabbiato… no aspetta, quello in realtà era sicuro di ricordarselo abbastanza bene.
In più (era decisamente ora) aveva smesso di cercarlo intorno a se per ogni minima cosa che accadeva al branco imparando a cavarsela da solo… o comunque senza di lui.
Il problema rimaneva quello stupido ferro rovente che, costante come un macigno, gli bucava stomaco e cuore ogni volta che ci pensava, ricordandogli che non era affatto un capitolo chiuso.
Diavolo.

In realtà quella sera, quando successe, non ci stava nemmeno pensando.
L’indomani sarebbe partito per il college insieme all’inseparabile Scott ed era così eccitato che non riusciva a smettere di sistemare la roba all’interno della valigia, mentre si godeva la brezza che entrava dalla finestra aperta e canticchiava ondeggiando i fianchi a ritmo della musica che proveniva dal computer posato sulla scrivania.
Summer Paradise dei Simple Plan ci stava troppo con il suo stato d’animo, tralasciando il dettaglio del nome che avrebbe voluto scrivere sulla sabbia. E grazie tante al non pensarci.
Per questo non sentì subito il leggero tonfo di qualcuno che era balzato dentro camera sua dalla finestra, ma il respiro in più che avvertì e i passi dietro di lui che si avvicinavano alla sua persona lo fecero strillare davvero poco elegantemente facendogli fare un balzo di lato scartando chiunque ci fosse, tanto che andò a sbattere il fondoschiena direttamente nello spigolo della scrivania facendolo lacrimare e bestemmiare a mezza voce mentre si massaggiava il punto colpito.
Era seriamente pronto a sbranare il pazzo che aveva deciso di fargli venire un infarto togliendogli anni di vita e con un movimento fluido, dettato più dall’autoconservazione che da un reale talento, aveva impugnato la mazza che teneva sempre a portata di mano alzandola minacciosamente all’indirizzo dell’aggressore.
E non era assolutamente pronto, né psicologicamente né fisicamente, nel vedere chi fosse, tanto che il respiro gli si bloccò in gola e il cuore mandò molteplici segnali dolorosi di tilt mentre incrociava l’esatta tonalità di verde che ora ricordava essere negli occhi di Derek.
Era così sconvolto che la bocca gli si spalancò e la mazza gli scivolò dalle mani cadendo rovinosamente a terra. Ma chi cavolo ci faceva più caso ormai? Di sicuro non da quando gli occhi del Sourwolf stavano annegando nei suoi facendogli totalmente perdere la cognizione del tempo e dello spazio
-Una mazza? Sul serio?-
E la sua voce. Era sempre stata così bassa e roca e incredibilmente sexy e… Aspetta, sbaglio o sembrava quasi divertito? Sul serio? Per la mazza?
-Tu- soffiò Stiles e si raddrizzò con la bocca arida. Derek era diventato, se possibile, ancora più alto (o era solo lui che si era scordato di com’era stare davanti alla sua persona?) e aveva ancora un fisico perfetto. Il viso era più o meno come lo ricordava, con la barba curata e le sopracciglia folte sopra gli occhi da quel taglio e colore improvvisamente così famigliare da fargli venire i brividi giù per la schiena. E lo stavano guardando come se l’intero universo fosse racchiuso in quella stanza e nel suo viso –Cosa ci fai qui?- domandò l’umano e si scoprì incredibilmente arrabbiato, tanto che la voce gli tremava appena. Fece un passo avanti, minaccioso –Anzi, riformulo. Cosa diavolo ci fai qui? Sparisci da un giorno all’altro senza dire niente, poi senza farti né sentire né vedere entri addirittura dalla finestra della mia camera bello e tranquillo come il sole e osi chiedermi della mia mazza come se fosse la cosa più importante? Lo sai che esistono le maledette porte? Sai, sono quelle cose che usa chi non può fare un balzo da piano terra a primo piano come se fosse normale, perché le persone normali apprezzano un bussare discreto o l’uso del campanello per annunciarsi, così che spetti al padrone di casa decidere dove diamine piazzare l’ospite o se sbattergli direttamente la porta in faccia! Perché dopo tutto quello che è successo e il tempo trascorso, come puoi pretendere che mi stia bene il fatto che piombi in camera mia in questo modo? Come se non fosse cambiato niente? Sono passati due anni, cazzo! DUE- sbottò con le mani che tremavano, anzi che prudevano dalla voglia di prendere a cazzotti in faccia un certo lupo.
Ah ma non temete, si stava sforzando solo perché l’unico a farsi male, con suo grande rammarico, sarebbe stato lui e non il tipo che aveva ben deciso di invadergli, senza avvertirlo, il suo spazio personale.
Almeno stava avendo la soddisfazione di vedere la bocca del lupo piegata verso il basso e gli occhi rabbuiati dal… dispiacere?
-Stiles…- iniziò.
Beh, peccato per lui ma non aveva per niente finito
-Ah e sai un'altra cosa? Io domani parto per il college e tu… tu non c’eri- Gli occhi gli si riempirono di lacrime e abbassò lo sguardo sul pavimento perché… diavolo, non voleva piangere davanti a lui e sbatté le palpebre. Non voleva che gli si offuscasse la vista. Nossignore. Voleva godersi quel preciso momento e vedere bene quella stupida faccia mentre gli sbatteva addosso due anni di frustrazione e tradimenti. Lo guardò con lo sguardo più accusatore che aveva nel repertorio e fece un altro passo avanti, l’indice rivolto verso di lui in una muta minaccia, perché voleva che il lupo capisse bene e che sentisse quanto gli aveva fatto male  –Non c’eri Derek! Non ci sei mai stato! Sai cosa abbiamo affrontato in questi anni? Sai com’è stato difficile senza di te per il branco? Hai una vaga idea di quanto tu mi sia mancato?- domandò esplodendo. Derek in due passi gli fu davanti e l’umano si sorprese di quanto fu facile abbandonarsi contro la propria scrivania mentre il lupo lo accompagnava contro di essa, con le mani sui suoi fianchi e poi sul suo viso e tra i suoi capelli. Aveva le labbra sulla sua fronte e sulle sue tempie e sulle sue guance e Stiles, non capendo assolutamente niente ma sentendo il cuore e lo stomaco bruciargli tanto da far male, si aggrappò alle sue braccia singhiozzando. E al diavolo il non voler piangere davanti a lui e il volergli fare capire quanto fosse arrabbiato –Cosa ci fai qui proprio adesso?- ripeté
-La mia ricerca in Messico e da qualunque altra parte con Braeden è finita- mormorò Derek senza riuscire a staccare le mani dal suo viso, passandogli di tanto in tanto un pollice sulla giugulare socchiudendo gli occhi, come se il battito frenetico del suo cuore fosse un suono assolutamente affascinante, per poi guardarlo negli occhi dorati mentre baciava in una lenta carezza le sue lacrime che, traditrici, erano sfuggite al suo controllo –E io non potevo resistere un minuto di più- soffiò quasi timoroso. Gli occhi erano una tempesta di verde mentre gli accarezzava le braccia e tornava al viso, baciando ogni neo, ogni difetto, ogni increspatura.
E Dio. Lasciarglielo fare sembrava così giusto e stare nell’incastro tra le sua braccia era così meraviglioso che le energie dell’umano dovevano per forza essergli state risucchiate da qualche parte, forse da tutte quelle lievi carezze date dalle labbra e dalle mani del Sourwolf, perché non era possibile non avere nemmeno la forza di volontà di provare a scostarsi
-Ma Braeden…?-
-E’ finita- ripeté Derek guardandolo negli occhi e Stiles tirò su con il naso leccandosi le labbra mentre il più grande non si perdeva una mossa. Potevano un paio di occhi così maledettamente verdi essere ritenuti legali? Nessuno aveva ancora denunciato quel viso e quelle espressioni… e quel suo essere così tanto Derek da mandare in tilt un qualunque cervello pseudo pensante? –Da tempo ormai perché… era troppo difficile stare con lei mentre sentivo…- Si interruppe e scosse il capo, come se non riuscisse a mettere insieme una frase completa –Io… ti ho sognato, continuamente. E avevo così tanta voglia di vederti-
-Perché non mi hai cercato prima? Non mi hai telefonato, mai. Pensavo… non ti importasse niente- mormorò Stiles con una punta di accusa nella voce; ma il suo corpo era di tutt’altra opinione perché vide le sue mani che, neanche avessero avuto vita propria, passavano dalle braccia al torace artigliando la maglietta sotto la giacca di pelle, quasi a volerselo tirare più vicino. E Derek, se possibile, si avvicinò ancora di più.
Oddio, quella maledetta giacca di pelle. Gliela avrebbe voluta strappare a morsi.
-Ho pensato che se avessimo iniziato sarebbe stato troppo difficile staccarci- Derek abbassò gli occhi, appoggiò la fronte sulla sua e li chiuse sospirando tremante –Io credevo che non interessasse a te. Credevo di essermelo immaginato. E ho combattuto Stiles. Contro di me e quello che sentivo, contro il nostro rapporto, qualunque esso fosse, perché ogni cosa mi diceva che era sbagliato, perché sono troppo più grande di te, perché tu sei nel periodo migliore della tua vita, perché incatenarti a me non è giusto a causa di tutto quello che sono…-
Ed era la frase più lunga che avesse mai pronunciato prima in sua presenza, chissà se se ne rendeva conto?
-Però sei qui adesso- sussurrò Stiles e tornò a incrociare gli occhi del lupo che con il naso percorse una via immaginaria tra la tempia e il collo, respirando a fondo il suo odore come a volerselo imprimere nella memoria, come se fosse la prima e l’ultima volta che poteva stargli così vicino, e letteralmente Stiles tremò con il cuore, le gambe e le braccia ridotte a una gelatina. Come faceva a stare ancora in piedi? Ne sarebbe stato ancora capace dopo? –Derek-
Oddio, ma quanto era stato cieco? Ma di quali stupide prove aveva mai avuto bisogno se il suo cuore e addirittura il suo stomaco avevano sempre saputo cosa volevano? Per non parlare di Lydia. Santo cielo, doveva chiamarla e dirle che la prossima volta che si vedevano era autorizzata a picchiarlo per la sua cecità e stupidità
-Non voglio più lasciare nulla in sospeso- dichiarò il lupo guardandolo. Verde e oro in collisione cosmica –So che forse è tardi… Ma se tu me lo permetti voglio… Anche se domani parti per il college, se entrambi sappiamo che cosa siamo l’uno per l’altro… Non mi interessa più niente dei miei dubbi, o delle mie paure, o del passato perché davvero non ce la faccio più. Stiles- sussurrò con le frasi inconcludenti che facevano capire niente ma allo stesso tempo tutto. Gli prese il viso tra le mani e gli fu a un soffio mentre gli fissava le labbra, mentre gli sfiorava il naso con in il suo , mentre lo guardava negli occhi come se non ci fosse nient’altro al mondo –Se non è vero, se non esiste, se è tardi, se mi sto intromettendo tra te e qualcun’altro, questo è l’esatto momento in cui devi fermarmi e dirmi che me lo sono immaginato e che tra di noi non c’è niente e… e io sparirò per sempre, non mi volterò mai più indietro, non tornerò mai più-
Ed era sofferente, come se la possibilità gli causasse già del dolore fisico. Stiles si rilassò contro il suo tocco. E finalmente era tutto incredibilmente chiaro e limpido che gli veniva di nuovo da piangere. Meno male che non era il solo ad essere cieco.
Cosa mai poteva essere successo per far prendere a Derek quella decisione così improvvisa, così di punto in bianco? Non gli interessava. Ma glielo avrebbe chiesto comunque. Dopo.
-Non credere di cavartela così facilmente perché sono ancora arrabbiato. Tantissimo- Non gli permise minimamente di allontanarsi quando vide il colore dei suoi occhi mutare, diventando di ghiaccio, arpionandogli a sua volta il viso. Quasi rise nel guardargli le sopracciglia aggrottarsi verso il basso, in un’espressione confusa –E sappi che ti ci vorranno il doppio, se non il triplo degli anni in cui sei stato lontano per farti perdonare, come minimo- Lo sentì rilassarsi e lo vide annuire una volta mentre appoggiava la fronte alla sua con quel suo sorriso obliquo che ora Stiles, affascinato, ricordava così bene. Derek lo prese per i fianchi e gli accarezzò le anche in modo lento e distratto tanto che si sentì tremare come una foglia.
Al computer era partita la canzone All of Me di Jhon Legend, nemmeno fossero dentro ad una di quelle stupide commedie romantiche ed entrambi sbuffarono sorridendo.
Derek gli accarezzò il viso lentamente mentre l’aria intorno a loro diventava ancora più intima
-Non so tu ma personalmente penserei dopo a come vivremo questa storia da domani in avanti-
-La trovo una splendida idea- Stiles fece appena in tempo ad alzare di qualche tacca il volume della canzone che Derek gli stava già mordicchiando la mandibola e il collo –Anche perché hai due anni di baci e carezze mancati da farti perdonare. Stupido, stupidissimo Werewolf- mormorò strattonandolo per il colletto e sorridendo sulle sua labbra.
E Derek quella sera fu ben felice di accontentarlo in tutti i modi possibili mentre, finalmente, il ferro che gli aveva spezzato il fiato in quei due anni si allentava arrivando a diventare una dolce e particolarmente lenta tortura.
Ah, e doveva assolutamente ricordarsi di farla quella statua per Lydia.

  
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