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Autore: Charu San    16/08/2015    1 recensioni
Apparentemente, può sembrare che Makoto Hachi, 18 anni, abbia una vita tranquilla e spensierata.
In realtà è odiata da tutti nell'istituto artistico che frequenta, a causa del suo talento.
Conduce una vita solitaria e noiosa, fino ad una sera. Impossessata da un demone a causa di uno stupidissimo scherzo, la sua vita sarà segnata e non farà altro che peggiorare.
Genere: Horror, Sovrannaturale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nonostante fossero le idi di marzo, quel giorno l'aria era stranamente tiepida e il vento insistente. 
Il sole splendeva e non vi era nemmeno una nuvola in cielo. Il lieve cinguettio che si udiva tra gli alberi rilassava, facendo vagare la mente.  L'ideale per poter camminare fino a scuola. E Makoto amava camminare.

La ragazza dai lunghi capelli castani, non appena varcò il cancello del suo istituto, si sentì gli occhi addosso. Ma non se ne curava, perché all'ordine del giorno.
In quella scuola, tutti la guardavano dall'alto in basso, farfugliando tra loro cose poco carine su di lei.

Frequentava l'ultimo anno di un rinomato istituto artistico di una cittadina vicino Tokyo e lei, nel campo della pittura e della scultura, era la migliore; di conseguenza, inconsapevolmente, intralciava gli altri; intralciava perché gli insegnanti avevano solo il suo nome tra le labbra, quasi snobbando gli altri studenti.
Correvano voci che lei corrompesse gli insegnanati con sesso o denaro, ma tutte queste dicerie erano infondate e piene di invidia, poiché tutto questo non era vero. Nemmeno Makoto sapesse il perché del suo successo; semplicemente seguiva la sua passione, il resto non le importava. 

In passato, aveva cercato di stringere rapporti con gli altri compagni, ma questi l'allontanavano per i motivi suddetti. E lei se ne era semplicemente fatta una ragione.

Quindi, quel giorno di ordinaria scuola passò come sempre: tra una lezione e l'altra, progetti artistici e club di cucina, rigorosamente da sola.
Terminata la giornata, come al suo solito, Makoto si diresse a piedi verso casa. Il sole era quasi calato e tutto intorno era diventato di un vivido rosso fuoco. Una volta sotto casa, pensò che doveva mettersi subito all'opera del nuovo progetto, ma purtroppo le cose cambiarono.

Si sentì afferrare da decine di mani che le bloccarono fianchi, braccia e spalle. In ultimo, un fazzoletto imbevuto di una strana sostanza le venne incollato al naso e, inspirando con forza, svenne immediatamente.

Quanto si risvegliò, ancora intontita, davanti a sé vide una luce fioca sospesa sopra di lei. Era imbavagliata e stesa su di un tavolo, legata a mani e piedi e, disposti intorno ad esso, vi erano dieci ragazzi bendati. Makoto cominciò a sudare freddo, credendo che l'avrebbero stuprata.

Erano tutti in silenzio e, d'un tratto, uno di loro tirò fuori da un astuccio una siringa contenente liquido semi-trasparente: con un ghigno, le infilò bruscamente l'ago nel braccio destro, svuotandone velocemente il contenuto e, leggendo su di un foglio stropicciato, recitò parole incomprensibili. Per un attimo non accadde nulla, ma poi, dopo una ventina di secondi, la ragazza spalancò occhi e bocca, contorcendosi. Urlava a tratti, quasi come se l'urlo le morisse in gola. Inarcò la schiena, piegando la testa all'indietro, contorcendo braccia e gambe, almeno per quel che poteva. Un dolore lancinante le percorse tutto il corpo a partire dal braccio fino alla punta dei piedi. 
"MA COSA CAZZO LE HAI FATTO, IDIOTA?!" 

Alcuni dei presenti caddero a terra, impauriti, e imprecarono contro chi si era curato dell'iniezione.

Infine, Makoto si accasciò stremata sul tavolo, apparentemente morta. Nel panico totale, credendola realmente morta, i ragazzi la slegarono in fretta, la presero in  braccio e, dopo aver chiamato un ambulanza nell'anonimato, l'abbandonarono sulla via, poco lontano da quella baracca abbandonata, luogo del misfatto, e fuggirono.


Passò un giorno dall'accaduto. Makoto si ritrovò in un letto di ospedale, dove, quando era possibile, i suoi genitori le facevano visita, sommergendola di domande.

"Mamma, papà, io sto bene. Davvero."

Effettivamente lei stava bene;
 i medici e gli infermieri non potevano credere alla rapida guarigione della ragazza, dopo averla trovata sdraiata su di un sudicio marciapiede, mezza morta. Il respiro era quasi inesistente, il battito cardiaco era lento e aveva la bava alla bocca. 
Fu congedata quasi 48 ore dopo, ormai accertato che fosse completamente guarita e senza alcuna complicazione. Tutto questo la segnò fortemente, ma ciò non le impedì di ritornare alla sua amata scuola.

I mesi passarono tranquillamente: i suoi genitori decisero di accompagnarla sia all'entrata che all'uscita di scuola, preoccupati per quanto successo. Le giornate passavano noiosamente, come da routine. Fino a quando, a lungo andare, ogni mattina le divenne sempre più difficile alzarsi; si sentiva stanca, come se avesse dormito poco o per niente, poi tutto questo sfociò in una forte febbre.

Una notte, a causa della malattia, non riuscì per niente a chiudere occhio.
Si girava e rigirava nel letto, sentiva addirittura dei rumori, credendo fosse a causa della febbre: sentiva ogni tanto un respiro, ogni tanto un ghigno; diventavano via via sempre più forti, sentendosi osservata. Non aveva il coraggio di aprire gli occhi, era terrorizzata; credeva ci fosse un fantasma o uno spirito in camera sua.
 
- Calmati, Makoto, i fantasmi non esistono! -

Per un attimo si calmò e, mentre si girava sull'altro fianco, aprì gli occhi. La pelle d'oca le percorse tutto il corpo, gli occhi si spalancarono e un urlo le morì in gola:
Fluttuanti nel buio, si vedevano delle fievoli luci bianche tendenti all'azzurro che, forse, stavano per due occhi, stretti e allungati, e una bocca, formata per lo più da fessure di misura irregolare che percorrevano la linea curva di un "sorriso" maligno. Queste "luci" si avvicinarono lentamente finché la luce del lampione che era in strada non illuminò anche il corpo di quello che sembrava uno strano e inquietante fantasma.
Aveva sembianze umane, ma dalla pelle nera come la pece, apparentemente ruvida. Si intravedevano, sotto quella pelle, i muscoli di tutto il corpo un po' rigonfi e ben curati; sul petto, sotto le clavicole, vi erano altri squarci irregolari che emanavano anch'essi luce. I lineamenti del viso erano coperti dal bagliore degli occhi e della bocca; i capelli erano medio-lunghi, neri e gonfi e un ciuffo copriva la fronte del fantasma. 
Il suo ghigno si allargò ancora di più e Makoto sentì quasi sussurrato e con una voce spettrale un:
 
- Ciao, Mako Chan! -
   
 
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