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Autore: missimissisipi    17/08/2015    0 recensioni
[...]“Vica, la prossima sei tu” – Alistair non distolse lo sguardo dalla strada – “Voglio dire, siamo tutti patentati e possiamo darci il cambio alla guida… quindi sì, Vica, la prossima sei tu”
Oliver riuscì a reprimere un sorrisetto sorpreso perché poche volte aveva sentito e visto Al scusarsi: la stava definendo loro eguale, aveva evitato il soprannome tanto odiato che le aveva affibbiato tempo prima e aveva messo da parte il fare da maschio alfa e arrogante che dava sul cazzo a tutti. Sapevano quanto Vica amasse essere considerata una ragazza indipendente e in grado di fottersene delle tacite e nocive convenzioni sociali, ma mai avrebbe scommesso di vederlo mettersi dalla sua parte senza troppi giri di parole.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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timing

 

There are two people you'll meet in your life. One will run a finger down the index of who you are and jump straight to the parts of you that peak their interest. The other will take his or her time reading through every one of your chapters and maybe fold corners of you that inspired them most. You will meet these two people; it is a given. It is the third that you'll never see coming. That one person who not only finishes your sentences, but keeps the book. 

 

 

Victoria incrociò le braccia sotto il petto e le sue mani sottili andarono a nascondersi nel cappotto che indossava da quella mattina; le Oxford in ecopelle ai piedi che ticchettavano sull’asfalto bagnato di Norwich, i capelli pregni di umidità, le punte di questi che si elettrizzavano a contatto con il giaccone. Ogni dettaglio del suo aspetto la mandava in bestia ma ciò non la fermò dal mordersi l’interno di una guancia e aggrottare le sopracciglia scure.

“Non sono perfetta, ma questo non mi rende meno migliore di voi”

Alistair non trattenne una mezza risata che si condensò nell’aria fredda, lo sguardo lucido come il loro riflesso nella pozzanghera. Oliver si limitò a osservare i tratti induriti di Victoria, uno scorcio di rabbia nei confronti di quello che lui ed Alistair rappresentavano… un dilemma, un limite che lei voleva a tutti i costi valicare, un qualcosa di proibito a cui lei non avrebbe potuto accedere.

Da quando conosceva Victoria Stratford, non l’aveva mai vista sotto quella luce: quella di una ragazzina dai contorni più delineati e chiari, un corpo con vitalità che aveva agito e si era ovviamente ritrovato con le redini della propria vita fra le mani. Non l’aveva mai vista così viva.

Una ciocca di capelli sfuggì dalla posizione usuale, quella dietro l’orecchio destro, andandole a offuscare lo sguardo per poche manciate di secondi, necessari a rimetterla al proprio posto.

Improvvisamente il cofano dell’auto di Alistair divenne gelato e scomodo: Oliver provava una fastidiosa sensazione all’altezza della vita, come se un formicolio lo spingesse ad alzarsi e a sovrastare, con la sua altezza, la figura della ragazzina potente—aveva voglia di vederla da lì.

Alistair si passò una mano fra i capelli castani scompigliati, peggiorando il loro aspetto; infilò con cautela le mani nelle tasche profonde dei pantaloni neri a sigaretta che gli cadevano larghi sui fianchi e continuò a osservare la ragazza con i suoi occhi scuri.

Victoria, nel frattempo, riempiva ogni secondo non interrompendo quel contatto visivo: c’era lo sguardo chiaro e attento di Oliver, la mascella di Alistair, l’auto azzurro cielo—testarda, testarda era il primo aggettivo capace di qualificare questa nuova ragazzina, rifletté Oliver inclinando il capo di lato, notando come non sbattesse nemmeno più di tanto le lunga ciglia nere.

Vic… ho i miei dubbi”

Dopo il clacson di una vicina auto, Vic si inumidì le labbra e spostò la sua attenzione sul traffico a poca distanza da loro. Alistair continuava a tenerle testa, a metterla alla prova, a mantenere integra quella lontana promessa (“Non ti renderò mai le cose facili, Victoria”)—Oliver si mise in piedi nelle sue nuove Nike, i capelli ormai crespi e umidi poggiati sulla fronte: “Zitti e partiamo”

 


Norwich di sera aveva un tocco di magia: i lampioni creavano delle zone di luce che brillavano, quasi meccanicamente, per la pioggia (accompagnata da una pregna umidità) che si presentava anche più volte nello stesso arco della giornata; le nuvole erano sempre tante e andavano a coprire il cielo e mascherare gli avvenimenti della città, come se la loro fosse una località ultraterrena, lontana dalla realtà. Ad Oliver non piacevano, nonostante le rimpiangesse quelle poche volte in cui il sole regnava incontrastato (lui tendeva ad evitarlo e la sua pelle eterea era ben felice di quella scelta). Chiuse con delicatezza la portiera dell’auto di Alistair, dedicando un’occhiata fugace a Victoria, non del tutto allegra di dover trascorrere la prima trance del viaggio sui sedili posteriori.

Al mise in moto ed in pochi minuti il veicolo era inoltrato su una statale—Oliver accese il riscaldamento, Victoria si lasciò andare contro il sedile e chiuse gli occhi.

Andava tutto bene.

“Vica, la prossima sei tu” – Alistair non distolse lo sguardo dalla strada – “Voglio dire, siamo tutti patentati e possiamo darci il cambio alla guida… quindi sì, Vica, la prossima sei tu”

Oliver riuscì a reprimere un sorrisetto sorpreso perché poche volte aveva sentito e visto Al scusarsi: la stava definendo loro eguale, aveva evitato il soprannome tanto odiato che le aveva affibbiato tempo prima e aveva messo da parte il fare da maschio alfa e arrogante che dava sul cazzo a tutti. Sapevano quanto Vica amasse essere considerata una ragazza indipendente e in grado di fottersene delle tacite e nocive convenzioni sociali, ma mai avrebbe scommesso di vederlo mettersi dalla sua parte senza troppi giri di parole.

La ragazzina potente ci era riuscita.

“Sì, certo” – dallo specchietto retrovisore, Al la guardò per qualche attimo, l’arco di tempo necessario a non distrarsi dalla guida – “Adesso mettete un po’ di musica, però”

 

***

 

Victoria aveva guidato per cinquantasei minuti, per poi darsi il cambio con un rilassato e particolarmente fisico Oliver, il quale aveva premuto, senza risultare oppressivo, la propria mano su quella di Vica ferma sul volante, sorridendole come si fa ai bambini per convincerli ad andare a letto. Aveva inclinato il capo e, sempre di sottecchi, Victoria non aveva potuto fare a meno di notare come il suo sguardo risultasse comprensivo, vicino, presente—Alistair dormiva tranquillo nel mentre e si era svegliato di soprassalto quando la ragazza gli aveva tolto di dosso la giacca di Oliver che stava utilizzando come calda ed affidabile coperta. Aveva imprecato sottovoce – non che il tentativo di non rendersi udibile fosse riuscito – ma il suo risentimento si era fermato lì, a malapena seguito da qualche sguardo di troppo alla ladra, accomodatasi al posto del passeggero.

Piegate le labbra troppe volte per la scelta dubbia di canzoni (Oliver avrebbe potuto vincere il premio per miglior gusto di merda di sempre, a parere di Alistair) Al non aveva notato come fossero già nella periferia di Londra, gli occhi attenti a focalizzarsi su tutto e ammirare l’ambiente così diverso da quello a cui erano tanto abituati.

L’orologio segnava le due e trentatré minuti, i tre nel veicolo non si sfioravano, non si guardavano ma era chiaro come il fatto che fossero a Londra che condividevano una sensazione precisa, erano eccitati di essere lì, curiosi perché e appagati perché la loro presenza non suonava insistente, di troppo, indesiderata. Indesiderata, cristo, Alistair avrebbe potuto ridere per trenta minuti di seguito tenuto conto che per un pieno quarantacinque percento della sua vita aveva provato quella famelica sensazione.

(Ed Alistair Hugo Butler aveva quasi vent’anni)

Quando Oliver svoltò all’uscita successiva, iniziò a ricordare i familiari contorni delle abitazioni che aumentavano man mano procedessero nel loro viaggio; riuscì a mettere a fuoco nella sua mente un’immagine di sé che lo ritraeva ancora piccolo, ingenuo, un Welch non ancora in grado di far fronte all’impetuosità delle vicende familiari, un bambino che giocava a testa china.

Due semplici parole lo distanziavano dalla placida realtà a cui, tutti e tre, erano andati incontro e pronunciarle fu, più che altro, una meccanica realizzazione di aver corso invano per un anno: “Siamo arrivati”

 

Vica aveva due lividi, un’unghia rotta e le labbra appena curvate verso l’altro, in quella posizione da scatto rubato, felicità che arriva passo dopo passo, un’alba nella città più bella che avesse mai visto assieme a due delle persone che sì, più non sopportava e più amava – non l’avrebbe mai ammesso, non l’avrebbe mai detto a qualcun altro che non fosse stato solo e soltanto lei.

“Per quanto rimaniamo, allora?”

Oliver si alzò le maniche della camicia che indossava e scoccò un’occhiata ad Alistair, seduto come Vica sul muretto della terrazzina del loro palazzo. Oliver aveva vissuto lì per gran parte della sua vita, prima di trasferirsi a Norwich dove aveva vissuto con suo padre fino al termine del liceo, momento in cui aveva discusso con il suo genitore del proprio futuro, della propria scelta di non frequentare alcuna università, di non accettare borse di studio, di non tornare nemmeno dall’elegante donna che sua madre era sempre stata nella capitale inglese.

“Per quanto vogliamo” – iniziò passandosi una mano fra i capelli scuri – “Anche per sempre, a mia madre non dispiacerebbe”

Al rise poggiando i gomiti sulle ginocchia: “Tua madre è una donna meravigliosa, non so perché cazzo tu non abbia deciso di rimanere con lei”

“Se l’avessi fatto non ti avrei conosciuto e forse adesso vivrei meglio” ribatté colpendolo con una gomitata, “E, ti prego, non fare cazzate”

Vica inclinò il capo, lo sguardo curioso che si muoveva freneticamente fra i due ragazzi. “Del tipo?”

Alistair e Oliver si voltarono nella direzione della voce: il primo si limitò a ridere, osservando Victoria con una punta di divertimento, chiaramente sapendo il genere di cazzate da evitare; il secondo camuffò un sorrisetto sarcastico e diede all’amico una spallata. “Lui sa”

“Oliver Welch” – disse Al indicandolo – “Ha paura che mi scopi sua madre”

“Peggio, potresti anche sposartela”

“E farlo fino alla fine dei nostri giorni? Buona idea, figliolo”

Oliver emise un verso disgustato, “Non dirlo mai più”

“Ma sul serio” riprese il ragazzo dagli occhi scuri, “per quanto cazzo rimaniamo?”

Victoria puntò lo sguardo sul sole che nasceva e li irradiava della sua prima, pacata luce che rendeva splendido ogni loro dettaglio.

Gli altri due si aggiunsero a quello spettacolo, Alistair stendendo le gambe e Oliver sussurrando “Fino alla fine”


non ho tanto da dire se non che questa è una bozza di una parte di un mio progetto più grande, ancora ovviamente in corso e con tanti punti interrogativi:-) vica è un personaggio a me caro per tanti motivi e la frase iniziale è molto importante per capire l'intera vicenda anche non sviluppata in queste righe ma su un documento word sul mio pc... interpretatela come volete, la mia chiave di lettura è la stessa di tutto il mio "progetto" e spero che qualcuno di voi la colga!!! un breve parere sarebbe un regalo fantastico, anche pieno di consigli e sottigliezze che volete darmi/farmi notare!! è una delle prime volte che scrivo al passato-terza persona e mi scuso per eventuali errori!!

un bacio, federica:-)

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