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Autore: Scarl_Bloom 94    14/08/2015    5 recensioni
Lui è: un agente dell'FBI, arrogante, presuntuoso e pieno di sè.
Lei è: una studentessa universitaria, testarda, tenace, ma allo stesso tempo insicura.
Due mondi che entrano in collisione. Due destini che si intrecciano.
Storia raccontata da entrambi i punti di vista dei due protagonisti.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Arroganza e Tenacia

 

Capitolo 1.

 

Ho sempre amato l’atmosfera che riesce a regalare la notte, con il suo cielo stellato. Di giorno è diverso, alzi lo sguardo verso l’alto e vedi solo nuvole. Ma la notte, la notte ha qualcosa di magico. Sin da piccola ho sempre guardato quei puntini luminosi immaginando che, uno di loro, fosse in realtà mia madre. Sì, perché lei è lassù da ormai vent’anni. E’ morta dandomi alla luce,  non ho alcun ricordo di lei. Mio padre non ha mai voluto parlarmene, sebbene più volte l’ho implorato di raccontarmi qualcosa. Lui mi ritiene responsabile della sua morte, e me l’ha sempre manifestato a voce . E anch’io, a dir la verità, mi ritengo responsabile. Quando tua madre muore dandoti alla luce non puoi non pensare di averla uccisa tu.

L’odio che mio padre nutre nei miei confronti non è dovuto solamente alla morte di mia madre, ma anche al fatto che avrei dovuto essere un maschio. Lui è un importante imprenditore e la sua società è sempre stata, di generazione in generazione, in mano ai Manfredi. E purtroppo sono nata io, vale a dire una femmina, che comunque dovrei ereditare tutto io. Mio padre ha solo una sorella, la quale ha avuto due figlie femmine: Valentina e Daniela. Per fortuna che ho loro due, mi fanno sentire meno sola.

Valentina ha diciassette anni e, da quando ne ho memoria, siamo state sempre insieme, come sorelle. Daniela, invece, ha dieci anni ed è una piccola peste. E’ una bimba impicciona, vuole sapere ogni cosa, e non smette un attimo di parlare. Comunque non posso negare che riesca a rallegrare anche le mie giornate più grigie.

 

« Rosemary! »

« Eh? Sì, scusa, mi ero un attimo persa. »

« E’ già la terza volta, stasera » mi fa notare la piccola Daniela.

« Come siamo puntigliose » scherzo, girando la pagina del libro che le stavo leggendo.

« E vorrei vedere, ti fermi nel bel mezzo della storia e inizi a guardare dalla finestra come un ebete. »

« E’ la ventesima volta che la leggiamo » le faccio notare.

« Quanto sei esagerata, sarà la quarta volta. E comunque a me piace. »

« E perché non te la fai leggere da tua sorella? »

« Quella lì che sta dormendo come un ghiro da due ore? »

Mi giro quel tanto basta per scorgere Valentina appollaiata sul lettino attaccato alla parete, dall’altra parte della stanza. Quella ragazza dormirebbe ventitré ore su ventiquattro.

« Beh, non hai tutti i torti » le dico, trattenendo a stento una risata.

« Rosemary, posso chiederti una cosa? »

« Certo, piccolina, dimmi pure. »

« Secondo te il Principe Azzurro esiste? »

La guardo per qualche secondo, impreparata alla domanda. Dalla mia poca esperienza non saprei proprio cosa dire. All’età di tredici anni, mio padre, ha deciso di mandarmi in un collegio di suore. Sono uscita da lì a diciotto anni, vale a dire tre anni fa, e di ragazzi ne so poco e niente.  Tuttavia il mio essere sognatrice mi tradisce.

« Secondo me sì. Esiste un ragazzo gentile, educato, dolce … comprensivo. Non sarà proprio un principe azzurro, ma perché non dovrebbe esistere alla fine? »

« Tu vorresti un ragazzo gentile, educato, dolce e comprensivo? »

Abbasso gli occhi per l’imbarazzo, « non lo so, beh … basta che non sia arrogante, prepotente e … odioso. Comunque dovrà essere il mio vero amore. Lo so, sarò anche stupida, forse l’amore neanche esiste, ma … a sperare non ci perdo nulla. »

« Io credo che il mio Principe Azzurro sia Mattia. »

« Ah davvero? » le chiedo, curiosa.

« Sì. E’ biondo con gli occhi azzurri. E’ ovvio, il mio Principe è lui. »

« Ma non è troppo presto per te, piccolina? »

« E mica io sono scema come te. »

« Dormi, adesso » le dico, accarezzandole la fronte.

«» biascica, facendo un grande sbadiglio « non so se sia più scema mia sorella o tu. »

Scuoto la testa, mentre lei chiude gli occhi e si lascia andare al mondo dei sogni. Sospiro guardandomi intorno e, nel frattempo, rifletto alle parole di Daniela. Chissà se un giorno incontrerò davvero l’uomo dei miei sogni, oppure rimarrò a sognare, come sempre.

Esco dalla camera per andare a prendere un bicchiere d’acqua e, alla fine del corridoio, mi imbatto proprio in mio padre.

« Cosa ci fai ancora alzato? »

« Ti stavo aspettando. »

« E come sapevi che sarei uscita dalla camera? »

« Lo fai tutte le notti. »

Ah, quindi un po’ a me s’interessava.

« E perché mi stavi aspettando? »

« Sai che … da un po’ mi frequento con una donna, vero? »

« Ne hai frequentate tante in questi anni. Comunque sì, so che ti vedi con una donna. »

« Ebbene, ti volevo solo avvertire che da domani Melanie e i suoi tre figli verranno a stare qui da noi. »

« Come? » sbotto sbalordita. « Come sarebbe verranno a stare qui da noi? »

« Ho già deciso. Volevo solo avvertirti » conclude, dandomi le spalle e 

proseguendo per la sua camera, senza nemmeno darmi il tempo di poter dire qualcosa.

E’ sempre stato così. Non mi ha mai consultata, né calcolata più di tanto. E’ già qualcosa che mi permetta di ospitare Valentina e Daniela, il sabato, a casa nostra.

Comunque vada, spero solo che questa Melanie e i suoi figli siano persone buone. Un po’ di compagnia in questa casa era quello che ci voleva. E perché no? Mio padre potrebbe anche addolcirsi con una donna al suo fianco. Non voglio illudermi, probabilmente le cose tra me e lui non cambieranno mai.

Vorrei tanto sapere cosa sono io per te, Riccardo Manfredi.

 

 

***

 Non c’è niente di più fastidioso della suoneria del cellulare di primo mattino. Soprattutto se la canzone è tra le più rumorose al mondo.

« Pronto? » rispondo scocciato.

« Javier Delgado, dove cazzo sei finito? »

« Ben, accidenti a te figlio di puttana, si può sapere perché chiami a quest’ora? »

« Sono le undici e mezzo! E comunque il Capo è incazzato a morte con te. Ti vuole vedere. Ed è meglio che ti sbrighi. »

« Ah, cazzo. »

« Puoi dirlo forte, amico. »

Chiudo la chiamata e lancio il cellulare sul letto, senza preoccuparmi che potrebbe cadere e rompersi. Mi levo le coperte di sopra e, inaspettatamente, mi rendo conto che nel letto c’è qualcun altro. O meglio dire, qualcun’altra.

« E tu chi cazzo sei? » borbotto guardando la donna nuda che dorme al mio fianco.

Sarà sicuramente qualche puttana che ho incontrato ieri sera.

Mi alzo, lasciandola nel letto, e vado subito in bagno a farmi una doccia. So già cosa mi aspetterà alla centrale, e non ho nessuna voglia di sentire cazziatoni da quell’imbecille del Capo.

Appena esco dal bagno sento il campanello di casa e, con le palle girate, vado a vedere di chi diavolo si tratta.

« Javier, sono io. »

« Ben. Sei venuto di persona perché temevi che non mi sarei presentato? » Apro la porta e lo faccio entrare, anche se vorrei spaccare la faccia anche a lui.

« L’hai combinata grossa, mio caro. »

« Sì. E sai che me ne frega. »

Lui si accomoda in cucina, mentre io guardo cosa c’è nel frigo.

« Questa casa sembra una pattumiera » commenta, guardandosi attorno.

« Lo so. »

« E tu hai un aspetto di merda. »

« So anche questo. »

Poi non lo sento più parlare. Solo dopo qualche secondo mi rendo conto che Ben ha appena visto passare una donna nuda davanti ai suoi occhi.

« E quella chi era? »

« Boh. »

« Come boh? »

« Una che ho incontrato ieri sera. Figurati, non so nemmeno il suo nome. »

« Quando ti deciderai a mettere la testa a posto? »

« In che senso? »

« Beh, hai trentasei anni. Non pensi sia ora di trovarti una donna come si deve? »

« La mia donna non esiste. »

« Ah, davvero? »

« Una donna talmente speciale da farmi smettere di pensare a tutte le altre? Ma andiamo, l’amore è soltanto un illusione e basta. »

« Delgado, un giorno t’innamorerai. E non avrai più via d’uscita, credimi. »

« Ma vattene a fanculo. »

 

So perfettamente di aver sbagliato, non sono mica stupido. E capisco anche la rabbia che i miei superiori hanno nei miei confronti. Era una missione importante ed io sono riuscito a mandare tutto all’aria. Probabilmente mi licenzieranno, ma non me ne importa un accidenti.

Appena arrivo alla Centrale ho gli occhi di tutti quanti puntati addosso. Devo lottare con tutto me stesso per non perdere la pazienza. Entro nell’ufficio del Capo malvolentieri, e quest’ultimo percepisce subito il mio stato d’animo.

« Delgado. »

« Capo. »

« Non perderò tempo a dirti quanto sei coglione. »

« Oh, grazie al cielo. »

« Sappi solo che per recuperare quella missione ci vorrà un duro lavoro, e in tanti avrebbero voglia di sbatterti fuori da qui. »

« Quindi me ne vado? »

Lui sospira appoggiando i gomiti sulla scrivania davanti a sé, « eri uno degli agenti migliori dell’FBI. Cosa cazzo ti è successo, Javier? »

« Mi sono rotto i coglioni. »

« Questa tua arroganza sta iniziando a starmi stretta. Tuttavia non ti cacceremo. »

« Ah no? E come mai? Pensavo di averla combinata grossa. »

« Ed è così, ma quello che ci vuole è una punizione, per farti abbassare un po’ la cresta. »

« Punizione? Ma andiamo, non siamo a scuola. »

« Andrai in Italia » m’informa di punto in bianco.

« Cosa? No. Te lo scordi. »

« Andrai in Italia, punto e basta. E precisamente ad Amantide. »

« Amantide? Tu credi che, mandandomi in culo al mondo, io potrei cambiare? »

« Tieni » prosegue, porgendomi un enorme cartella, « qui c’è tutto quello che ti servirà sapere per prepararti al meglio. E anche se si tratta di una piccola missione sta attento a quello che fai. E’ la tua ultima chance. »

Afferro di malavoglia la cartella « Questa me la paghi. »

« Javier … io ho ancora fiducia in te. »

Mi lascio scappare un sorriso. « Non ce l’ho io per me stesso. »

 

***

 

3 mesi dopo ….

 

Delle urla insopportabili mi costringono ad aprire gli occhi ancor prima del suono della sveglia. Oggi inizio le lezioni del terzo ed ultimo anno, e avrei voluto dormire ancora qualche altro minuto. Le urla saranno di sicuro di Giselle e Charlotte, ogni mattina litigano per motivi stupidi spesso riguardanti vestiti, scarpe e cose di questo genere. I francesi mi sono sempre stati antipatici, per non so quale assurdo motivo, ma da quando Melanie e i suoi tre figli vivono sotto il mio stesso tetto posso dire ufficialmente che odio i francesi a morte. Pensavo che le cose avrebbero potuto migliorare con il loro arrivo, ma mi sbagliavo di grosso.

Melanie è una donna superba e assai astuta, suo marito è morto una decina d anni fa lasciandola da sola con tre figli. E’ sulla cinquantina, probabilmente ha la stessa età di mio padre. Si sono conosciuti a Parigi, in uno dei suoi tanti viaggi di lavoro, e hanno iniziato a frequentarsi. Non so cosa c’abbia visto in lei, dal primo giorno in cui ha messo piede in questa casa il suo sguardo di ghiaccio mi ha subito messo in guardia. Non c’era bisogno mica di un esperto sociologo per capire che quella donna era interessata ai soldi di mio padre. E scommetto che lui lo sappia bene, Riccardo Manfredi può essere anche il peggior padre del mondo ma non è mica uno sprovveduto.

Dopo aver cercato in tutti i modi possibili di riaddormentarmi, non mi resta altro che alzarmi dal letto e andare a prepararmi.  Come sto per aprire la porta del bagno ecco pararsi davanti Charles, il secondogenito di Melanie. Lui è anche più insopportabile delle due sorelle.

« Spostati » gli intimo.

« No. »

« Charles! »

« Puoi urlare quanto vuoi, ragazzina. Il bagno è mio. »

Mi chiude la porta in faccia ridendosela di gusto, mentre io vorrei prenderlo a schiaffi.  Accidenti a lui, se aspetto che esca dal bagno rischio di fare notte.

Charles ha la mia età e frequenta la facoltà di medicina. E’ il ragazzo più vanitoso che io abbia mai conosciuto. Ci manca poco che si metta anche lui a litigare insieme alle altre due per vestiti e scarpe.

Beh, per fortuna che abbiamo più di un bagno.

Sedersi a fare colazione, da un po’ di tempo a questa parte, è diventata ormai una tortura. Prima c’eravamo solo io e mio padre, che a stento ci dicevamo “buongiorno”, adesso ci sono tre galline e un gallo che non fanno altro che cercare di renderti la giornata un inferno, già di primo mattino.

« Rosemary, potresti mettere un po’ di trucco in viso, hai davvero un brutto aspetto. »

E questa è Charlotte, la più piccola ma non per questo meno arpia. Ha diciassette anni, la stessa età di mia cugina Valentina. Inutile dire che Valentina, esattamente come me, vorrebbe strangolare sia Charlotte, che il resto della famiglia. Quando ha saputo che quest’anno si sarebbe ritrovata la piccola di casa anche a scuola per poco non le prendeva un colpo. Povera Valentina.

« Grazie, ma credo serva più a te che a me » rispondo con naturalezza.

E mentre Charlotte fa una serie di smorfie orribili, il mio orecchio non può non andare ad ascoltare ciò che Giselle, la maggiore, sta dicendo al telefono in questo preciso momento.

« Giselle » la richiama la madre « vieni a fare colazione. »

« Un attimo » le risponde, per poi tornare a parlare al telefono « Ora ti devo salutare cucciolo. Si lo so, dispiace tanto anche a me. Ti amo anch’io. »

Cucciolo? Oh, per l’amor del cielo.

Quando, dopo settecentomila “riattacca tu/riattacco io”, decide finalmente di porre fine alla chiamata, viene a sedersi proprio di fronte a me.

« Quando ce lo farai conoscere? » le chiede la madre.

« Presto. »

« E dicci almeno come si chiama » la implora la sorella.

« No, lo saprete quando ve lo presenterò. »

« E’ bello? » prosegue Charlotte, curiosa.

« E’ un figo pazzesco » le rivela lei, ridendo come un’oca.

Non posso proprio trattenermi nel non fare delle smorfie. Purtroppo Giselle se ne accorge. « E tu cosa vuoi? Sei, per caso, invidiosa di me? »

« Per quale motivo dovrei esserlo? »

« Perché io ho un fidanzato e tu no. »

« No, tranquilla, non è nei miei progetti. Io non devo mica fare la mantenuta a vita. »

« Cosa vuoi insinuare, piccolo mostriciattolo? »

« Che tu sei la classica donna alla ricerca di un uomo ricco per poter vivere delle se ricchezze, senza muovere nemmeno un dito. »

Giselle si alza sbattendo le mani sul tavolo, mentre Melanie cerca di calmarla.

« Figlia mia, lasciala perdere. E’ invidiosa, stupida, bruttina. La natura è già stata abbastanza crudele con lei, non trovi? »

Stringo i pugni e con lo sguardo vado a cercare l’aiuto di mio padre. Ma lui se ne sta con gli occhi fissi sul giornale, senza fare alcuna piega. Dovrò difendermi da sola.

« E voi siete delle arpie! »

« Riccardo, tua figlia è una maleducata di prima categoria. Devi far qualcosa, tesoro. »

Mio padre alza appena lo sguardo. E solo quel gesto riesce a paralizzarmi del tutto. Il suo silenzio vale più di mille parole. Mi alzo, consapevole di essere sola in questa guerra, e prendo le mie cose per dirigermi all’università.

Fuori, ad aspettarmi, c’è Geronimo, il nostro autista.

« Buongiorno, signorina Rosemary. Come mai quel faccino triste? »

« Non è niente, ho solo dormito male. »

« Mm, io dico che c’entrano quelle streghe. Ascolta, piccolina, non dare retta alle loro cattiverie. Tu sei una ragazza così intelligente e carina. Lasciale perdere. »

Sospiro e annuisco. « Questa convivenza sta diventando insopportabile. »

 

Durante il tragitto in macchina ripenso alle parole ridicole che Giselle diceva al telefono. Quella ragazza è di una stupidità allucinante. E’ più grande di me di cinque anni, ed è ancora più stupida e cattiva di Charles e Charlotte. Vorrei prenderla da quei ricci biondi e tirarglieli uno ad uno.

« Geronimo, oggi quelle arpie non hanno fatto altro che insultarmi, e mio padre non ha battuto ciglio. Perché mi odia? Tu lo sai? »

« Rosemary, tuo padre non ti odia, come devo dirtelo? »

« Credo che calcoli di più quei tre che me. »

« Sai qual è il problema? Che tu e tuo padre siete uguali. Entrambi testardi. »

« Tenaci » lo correggo.

« E’ lo stesso » replica lui con un sorriso.

Geronimo lavora per mio padre da tantissimi anni. Credo che lo conosca meglio di qualunque altro.

 

Durante la prima ora ci viene detto che il professore di storia si è ammalato e, per questo motivo, ne verrà uno nuovo. La notizia suscita una gioia immensa, in noi studenti, visto che il professore di storia dicono sia spietato durante gli esami.

« Speriamo non ci mandino uno ancora più terribile » dico a Marina e Anna, mie amiche da quando ho iniziato a frequentare l’università.

« Uno più terribile di Vittorini? Non credo possa esistere » ironizza Marina, mentre tira fuori dalla borsa un panino.

« Mangi di già? » le chiede Anna, un tantino disgustata.

« Ho fame. »

« Che novità » scherza la mia amica, facendo sorridere anche me.

 

Il primo giorno sembra passare in fretta, manca solo la lezione di storia e poi potrò uscire da qui. Anche se tornare a casa non è proprio il massimo. Mentre aspettiamo il nuovo professore, ricevo una chiamata da parte di Valentina.

« Vale, che succede? Sono a lezione. »

« Devi venire a prendermi. »

« Come? »

« Ho litigato con quella gattamorta di Charlotte. C’hanno fatte andare in presidenza e quando mi hanno chiesto di chiamare qualcuno ho pensato a te. Sei maggiorenne, quindi vieni a prendermi. »

« Ma … Valentina! Come faccio? Sono a lezione. »

« Se non vieni tu dovrò chiamare mia madre. E lo sai che sabato voglio andare a quel concerto. »

Sbuffo « E va bene, accidenti a te. Arrivo tra poco. »

Dunque, il professore non è ancora arrivo, se mi sbrigo posso risolvere la faccenda e tornare in tempo per la lezione. Sì, posso farcela.

« Marina, Anna, io devo andare. Ho un urgenza, se per caso il prof arriva mandatemi un messaggio. »

« Okay » risponde prontamente Anna, « conta pure su di noi. »

Sposto lo sguardo su Marina e la becco mentre mangiucchia una barretta di cioccolato. « Che c’è? » chiede noncurante.

« Ah! Devo andare a prendere Valentina a scuola, e devo fare in fretta! » le dico, mentre prendo le mie cose in fretta e furia, per poi mettermi a correre.

« Corri, Rosemary, corri! » sento urlare alle mie spalle, sicuramente da quella matta di Marina.

Spero solo di riuscire a fare tutto in tempo.

 

***

 

In culo al mondo. Ecco la mia punizione. In culo al mondo per una missione del cazzo.  Spero solo di venirci a capo il più presto possibile perché non voglio rimanere in questo posto neanche per tutto l’oro del mondo. Ed ecco che, mentre mi dirigo al mio nuovo lavoro di copertura, ricevo una chiamata da quel figlio di puttana di Ben.

« Javier! Come ti butta? »

« Non fare lo spiritoso. »

« Ah, andiamo, è così pessimo quel posto? »

« La missione è la peggiore che io abbia mai avuto in tutta la mia carriera. Quello che non mi dispiace affatto è che qua è pieno di donne. »

Ride a crepapelle. « Allora sei apposto. »

« Non vedo l’ora di tornarmene a casa. »

« Fai il bravo bambino e poi potrai tornare. »

« Certo, come se fosse facile per me. »

 

Scendo dalla macchina e quasi dimentico di prendere la borsa. Guarda un po’ che razza di lavoro mi tocca fare. Per non parlare di questo vestito ridicolo che ho dovuto mettermi. Questa non è una punizione, è cattiveria allo stato puro.

Entro nel palazzo e cerco di orientarmi, con tutta la gente che c’è non si capisce niente. Merda. A quale piano devo andare? Cominciamo bene.  Mi dirigo verso l’ascensore, ma una volta raggiunto ho una brutta sorpresa: è guasto.

« Porca puttana, quando torno a casa gliela faccio vedere io a quell’imbecille del Capo. »

Non mi resta altro che prendere le scale.

Dopo essermi fatto due piani, arrivo al terzo e, proprio quando sto per svoltare l’angolo, qualcosa di non identificato mi viene addosso ed io, come un deficiente, perdo l’equilibrio e cado a terra. Per poco non andavo a finire per la tromba delle scale.  Scuoto il capo, cercando di riprendermi dalla botta, mentre mi preparo a dirgliene quattro a questo idiota che m’è venuto addosso.

« Ma dove cazzo guardi? » ringhio, un attimo prima di aprire gli occhi.

Ed è come se un fulmine m’avesse colpito in pieno.

 

***

 

Rimango come un’allocca a guardare l’uomo che ho travolto durante la mia corsa. Vorrei chiedergli mille volte scusa, ma il suo sguardo scuro e penetrante me lo impedisce. Riesco a pensare soltanto a una cosa mentre lo osservo con la bocca semi aperta: per la miseria, quant’è bello.

 

 

 

 

 

 

 

Fatti e personaggi sono puramente inventati. Non c'è alcun riferimento con la realtà.

 

*Spazio autrice*

Hola! E’ la prima FanFic che scrivo in questa sezione. A dir la verità scrivere qui mi ha sempre spaventato un po’ xD

Ho scritto questo capitolo di getto, spero che vi piaccia almeno un po’ :D

Grazie a chiunque legga!

Al prossimo capitolo

Bye

Scarl.

   
 
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