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Autore: Strawberry_96    14/08/2015    4 recensioni
Una GajeelxLevy romantica, dolce ma anche triste.
In ambito scolastico viene raccontata la loro storia dal punto di vista del nostro Dragon Slayer.
Il loro primo incontro, i loro sentimenti e l'importanza l'uno per l'altro.
Cosa si fa per amore? Quanto in là ci si spinge per stare con il proprio amato? Quanto puo' durare?
Per loro, forse, Per Sempre
-Pubblico per la prima volta, siate clementi ahahah
-Le date sono di mia fantasia, sinceramente non so nemmeno se nel'opera originale ci siano questo tipo di informazioni, se qualcuno di voi sà lo ringrazio già da ora se mi informerà ^.^
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Come oggi, anche quel giorno pioveva.
Eravamo appena usciti da scuola, eravamo rimasti fino a tardi in biblioteca a studiare in preparazione agli esami del terzo anno delle superiori; diciamoci la verità tu studiavi e io stavo seduto accanto a te a dormire.
Quante volte mi avrai sgridato perché ti accorgevi delle mie dormite?
Eri davvero buffa quando ti arrabbiavi, urlavi, e mi guardavi con sguardo truce. Piccola com'eri al mio confronto non riuscivo a non pensare a quanto fosse strana e divertente quella situazione. Tu, una nanetta di appena un metro e sessanta centimetri urlavi addosso, senza paura, a un idiota di un metro e ottantacinque.
Eravamo la coppia più strana di tutte.
Tu amavi leggere, studiare, andare a scuola, stare in biblioteca, passeggiare al parco sotto i ciliegi, chiacchierare con le amiche e bere  la  cioccolata calda;  io ho sempre detestato la scuola, non studiavo mai, dormivo in classe e quasi non sapevo cosa fosse un libro, non avevo amici, saltavo le lezioni, giravo in moto e l'unica cosa che bevevo era praticamente la birra che tu chiamavi “quella roba amara”.
Tu, piccola e delicata, avevi una pelle morbidissima, rosata, gli occhi grandi color castano-dorati, un sorriso che avrebbe sciolto il ghiaccio più spesso e freddo al mondo, i capelli sempre arruffati colore del cielo ed erano cosi scombussolati che eri costretta a tenerli legati in una fascia.
Ne avevi a migliaia di quei pezzettini di stoffa, di ogni colore, larghezza, tessuto e decoro. Amavo, amo, quei pezzetti di stoffa.
Erano l'unico oggetto che mettevi in ogni occasione, non ti piaceva truccarti o mettere ciondoli vari, volevi solo la tua amata fascetta. Con la divisa scolastica stavi d'incanto, ti donava alla perfezione, eri semplice in ogni occasione, anche quando uscivamo solo noi due soli non ti vestivi mai in maniera eccessiva o volgare, eri semplice, ti piaceva esser semplice, non esageravi mai e anche se non eri una di quelle ragazze formose eri stupenda con ogni cosa e riuscivi sempre a incantarmi. 
Sei stata la prima persona in tutta la mia vita che non ha avuto paura di me.
Ero famoso a scuola e per tutta la città per la mia crudeltà nelle risse, nessuno si avvicinava a me e chi ne aveva il coraggio restava ben poco tempo in piedi e/o in salute. Sicuramente ad aumentare la mia fama e il fatto che fossi sempre da solo dava un forte contributo il mio aspetto molto poco rassicurante. Con i capelli lunghi neri, la faccia e le braccia contornati di piercing e gli occhi rossi come quelli di una bestia non davo sicuramente una buona impressione; aggiungiamo il fatto che ho davvero un brutto carattere, che sono un ammasso di muscoli, anche troppi, e il quadro sul perché fossi solo e temuto è completo.
Non mi dispiaceva la mia solitudine, anzi, mi sono sempre trovato bene.
In classe non seguivo mai le lezioni e quindi non disturbavo, eppure saltavo sempre agli occhi dei professori e quando loro provavano a parlarmi, non so per quale ragione, li vedevo sempre tremare come delle foglie. Eppure non dicevo nulla e evitavo di incrociare il mio sguardo con quello degli altri per non farli spaventare.
Una sera stavo tornando a casa dopo una rissa attraversando il quartiere malavitoso della città. Io non abito li, ma era la zona in cui giravo quando saltavo scuola e a casa mia mi annoiavo. I miei genitori erano sempre fuori città per i loro stupidi lavori e in casa con la governate era una noia mortale. Una famiglia benestante, non ci mancava nulla, solo che Famiglia non eravamo.
Forse, ora un po lo siamo e mi dispiace far loro questo.
Stavo camminando, per i fatti miei, tranquillamente, quando la tua voce attirò la mia attenzione. Il suono cristallino già lo conoscevo visto che eravamo nella stessa classe e tu, ovviamente, ne eri la rappresentante; avrei riconosciuto la tua voce tra mille, mi voltai e ti vidi. Eri a terra, sulle ginocchia, stringendo al petto un libro e urlando, con tutta la voce che avevi, insulti fin troppo educati contro due teppisti. Ricordo di aver visto uno di quei due idioti afferrarti per il collo della divisa scolastica e alzarti da terra, ricordo che il mio corpo si mosse da solo e che l'unico pensiero che mi ronzava per la testa era quello di voler uccider entrambi e portarti via da li il più velocemente possibile.
Tutto sommato mi andò bene, ricevetti solo un paio di pugni alle costole e uno al volto prima di far scappare a gambe levate quei due coglioni; quando mi voltai verso di te, mi stavi fissando con due occhi sgranati e a bocca aperta; a dir la verità eri talmente buffa che mi feci tenerezza. Ti alzasti: -Grazie mille, Gajeel.- mi sorridesti e fu una gran sorpresa per me sapere che tu conoscevi il mio nome. 
Io il tuo non lo conoscevo ma dopo quella sera non mi scordai mai di Te. Anche ora.. Tu sei con me, sempre.
Rimasi meravigliato da come, con naturalezza, senza alcuna traccia di timore, mi avevi sorriso. Ti accompagnai a casa quella sera, abitavi proprio in quel quartiere pericoloso, mentre camminavamo io non ti chiesi nulla ma tu mi spiegasti comunque com'eri finita in quella situazione e mi ringraziasti più volte. All'inizio mi sembravi una ragazza strana; nessuna avrebbe mai scambiato anche solo una parola con me mentre tu, non solo mi parlavi, ma lo facevi anche se io non ti rispondevo.
Ci fermammo davanti a una casa ridotta davvero male, alcune ante erano staccate dai propri cardini, il cancellino non si chiudeva, l’intonaco cadeva delle pareti e, forse, solo il giardino era la parte messa meglio.
-Abito qui, grazie di avermi accompagnato.- mi sorridestiTu, una nanetta, studiosa, solare, intelligente e carina viveva in una casa praticamente in rovina e nel quartiere più pericoloso della città.
-I tuoi genitori non ci sono?- domandai. Sinceramente non so' il perché di quella domanda, immagino volessi sapere qualcosa su di te. Così per curiosità, così tanto per parlarti. Così per non dover andare via subito.
-No. Vivo da sola.- lo dicesti sorridendo ma guardando a terra e poi sussultando, facendo incrociare i nostri occhi, esclamasti -Cavolo! Non mi sono presentata! Sono Levy McGarden. Lo so che siamo in classe insieme, ma mi sembrava educato presentarmi comunque-
Sorridevi, non smettevi mai di farlo. Sapevi perfettamente chi ero, che eravamo in classe insieme e immagino anche che reputazione avevo, ma tu sorridevi comunque.
Da quel giorno cominciasti a salutarmi anche a scuola, quando passavi per i corridoi e mi vedevi, in classe, a fine delle lezioni, tu mi salutavi e sorridevi. Tutti ti guardavano male quando lo facevi, non capivano perché tu, la capoclasse, una ragazza per bene, salutavi me, un teppista visto di cattivo occhio.
Era strano ma andava tutto bene. Ora nulla va bene, ora nulla è giusto.. Ora non c'è più nulla che semplicemente vada..
Una settimana dopo il nostro primo incontro, successe un bel casino. Fuori i cancelli d'ingresso del nostro istituto si radunarono un gruppo di delinquenti con spranghe, mazze e coltellini. Chiaramente erano li per me. Tutti i professori e i rappresentanti d'istituto uscirono per cercare di cacciar via quella banda; non ebbero successo e furono addirittura minacciati. 
Cercavano me. Erano tutti ragazzi più grandi ed erano tutti ragazzi che già avevo steso nelle settimane precedenti. La situazione peggiorava man mano che il tempo passava e loro perdevano la pazienza, non era una cosa che la scuola poteva gestire. 
Decisi di andar da loro. Sapevo che stavo per affrontare un gran problema, mi sarei fatto male ma ero pronto a quello, non era la prima volta che succedeva una cosa del genere e ne ero sempre tornato a casa vivo, magari con qualche livido, qualche graffio in più, qualcosina di rotto, ma vivo.
Quando i professori mi videro arrivare non cercarono nemmeno di fermarmi, semplicemente mi dissero che sarei stato sospeso visto il casino che avevo creato. Andai con lo squadrone d'assalto al parco dei ciliegi, non ricordo nemmeno cosa mi dissero come “motivazione”, iniziammo a picchiarci: pugni, calci, testate, era tutto come sempre, la solita storia, le solite mosse, i soliti insulti e anche se 10 contro 1 sembravo in vantaggio. Ci misero poco ad estrarre le loro armi e a continuare la rissa, come previsto mi feci male ma sopportai tutto molto bene fino a quando non ti vidi.
Il mio cuore perse i battiti. Ero pietrificato.
Correvi verso di noi, avevi il fiato corto e il viso arrossato per lo sforzo. Ero stupito di vederti, cosa cavolo facevi li solo Dio lo sapeva.
-Basta!! Lasciatelo stare!!!- urlasti, la tua splendida voce alterata dalla rabbia, lo sguardo truce. Era come la prima volta in cui ci incontrammo, solo che in quel momento ero io che venivo salvato da te.
-E' meglio che te ne vai, marmocchia.-
-Ti farai male se resti qui. Non vorrai mica rovinare il tuo bel faccino-
-Lasciate Gajeel e andatevene- Non volevi sentir ragioni. Perché tu fossi li per me era un mistero, però eri li, l'unica persona che in tutta la mia vita era venuta a cercarmi, a provare a salvarmi, l'unica che mi sorrideva e mi parlava.
Tu eri li.
-Comunque, visto che sei tanto carina, che ne dici di stare un po con noi?- non so chi aveva parlato ma grazie a quelle parole mi ripresi giusto in tempo per riconciare a ragione su come uscirne vivo. Uscirne vivi.
-Tranquilla ti divertirai eheh-
Alcuni coglioni ti si avvicinarono, tu non indietreggiasti nemmeno di un passo, continuasti a guardarli con sguardo truce: -Lasciatelo-
Uno si mosse velocemente verso di te, ti afferrò per un braccio e ti strattonò verso di lui; tu cercavi di liberarti me era troppo forte, con l'altra mano ti afferrò il volto, stringendoti le guance: -Credo che mi divertirò proprio un mondo con te-
E di nuovo il mio corpo si mosse da solo, di nuovo nella mia mente l'unico pensiero era quello di portarti via da li; mi liberai dei 4 che mi tenevano in mezzo a loro e poi corsi da te, assestai un pugno a quella merda che ti tratteneva e ti spostai, istintivamente, dietro di me: -Stai dietro, non far nulla- ti dissi e sentì una tua mano aggrapparsi al bordo della mia divisa, tremavi.
20 minuti dopo ti stavo accompagnando a casa, zoppicavo leggermente, avevo un labbro rotto e un po' di lividi, ma stavo bene.
-Stupida- dissi mentre tu ti fermavi proprio difronte a me. Mi persi nei tuoi occhi per la prima volta, erano bellissimi.
-Scusami, volevo dare una mano- dicesti in tono infantile abbassando il capo a guardare l'asfalto nero.
-Hai complicato le cose invece-borbottai.
-Grazie- Sorridevi e mi guardavi negli occhi di nuovo.
-Per cosa?-
-Beh, è già la seconda volta che mi salvi ahah- ti mettesti a ridere e poi, tornando seria: -Entra, ti medico le ferite.-
Passammo il restante pomeriggio nel tuo salotto; casa tua era arredata bene, semplice ma bella anche se si notava che i mobili erano vecchi e usurati. Mi medicasti le ferite, mi dicesti che ero stato ufficialmente sospeso e che tu eri venuta al parco perché i nostri compagni ti avevano avvisato del nuovo casino che avevo combinato.
Parlavi tantissimo, non stavi zitta un secondo, eppure non mi infastidiva, anzi, mi piaceva ascoltare la tua voce, mi rilassava.
Ti salutai verso l'ora di cena. Ti pensai per tutta la serata. Ti sognai quella notte, per la prima volta. Il mattino seguente ero sotto casa tua ad aspettarti.
-Che cosa fai qui, Gajeel?- mi domandasti.
-Per te ora è pericoloso girare per questo quartiere da sola. Ti accompagno a scuola- Non era del tutto una scusa, era vero che era pericoloso per te girare da sola, ma la verità era che volevo vederti. Vedere il tuo sorriso e cosi fu. Ti accompagnai al cancello d'ingresso e ti aspettai fuori da esso per due settimane. Durante le nostre camminate (casa-scuola/scuola-casa) cominciammo a parlare di noi, cominciammo a chiacchierare su cosa ci piaceva e cosa no, iniziammo a conoscerci.
Per la prima volta qualcuno passava del tempo con me, mi ascoltava, non aveva paura di me e non mi giudicava.
Quando la sospensione finì non saltai più un giorno di scuola, non potevo, ti accompagnavo andata e ritorno tutti i giorni e tu controllavi ogni volta che io fossi attento alle lezioni. Mi costringevi a partecipare alle attività di classe, mi facesti conoscere le tue amiche e i loro ragazzi, due idioti Nastu e Gray, ma proprio loro sono diventati miei migliori amici. Con loro abbiamo passato giornate a ridere e scherzare ma anche da soli stavamo bene. 
Mi innamorai di te. Ti amo tutt'ora, anche se non sei più con me.
Tre mesi dopo il nostro primo incontro tu ti dichiarasti; eri rossa fino le punte dei capelli, parlavi talmente tanto veloce che faticavo a capire cosa volevi dirmi, ti torturavi i capelli arricciando ciocche turchesi attorno alle dita fini, ma alla fine lo dicesti: -Mi piaci!-
Cosi, direttamente, dopo tante parole complicate e discorsi che si perdevano in giri complicati ti decidesti per la via più semplice, quella diretta.
La mia piccola coraggiosa. Adorabile.
Io non ti risposi subito, ero rimasto davvero spiazzato da quella confessione, non ci potevo credere; ti guardavo, immagino, con una faccia sconvolta e forse fu per quello che, dopo un silenzio imbarazzante e interminabile, dicesti che eri solo una stupida, che avevi sbaglio tutto, che dovevo perdonarti e che se potevo dimenticare. Ti stavi per mettere a piangere, tremavi leggermente, mi sorridesti prima di chinare il capo e fissare il pavimento della nostra aula ormai vuota. Chissà a quante stupidate hai pensato in quel momento, chissà quanti rimproveri ti sei detta e chissà quanta forza stavi usando per non cedere davanti a me.
Non sono mai stato bravo con le parole, lo sai, infatti quella volta, per darti una risposta dovetti usare tutte le miei forze. Ti abbracciai e tu smisi di tremare, te lo dissi, per la prima volta confessai i miei veri sentimenti: -Ti Amo-
Quello fu il giorno più bello delle nostre vite. Della mia di sicuro e credo anche della tua; avrei voluto durasse in eterno.
Lo dicemmo ai nostri amici ma sfortunatamente tutta la scuola lo venne a sapere per colpa di quel cretino di Nastu e per un breve periodo abbiamo avuto qualche problema; in tanti ci giudicavano, i professori cercarono di allontanarci, ma alla fine riuscimmo ad ottenere la nostra serenità. 
Il giorno in cui ti portai a casa mia per la prima volta fu un vero disastro, ricordi?
Trovammo i miei genitori in casa, stavano litigando come sempre e io non volevo che tu vedessi quelle scenate, ti stavo quasi per trascinare fuori ma tu ti fermasti e mentre quei due continuavano a litare, tu mi guardavi sorridendomi, quasi volessi rassicurami che tutto andava bene. Mi impedisti di fuggire e quando si accorsero della nostra presenza i miei si presentarono a te e tu, come se non avessi visto nulla, come se fosse tutto normale, sorridesti e ti presentasti loro a gran voce: -Piacere! Sono Levy McGarden, una compagna di classe di vostro figlio e anche la sua ragazza!-
Fu esilarante la loro reazione, ti guardarono a occhi spalancati e con quasi la mascella a terra. Scoppiai a ridere e tu diventasti rossa come un pomodoro. Quella sera, quando tornai a casa dopo averti accompagnato, i miei vecchi mi riempirono di domande, mi fecero letteralmente il terzo grado e mi dissero di riportarti di nuovo a casa nostra.
Lo feci, ti riportai a casa mia per ben 6 mesi, furono i mesi più belli della mia vita grazie a te.
Vedendoti sempre in casa e vedendo come io ero cambiato, rinunciando alle risse, frequentando la scuola anche se con scarso impegno, i miei cambiarono; tornavano a casa più spesso, mangiavamo tutti insieme, condividevamo piccole cose come un telefilm alla tv, non litigavano più tra di loro per i problemi lavorativi e il loro rapporto si era riacceso, sembravano riamarsi di nuovo. Eravamo diventati una vera famiglia dopo aver passato anni da sconosciuti. E tu eri diventata come una figlia per loro.
Lo sei ancora. Manchi moltissimo anche a loro. Hai salvato la mia famiglia e non ti ringrazierò mai abbastanza, Amore mio.
In quel periodo, nei sei mesi che siamo stati insieme, mi confidasti una cosa. -Perché vivi da sola?- ti chiesi, una sera mentre ti accompagnavo a casa.
-I miei genitori sono morti 5 anni fa in un incidente aereo mentre erano in viaggio per lavoro. Avevo 13 anni.-
Mi maledissi, in quel preciso momento, di averti fatto quella stupida domanda. Per tutto il tragitto verso casa tenesti il capo chino e sapevo, anche se non potevo vederlo, che avevi gli occhi spenti e pieni di lacrime. Quando arrivammo fuori casa tua non avevo la minima intenzione di lasciarti andare, volevo tenerti con me ogni singolo momento, in ogni singolo giorno e in quel momento ancora di più: -Ti va di venire a vivere da me?- I tuoi occhi grandi e lucenti mi fissarono increduli, eri arrossita e io mi sentivo un vero idiota: -Almeno non stai sola- dissi.
Mi fissasti per qualche secondo e poi ti mettesti a ridere; ridevi di gusto, sorridevi e avevi le lacrime dal troppo ridere: -Scusa! scusa! Non sono abituata a vedere il te tenero e imbarazzato. Sei davvero carino- dicesti asciugandoti l'angolo di un occhio con il dorso di una piccola manina.
Diventai rosso fuoco -IO non sono "carino"...- risposi quasi ringhiando imbarazzato. Ti alzasti sulle punte dei tuoi piedini, mi afferrasti per il colletto e mi tirasti verso di te fino a far incontrare le nostre labbra: -Grazie dell'offerta. Ci penserò.- Sorridesti e poi saltellasti dentro casa.
Non mi desti mai risposta, ma capisco perché non l'hai fatto; lasciare la casa in cui sei nata, in cui eri cresciuta per 12 anni circondata dall'amore dei tuoi genitori era troppo doloroso, vero? Anche se stava andando in pezzi, anche se era  nel quartiere peggiore e tu eri sola, non potevi, non volevi lasciare quel luogo cosi pieno di ricordi.
Eppure lo hai lasciato, sei stata costretta a lasciarlo.
Ricordo ogni nostro giorno insieme come se fosse ieri, la gita in montagna con la scuola e quella al mare solo noi due, i giri in moto, le notti passate a casa tua a studiare, tutte le volte che abbiamo dormito insieme abbracciati, le uscite di pomeriggio con gli altri, il Luna Park, il giorno in cui ti regalai il ciondolo a forma di cuore, nero e rosso, per il tuo compleanno e la nostra prima volta.
Ricordo tutto. E ora, sono ricordi talmente belli da far male. Dovevamo andare avanti, continuare a costruirne di nuovi, continuare ad amarci e continuare a star insieme. 
Ti avrei sposato, ti avrei dato una nuova casa, avremmo creato la nostra famiglia e saremmo stati felici, davvero Felici. Ma non sarà così.
Quel giorno di 2 anni fa, ti portarono via da me. Il cielo era grigio, si preannunciava un forte acquazzone, eravamo rimasti a scuola fino a tardi per studiare e mentre camminavamo verso casa tu mi stavi sgridando perché mi ero addormento sui libri, come mio solito: -BAKA! Se non studi farai fatica con gli esami!! Non puoi dormire sempre!!-
Camminavi a passo svelto, tenendo le braccia incrociate al petto e con il muso da finta offesa con le guance gonfie gonfie; eri la tenerezza assoluta, eri bellissima. Ti presi per la vita e ti ritrassi verso di me; quando la tua schiena aderì a me tu guardasti verso l'alto e incrociasti i miei occhi, ti baciai delicatamente e il tuo viso si colorò di un rosso fuoco: -Baka!!- gridasti in un gridolino stridulo ma che a me piaceva da impazzire.
Ti lasciai andare: -Sai, con il broncio sei ancora più bella di quanto tu non lo sia già.- il rossore aumento visibilmente, ti girasti dall'altro lato e continuasti per la tua strada, le orecchie rosse per l'imbarazzo e io che ridevo della tua dolcezza:
-Se non ti nuovi a raggiungermi ti lascio indietro, Baka!- dicesti voltandoti leggermente verso di me e sorridendomi.
-Ohi, Nanetta, aspettami!- Io ripresi a camminare verso di te, tu stavi attraversando le strisce pedonali, il semaforo per noi era verde, non ti preoccupasti di guardare se qualcuno arrivava, non doveva arrivar nessuno e in più le auto avevano il rosso. Continuavi a guardarmi e a sorridermi, ti stavo raggiungendo, 1 metro mi separava da te, stavo per prenderti la mano e attirarti a me, ti sorridevo….
Una moto, un ragazzo ubriaco, lo schianto, il tuo corpicino tanto delicato che veniva sbalzato in aria per 4 metri e poi si schiantava al suolo e rotolava per un altro metro.
Corsi da te, ti presi tra le braccia nel modo più delicato possibile; eri ricoperta di sangue, il tuo volto roseo era pallido, il tuo corpo sempre più freddo, gli occhi semi chiusi e i capelli turchesi stavano diventando rosso scarlatto: -Levy! Levy! Resta sveglia! Resta con me!-
Tossisti, sputasti sangue; le costole rotte ti avevano perforato un polmone e ti si era aperto un grande taglio nell'addome dove eri stata colpita in pieno. Presi una tua piccola manina nella mia, sporca del tuo sangue, mentre con l'altro braccio ti reggevo a me, ti tenevo al mio petto; le nostre divise ormai sporche di sangue, i tuoi occhi sempre più scuri e vuoti, il tuo respiro irregolare e sempre più lento e io che ero impotente davanti a tutto ciò, io che non sapevo cosa fare, ti stringevo, piangevo e chiamavo il tuo nome: -Levy! Resisti! I soccorsi saranno qui a momenti! Amore, resta sveglia!-
Accennasti ad un sorriso, mi guardasti negli occhi e con tutto il fiato che avevi in corpo mi dicesti:
-Grazie per avermi amato, Gajeel. Ti Amo.-
La piccola luce che brillava nei tuoi occhi si spense, smettesti di respirare, chiudesti gli occhi e ti lasciasti andare… Urlai tutta la mia frustrazione, il mio dolore, stringendoti forte a me per l'ultima volta; sei morta tra le mie braccia, mentre anche il cielo iniziava a piangere la tua scomparsa e tu, comunque, con un piccolo sorriso sulle labbra.
Piovve per tutta la settimana, pioveva anche il giorno del tuo funerale; era presente l'intera scuola, tutti i nostri compagni, i professori, c'erano anche i miei genitori, Lucy e Juvia erano distrutte, avevano gli occhi vuoti, solo le lacrime a gonfiarli e anche Nastu e Gray erano messi male. Tutti piangevano, tutti lasciavano un ricordo a te e quando tocco a me ti lasciai una rosa rossa con un bigliettino, una promessa.
"A presto, Amor Mio". Lo hai letto, vero?
Ero vuoto, perso, solo. Non diedi gli esami, mi ritirai da scuola e comincia a lavorare nella ditta di mio padre. Tutt'ora lavoro con lui; dice che un giorno passerà a me l'azienda.
Mi dispiace deluderlo cosi, ferirlo e ferire tutti gli altri.
Vengo tutti a giorni a trovarti, qui al cimitero. Sono sempre qui, con te. 
Sono sicuro che sei felice di saper che sia Lucy che Juvia sono riuscite ad andare avanti e che ora hanno una vita felice ovviamente con quei due idioti innamorati persi; forse saresti stata felice di vedere anche me andare avanti, no? Scusami, ma non ci sono riuscito. Si, è vero, esco con i miei amici, ho un lavoro e la mia famiglia è unita più di prima, soprattutto ora che è arrivata Wendy, la mia sorellina. Ha i capelli blu e gli occhi castani.. Mi ricorda tanto te, non solo di aspetto fisico ma anche caratterialmente.
Davvero, io c'ho provato, ma senza di te non ci riesco, non riesco ad andare avanti, ad essere di nuovo felice, felice per davvero. Non ci riesco, non posso. Non Voglio.
Eri il mio tutto, la mia forza e ora sono andato avanti troppo tempo senza te. Senza il tuo sorriso, la tua voglia di imparare, la tua allegria e il tuo amore.
Ti ricordi cosa mi dicesti mentre attraversasti la strada prima che ti investissero?
"Se non ti muovi a raggiungermi ti lascio indietro" ho capito.. Ora ho capito..
È da un paio di giorni che ho smesso di mangiare. Ho comprato qualche bottiglia di Jack. Sono così maledettamente stanco. Mia madre ha dimenticato le gocce per l’insonnia nell'armadietto aperto ed è strano, non è la prima volta che faccio certe cose, si sarà distratta con Wendy. 
Non è la prima volta che tento di raggiungerti ma credo che finalmente ci riuscirò.
Mi mancherà la mia famiglia, mi dispiace non poter veder crescere la mia piccola sorellina, mi dispiace deludere ancora i miei genitori ma sono felice ora che sono cosi stanco, ora che mi sto addormentando. Mi sgriderai, vero? Non mi spaventa tutto questo nero che inizia a circondarmi; tu hai avuto paura? Ho tante cose da raccontarti, ho tanta voglia di baciati, abbracciarti e perdermi nei tuoi occhi lucenti.
Ti Amo Shorty, ora staremo insieme Per Sempre.
Levy McGarden         N.07/05/1996 – M.22/03/2014
Gajeel Redfox           N.31/10/1996 – M.22/03/2016
  
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