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Autore: peeksy    16/08/2015    0 recensioni
A volte confondi l'amore con l'odio. A volte vorresti non provare emozioni ed essere inarrestabile. Altre vorresti provare tutte le emozioni del mondo. E lì capisci che sono proprio le emozioni a dimostrarti che sei vivo.
Prima storia su Gravity Falls per me! Sperimenterò qualcosa di nuovo sia in ambito tematico che in ambito scrittorio.
Enjoy!
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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L'autore prese il Diario numero tre. Ricordava molto bene cosa c'era scritto, non ogni parola, ma concettualmente aveva pronte le frasi per spiegare ciò che solo lui sapeva spiegare.

 

Alzò la testa e il suo sguardo assunse un'espressione severa.

Stanley, ancora, cosa voleva da lui?

 

“Senti, fratello...lo so che per ora sono solo un peso per te...mi stavo chiedendo se...”

Ford lo interruppe, sbattendo il diario sul tavolo.

“Senti un corno, fratello! Hai fatto di testa tua per tutto questo tempo e ora non pensare di potermi dare gli ordini! Non sei riuscito a sistemare nulla da solo, ora devo occuparmene io!”

Stan rabbrividì alle parole del fratello.

 

Tuttavia non aveva torto.

 

“Ho paura per loro due, i pronipotini...sono in mezzo a questa faccenda per puro caso...ed è stata colpa mia...”

“No, non sai che stai dicendo, fratello, non sono qui per puro caso...”

Ford chiuse il diario, aveva letto abbastanza. Piuttosto pensò a agire di conseguenza.

 

“Tu te lo ricordi Bill Cipher, vero fratello?”

 

Stanley cercò di scherzarci su, ma voltandosi vide solo il volto cattivo e arrabbiato del fratello.

“Tutto ciò che so di quel demone lo so da te, io non ricordo nulla di lui da quando te ne sei andato!”

“Non mentire!” urlò Stanford.

 

“Com'è possibile che tu non sappia nulla di Bill mentre i pronipotini ne sanno parecchio?”

“Uhm...non lo so, posso dirti che non mi ricordo di lui...”

“Ma li ascolti quando parlano, ci dai un po' di attenzione a loro...adesso Dipper è stato contaminato da Bill e tu stai qui con le mani in mano...”

 

Stanley sobbalzò. “Cosa? Dipper?”

Ford scosse la testa e si lasciò andare ad una smorfia di stress.

 

Il fratello aveva capito, era l'ennesima volta che mandava l'Autore su di giri.

 

“Ascolta” disse egli, “io scendo giù, voglio parlare con Dipper, voglio assicurarmi di alcune cose”.

“E se non è più lì?”

“Lo devo trovare, devo assolutamente.”

 

Detto questo, Stanford si avvicinò alle macchinette, dove si apriva il passaggio segreto.

 

“Prozio Stan...” una voce femminile si fece sentire.

Stanley si girò.

 

Mabel era ancora lei, l'unica che lo chiamava ancora così. Tutto quello che era accaduto, con lei, non sembrava essere mai successo. Mentre non capiva cosa stesse succedendo a Dipper, capì che la sorellina non voleva cambiare: gli voleva ancora bene.

 

“Mabel...”

Si lasciò andare ad un tenero abbraccio con lei.

“Prozio Stan, dov'è Dipper? Come sta?” chiese la ragazzina.

“Non lo so, non posso dirlo io...se ne occuperà mio fratello.”

 

L'abbraccio si sciolse e Stan si sedette sul sofà. Affianco a lui un quadretto, una foto datata circa 10 anni, con due piccoli bambini, un maschio, una femmina, e lui. 10 anni passati in fretta.

“E pensare che mi facevo chiamare Stanford...non era voluto, ma sono stato costretto...” pensò.

 

Mabel lo osservò, “ti vedo preoccupato, cosa non va?”

“Ragazzina, non c'è molto di certo che posso dirti in questo momento, però se tu riesci ancora a sorridere nonostante tutto questo, vuol dire che sei sulla buona strada.”

 

Quelle parole la lasciarono un po' così, anche se dopo qualche secondo entrambi sorrisero.

“Grazie infinite prozio! Ti voglio un mare di bene!”

E se ne andò.

 

Stanley stette a riflettere, osservò quel quadretto.

Sì, dopotutto era lui che li aveva visti crescere.

Era lui che li aveva visti felici.

Sorrise nuovamente, e si abbandonò ai ricordi.

 

Ford.

 

Pensò anche a lui, il quale scese nuovamente nella stanza segreta, quella del portale.

Luogo in cui non trovò nessuno però.

 

“Dipper? Dove sei? Sono l'Autore!”

 

Era passata più di un'ora da quando il ragazzino aveva chiesto di stare da solo.

Chissà dove si era cacciato.

 

Un sacco di pensieri infestavano la testa. Temeva che Bill lo stesse lentamente prendendo e portando via con se. Avrebbe voluto esserci, quando tutto ebbe inizio, quando Bill vide per la prima volta i ragazzini; eppure non è stato possibile.

 

Si girò. “E' tutta colpa tua, macchina!”

Osservò il portale.

 

“...o forse è colpa mia...forse non stavo seguendo il copione...”

Ford aveva ben imparato a non sottovalutare le potenza di quel demone.

Tuttavia, pensava che si potesse fermare, in qualche modo.

 

“Così come lo si evoca e lo si caccia via, lo si vuole e lo si evita” pensò.

Eppure con tutti questi studi e tutti questi anni passati a ricercare dettagliatamente i misteri della zona, non aveva ancora capito come fare per fermare quel triangolo volante.

 

Ci pensò. No, non avrebbe perso di nuovo.

 

Uscì fuori dallo Shack, si addentrò nelle fitta e misteriosa foresta che circondava quei posti.

Si stava facendo tardi nel pomeriggio.

 

Stanford prese una piccola torcia e la accese.

 

Vide una figura seduta su un tronco di pino tagliato.

Sì, era lui, Dipper.

 

Si avvicinò al ragazzo, il quale, notandolo, alzò lo sguardo.

No, niente segni di corruzione mentale o possessione del corpo; il ragazzo sembrava il solito.

“Hey, si può sapere che ci fai qui?”

“Autore...io...lei...tu, che ci fai tu qui? Sei venuto a cercarmi?”

“Certo, ragazzino, ci hai fatto preoccupare, tutti quanti! Dai torna allo Shack, così farai vedere che sei intero!”

 

Ford tirò un sospiro di sollievo eppure qualcosa lo straniva ancora di più. Bill non sembrava essere con lui in quel preciso momento: era proprio il ragazzino ad essere così: vuoto, monotono, apatico.

 

Qualcosa non tornava, dov'era quel dodicenne?

Stanford, che sapeva di essere l'idolo di quel ragazzo, cercò di “riattivare” un senso di fanatismo in lui.

 

“Allora, cosa ne pensi di Bill Cipher?”

 

Il ragazzo rabbrividì al sentire solo quel nome. Gli venne la pelle d'oca, spalancò le palpebre e una smorfia di paura uscì dalla sua bocca.

 

Stanford capì che qualcosa doveva pur essere successo. Quel demone era tornato e aveva un piano in mente.

Preferì cambiare argomento.

 

“Che te ne pare dei Diari, c'è qualcosa che ti ha colpito parecchio? Ti va di parlarne?”

Ford si sentiva quasi come un vero prozio. Si mise nei panni del fratello; non era una brutta sensazione, ma era troppo “aliena” per lui per sentirsi propriamente a suo agio.

 

Il ragazzo quasi non sentiva, camminava in modo molto timido, gli occhi puntavano verso il basso. Insomma, era con il suo idolo, fosse stato tutto okay sarebbe su di giri, ma invece non parlava, non faceva assolutamente nulla.

 

“Dipper, qualcosa non va? Mi sembri giù di morale!”

“Sì...” sospirò il ragazzo.

 

“E' che...mi sto scervellando troppo a capire cosa sta succedendo qui! Sono venuto per una vacanza, non per una lotta contro l'ignoto. E' agghiacciante! A volte penso che tutto questo abbia me come centro, perché io sono imparentato con voi eppure sono quello che pare soffrire di più. Mi sento beffato da Stan e dalla sua attività...sono troppe le cose, Autore, che tu mi devi spiegare...capisci?”

 

L'Autore non sapeva cosa rispondere; capiva che il ragazzino non aveva affatto torto, eppure sentiva di doverlo confortare, i suoi problemi erano stati parecchi.

 

“Autore, io sono stato portato qui con che scopo? Se pensavate che io fossi valido per questa indagine rivolta al mistero, sappiate che vi state sbagliando di grosso...io...non sono abbastanza pronto per questo...”

Il ragazzo iniziò a piangere.

 

Ford cercò di mostrarsi il solito, di non dire cose a sproposito, però si sentiva un po' in colpa per non essere una figura più vicina al ragazzo e alla sua vita che doveva rimanere tale.

Si avvicinarono allo Shack che era quasi buio sull'Oregon.

 

Stanford diede qualche pacca di motivazione al ragazzo.

“No, tu vali molto, tu sei pronto per questa sfida. Se fosse come hai detto, avresti già mollato! Sei un ragazzo molto valido, secondo me, Dipper!”

 

Il giovane sentì quella frase, smise di piangere, si voltò e abbracciò l'Autore, il quale ricambiò l'abbraccio.

 

“Ora devo andare, stai al sicuro e rilassati.”

“...okay”

 

Stanford non entrò nello Shack.

Dipper stette a guardarlo per qualche secondo, fino a quando Mabel non lo notò e corse fuori ad abbracciarlo.

 

Il ragazzino sorrise mentre la contagiosa allegria della sorella si riversava su di lui.

Per quel momento si sentiva a casa, come quei tempi in cui lui poteva essere il ragazzo che desiderava, senza qualcuno che venisse ad imporgli cosa pensare o cosa fare.

 

Ma la realtà era un'altra e lo sapeva.

 

L'Autore si allontanò.

 

“Allora! Stai bene fratellino? Mi ha fatto preoccupare un sacco, scemotto!”

“Scusa Mabel, è...difficile spiegarti cosa è successo!”

“Per fortuna sei intero! Quella è la cosa più importante! Dai, andiamo dentro!”

 

Mabel gli strizzò una guancia. Dipper sorrise nuovamente. Per una volta era molto contento di ritornare nello Shack, di sentirne l'odore, di camminare tra quelle misteriose mura.

 

Arrivarono nella stanza principale della casa, il negozio. Non c'era nessuno in cassa, nessun rumore turbava la quiete, nessun brusio di insetti, nulla.

L'unica cosa che si sentiva era il respiro del ragazzino.

 

Si fermò sul tappeto in centro alla stanza, si osservò i piedi.

Ebbe molta paura non appena notò cosa c'era sul tappeto.

 

L'ennesima rappresentazione di Bill.

   
 
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