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Autore: Destiny_96    16/08/2015    3 recensioni
Non ricorda più chi sia. Da dove viene? Perché si trova in quel luogo?
Per lei non c'è più un passato. Per lei esiste solo il presente e quello che scoprirà su sé stessa.
"Myraee", sarà davvero quello il suo nome? E perché è la sola cosa che in quel momento si ricorda di sé?
Un mondo a lei sconosciuto, una misteriosa profezia.
Ed un giovane dai penetranti occhi blu del quale conosce solo il nome.
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Dal primo capitolo:
La brocca le scivolò di mano e si frantumò a terra, bagnando le assi di legno del pavimento.
Si sorprese. Com'era possibile che non sapeva chi fosse?
Si sedette a terra, la testa tra le mani. Provò a capire, a tornare indietro nel tempo.
Il vuoto.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: questa storia e i suoi personaggi mi appartengono, ogni forma di plagio o il semplice utilizzo dei personaggi e dei luoghi narrati senza il mio consenso è da considerarsi illecito ed immorale, nonché punibile. Se avete intenzione di prendere spunto, citare od inserire miei personaggi in vostre opere siete cortesemente pregati di DOMANDARMELO in precedenza. Grazie.
Può contenere espressioni gergali e/o scurrili.










Myraee



 

 

CAPITOLO 1



 

Uno scossone la fece svegliare di soprassalto.
Il carro cigolava e sobbalzava sulla strada sterrata, e le dure assi di legno non attutivano certo i colpi presi quando le ruote finivano in qualche buca o contro dei sassi troppo grossi.
Si guardò intorno.
Era una specie di gabbia di legno, scoperta. Non che potesse fuggire: si trovò piedi e mani legati ad un anello di ferro battuto, ben saldo sul pavimento di quella strana gabbia.
Stavano attraversando una foresta.
Le fronde spesse degli alberi oscuravano molto i raggi del sole, ma lasciavano intravedere sprazzi di cielo.
La gola le bruciava ed aveva la bocca secca.
Sentiva voci, rochi borbottii.
Un uomo grosso e tarchiato era a dorso del cavallo che trainava il carretto; sbraitava ordini ad un piccolo manipolo di uomini armati, posizionatigli intorno e di guardia alla gabbia.
Lanciò sguardi fugaci: erano circa una decina, tutti che impugnavano spade o lance.
La schiena le faceva male, tanto da quanto era costretta a rimanere china, e la casacca di tessuto grezzo che indossava pizzicava e le irritava la pelle.
"Che ci faccio qui?..." si domandò.
Una fitta alla schiena le fece chinare il capo.
Strizzò gli occhi, poi li riaprì e li sbattè più volte.
Alcune ciocche di capelli le erano ricadute davanti al volto; nonostante fossero un po' sporchi, imbrattati dal fango, ne scorse il colore: erano di un biondo chiarissimo, quasi bianco.
Dei rombi improvvisi la costrinsero a guardare verso l'alto. L'azzurro del cielo ora aveva lasciato il posto ad un grigio torbido, il vento aveva iniziato a soffiare impetuoso e già delle grosse gocce di pioggia bagnavano il terreno.
Gli uomini non si fermarono; si calarono in testa il cappuccio della mantella che indossavano e proseguirono imperterriti, ma a rilento. La terra del sentiero era ormai fango, e le ruote del carro vi si impantanavano continuamente.
La casacca le si appiccicò alla pelle, fradicia. La schiena le bruciava atrocemente.
Il piccolo corteo procedeva lentamente, mentre i nuvoloni grigi riversavano sempre più impetuosi fiumi d'acqua.
Ad un certo punto, l'uomo in groppa al cavallo urlò.
-Thalsan, Ferahal, fermiamoci al campo!-
Cambiarono direzione, prendendo una strada secondaria che s'infiltrava nel bosco.
La strada era sconnessa, piena di foglie, rami, sassi e tronchi. Fermarono il carro.
-Dholian, prendi la prigioniera. E non fartela fuggire! Non che possa andare lontano, la puttanella. Eirath, lega il carro ad un albero, torneremo domani mattina.-
Uno degli uomini si avvicinò alla gabbia e ne aprì un lato, girando una grossa chiave dentro un lucchetto. Sciolse le corde che legavano la ragazza all'anello di metallo e la strattonò giù.
Lei gli lanciò uno sguardo veloce; era un uomo alto e muscoloso, la barba folta e incolta e lo sguardo sprezzante.
-Cammina, stronzetta!- le sbraitò contro, spingendola verso gli altri uomini.
La accerchiarono, tenendola sotto controllo.
"Come se potessi scappare..." pensò.
I piedi scalzi le sprofondavano nel pantano del sentiero, calpestando foglie e sassi.
Aveva il fiato corto, e la pioggia fitta le ingoffiva i movimenti.
Inciampò più volte, imbrattando di fango mani, ginocchia e casacca.
Dopo minuti interminabili di cammino, strattotana da quegli uomini che ogni volta che cadeva la schernivano e la rialzavano malamente, arrivarono al campo, che altro non era un piccolo agglomerato di case di legno un po' fatiscenti in una radura ristretta, attorniata dalla foresta.
L'uomo muscoloso di prima la sbattè in una delle baracche; alle sue spalle l'uomo tarchiato che stava in sella al cavallo lo scostò e gli ordinò di lasciarlo solo con la prigioniera.
Le diede bruscamente una ciotola di zuppa ed una piccola otre d'acqua, e le indicò un vecchio specchio ed una piccola vasca d'acqua in un angolo.
-Vedi di darti una ripulita, puttanella. Non vogliamo certo che il mio mandante ti veda più simile ad un maiale!- le lanciò addosso un vestito malmesso, un po' più dignitoso della casacca che indossava, ma del medesimo tessuto pungente. -E se provi a scappare ti farò acchiappare e torturare personalmente.-
Se ne andò sbattendo la porta.
La ragazza sentì la serratura del lucchetto che scattava. Sospirò nervosa.
"Come può pensare che scappi se mi chiude dentro come una bestia?" si chiese.
Guardò di sfuggita la ciotola con la zuppa.
"Almeno ha avuto il coraggio di darmi qualcosa di decente..."
Lanciò uno sguardo allo specchio, posato in un angolo della stanzetta. Era vecchio e sporco: avrebbe dovuto dargli una pulita.
Mangiò e bevve avidamente, l'acqua fresca che le dava sollievo alla gola secca.
Poi si avvicinò alla vasca e levò la casacca: approfittò del fatto che fosse ancora bagnata per pulire dalla polvere e dalla sporcizia lo specchio.
Si immerse nell'acqua fredda, strofinando le parti incrostate di fango e i capelli sporchi, che le si appiccicavano fastidiosamente alla schiena.
Trovò una vecchia brocca di argilla un po' sbeccata, posata accanto alla vasca.
Uscì e strizzò bene i capelli; poi riempì la brocca d'acqua e si specchiò.
Alcune ciocche di capelli, biondissimi, le incorniciavano il viso sottile dai grandi occhi verdi; il naso piccolo e dritto, le labbra piene; il corpo snello e slanciato, la pelle pallida.
Scostò i capelli dal volto, passandoseli dietro alle orecchie. Guardò il suo riflesso.
Aveva le orecchie a punta. Orecchie da elfo.
La brocca le scivolò di mano e si frantumò a terra, bagnando le assi di legno del pavimento.
Si sorprese. Com'era possibile che non sapeva chi fosse?
Si sedette a terra, la testa tra le mani. Provò a capire, a tornare indietro nel tempo.
Il vuoto.

Urla improvvise la distolsero dai suoi pensieri.
Grida, stridore di spade. Lo scoppiettio del fuoco.
Riconobbe delle voci, degli urli e dei lamenti strazianti. Erano quelli del capo del gruppo di uomini e dell'uomo che l'aveva tirata giù dal carro.
Si alzò di scatto, corse alla porta e iniziò a prenderla a pugni.
"Devo uscire di qui!"
Le voci si erano spente, il fuoco iniziava a gremire le pareti della baracca.
-Aiuto! Aiutatemi, fatemi uscire!- urlò, tirando ancora pugni al legno saldo della casetta.
-Indietro!- urlò una voce di rimando da fuori. Lei arretrò. La porta crollò con un tonfo secco.
Un uomo, anzi, un ragazzo dalla figura, le si avvicinò. -Chi sei?- le chiese.
Lo guardò. In quel momento, ricordò una cosa. -Myraee.- rispose.

 

Il ragazzo la fissò per qualche secondo, poi le lanciò addosso il suo mantello e si voltò.
-Prendi le tue cose e seguimi. Veloce.- disse, uscendo dalla baracca.
Myraee raccattò la veste datale prima dall'uomo e l'otre, ormai vuota. Uscì svelta dalla piccola casetta e si guardò intorno.
Parecchie baracche erano ridotte in cenere, qualche importante pilastro carbonizzato dal fuoco era ancora in piedi; il terreno era imbrattato di sangue, alcuni corpi inermi degli uomini lasciati a terra. Una sottile pioggerella faceva alzare dalle abitazioni prima in fiamme dei filamenti di fumo grigio.
Raggiunse il ragazzo, intento ad armeggiare col lucchetto di una baracca, ancora intatta.
Lui si voltò e le diede una rapida occhiata. -Tutto qui?- chiese, tornando a lavorare sul lucchetto. -Non hai nient'altro?-
-Non lo so...- rispose, stringendosi nel mantello e chiando il capo. -Io...non me lo ricordo...-
Il ragazzo si voltò e la guardò di nuovo, puntando le mani in vita. Lei lo guardò di sottecchi.
Aveva i capelli scurissimi, di un nero intenso, e lunghi, legati in una coda bassa, morbida. Le orecchie coperte dai capelli; gli occhi erano di un blu penetrante; il volto fino e sottile, pallido, segnato da una manciata di lentiggini sul naso dritto e sulle gote, le labbra sottili. Era alto, non troppo muscoloso, sebbene la casacca di lino un po' umida segnasse i muscoli delle braccia e dell'addome.
-Non lo ricordi? Non viaggiavi con quegli uomini?- chiese, indicando col mento alcuni dei corpi a terra.
-No...credo che fossi una loro prigioniera...o così mi è sembrato.- si strinse ancor di più nel mantello. -Non ricordo...non so perché ero con loro.-
-Capisco.- tornò ad armeggiare col lucchetto. La ragazza, gli occhi incollati a terra, si accucciò lì vicino, poggiando la schiena contro la parete della baracca e stringendo a se il mantello. Il ragazzo le lanciò uno sguardo veloce. -Guarda che puoi vestirti. Non sono così bastardo da volere che ti ammali.- disse, tornando al suo lavoro.
Lei avvampò. -Ma...-
-Non guardo. E poi sono troppo impegnato a sbloccare questo aggeggio.- ribattè, senza staccare gli occhi dal lucchetto.
La ragazza si alzò rapida, le guancie in fiamme, e si allontanò di qualche metro. Indossò svelta il vestito e tornò vicino alla baracca.
-Uhm...- iniziò a dire. Il ragazzo si voltò, lasciando da parte l'arnese. -...grazie...per il mantello.- gli disse, porgendoglielo.
Lui la squadrò un attimo. -Tienilo. Vestita così, ci vorrà poco prima che ti ammali.-
Il vestito, difatti, sembrava più una tunica, probabilmente appartenuta a qualche donna umana, a giudicare dalle dimensioni: le arrivava fino al ginocchio ed era larga sul petto e le spalline, seppur larghe, continuavano a scivolarle giù dalle spalle, lasciando ben poco all'immaginazione.
-Uhm...grazie.-
Le sorrise impercettibilmente. -Aspetta, avvicinati.-
Myraee lo fissò negli occhi e si avvicinò titubante.
-Non ti faccio niente, cavoli! Voglio solo sistemarti le spalle dell'abito.-
Fece voltare la ragazza di spalle e le scostò i capelli; fece un nodo scorrevole su entrambe le spalline della tunica e la sistemò affinché non pendesse troppo.
Nel rimetterle i capelli sulla schiena il ragazzo notò le orecchie a punta di lei.
"Un'elfa? Che ci facevano degli umani con un'elfa? Possibile che abbiano ripreso col commercio illegale...?" si domandò. Scacciò i pensieri scuotendo il capo, e tornò al lucchetto.
-Grazie, uhm...scusa, non so ancora come ti chiami e non vorrei sembrare scortese, ma...-
-Kareth.-
-Oh...è un bel nome.-
Il ragazzo scrollò le spalle. -Non è niente di che. Il tuo invece lo è. È particolare.-
-Oh...non sono nemmeno sicura che sia il mio...-
-No?-
-No...quando mi hai chiesto chi fossi, prima...beh, è stata la prima cosa che mi è venuta in mente, quindi...credo che sia il mio nome.-
Il lucchetto scattò, e il ragazzo sorrise soddisfatto. -Quindi non ricordi proprio nulla?-
-Così sembra...volevo domandare a quegli uomini ma...-
-Eri spaventata?- chiese, aprendo la porta della baracca.
-Si, non sapevo cosa avrebbero potuto farmi se l'avessero scoperto...anche se effettivamente non mi hanno lasciata nemmeno aprir bocca.-
-Per questo non li sopporto. Non sai mai che vogliono.- constatò il ragazzo. Entrò nella baracca e le fece cenno di seguirlo. -Ho trovato le provviste. Avevo il sospetto fossero qui, per questo non le ho dato fuoco.-
Myraee si affacciò alla porta. -...quindi sei stato tu?-
-Si.- le lanciò uno sguardo, non sentendola ribattere. Era rimasta sull'uscio e lo fissava coi suoi grandi occhi verdi. -Erano banditi, tanto per chiarirci. Ricercati. Ti ho praticamente fatto un favore, uccidendoli.-
-Grazie...credo volessero vendermi...-
Kareth smise di rovistare e la fissò. -Come fai ad esserne sicura?-
-Il capo aveva parlato di un mandante, quindi credo che dovessero consegnarmi a lui...-
"Quindi è commercio illegale..." pensò di nuovo il ragazzo.
-Beh, ora non pensarci e dammi una mano.- le disse, riprendendo a rovistare. Trovò una sella e delle briglie in un angolo. -Erano a cavallo?- domandò.
-Solo il capo...il cavallo trainava il carro dove mi tenevano...credo l'abbiano legato vicino alla fine del sentiero che porta a questo posto...ma non ne sono sicura.-
-Perfetto. Ce ne andremo a cavallo.- il ragazzo si fermò e si tirò indietro alcune ciocche di capelli cadutegli davanti agli occhi, scoprendo un attimo le orecchie. Erano appuntite, un po' meno di quelle della ragazza, se venivano ben messe a confronto.
La ragazza le notò.
-Kareth...?-
-Che c'è?- chiese lui, senza staccare gli occhi dalle casse che stava passando in rassegna.
-Sei...un'elfo anche tu?-
-...no.-
-Però non sei nemmeno un umano...-
-Certo che no! Ci mancherebbe. L'unica cosa che ho in comune con quegli esseri è l'altezza.-
"In effetti" pensò la ragazza "è parecchio alto."
-Scusa, ti ho irritato.- disse lei, distogliendo lo sguardo.
Il ragazzo si morse appena la lingua. -No, non lo sapevi. Non dovevo alzare la voce. Ma non paragonarmi più a quei cosi, ti prego.-
La ragazza annuì, e Kareth riprese a cercare tra le casse.

 

Alla fine racimolarono un paio di grosse bisacce che riempirono di quante più provviste poterono, e qualche grossa otre d'acqua.
In una cassa il ragazzo trovò un paio di stivali abbastanza piccoli da poter calzare i piedi di Myraee. Glieli passò. -Mettili. Forse sono un po' larghi, ma almeno non ti ferirai i piedi.-
La ragazza li indossò e riprese a cercare nell'ultima cassa da ispezionare. Trovò qualche spezia ed alcuni aromi: perfetti da rivendere a qualche mercato.
-Andiamo, qui abbiamo finito.- disse il ragazzo, iniziando ad uscire dalla baracca.
La ragazza fece per imitarlo, quando un luccichio la incuriosì.
-Kareth!- chiamò. Gli mostrò quello che aveva trovato. -Questo. L'ho già visto.- disse.




 

-Primo intermezzo.-

 

L'uomo era chino sul vecchio piatto fondo di bronzo pieno d'acqua.
La stanza era buia, e le candele usurate poggiate sul tavolo illuminavano flebilmente l'ambiente; solo le mani dell'uomo, guantate, erano ben visibili: esso aveva la testa incappucciata, i bagliori rossi delle candele segnavano solo i contorni del suo volto e il naso dritto.
Le immagini si susseguivano rapide e sfuocate sulla superficie dell'acqua.
L'uomo vi gettava dentro polveri e vari ingredientri, a periodi precisi scanditi dalle litanie che recitava; un linguaggio schioccante e pieno di suoni fischiati, toni bassi ed occulti significati. Magia Nera.
Battè un pungo sul tavolo quando gli apparve l'ennesima immagine sbiadita.
Tutto quello che vedeva erano chiazze verdi e azzurre, che si facevano poi scure, poi rosse e, infine, tutto diveniva nero. C'era poi un lieve bagliore, un bianco striato di un verde puro, subito inglobato da un rosso scarlatto. E di nuovo, nero.
-Maledizione!- urlò l'uomo.
Battè le mani sul tavolo e si alzò di scatto, un po' d'acqua si rovesciò sul tavolo in legno, qualche schizzo spense delle candele.
Andò ad una libreria, collocata ad una parete della stanza, prese un libro senza nemmeno leggerne il titolo.
Un'altra figura entrò nella stanza. Era un ragazzo, il volto coperto.
-Mio Signore...-
-Cosa vuoi, Sinaht?-
Il ragazzo si inchinò a terra, poggiando solo un ginocchio; portò la mano destra al cuore.
-Mio Signore, ho notizie da Tolthe. Riguardano Feno e i suoi uomini.-
L'uomò si lasciò cadere su una poltrona li vicina. -Cosa hanno fatto quegli imbecilli buoni a nulla?-
-Mio Signore, l'avevano presa.-
-Davvero? Perché ne parli al passato, Sinaht?-
-Hanno fallito la missione, Mio Signore. Tolthe non riceve più informazioni sulle loro scie vitali.-
-Quindi, in sintesi, se la sono fatti scappare?-
-Si, Mio Signore.-
L'uomo serrò la mascella; strinse le mani sui braccioli della poltrona, le nocche scrocchiarono. -Male. Molto male, Sinaht. Feno? Si è salvato quel nullafacente?-
-No, Mio Signore.-
-Ottimo.- si alzò dalla poltrona avvicinandosi al tavolo. Con un gesto d'ira, rovesciò il piatto di bronzo per terra, l'acqua si sparse sul pavimento della stanza. -Dopo tutta la fatica per prenderla!- serrò di nuovo la mascella, adirato. Tornò a sedersi. -Puoi andare.-
-Si, Mio Signore.- il ragazzo fece per uscire, ma si voltò di nuovo. -Mio Signore?-
-Cosa c'è ancora?!-
-Avevano mandato questo, Mio Signore.- il ragazzo porse all'uomo un piccolo sacchetto di pelle.
L'uomo lo aprì, ne rovesciò il contenuto sulla mano. -Capelli?-
-Sono della prigioniera, Mio Signore.-
-Oh...- l'uomo ghignò. Prese di nuovo il libro, lo aprì ad una pagina precisa e lo posò su un leggio. Prese il piatto da terra e vi versò dentro dell'acqua pulita. Iniziò di nuovo a recitare formule, mettendo nell'acqua erbe e polveri. Infine, mise la ciocca di capelli.
Le immagini sull'acqua tornarono, più nitide ma sempre offuscate.
-È lontana.- commentò l'uomo. Riprese a recitare formule, aggiunse altre erbe e polveri. Ancora una volta un bagliore striato di verde, alcuni contorni che iniziavano a delinerarsi, un'immagine sfuocata prese lentamente forma. Ma di nuovo fu inghiottita dal rosso.
L'uomo serrò le labbra, poggiò il piatto sul tavolo.
Si sedette di nuovo sulla poltrona, le mani giunte davanti alla bocca.
Rimase fermo, il ragazzo sulla porta che attendeva ordini.
Poi, parlò.
-Sinaht.-
-I Vostri ordini, Mio Signore?-
-Prepara quanto necessario. Devo evocare l'Oracolo.-
-Sarà fatto, Mio Signore.-
Il ragazzo uscì dalla stanza e lasciò l'uomo da solo.

 

Il pavimento dell'altare del tempio era costellato di candele.
Al centro era posto uno specchio, vari contenitori attorno, un piedistallo con una brocca d'acqua poggiata sopra.
Il ragazzo aprì la porta.
L'uomo entrò, il volto celato dal cappuccio; avanzò verso lo specchio, vi si inginocchiò davanti.
Il tono basso della sua voce mentre cantava le litanie per il rituale riempì il tempio, suoni sibilanti che rimbombavano.
Aggiunse quanto contenevano i recipienti, uno ad uno.
Chiuse gli occhi, le braccia aperte, rivolto verso lo specchio.
Alzò il tono della voce.
Aprì gli occhi, afferrò la brocca e ne gettò il contenuto contro lo specchio.
-Mostrati, Oracolo!- urlò.

 

Un sibilo di gelido vento invase il tempio, le candele si spensero.
Sullo specchio apparve una figura, prima sfocata, poi sempre più nitida.
Era una donna, la pelle e i capelli neri come la notte, gli occhi bianchi, portava una veste color del sangue.

La donna parlò, la voce suadente.
-Sono Maideth, l'Oracolo della Morte Eterna. Chi mi ha invocata?-
L'uomo abbassò lo sguardo. -Sono Laael, Mia Signora.-
-"Il Cavaliere della Notte". Ebbene, cosa volete da me?-
-Vorrei una risposta, se mi è concessa.-
-Alzati.-
L'uomo si alzò, lentamente, lo sguardo fisso a terra.
-Mostrami il tuo volto, uomo.-
Abbassò il cappuccio.
Dal fondo della sala Sinaht osservò il suo Maestro. Non ne aveva mai visto il volto, e nemmeno durante il rituale lo vide.
-Tu, giovane uomo.- disse la donna, indicando il ragazzo. -Se vedrai il suo volto la Morte mia serva ti prenderà.-
Il ragazzo s'inchinò, la faccia quasi al suolo. -Non vedrò, Mia Signora.-
-Io ti ho avvertito, giovane apprendista. Il volto del Cavaliere della Notte non può essere visto da occhi impuri.- la donna tornò a fissare l'uomo davanti a se.
Mosse un braccio, lo specchio si deformò e ne assunse la forma.
Segnò il contorno del viso dell'uomo.
-Sia. Ti è concessa una domanda, Cavaliere.-
L'uomo si coprì di nuovo il volto e ghignò. -Ve ne sono grato, Mia Signora.-
-La tua domanda.-
-Vorrei sapere di più sulla "Bestia di Smeraldo", o Signora.-
La donna ritirò il braccio, la superfice dello specchio tornò liscia.

 

"Un'anima in cambio di un'altra anima discesa negli Inferi. Due anime in cambio di una nuova anima. Solo un'arcana creatura può affiancare la Bestia del colore dei prati. Immenso sarà il potere dell'unione della Creatura e della Bestia. Immensa la sciagura di chi toglierà loro la vita. Un'anima in cambio di un'anima strappata al suo Destino. Due anime in cambio del potere delle due Leggende. Questo è quanto è scritto. Questo è quanto è concesso sapere. Questa è la parola dell'Oracolo della Morte Eterna. Sventura a chi la udirà e ne scorderà la forza."

 

L'immagine della donna scomparve.
Nel tempio rieccheggiò il sibilo del silenzio.
Le candele si riaccesero.
L'uomo, davanti allo specchio, ghignò.
-Quindi hai trovato il tuo Protettore, mia piccola Bestia di Smeraldo.-


E poi, il silenzio.









-------------------------------------------(Angolo autrice)-----------------------------------------

Salve fantasmi!
Dopo millenni ho deciso di pubblicare questo primo capitolo, nonostante la storia sia ancora in scrittura.
Probabilmente andrò a rilento, anzi, togliete proprio il probabilmente XD
Ho voluto comunque provare e per vedere che ne pensate, se devo migliorare qualche aspetto -se ho fatto obrobri grammaticali...XD

Come sempre, ringrazio chi leggerà la storia e la recensirà, chi la inserirà tra le seguite e anche te, lettore fantasma, che spenderai qualche minuto in questo mio mondo fantastico.

A presto speriamo!
Des.

  
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