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Autore: Koa__    10/08/2015    5 recensioni
Un cadavere scomparso. Un fazzolettino ricamato e sul quale una mano ignota ha scritto una strana filastrocca. Una copia del libro: "Il giardino segreto" vecchia di anni, recante diciture confuse e incomprensibili. Misteriosi personaggi dai segreti inconfessabili, si muovono in un minuscolo paesino dello Yorkshire. In tutto questo, Sherlock Holmes, venuto assieme al suo fidato amico John Watson per far luce su di un curioso mistero, si comporta in una maniera assai strana.
[Blandamente ispirata al romanzo di Frances Hodgson Burnett: "Il giardino segreto"]
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Racconti di un giardino segreto'
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Lo strano caso
del cadavere parlante
 
 





Capitolo primo






Era stato tutto relativamente noioso fino a quel momento, nulla di eccezionale accadeva da giorni e sebbene il suo amico Sherlock Holmes stesse lentamente impazzendo, il dottor Watson poteva ritenersi alquanto soddisfatto. Ovviamente era iniziata, com’era solito iniziare sempre tutto, al secondo piano del 221b di Baker Street. Il pomeriggio era di quelli dei primi di settembre, già piuttosto polverosi e dal sapore di tè nero. Una giornata pigra e annoiata; leziose e stanche ore da dedicare a una tazza di tè, piuttosto che a uno di quei cruciverba del Times che il buon dottore non aveva mai il tempo di risolvere per intero. John Watson era quel genere d’uomo che nei momenti di libertà amava gustarsi un buon libro, magari di Fitzgerald o un qualcosa di King. Gli piaceva la pace e la quiete della Baker Street che negli anni aveva imparato ad amare. Solitamente c’era Sherlock a fargli compagnia, il più delle volte impegnato in qualche d’una delle sue attività. Spesso se ne stava chino sul microscopio per intere mattinate, altri giorni si dedicava al violino. Ne stuzzicava le corde, probabilmente immerso nella profondità dei suoi pensieri, oppure si metteva in mostra con qualche melodia di sua creazione. Al contrario di molti altri, quello era un pomeriggio in cui il delicato incantesimo che irretiva il lato più pacato dell’animo di John Watson, trattenendolo appollaiato alla poltrona, veniva spezzato in maniera brutale dal trillare del campanello.

Era stato a causa della brusca interruzione, che aveva borbottato di disappunto dopo che Mrs Hudson aveva gridato un non ben precisato qualcosa dal piano di sotto. Aveva chiuso quindi il libro, non appena aveva sentito i passi leggeri ‒ di certo femminili a giudicare dal ticchettio che batteva sui gradini in legno ‒ di una cliente che saliva le scale. Sherlock, al suo contrario, era balzato giù dal divano al pari di un grillo e si era precipitato con ritrovata foga in camera da letto. Per poi presentarsi qualche minuto più tardi col suo fare ovviamente più che perfetto, vestito in giacca e camicia bianca, sfoderando il migliore dei suoi finti sorrisi. John era sempre un po’ vivamente sorpreso di come il suo amico riuscisse a mutare l’umore in modo così tanto radicale e, da un attimo a quell’altro, ingannare il più abile dei falsari. Di certo, però, faceva parte di tutti quei piccoli dettagli che rendevano il grande detective assurdamente imprevedibile, oltre che incredibilmente affascinante. John doveva ammettere di non aver mai troppo indugiato in quei pensieri, fino ad allora si era semplicemente convinto che tutto ciò rendesse Sherlock dannatamente complicato, e che si trattasse di un mistero che mai sarebbe riuscito a risolvere. Tuttavia quel giorno accarezzò più volte l’immagine che in anni di convivenza si era fatto di lui. Lo fece per qualche breve secondo, prima di venire interrotto dal dolce e timido sorriso di quella bella ragazza che, ora, sostava sull’uscio della porta del soggiorno. John si mise in piedi mosso dalla sua ben nota educazione, così come da quello spirito accogliente che lo contraddistingueva in maniera quasi drastica dall’algido modo di fare del celebre consulente investigativo.
«Buongiorno» la salutò, accompagnando al tutto un ampio sorriso cordiale, prima di invitare la giovane donna a prendere posto sul divano.

Fu con un fare brillante e al tempo falsamente gentile che Holmes si presentò poco più tardi nel caotico soggiorno, accogliendo con poche parole e l’invito a essere concisa, la giovane cliente. Lei, Mary Jane Gilmore, ventottenne, abitante di un minuscolo paesino dello Yorkshire, era giunta sino a Londra per sottoporre un caso al detective di cui spesso scriveva il Times. Doveva trattarsi di una faccenda personale, dedusse Watson dandole una rapida occhiata e notando l’evidente nervosismo che la faceva apparire come tesa e a disagio. La cliente infatti sedeva in maniera rigida, a schiena dritta e sguardo traballante, aveva una tazza di tè stretta tra le dita di una mano e il piattino in ceramica del servizio buono di Mrs Hudson, precariamente retto con l’altra. Non aveva ancora detto nulla di rilevante, si era limitata ad accettare tè e biscotti e ad affermare d’avere un caso per loro. E tra un sorso e l’altro di Earl Grey, osservò John, Mary Jane occhieggiava lui e Sherlock, già accomodati nelle rispettive poltrone, come se ne avesse un qual certo reverenziale timore.
«Il mio nome è Gilmore. Mary Jane Gilmore» esordì, subito prima di venir brutalmente interrotta dalla voce baritonale di Holmes. Già saccente e petulante oltre limiti del sopportabile, s’appuntò mentalmente Watson.
«Noioso e irrilevante» affermò il consulente investigativo «necessito esclusivamente di fatti. Cosa, come, quando: solo di questo m’importa» pronunciò, secco, accavallando le gambe con un fare teatrale. In tutta risposta, la giovane spalancò gli occhi e preda di una lieve titubanza, prese quasi a tremare. Pareva che qualcuno la stesse minacciando o che le fosse stata recata una qualche offesa. Di solito era in momenti del genere che toccava al suo animo di buon dottore, intervenire a sanare la situazione. Infatti fu proprio la sua reazione immediata, scaturita da quell’istinto che aveva sviluppato sotto le armi, a placare l’evidente nervosismo che aleggiava pericolosamente nell’aria.
«Con calma, Mary Jane» le disse, bonario «si prenda tutto il tempo che le occorre ed esponga i fatti così come li ha vissuti.»
«D’accordo» annuì vigorosamente lei, prima di buttar giù un ultimo sorso di tè e posare lo sguardo ora più deciso, in quello del caro dottor Watson.
«Trentadue giorni fa, Jane Gilmore (mia nonna paterna) è deceduta in seguito a una malattia. Onestamente, nulla che io e la mia famiglia non ci aspettassimo, dato che era da tempo malata di cuore. Alla sua età… ecco, era questione di momenti. È morta nel suo letto e in quel tragico giorno io e papà eravamo con lei. Non ha…» mormorò, interrompendosi e singhiozzando rumorosamente, prima di riprendere anche grazie al sorriso rassicurante di John. «Non ha sofferto, è stato come vederla addormentarsi. Con noi c’era ovviamente padre Timothy, il parroco. Fu lui a organizzare la veglia e il funerale. Ci aiutò in ogni cosa, oh, fu tanto gentile! Pensate che diede una mano persino quando dovemmo vestirla. Nella giornata successiva ricevemmo molte visite, perlopiù erano paesani e conoscenti provenienti da zone limitrofe. Arrivò anche qualche parente, mia sorella Bea in particolare, assieme a suo marito Berry e a loro figlio Jeremy. Sa, vivono su a Edimburgo e non ho modo di incontrarli tanto spesso. In ogni caso, ci accordammo per il funerale che si sarebbe tenuto il giovedì mattina. A turno vegliammo nonna, ancora nella sua stanza, per tutto il giorno e naturalmente anche durante la notte. Ma il mattino seguente quando i becchini vennero con la cassa, il cadavere era sparito. Scomparso, Mr Holmes. Svanito nel nulla.» Le sue parole si smorzarono in un pianto sommesso, Mary Jane tentò di soffocare le lacrime in un fazzolettino, che già da prima che entrasse si torceva tra le dita. «Pareva si fosse alzata con le sue stesse gambe e se ne fosse andata via da sé» proseguì «abbiamo denunciato la scomparsa alla polizia, naturalmente, ma loro non hanno saputo aiutarci poi molto. Glielo confesso, Mr Holmes, mi ero detta che chiunque avesse sottratto le spoglie della mia cara nonna l’avrebbe pagata cara. Ero determinata a scoprire chi fosse stato, ma le indagini non portarono da nessuna parte e lo sconvolgimento dei primi giorni, lasciò lo spazio all’arresa. A tutt’oggi ammetto d’aver perduto ogni speranza di poterle dare una degna sepoltura.»
«Cos’è successo?» domandò Sherlock, protendendosi ora verso la ragazza e guardandola con fare vivamente interessato. John non avrebbe scommesso due lire su quel caso. Non appena la bella cliente aveva iniziato a raccontare, si era convinto che il suo amico l’avrebbe liquidata con poche parole, prima di mostrarle quella porta che successivamente le avrebbe sbattuto in faccia. Ne era certo, perché aveva già visto tante volte Holmes buttar fuori casa potenziali clienti e spesso non occorrevano che pochi istanti. Oltretutto non s’interessava mai di cadaveri, non quando questi erano scomparsi e in ogni caso non dopo la faccenda dell’aereo, quasi temesse d’incappare di nuovo in un geniale piano di Mycroft. Fu per queste ragioni che vederlo tanto appassionato lo sorprese sinceramente.
«Non credo di capire» mormorò Mary Jane, confusa.
«Tutto questo è avvenuto, a suo dire, un mese fa. Perché è qui oggi? Cos’è cambiato?»
«Brillante come dicono» annuì lei, stirando un timido ghigno. Subito e senza indugiare oltre, prese a rovistare nella borsa. Si trattava di una di quelle molto capienti e il cui contenuto pareva voler straripare Fino a quel momento, Mary l’aveva tenuta accanto a sé e, Watson lo aveva notato, lo sguardo le era ricaduto spesso. Quasi stesse controllando che non fosse sparita. Doveva essere contenuto qualcosa di estremamente importante lì dentro, ne dedusse. Quando la cliente vi estrasse un fazzolettino ricamato, lui per primo si espresse in un mugolio quasi impercettibile. Non fu tanto la sorpresa nel trovare un oggetto tanto banale, quanto piuttosto il fare frenetico di Holmes, il quale aveva strappato il brandello di stoffa dalle minute mani di Mary Jane e aveva iniziato ad analizzarlo sotto la luce più forte che entrava dalla finestra, alla quale s’era accostato. Appena dopo qualche attimo, la sua voce baritonale inondò il soggiorno di una rimata filastrocca che anche in lui scatenò pensieri confusi.
 


 

Mary, Mary la scontrosa
nel tuo giardino che cosa c’è?
Ci son viole e boccioli di pesco
e le mie nonne attorno a me.



 
«Interessante!» esclamò Holmes, prima di recuperare dall’astuccio delle sue cianfrusaglie, la lente d’ingrandimento. Vedere il suo amico tanto eccitato suscitò in rimando anche la curiosità di John il quale, ora più attento, riportò lo sguardo alla bella cliente. Al solito, il suo compito era quello di far parlare le persone e di metterle a proprio agio cosicché si sbottonassero il più possibile. Holmes aveva il potere di intimidire chiunque, con quei modi di fare eccentrici o il suo essere sopra le righe. Decisamente non era l’essere umano migliore al quale raccontare particolari intimi sulla propria viva privata.
«Il fazzolettino» mormorò Watson, accennando al brandello di stoffa che ora giaceva tra le affusolate dita di Sherlock e che veniva esaminato al pari di un dettaglio su di una scena del crimine.
«Era contenuto qui dentro» rispose Mary Jane, estraendo dalla borsetta una busta gialla. «Vedete? Non c’è mittente o indirizzo, né francobolli e timbri postali. E poi quella filastrocca con le parole sbagliate… Se vuole che sia sincera, trovo tutto questo inquietante. In ogni caso, il fazzoletto era del corredo di nonna. Per lei quell’oggetto contava molto, lo teneva nella sua cassettiera come fosse una reliquia e non lo mostrava mai a nessuno. Sa, dottor Watson, ne andava estremamente orgogliosa perché a donarglielo era stata sua madre. Non che avesse un chissà quale valore economico, tutt’altro, ma era uno dei pochi ricordi che era riuscita a conservare e che la guerra non aveva distrutto.»
«Quella canzoncina» brontolò John, mentre tentava malamente di ricordare «mi è sembrato d’aver già sentito versi del genere.»
«Sì, è un passaggio de: “Il giardino segreto” il romanzo; ha presente? Solo che le parole non sono quelle giuste.»
«Davvero?» li interruppe Holmes, improvvisamente destatosi «come avrebbero dovuto essere? E che significato ha la filastrocca all’interno della storia?»
«Possibile che tu non lo abbia mai letto?» recriminò John, con espressione divertita e fare scandalizzato.
«Se l’ho fatto l’ho rimosso» rispose Sherlock, pacifico e con un tono spiccio e pratico che lasciava a intendere che la questione si sarebbe chiusa lì «e adesso non ho il tempo di andare a cercare in quale stanza del Mind Palace l’ho messo, sempre se l’ho fatto. Faremo prima se Miss Gilmore mi racconterà la trama. La invito di nuovo ad essere concisa, grazie.»
Nel sentirlo pronunciarsi in quel modo, Mary Jane tentennò appena. Il suo fu un brevissimo indugiare che di sicuro non sfuggì allo sguardo attento di Holmes. John pensò fosse intimorita, tuttavia ciò che domandò loro poco dopo, gli fece comprendere che era soltanto mancanza di fiducia. Non era nemmeno tanto strano, il suo amico seguiva spesso ragionamenti che ai comuni mortali parevano astrusi o senza alcun nesso logico. Lui però conosceva quel metodo investigativo sufficientemente bene, da riuscire a credere che le sue domande avessero un significato ben preciso. D’altra parte, non gli avrebbe affidato la sua stessa vita? Si era detto più volte, nel corso degli anni, che avrebbe seguito quel sociopatico fino in capo al mondo e che si sarebbe gettato da un tetto se lui gli avesse mai domandato di farlo. Anche questa volta i suoi pensieri volarono appena, leggeri e rapidi, a sondare ciò che di Sherlock ancora non riusciva a capire. Cosa stesse pensando in quel momento, per esempio. E quale forma questo insolito caso, stesse assumendo in quel suo straordinario cervello. Che pensava di Mary Jane? Aveva mai davvero letto un romanzo d’avventure per ragazzi in vita sua?
«Ritiene sia importante, Mr Holmes?»
«Tutto quanto lo è, Miss Gilmore» annuì poco dopo Sherlock, con fare dogmatico, prima rendere il fazzolettino di nuovo tra le mani di una stupefatta Mary e andarsi ad accomodare alla propria poltrona, nella quale sprofondò con una certa eleganza. Egli incrociò quindi le dita sotto al mento, conficcando chissà dove quello sguardo penetrante.
«Per farla breve» cominciò la cliente, tossicchiando appena, di quello che pareva imbarazzo. «Mary Lennox è la protagonista del romanzo. È una bambina e vive in India assieme ai suoi genitori, di cui un giorno rimane orfana. Dato che gli unici parenti che ha in vita abitano in Inghilterra, Mary è costretta a lasciare la sua casa. Sulla nave nella quale s’imbarca incontra altri bambini, che le cantano una filastrocca per prenderla in giro: “Mary, Mary la scontrosa” scherzano “nel tuo giardino che cosa c’è? Ci son gigli e boccioli di rosa e le mia dame attorno a me.»
«La trama come continua? Una volta che Mary torna in Inghilterra cosa succede?» chiese Holmes.
«Va a vivere a Misselthwaite Manor, la tenuta di Lord Craven, che è lo zio di Mary. A quel punto si viene a sapere che Lord Craven è vedovo perché sua moglie, sorella della madre di Mary, ha avuto un incidente in uno dei giardini ed è morta. Ci sono anche altri personaggi nel racconto, Mrs Medlock, la governante. Colin, cugino di Mary (e figlio di Lord Craven) e Dickon: un contadino, fratello di una delle serve del castello. La storia parla fondamentalmente della crescita dei due bambini, di come loro si trovino d’improvviso ad affrontare una situazione che non hanno mai vissuto prima. Racconta della loro conoscenza, della solitudine nella quale sono rinchiusi. Colin in particolare, che non ha mai visto la luce del sole e che vive in un letto, è fermamente convinto di avere la gobba e che morirà giovane, quando in realtà non è altro che deperito dal tipo di vita che lo obbligano a condurre. Il libro parla inoltre della perdita delle persone care e di come sia difficile superare la morte di qualcuno che si ama, soprattutto – come nel caso di Lord Craven – se si sceglie con coscienza di restare da soli.»

A sentir quello stringato riassunto, nel soggiorno calò il silenzio. Le parole di Mary Jane si erano infrante in un pensare profondo che aveva caricato l’aria di un lieve imbarazzo, che John faticò a interpretare in modo corretto. Sherlock pareva pensieroso, in una maniera decisamente non da lui. Era come se fosse turbato, il che era assai strano perché solitamente, non capire lo rendeva curioso e stuzzicava il suo intelletto. Ora al contrario appariva come estraniato, quasi distante. Fu per questo comportarsi del tutto fuori da quella loro anormale quotidianità, che John si soffermò per più di un attimo a osservare il riflettere del suo geniale coinquilino, prima di venir distratto dalla cliente e dal suo sorseggiare il tè in modo odiosamente rumoroso. Anche lei ogni tanto sollevava lo sguardo su Sherlock, magari si chiedeva che cosa stesse facendo o quanto fosse rozzo nella maniera di comportarsi. E proprio il suo amico che, ancora rintanato in una sorta di posizione contemplativa, ammirava il nulla che lo circondava, piuttosto che quel tutto che dominava la sua mente eccezionale. Watson conosceva molto bene il pensare di Sherlock Holmes e con quelle dita unite a sorreggere il mento, poteva restarci delle ore. Toccò quindi a lui, per un ennesima e incalcolabile volta, portare avanti la conversazione. Per quel che ne sapeva, Sherlock avrebbe potuto restarsene immobile anche per tutto il resto della serata.
«Pare conoscere molto bene questo libro, io confesso di ricordarlo vagamente. Lo lessi a scuola e questo è quanto. Non mi è mai interessato rileggerlo e infatti confesso di non aver potuto ricordare il nome della villa di Lord Craven. Lei invece pare conoscere ogni dettaglio piuttosto bene.»
«Oh, immagino di dover ringraziare la mia povera nonna per questo» affermò lei, sforzandosi di sorridere «lo leggevamo spesso. Direi almeno una volta l’anno. A lei piaceva davvero tanto, anche se non ho mai capito il reale motivo.»
«Cosa intende?» intervenne Sherlock, cogliendo entrambi di sorpresa.
«Beh, “Il giardino segreto” è un racconto per ragazzi. Crescendo, io stessa ammetto d’aver perso interesse. Lei invece lo amava. C’erano passaggi in cui le scintillavano gli occhi.»
«Accetto il caso» annuì il detective, il quale appena dopo balzò in piedi e volò nella sua camera da letto, sparendo così dalle loro viste. Fece tanto in fretta, che John stesso faticò realizzare per davvero quanto fosse accaduto.
«Accetti il caso?» gli fece eco, senza nascondere d’essere vivamente stupefatto.
«Scherzi, John?» gridò, riemergendo dal corridoio «è l’evento più interessante che ci sia capitato da non so quanto tempo. Fai le valige, dottore, andiamo a… in qualsiasi posto abiti… comunque si chiami la cliente.»

Era iniziata così. Con Sherlock Holmes eccitato per un caso dai contorni decisamente misteriosi e John Watson, paziente dottore, come sempre ignaro di quanto il suo amico avesse realmente capito dell’intera situazione. Come spesso succedeva si ritrovò al seguito del celebre consulente investigativo, senza comprendere un granché. Ed era innegabilmente eccitato dal brivido che solo un nuova avventura riusciva a dargli, ma soprattutto si ritrovò a esser curioso di sapere dove tutto quello li avrebbe condotti. D’altra parte, era esattamente per queste stesse ragioni che amava il lavoro d’investigazione. E dato che era piuttosto difficile, per non dire impossibile, tenere a freno Sherlock quando un mistero lo prendeva al punto da renderlo sovreccitato, erano partiti subito. Era stato così che quello stesso pomeriggio, si era ritrovato su di un treno diretto nello Yorkshire. E senza neanche accorgersene il suo sguardo si era immerso nella campagna inglese che, a quel punto, iniziò a ricordargli in modo decisamente brutale il romanzo di cui Mary Jane aveva raccontato loro.

A parte qualche breve battibecco con Holmes di natura prettamente organizzativa, il dottore trascorse l’intero tragitto tentando di conoscere meglio la loro cliente. Aveva scoperto che lavorava in una farmacia di un villaggio vicino a quello in cui abitava. Viveva in un minuscolo appartamento, praticamente una soffitta: aveva scherzato, situata proprio sopra la villa che suo padre divideva con la povera nonna. Non aveva accennato nulla riguardo sua madre, ma John ipotizzò fosse morta e che fosse ancora un argomento delicato. Pertanto, in nome della buona educazione, evitò di domandargli alcunché. Era però venuto a sapere che non era sposata, né aveva un fidanzato o dei figli. Inutile negare che quando lo era venuto a sapere, aveva brutalmente messo in moto tutti quei meccanismi da playboy, che erano soliti far colpo su chiunque. D’altra parte, Mary era una ragazza decisamente attraente. Dal fisico minuto, aveva una folta chioma di capelli rossi che teneva legati in una treccia. Portava un vestitino a fiori che esaltava le sue forme aggraziate, mentre il visino era acqua e sapone. Non era truccata, né aveva smalto o gioielli di particolare valore. Soltanto una collanina con un pendaglio a cuore le cingeva il collo, che Mary aveva detto essere un regalo. Era stata una conversazione interessante, alla quale Sherlock non era mai intervenuto. Il che era piuttosto prevedibile. John non aveva davvero idea di che cosa avesse fatto per ore, seduto al suo fianco, con gli occhi chiusi e le dita congiunte al mento quasi come se stesse in preghiera. Si era di certo ritirato nel suo palazzo mentale. Il che era stato un gran bene perché aveva trascorso uno splendido pomeriggio, incredibilmente senza essere costretto a sedare la noia di un bambino troppo cresciuto. E ora, con un bel sorriso stampato in volto, passeggiava per le viuzze di quel ridente piccolo paesino, in direzione della pensione e con Mary Jane aggrappata al braccio. Il grande orologio in centro alla piazza principale aveva da poco battuto le cinque, l’ora del tè era stava passando, pensò. Pertanto era quasi sicuro che avrebbero incominciato con le indagini il mattino successivo, a meno che Holmes non fosse intenzionato a vagare per il paese di notte, cosa che non sperava affatto. Per questo motivo, Watson già si pregustava una piacevole serata rintanato sotto le coperte. Per il momento, però, si godeva la compagnia di Mary Jane. Lei stava raccontando di come fosse cresciuta in quel posto e di quanto bene conoscesse tutto, persino la collocazione di ogni sasso dei viottoli acciottolati, piuttosto che il numero preciso dei singoli fiori che spuntavano nel prato antistante la piccola chiesa.
«Ecco la pensione» li informò, dopo una passeggiata tutto sommato breve, indicando un portoncino scuro che non pareva nulla di diverso da una delle tante case lì attorno. «Per quel che ne so c’è solo un ospite al momento, mi sono informata nel caso saresti voluti venire sino a qui e Mrs Pinkerton mi ha confermato che ci sarebbe stato posto per voi. Sono persone per bene, i Pinkerton e la loro cucina è rinomata in tutta la contea, starete benissimo. Vorrei anche che sappiate che il soggiorno sarà a mio carico, mi pare il minimo.»
«Mary Jane, non è il caso.»
«Insisto, John.»
«Beh, ne riparleremo una volta conclusa la faccenda» annuì, stringendole le mani con fare affettuoso «e non devi temere, domattina io e Sherlock ci metteremo al lavoro. Anzi, già lui ci sta pensando, anche se forse appare distratto, ti posso assicurare che la sua mente eccezionale è all’opera da ore.»
«Oh, me lo auguro tanto, John caro.»
«Miss Gilmore» li interruppe inaspettatamente Sherlock, facendo sobbalzare appena Mary Jane. John non poté non notare che la sua postura si era fatta più rigida e che appariva a disagio ogni qual volta si ritrovava a parlare con Holmes. Indiscutibilmente non si trovava a suo agio con lui. Questo era fin troppo chiaro, in effetti.
«Gradirei leggere quel “Giardino segreto” se ha modo di farmi avere la sua copia del romanzo, gliene sarei grato.»
«Ma certamente» annuì. «Vi volevo anche ringraziare per essere venuti sino a qui. Ora sarà meglio che vada a dirlo a mio padre: stava sulle spine. Buona serata, John. Mr Holmes.»
«Arrivederci, Mary Jane e buona serata anche a te» annuì il dottore, soffermandosi ad ammirare la leggera e piacevole figura della loro cliente, sparire oltre l’angolo. Fu allora che John si lasciò andare a un rumoroso sospiro, roteando appena su sé stesso e sorridendo con fare beato. Mancò di badare all’occhiataccia che gli fu riservata, fino a che non fu proprio Sherlock a frenare il suo entusiasmo. Come al solito, il suo sociopatico amico sembrava immune al fascino femminile. Anzi, era come se l’essere soli tra loro lo avesse rasserenato un poco. Di questo non se ne stupì per nulla, Sherlock detestava le donne e le loro chiacchiere e lo aveva compreso fin dai primi tempi della loro conoscenza. Non aveva idea da dove provenisse una simile misoginia, ma sapeva per certo che l’unica ragione per cui tollerava la presenza della giovane Gilmore, era perché si trattava di una cliente e pertanto era importante ai fini del caso. Caso, che avrebbe concesso appena un po’ di tregua alla sua mente caotica dandogli una tregua dalla noia. Tutto, ora della fine, si riconduceva sempre e perennemente al suo cervello fuori dal comune, pensò, con una punta d’amarezza chiedendosi nel frattempo se nella mente del suo algido e scostante amico ci sarebbe mai stato spazio per dei sentimenti.
«Sarebbe troppo domandarti il favore di concentrarti?» sibilò il detective, con fare stranamente acido. Di solito s’innervosiva quelle volte in cui John era costretto dai turni, a lavorare in ambulatorio. Tuttavia non era mai capitato che gli parlasse con quel tono. Pareva incattivito da qualcosa che a lui invece sfuggiva. Come se stesse indirizzando la sua frustrazione su di lui e senza che ce ne fosse ragione.
«Ma se non abbiamo nemmeno iniziato con le indagini!» ribatté, tremendamente offeso e ben deciso a sostenere la sua teoria che un tempo morto su di un treno, va occupato nel modo migliore. Cosa fare quindi, se non chiacchierare con una bella donna del più e del meno? Non lo riteneva tempo perso e non era affatto deconcentrato. Sapeva dove fosse la pistola, portata in caso di bisogno, e dove la valigetta per il primo soccorso. Aveva tutto perfettamente sotto controllo. Ricordava persino il numero di calzini che aveva messo in valigia. Certo che Mary Jane gli piaceva e anche molto, ma da lì a insinuare che fosse distratto… no, non lo accettava. Cos’avrebbe dovuto fare? Starsene zitto per delle ore, pensando a chissà che cosa? O mettere il broncio come invece succedeva al geniale detective quando si sentiva messo in disparte? Non avrebbe fatto nulla di tutto questo, lui era un uomo maturo. Un medico e un ex soldato. Lui non metteva il broncio. Mai.
«Per tua fortuna» proseguì Sherlock «c’è una cosa che sai fare bene, a parte ricucire lembi di pelle ed è far parlare la gente. Chiunque di fronte a quel tuo strano sorriso, confesserebbe il più tremendo del suoi peccati senza nemmeno rendersene conto. Saresti capace di far fare alla gente qualunque cosa, John Watson e come tu faccia a rabbonire così tanto i clienti, rimane il più insolvibile dei misteri» mormorò, ancora inacidito, prima di sparire oltre la porta della pensione e salutare con una falsa espressione di gioia, la giovane signora che, china dietro il bancone, se ne stava concentrata sulle pagine del Times ma che ora li occhieggiava con curiosità. John rimase solo. In una viuzza già buia, di un gelido paesino dello Yorkshire di cui aveva dimenticato il nome. Rimase lì, con il borsone a tracolla e sul viso l’espressione di chi non riesce a capire niente di niente. Men che meno Sherlock Holmes.
 

 
Continua
 



 
Note. Questa long nasce da un prompt che mi è stato dato a un ‘Drabble Weekend’ indetto dal gruppo facebook ‘We are out of prompt’ tenutosi l’estate scorsa e che recitava: Sherlock BBC. John/Sherlock. “Per l’ennesima volta, signorina, noi non siamo una coppia e quindi vogliamo camere separate”.
Tutte le informazioni su: ‘Il giardino segreto’.
   
 
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