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Autore: B Rabbit    09/08/2015    0 recensioni
{ Per il terzo giorno della Laven Week | Un bacio a tutti voi }
Neah sorrise. «Balliamo?».
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Allen Walker, Altro personaggio, Rabi/Lavi | Coppie: Rabi/Allen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Laven Week 2015'
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Tic toc, the time falls




L’aria si fermò improvvisamente, il vento fuggì via, dileguandosi fra le macerie degli edifici e le rovine dell’esistenza umana. Le polveri smisero di danzare e caddero tragicamente senza alcun rumore, nessun eco le accompagnò a terra.
Tutto sembrava perire intorno a lui, vicino a quello spettro, fantasma del passato e luce glaciale da cui si erano diramate le ombre più viscose che strangolavano il cuore del povero maledetto.
E Lavi rimase immobile, pietrificato da quella metamorfosi improvvisa, disprezzata, che aveva colpito il ragazzo dinanzi a lui, la stella caduta dal regno celeste per salvare o soffocare la vita di quella storia.
«Buongiorno».


Quella mattina, la città si era destata sotto un cielo ridente, libero dalle placide nuvole che avevano caratterizzato il giorno passato. Fin dalle prime ore lucenti, le strade erano gonfie di persone indaffarate, fiammette ineguali dalle sfumature molteplici. L’aria, pregna dell’odore piacevole ed avvolgente del pane caldo, rendeva quella mattinata ancora più allegra.
Seduto su degli scalini in pietra, gli stessi negli ultimi dì, un ragazzo guardava senza alcun vero interesse le gambe della gente, lasciandosi sommergere dai suoni distinti e regolari dei tacchi femminili, da ritmi affrettati di qualche anima stanca, miscelati all’eco dei passi celeri di bambini ormai lontani.
«Oggi non ci sono molti clienti…» udì il ragazzo e, volgendo lo sguardo in quella direzione, incontrò la figura di Johnny, impegnato nella riparazione di una scatoletta scura dagli eleganti arabeschi dorati – un carillon, pensò il giovane esorcista –.
«Forse li spaventerà questo ceffo qui» gli rispose, indicando alla sua sinistra un ragazzo dalle fattezze asiatiche, palesemente scocciato da quella soluzione economica.
«Cosa vorresti insinuare, moyashi?» ringhiò l’incriminato, la mano sull’elsa della fedele spada.
«Quello che ho detto» ribatté lui con sufficienza, prendendosi il viso fra le mani. «Sordo».
Irato, Kanda scattò in piedi e afferrò l’altro per il bavero, ma appena aprì bocca per vomitargli insulti ed ingiurie, appena lo guardò in viso, tutte le offese perirono sulle labbra schiuse e la stretta delle sue mani si indebolì leggermente.
«Cosa c’è?» chiese Johnny, preoccupato da quel cambiamento repentino.
Allen chinò il capo e nascose il viso dietro la mano destra. «Akuma…».


«Cosa ci fai qui?» abbaiò il rosso, serrando con forza i pugni.
L’inglese piegò appena il capo con fare innocente, alimentando così la rabbia dell’altro. «Sono sempre stato qui, sai?».
Il guercio digrignò i denti – detestò immediatamente il sorriso malizioso che affiorò su quel viso serafico, candido; disprezzò lo sguardo famelico che lo studiava con i suoi occhi gentili e pieni di riguardo –.
«L-Lavi? Cosa…». Il citato si voltò, notando un inconsapevole Johnny, sconcertato e impaurito dal suo atteggiamento aggressivo, opposto a quello solito, bonario ed infantile che lo caratterizzava nelle considerazioni altrui.
Kanda si avvicinò allo scienziato ed estrasse la katana, pronto a qualsiasi offensiva.
Neah ridacchiò – divertito, sereno, ma il suono che vibrò nell’aria fu freddo e arido, estraneo a quella voce argentina e cordiale –. «Il palco mi attende» sussurrò mellifluo, alzando elegantemente il braccio per accogliere il piccolo Timcanpy sulla propria mano. «Prima, però, devo fare in modo che Allen non improvvisi il ruolo d’antagonista, quindi…» alzò il sinistro, che presto si illuminò di uno strano e debole bagliore. Delle piume cominciarono a formarsi sulla pelle scura, a nascere e separarsi dalle membra tremanti impestate dal materiale divino.
Il sorriso divenne presto una smorfia, e Neah si lasciò sfuggire un sospiro sofferente. «Sei una bambina pestifera, Innocence… dovresti obbedire al tuo padrone».
Immediatamente, la mano di Lavi saettò sulla custodia del martello, ma con ribrezzo si accorse della sua assenza – aveva perduto l’arma il giorno del suo rapimento –.
Neah sorrise. «Balliamo?».


Seguendo la rotta dettatagli dall’occhio sinistro, Allen si ritrovò in un grande piazzale desolato, evitato dalla gente che, spaventata, era corsa via. E al centro di quella landa civilizzata, fra le grandi pozze d’inchiostro ancora gorgoglianti, affiorò il corpo inerme di un ragazzo. Quando lo guardò, appena delle inequivocabili peculiarità guizzarono alla sua vista, Allen sbarrò gli occhi – le sue membra agirono da sole e in pochi, assillanti baleni si ritrovò inginocchiato al fianco di quella persona. Di Lavi –.
Lo portarono immediatamente in quella sterile camera d’albergo, controllando spesso, lungo il tragitto, il suo respiro – Allen gli sfiorava la fronte rovente, gli carezzava il viso livido, segnato da innumerevoli graffi –. Lo curarono, attesero il suo risveglio per giorni, in silenzio, quasi una parola inopportuna o una domanda affrettata potessero frantumare la speranza di sentire ancora una volta quella voce raggiante.
E Allen la udì nuovamente, giorni e sere dopo, in una notte priva di luna: era gutturale e rauca, così debole da sembrare il fruscio morbido delle foglie carezzare dalla brezza notturna.
Johnny fu il primo ad uscire – «Bisogna festeggiare!» –, seguito da Kanda che, sbuffando, sbatté la porta alle sue spalle, regalando ai due esorcisti un fugace e raro e necessario attimo di intimità.
Eppure, nonostante la gioia dell’evento, la paura serpeggiò nei cuori dei ragazzi, seminando fra loro schegge di ostilità.
«Perché?» chiese Lavi, duro.
L’altro sbuffò. «Potrebbero rapirti di nuovo, stupido! All’Ordine sarai al sicuro!».
«Forse è quello che vogliono!» urlò. Artigliò le coperte e le strinse forte tra le dita. «Aspettano il mio ritorno per fare qualcosa!».
«Cosa, Lavi?» ribatté lui, la voce acuta, lacerata dalla collera, dal terrore. «Devi tornare immediatamente all’Ordine. Attiveremo il golem di Kanda, così gli altri ti troveranno e–».
«No!» si oppose, e il giovane sussultò quando il fulvo colpì la parete con veemenza. «Non andrò da nessuna parte…» dichiarò, ansimando leggermente a causa dello sforzo e delle emozioni violente che lo angosciavano.
Allen abbassò il capo. «Se tu…» iniziò, fissando le proprie mani tremare visibilmente. «Se rimarrai qui, io… io potrei» strinse forte gli occhi, addentò con violenza il labbro, quasi potesse condannare se stesso e Lavi a quel tragico finale con delle semplici, astratte parole. «Ho ferito Johnny, una volta» riprese, sorridendo amaramente. Sollevò la testa e legò gli occhi a quello del compagno, implorandolo con il solo sguardo. «Lo sai cosa potrebbe succedere» mormorò fragile, e quando l’angoscia e la paura gli velarono gli occhi di lacrime, Lavi si alzò, scattò in avanti e lo attirò a sé, fra le sue deboli, confortanti braccia – gli carezzò i capelli diafani, lo cullò dolcemente. Nessuna parola volò dalle sue labbra, nessuna promessa fu sancita, troppo vuota e illusoria per essere stretta –.
«Cosa potrebbe succedere?» chiese tenuamente, intrecciando le dita in quelle ciocche evanescenti come la luna.
Il giovane affondò il viso nel suo petto, premette le labbra contro la sua maglia, quasi volesse nascondere la verità al mondo. «L’inevitabile».


Qualcosa lo strappò via dal guscio dell’annichilimento, lo trascinò con veemenza nel mare della coscienza, e un senso di torpore dominò per qualche fugace momento le sue percezioni, finché dei tocchi, delle gocce non gli bruciarono il viso e il torace. Aprì gli occhi, e con gelo fissò il volto dinanzi al suo.
«Allen…?».
Sentì vibrare quelle misere lettere nelle ossa, nel cuore sconvolto. Qualcosa di caldo e palpitante gli avvolgeva la mano, e quando provò a muovere le dita, a stringerle, un gemito sofferente sgorgò dalla bocca di Lavi.
«N-non muoverti… non ancora…» lo udì supplicare tra i rantoli graffianti, faticosi. E Allen capì.
Comprese di avere il braccio radicato nell’addome dell’altro, di aver stretto fra le dita il suo essere, la sua vita. Capì di essere caduto nella paura più grande, crudele, e che la maledizione impressagli nel cuore stava per concretizzarsi.
Lavi lo chiamò, gemette il suo nome una volta, un’altra e una terza ancora; gli prese il viso fra le mani e gli carezzò le gote di pallida porcellana, imbrattandole con lo scarlatto del suo sangue.
«Rispondimi…» pregò, osservando amaramente il suo profilo smunto emergere in quelle iridi vacue – non trovò più il solito, grigio cielo autunnale, ma vetro opaco dalla colorazione cinerea –.
Il fulvo percepì il torpore avvolgerlo dolcemente; si morse il labbro, sperando di dissipare la stanchezza con nuove ferite e, mosso dalla disperazione, dall’urgenza, colpì il giovane al viso. E quando lo chiamò, urlò il suo nome, vide tiepide lacrime sanguinare copiosamente dai suoi occhi lucidi, vivi.
Allen gemette, singhiozzò domande e negazioni confuse, gridando il suo dolore.
Bookman Jr posò la fronte sulla sua, la giada incastonata nell’argento vivo. «Non è stata colpa tua, è stato Neah… capito?» disse, carezzandogli le guance esangui con i pollici. «Non sparire…».
«L-Lavi!».
«Promettimelo» supplicò con un soffio lieve della voce. Il giovane strinse forte le palpebre, abbassò leggermente il capo, senza però separate la loro fronti.
«Allen» lo chiamò allora, e il retrogusto amaro della rassegnazione lo soffocò. «Devo dirti una cosa, e-e… beh, credo di poter rinunciare al titolo di Bookman». Scostò il viso dal suo, gli sfiorò la tempia con il dorso delle dita. «Ti amo» e, liberandosi dalla presa dell’altro, socchiuse gli occhi, abbandonandosi completamente al buio delle palpebre, al sonno della fine. Al silenzio che lo avvolse, soffocando le urla del giovane.


«Questo è stato crudele, fratello».
Un giovane ragazzo si voltò, incrociando lo sguardo con quello triste dell’uomo al suo fianco. «Povero Allen… continua a piangere» e sorrise, percependo le lacrime inumidirgli appena gli angoli delle labbra.

















O MIO DIO SONO LE 23:34 E ANCHE OGGI CE L’HO FATTA!
Ok, sto sclerando – non per la bellezza della storia, visto che non c’è, ma perché sono riuscita a postare! –.
Questo è un What if? che possiamo legare al manga… beh, prima che il Conte e l’Aposchifo arrivino a far casino xD
Avviso che da domani potrei non essere così puntuale, siccome lavoro e, beh, le storie le invento e scrivo giornalmente – Niv cara lo sa bene –.
Bye bye :*

Buona Laven,
Cloud~

  
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