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Autore: Elendil    17/08/2015    2 recensioni
Per un attimo Zaphil parve come intenzionato a toccarla, ad afferrarla per il braccio. Solo all’ultimo egli si bloccò. “Sarà meglio scendere. Oggi ho lezione e ...” tentò di dire lei con il cuore in gola ma lui non la lasciò finire.
“Odayn” la sua voce era bassa e cupa ora “La Torre del Tempo non sarà per sempre un luogo sicuro per te. Cerca di fare attenzione”.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti!!

Dopo la bellezza di...ehm... (tot) mesi di religioso e meditativo silenzio ritorno su EFP con una nuova storia, questa volta originale! :)

Ringraziando anticipatamente tutti coloro che mi hanno sostenuto nella mia precedente - e taaaaanto sofferta- fic (prometto che un pensiero su una One Shot ambientata qualche anno dopo lo faccio :-P), spero che anche questo esperimento vi piacerà!

 

Un bacio Grande a tutti!

Elendil

 

 

Ricordava quel luogo.

Nella sua mente serbava vivido il riverbero di quei sentieri ampi e polverosi, bianchi come avorio e lucenti di luce.

Ricordava quei suoni.

Vacuo rincorrersi di note alte ed acute, armonia riarsa di un ritmo vago e lontano, troppo distante per esprimere un vero senso compiuto.

La volta scorsa “Deserto” l’aveva chiamato, tutto ciò.

Oggi dubitava di quel primo, incauto, appellativo. Avaro, forse, di una più attenta visione.

Giacchè ieri il vuoto pareva fatto di sabbia e onde ventose. Oggi di creste dure, inamovibili, come pietre a fil d’orizzonte.

Le toccò piano, incerta e nel calore di un istante nacque il dolore.

Pietre cattive.

Gli sussurrò il tempo.

Pietre vendicative.

Ansimò l’aria. Ora cauta, ora opprimente come un respiro mancato.

Dimenticò di respirare, poichè sapeva che anche così facendo sarebbe sopravvissuta. Ma dimenticò anche di avanzare, di proseguire, e nel farlo eccole, le dolci carni del suo corpo imbianchire piano, lentamente, un velo alabastro a celarle istante dopo istante, una carezza di luce a fare di lei nulla più che un velo lucente, di spire celato.

Che tu sia bellissima, al ritorno. La lusingò il cielo. Poichè di pietra saranno gli istanti del risveglio.  

 

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Destarsi fu come voltarsi dall’altra parte e semplicemente prendere un profondo respiro. E scoprire che un velo invisibile la separava dal voler respirare al doverlo fare per forza. Un velo abbastanza vacuo da lasciarla per un attimo intorpidita e attonita nel progressivo scurirsi del paesaggio attorno a lei mentre il sogno cedeva il passo alla nuova realtà.

Ancora chiusi, gli occhi tremarono appena sotto il velo delle palpebre, un fremito catturato presto da una garza appena inumidita calata sul suo volto.

Si chiamava “Yi” e la sua unica funzione era quella di trattenere il suo primo sguardo al mondo dopo il lungo sonno della notte e darle sollievo dall’arsura del giorno imminente. Fresco sugli occhi, il panno profumava appena di erbe del deserto, asciutte eppure incredibilmente fresche al naso. Si rilassò.

“Un sogno dolce, Somma Nihaar’i?” la chiamò la vecchia balia, Danhe. La sua voce pareva un misto di sonnolenza e apprensione mentre con dita umide le picchiettava il viso. Ancora distesa, la ragazza scosse il capo controvoglia.

“Affatto” replicò con indolenza “Chiamate l’Aruspice”.

Un movimento leggero poco distante, poi la voce di un uomo ad allontanarsi “Sarà qui a breve, Somma Nihaar’i”.

“Desiderate mangiare qualcosa prima dell’ Elegia?” la richiamò ancora Danhe. Malgrado l’età, la vecchia aveva ancora una voce giovane, leggera e delicata mentre con malcelato affetto le scostava le coperte dal corpo. Ancora inebetita dal sonno, la Nihaar’i le rivolse una smorfia vagamente infastidita: il sogno di quella notte ed in particolare le parole che ne avevano segnato la conclusione le avevano lasciato addosso un vago senso di indolenza e fastidio difficili da rimuovere. Tuttavia si risolse finalmente dal mettersi seduta, la garza umida che, cadendo, rivelava due occhi ancora gonfi e nebulosi.

Come da usanza gli occhi di Danhe erano celati da una sottile garza dalle maglie larghe, comunemente usata per impedire il contatto diretto degli occhi, ma attraverso di essa la Nihaar’ì colse comunque il rapido saettare degli occhi della vecchia in direzione delle sue iridi cristalline, come cedendo per un attimo alla curiosità di scrutare nell’oro intenso in esse racchiuso. Lo schiaffò colpì la balia dritto in volto costringendola ad abbassare lo sguardo a terra.

“Ancora nessuno strappo, immagino” la prese quasi in giro la ragazza sebbene la sua voce tradisse una nota di gelo “Ma immagino che una simile constatazione debba essere lasciata all’Aruspice piuttosto che ad una comune serva, non credi?” l’altra rimase in silenzio, immobile, la testa ingrigita che non accennava a risalire mentre le porgeva un panno dalle tinte blu scure, fresco e morbido come appena lavato.

Tuttavia, la Nihaar’i non fece cenno ad accettarlo.

“O forse l’antica usanza di rispettare lo sguardo altrui evitando di indagare i segni del Risveglio negli occhi della tua Nihaar’i è cosa superflua qui, nella Torre del Tempo?”

No, certo che no. Si disse mentre lo afferrava di scatto scostandosi dal letto basso e sottile, una stuoia fittamente intrecciata che ne sosteneva l’ampia base. Sopra, strati di lenzuola bianche come avorio componevano una trama di stoffe più o meno pesanti nelle quali ella pareva quasi scomparire, piccola e sottile rispetto all’ampiezza di quel trono ovattato.

Nervosa, la ragazza prese ad avvolgere attorno al proprio corpo nudo le morbide vesti di modo che esse le fasciassero collo e petto per poi cadere in una morbida gonna trasversale sulle gambe. Lasciò quindi che la vecchia Danhe ornasse l’abito così ottenuto di nastri e bracciali atti ad impreziosire il tutto. Infine, senza una parola, la balia prese a spazzolarle i capelli corvini, lunghi e sottili come ragnatele.

Fu mentre la donna stava finendo di intrecciare il tutto in una treccia alta ornata di catenine dorate e apporre l’ultimo ornamento - un velo in tinta con le vesti - che giunse l’Aruspice. La Nihaar’i lo sentì arrivare nel frettoloso strisciare delle ampie vesti sui bianchi pavimenti, un mormorio ovattato quasi quanto la medesima voce usata dall’uomo per annunciarsi poco dopo.

“Lasciateci” sillabò la ragazza prima di voltarsi e fronteggiarlo con un sorriso di circostanza. Nella stanza sostavano immobili una decina di guardie, altrettanti servi, serve e qualsivoglia lacché pronti ad assisterla ed assecondarla al semplice cenno della mano, ma fu in meno di un istante che l’intera camera da letto si svuotò lasciandoli soli a fronteggiarsi nella muta ritualità del mattino.

Lo sguardo fisso dell’uomo, anch’esso celato dal velo rituale, era cosa nota alla Nihaar’ì - del resto le sue visite erano il primo e l’ultimo appuntamento fisso del giorno- eppure a fatica trattenne l’impulso di mostrare il vago disagio che quella perizia le provocava ogni volta. Poi, dopo un attimo, egli chinò il capo in segno di saluto.

“Nessun accenno al Risveglio, sua Eccellenza” decretò con pacata tranquillità. C’era una nota breve nel respiro di lui, quasi facesse fatica a trarre aria e nel contempo parlare “Eppure vi vedo turbata. Avete per caso avuto una premonizione?”

La ragazza annuì lentamente “Mandate una guarnigione di Araldi a Hevnan K’ar” per un attimo le labbra dell’Aruspice parvero arricciarsi come nel preambolo di uno starnuto. “Un altro attacco alle cave di pomice?” parlare sembrava costargli fatica e sforzo senza pari. Noncurante, l’altra si limitò a volgere lo sguardo dall’altra parte, la tolleranza di quel forzoso contatto oramai giunta alla soglia limite.

Si rilassò.

“Vi ho detto di inviare degli Araldi, non di obiettare i miei ordini” ribatté asciutta per poi, nel notare l’immobilità dell’altro come in attesa di altre rivelazioni aggiungere con pacata freddezza “ di dilungarvi oltre in futili conversazioni”.

L’affrettato strisciare delle vesti dell’uomo fu l’ultimo suono che le giunse prima che il silenzio si impadronisse nuovamente della stanza lasciandola libera di sospirare di sollievo.

Per quanto funzionale allo svolgimento dei suoi doveri quotidiani, quell’ispezione mattutina cominciava a darle quantomai noia. Volse lo sguardo in direzione delle ampie finestre che davano sull’esterno, saggiandone per un attimo con la vista l’elegante scorcio ritagliato dal sole albeggiante. Sarà stata la voce mezza sibilante mezza soffocata dell’Aruspice? O forse quel vago sentore agrodolce che egli emanava al solo ingresso nella stanza?

Socchiudendo appena le palpebre lasciò che il suo sguardo si spostasse piano oltre la balaustra, oltre il bianco parapetto e con la semplice vertigine della sensazione si lasciasse poi cadere a precipizio nel panorama circostante la Torre, metri e metri di salto nel vuoto privo di qualsivoglia barriera o impedimento.

Esalò un sospiro silenzioso.

Situata al centro esatto della città, la Torre del Tempo era l’edificio più alto e splendente di tutta Chermak, abbacinante nel proprio candido biancore. Una struttura alta e slanciata che pochi avrebbero faticato a notare anche da miglia e miglia di distanza e che proprio per quello era stata scelta come sede della più importante carica politica e spirituale del continente di Harryan: la Nihaar’i, la Veggente.

Tutt’attorno alla Torre del Tempo si estendeva Chermak, un’altrettanto candida città adagiata sulle rive dello Himnakan - il Mare Celeste- che con le sue maree e correnti salate riusciva a mantenerla da tempo immemore brillante e incrostata di preziosi riflessi salini. Pur essendo un mare interno, lo Himnakan era vasto e sconfinato abbastanza da dominare la vista e sfiorare gli orizzonti con i suoi colori chiari e sgargianti.

Sulla pelle il vago brivido della vertiginosa vastità di quel mondo, la Nihaar’i ne ammirò ancora una volta i contorni pallidi e sfumati per via del sale, tinte bianche e rosse a perdersi nell’ocra pallido del deserto circostante. Per un attimo pensò quasi di allungare una mano oltre il parapetto e saggiare con le dita il conosciuto afrore salmastro che a quell’ora prendeva a spirare lungo i fianchi della Torre. Una fragranza bagnata e oleosa al contempo, frizzante sulla lingua e cristallina contro la pelle.

Tuttavia si bloccò.

Non oggi.

Si umettò le labbra, sentendole già vagamente salate.

Non dopo il sogno che aveva allietato il suo riposo regalandole la percezione che pietra e sale potessero entrarle dentro al punto da trasformarla per intero in creatura nuova e marmorea.

Suo malgrado fece un passo indietro, sfuggendo non senza un vago rammarico alle prime brezze termiche che prendevano a risalire dalle piane sabbiose per riversarsi poi nelle acque limpide dello Himnakan e da li salire ancora, salire fin dove lo sguardo poteva arrivare. Da lassù, i cristalli di sale disegnavano talvolta arabeschi scintillanti, destinati a lì perdurare fino all’attimo in cui gravità e leggerezza finivano con l’esaurirsi costringendoli di nuovo a scendere ed in un sentiero d’argento disperdersi nello Iarhan: Il Sentiero del vento.

Da lassù, dalla Torre del Tempo, a volte la Nihaar’ì aveva quasi la sensazione di avvertire i profumi di cibi lontani, banchetti e convivi oramai terminati, voci e discorsi passati. Un intero mondo di sabbia e sale sulle labbra e fra i denti mentre ella si sporgeva oltre il parapetto ed immaginava come sarebbe stato, forse una volta, vederli per davvero.

“Ben svegliata, Somma Nihaar’ì” una voce la sorprese alle spalle. Come da usanza, prima di voltarsi la ragazza abbassò sugli occhi il semplice velo che Danhe le aveva appuntato al capo e solo quando fu certa che fosse ben aggiustato si voltò in direzione di Zaphil, ora fermo sulla soglia della camera, in attesa di un cenno per entrare.

“Entra pure” lo accolse con un mezzo sorriso facendogli dopo un attimo cenno con la mano di accomodarsi dove meglio preferiva. Il Naphilchinò una volta il capo per poi attraversare la stanza ed accostarsi a lei.

L’uomo aveva volto asciutto ed ovale, uno sguardo acuto e vagamente sornione che nascondeva rughe intrecciate a fil di pelle attorno alle labbra e lungo gli zigomi.

Quarant’anni d’aspetto, forse, ma qualcosa di più stando alle voci delle Torre.

Davvero un bel soggetto, commentavano tavolta e non senza una punta di concupiscenza dame e nobildonne.

Qualcuno di cui valesse almeno la pena parlare, non potevano esimersi dall’ammettere tutti gli altri ospiti della Torre giacchè sia per carattere che per atteggiamento innato Zaphil pareva una naturale calamita per pettegolezzi, invidie e interessi di ogni genere tanto per le pulzelle quanto per le Deynes più attempate.

Come da usanza, il Naphil si esibì in un lungo e profondo inchino, le vesti nere che si richiudevano in un leggero sbuffo su di lui portando al naso della Nihaar’ì un vago sentore speziato.

“L’Aruspice dice che avete avuto una premonizione” riprese l’uomo dopo un attimo incrociando le braccia al petto. La Nihaar’ì annuì una volta, quasi con noncuranza “Nulla per cui valga la pena preoccuparsi” lenta, prese a costeggiare una ad una le finestre della stanza “Il solito attacco alle cave di pomice” battè le mani una volta affinché venisse portato il primo pasto del giorno.

A differenza degli altri inservienti e personaggi dell’alta nobiltà presenti nelle zone ricche di Chermak, i Naphil erano soliti lasciare il volto totalmente scoperto e coprire solo il capo con bende arrotolate da calare dinnanzi agli occhi una volta usciti all’esterno. Questo perché, a differenza di tutti gli altri, essi erano vincolati dal Giuramento di Verità nei confronti della Nihaar’ì, erano cioè obbligati a servirla e proteggerla per tutta la vita senza misteri e riserve nei suoi confronti, comprese quelle dello Ivah nah’am, Il Risveglio.

Ma anche in presenza del Velo cerimonale la Nihaar’ì non avrebbe comunque faticato ad indovinare l’immediato accigliarsi di lui. “Lo definireste un sogno ricorrente? Non è la prima volta che ne parlate...” “Così come non è la prima volta che le Ombre attaccano quella zona” lo liquidò rapidamente nel momento in cui giungeva un servo con un piccolo vassoio contenente una tazza di erbe infuse e qualche radice accuratamente ricoperta di succo pahma distillato. Solo quando l’inserviente se ne fu andato la ragazza riprese a parlare.

“Credo di saper riconoscere io stessa la differenza fra un sogno ricorrente ed un sogno che si manifesti per il semplice fatto che qualcosa accadrà per certo” Zaphil la osservò deviare lentamente dalla sua camminata “panoramica” per accostarsi leggera al pasto mattutino. Lo osservò qualche istante in silenzio, ogni volta apparentemente critica nel valutare l’assembramento di gusti e sapori che i Bjes erano in grado di scovare per lei, per poi, forse convinta, allungare una mano e trarre a sé la tazza d’infuso.

Le sorrise, pur non muovendo affatto le labbra “Non era mia intenzione offendervi” riprese con noncuranza “Cercavo solo di capire se in voi vi fossero tracce del Risveglio. Una Nihaar’ì della vostra età avrebbe già dovuto...” ancora prima di essere accostata alle labbra, la tazza sbattè fragorosamente sul tavolino di marmo facendo sobbalzare entrambi.

Zaphil” pur velata, il Naphil indovinò la vaga sfumatura di minaccia nel tono di lei “Credo di conoscere abbastanza bene la mia situazione senza che chiunque in questa dannata Torre me lo ricordi ogni santo giorno!”

Diciannove anni erano molti, per una Veggente. Ancora di più per una Veggente che ancora non si fosse Risvegliata ricevendo in dono daOneiron, il mondo del Sogno, la propria Visione.

La Nihaar’ì trasse un profondo respiro, tentando senza successo di riacquistare quella parvenza di eleganza e controllo propri della sua carica. Non vi riuscì al primo tentativo. Così cercò di prendere tempo fingendo di interessarsi all’affresco riccamente decorato sul soffitto a volta della sua stanza. Un Falco in volo pronto a scagliarsi, rostri e artigli spiegati, su vaghe sagome nere poste tutt’attorno a lui in un incastro frattale di luci azzurre e ombre nere. Sbattè una volta le palpebre.

Spesso si era chiesta perché mai disegnare una rappresentazione metamorfica della Veggente proprio nella stanza della Veggente medesima. Vago tentativo di ricordarle il suo unico e solo scopo nella vita? Giustificazione di una reclusione eterna nelle mura della Torre? O velato avvertimento nel ricordarle quanto orrore e disfatta si annidassero costantemente attorno a lei?

Sospirò.

“Le vostre premonizioni e nayel del futuro ci permettono di sopravvivere ogni giorno ed evitare che gli spostamenti delle Ombre siano per noi uno spreco di vite e forze inutili...” tentò di blandirla Zaphil dopo qualche attimo. Il viso della ragazza non sembrò tuttavia intenzionato a spostarsi dalla propria attenta osservazione “Ma non bastano. Serve lo Ivah nah’am, la Visione” per quanto improbabile, Zaphil ebbe la netta sensazione di vedere la ragazza sobbalzare a quelle parole “Senza questo, una Veggente non è altro che una Risvegliata qualsiasi, abbastanza pericolosa da dover essere uccisa prima che il suo enorme potere richiami la distruzione su tutti noi”

Tacque e per un attimo la Nihaar’ì immaginò gli occhi azzurro pallido dell’uomo fissarsi su di lei con un misto di indolenza e puntiglio assieme. Non era la prima volta che accadeva. Sospirò, alzando finalmente lo sguardo e solo allora, rigida, incontrare lo sguardo dell’uomo duro e grave esattamente come se l’era prefigurato.

No, anzi.

Zaphil amava davvero molto ricordarle in ogni occasione i suoi amabili doveri e ancor più amabili pericoli quasi quanto adorava - e non si poteva certo dire che mancasse di talento- rimproverarla per ogni dannata volta che veniva meno agli stessi. Il che accadeva stranamente abbastanza spesso da rendere biasimi e critiche le attività perno della sua stessa vita.

Ma questa volta la fortuna era dalla sua parte: non c’era tempo per una ramanzina in piena regola perchè i venti già desti reclamavano a gran voce l’inizio dell’Elegia.

Così, quando già la Nihaar’ì cominciava a pensare che il Naphil avrebbe comunque osato uno strappo alla regola giusto per togliersi il puntiglio di rimproverarla, a stretti Zaphil si limitò a dirle “Le correnti si stanno alzando. Che tu sia pronta al mio ritorno per l’Elegia” prima di uscire in un silenzio grigio.

 

Poco tempo dopo, muta e rigida, un mantello bianco come neve a fasciarla da capo a piedi, la ragazza saliva gli impervi gradini della Torre del Tempo. Dinnanzi a lei un corteo di suonatori riccamente agghindato di perle e stoffe color del sole. Dietro al piccolo strascico che ella portava, un altrettanto fornito stuolo di Nobili, assistenti, lacché e altri ancora tutti vestiti nel cerimoniale rosso porpora.

Nel mezzo di tutto ciò, la Nihaar’ì pareva quasi un ciottolo sparuto in un fiume sanguigno. Alla sua destra seguitava Zaphil, silenzioso e altero nelle sue solite vesti nere come carbone. Da che si erano lasciati e ricontrati, non le aveva rivolto una sola parola, segnale che la sviolinata era stata solo rimandata, non dimenicata.

Un gradino dopo l’altro, la giovane si ritrovò a domandarsi come sarebbe parso ora il volto di lui sotto al cappuccio nero, i simboli del Giuramento della Verità a scintillare di quando in quando sul suo volto e lungo il collo nel vago tralucere del sole albeggiante.  

Ansimò piano, il tocco rovente dell’astro nascente che già si avvertiva attraverso i muri quale vaga sensazione di tepore sotto i polastrelli ogni qualvolta capitava di appoggiarvisi nella lunga risalita.  

Teso? Arrabbiato? Sorridente? Pronto a sciorinarle una nuova invettiva colma di emozionanti epiteti e forme retoriche...

Alzò per l’ennesima volta lo sguardo -ben attenta a non tradirsi con il reclinarsi della testa- e dopo un attimo le riuscì di intravedere la fila di lucide sfere poste poco sopra le sopracciglia dell’uomo piegata in una curva dura e tesa. Sospirò.

Pronto all’azione, dunque. Come sempre.

C’era stato un tempo in cui aveva trovato affascinanti le sfere dorate incastonate sulle sopracciglia e lungo il collo del Naphil. Belle nell’accentuare le espressioni di lui. Eleganti nell’inscrivere i suoi lineamenti calamitando l’occhio in un scintillio di riflessi e ornamenti. Deriserabili a tal punto da esprimere anche lei il desiderio di averne giusto un paio su viso e spalle così da poter - ai tempi le era sembrata una cosa così ovvia - avere anche lei l’impressone di essere un qualche tesoro umanizzato come lo era Zaphil ai suoi occhi.

Sciocca fanciullina...

Solo dopo averle scoccato un’occhiata vagamente derisoria l’uomo si era degnato di risponderle “Ad ognuno il suo dono, ragazzina. Inutile chiedere un destino che non ti può essere dato” liquidando per sempre le sue velleità ornamentali ma non, il moltiplicarsi delle sue domande quando, anni dopo, aveva avuto modo di scoprire che impianti e innesti di qualsiasi tipo non erano un vezzo riservato a Zaphil solo ma propri di tutti gli appartenenti all’Ordine dei Protettori in quanto simbolo di casta e gerarchia.

Emulazioni e copiature erano severamente punite, il che giustificava il perché esse fossero ovviamente diffuse in tutto il Regno.

Ma le domande, quelle vere, andavano ben al di là di questa semplice - seppur evocativa- constatazione.

Perchè due piuttosto che tre? Perchè collo e non fronte? Perchè uncini e non palline?

Difficile credere che un semplice fazzoletto colorato o qualsivoglia tatuaggio non fosse in grado di emulare simili emblemi gerarchici fonte di dolore e sofferenze senza pari.

Ammesso che tortura e patimenti non fossero stati proprio gli obiettivi topici di questa pratica....

La Nihaar’ì aveva avuto la sensazione di trovarsi quasi vicina allo scoprire la verità solo una volta in occasione di una grandiosa festa alla quale erano stati invitati tutti i Naphil dell’Ordine.

Una cerimonia incredibile, a dire la verità, dove Zaphil aveva brillato tanto per quantità quanto per bellezza degli ornamenti che portava su volto e collo.

Nessuno si avvicinava anche solo lontanamente a lui. Il che poteva significare solo che o  Zaphil era terribilmente vezzoso e fissato con quegli ornamenti o che probabilmente egli era l’unico autorizzato a portarli in tale quantità....

Finalmente, i respiri ansanti e gonfi di fatica per la lunga salita, il corteo giunse sulla sommità della torre, un’ampia apertura a ventaglio a rivelare una lucente zona sgombra di tutto se non di alti e robusti colonnati bianchi posti al confine dello spiazzo. Apparentemente sottili come giunchi questi sorreggevano una cupola istoriata di arabeschi e preziosi intrecci disegnati che a tratti rivelavano dei veri e propri varchi nel disegno volti a lasciar intravedere il cielo retrostante. Coriandoli di  luce cadevano a pioggia sui presenti illuminandone di quando in quando i volti accaldati e arrossiti.

Barcollanti di fatica - sebbene quella bieca cerimonia avesse luogo ogni santo giorno dall’alba dei tempi - i Nobili i si concessero allora di sostare un attimo come banderuole inferme al centro del colonnato, aprendo le braccia per inondare di vento le vesti appiccicate di sudore e alzando i volti grondanti per rinfrescare pelli ambrate e olivastre.

Virah la Jarid del Mercato Orientale.

Eshei, il prestigioso Kirey delle Città Nascenti.

Varik, il noto contabile delle alte Corti.

Ed altri ancora, tutti lì radunati in ansante meraviglia al cospetto della Nihaar’ì così da placarne potere e grandezza che grandi ed inattaccabili sarebbero stati all’interno delle loro splendide magioni, i loro alti uffizi. Ma non lì, non all’interno di muri provvisti di occhi e orecchie, di specchi leggeri come porte scorrevoli, di casse sempre provviste di doppio fondo onde nascondere le più mirabili occorrenze.

Al notare sulle labbra di alcuni le brune macchie dello Zai la Nihaar’ì distolse subito lo sguardo, una vaga sensazione di disagio a scorrerle in un brivido freddo lungo la schiena prima che le fosse possibile controllare l’espressione del proprio volto. Sapeva però che qualcuno l’aveva certamente veduta compiere quel questo. Di certo uno spunto fastidioso su cui sparlare più tardi...

Così, per distrarsi, tentò di concentrarsi sulle parole che a breve avrebbe dovuto pronunciare durante l’Elegia, il sacro Canto di Benedizione per tutti coloro che si affidavano alla Nihaar’ì, la Veggente. Un canto che, come diceva Zaphil, dall’alba dei tempi impediva alle Ombre di vedere e ghermire coloro che in esso confidavano e si lasciavano al contempo permeare.   

Nel frattempo i musicanti si erano disposti ognuno su una delle venti e più postazioni presenti nello spiazzo circolare recanti un piccolo sgabello e poco distante un sottile e ricco corno d’ottone affisso ad un cavalletto istoriato. I Corni della Torre del Tempo erano famosi in tutte le Terre per la loro lunghezza - due uomini lunghi distesi non avrebbero potuto eguagliarla - e bellezza frutto dell’arte dei più abili fabbri di Chermak.

Posti a sbalzo oltre il bordo della Torre e lì lasciati ogni giorno salvo durante il periodo delle tempeste di sabbia, era ogni volta necessario controllarne il buono stato, la presenza o meno di danneggiamenti dovuti al caldo o alle intemperie e si, ripulire bocchetta e struttura interna da eventuali ruggini dovute all’uso. Per questo, mentre Zaphil invitava gli ansanti nobili a scostarsi da un lato della Torre così da lasciare al centro della stessa solo la Veggente, gli istanti precedenti al rito venivano ogni volta destinati ad un religioso silenzio colmo di cura e dovizia per quei mirabili strumenti.

Il Vento però si stava alzando. L’aria attorno alla Torre prendeva a scaldarsi in acuti sibili e fischi vaganti, quasi che la fuori, oltre il bordo, stesse avendo luogo un sempre più affollato raduno di spiriti vocianti che con voce a tratti profonda, a tratti stridula chiamavano a gran voce gli altri dicendo di affrettarsi, di far presto perchè si, la festa stava davvero cominciare. Con calma, Zaphil si sporse allora oltre il parapetto, saggiando con le dita tese le correnti ascensionali turbinanti attorno alla Torre in una sorta di cascata invisibile e inversa, da vertigine in quella precipitosa altezza qual’era l’ultimo piano della struttura.

 

Poi improvvisamente Zaphil si ritirò, volgendo alla Nihaar’ì un’occhiata di intesa. “E’ il momento” l’avvisò spostandosi repentinamente  dinnanzi a lei e chinandosi in uno sbuffo di stoffe con un ginocchio a terra; senza proferire parola, i nobili lo imitarono rapidamente in un movimento di comune rispetto che lasciò in ultimo solo la Veggente in piedi al centro esatto della Torre.

Rispetto e ritualità in egual misura. Si ritrovò lei a pensare mentre con un movimento leggero faceva ricadere sulle spalle il cappuccio bianco che fino ad allora l’aveva protetta da vento e sguardi. Una perfetta compagnia di teatranti, non c’è che dire. Ma quanti fra di voi darebbero di buon grado tutti i propri averi per scongiurare anche solo la possibilità essere al mio posto? La benda calata sugli occhi le prudeva in modo atroce per via del sudore, ma in quell’istante alzare semplicemente un dito e grattarsi - come ogni buonuomo avrebbe fatto senza darsi nemmeno pena di pensarci su- avrebbe potuto causare uno di quei famigerati incidenti diplomatici per cui era classico vedere saltare teste coronate e colli agghindati nelle manifestazioni risaputamente più gradite alla gente comune.  

In Pubblico, dinnanzi ai suoi fedeli, la Nihaar’ì è una Dea. Una Divinità. Possono le divinità starnutire? Sbadigliare? Tossire? Mostra la tua umanità, e mostrerai loro quanto poco si debba osare per distruggerla....e con essa distruggere te.    

Per un attimo la ragazza ebbe nella coda dell’occhio l’immagine di un giovane nobile che scostava una mano dalle pesanti maniche e, credendo di non essere visto, si infilava un intero dito indice dritto dritto nel naso.

Ecco. Sospirò suo malgrado la Nihaar’ì. Lui può. Lui, figlio di uno fra i più ricchi Seibala dell’acqua...lui non deve curarsi del luogo e del momento più adatti per dare avvio alle pulizie dei suoi dotti respiratori. di poter scatenare l’ennesimo attacco fratricida se si scaccola Qui. Dinnanzi a me.

Ed improvvisamente eccola, una folata più potente delle altre. La Folata che prima fra le più impetuose che ad essa seguirono avvolse  in un attimo la Torre in uno spiro rovente, caldo come il fuoco.

“Preparatevi!” fu l’ultimo grido di Zaphil prima che ogni cosa smettesse di avere suono se non il precipitoso insinuarsi di quelle correnti infernali in ogni finestra, stanza, salone e rientranza che della Torre componevano il mastodontico corpo centrale. Arroventato, per un attimo quel torrente di puro calore inondò la vista di tutti, stravolgendo in una foschia dai tratti sdrucciolevoli e tremolanti ogni cosa ed ogni dove.

Lo chiamavano Il Respiro della Terra, quel fenomeno, poiché in molti pensavano che quello fosse l’esatto istante in cui il mondo, destandosi, traeva la sua più grande e potente sorsata di vita che vibrando, sciabordando ed infine inondando ogni più piccolo pertugio della Torre ne strappava una lunga, gloriosa, terribile ed al contempo stupefacente nota.

Mentre nell’aria essa si espandeva con la forza di mille boati, mille tuoni cavernosi, la Nihaar’ì non potè che ammirarne la terrorizzante potenza, ogni volta distruttiva e stupefacente in confronti a lei che, sola, ora si preparava suo malgrado a fronteggiarla.

Che per Divina Grazia, tutto ella può, tutto le è concesso a lei, la Figlia del Sogno che dal Sogno nasce ed in esso prospera nell’Eternità....

Subito ne seguì l’eco dei Corni, all’unisono suonati quale inno e tributo alla prima, suprema, intonazione.

Che per Divina Grazia, tutto ella è in grado di osare e pensare, Creatura della Salvezza, scongiura di Distruzione. Vita immota.

Ed infine, dopo un sospiro lungo come una vita intera, vibrò cristallina la voce della Veggente la quale, più alta di tutte, prese allora a  recitare l’Elegia diretta a tutti i suoi Fedeli, al suo popolo ed a tutto il mondo che con quel Canto sarebbe stato protetto per quel giorno intero contro le Ombre e le nefande paure della Notte.

Parola antiche. Dicevano i Vecchi. Che solo le Veggenti avrebbero potuto proferire poiché la lingua dei sogni era cosa assai arcana e potente, affare esclusivo di chi fosse in grado di apprenderla senza cedere alle tentazioni di Oneiron.

Come facesse una sola voce ad udirsi in quel rombo apparentemente capace di assordare perfino il remoto pensiero chiuso nelle sicure pareti della mente, nemmeno la Veggente stessa avrebbe saputo dirlo. Ma ogni giorno, alla stessa ora, secondo le medesime ritualità e convenzioni, ecco che la suprema vocale da essa pronunciata scuoteva il mondo e con essa, il terrore delle mille e più Ombre che lo popolavano.

Ma il rituale non era ancora finito. Estasi magica e fisica che solo gli anni e l’esperienza avrebbero potuto far collimare in un unico prodigioso attimo, le correnti ascensionali che nella torre erano rimbalzate all’impazzata dandole voce, anima e corpo in ultimo trovando loco ove disperdersi turbinarono a precipizio lungo le vie di Chermak, ne percorsero in una semplice frazione d’attimo l’intera lunghezza per venire infine ghermite dalle ampie Vele che proprio sul confine della città erano state poste a guardia e difesa dei suoi abitanti. Rosso porpora, le Vele erano l’unica struttura conosciuta che per colore, forma e grandezza erano in grado di scoraggiare le Ombre dall’avvicinarsi ai centri abitati. Il rosso, perché pareva intimorirle. La Vela, poiché l’anima del vento dava vita costante a quei giganti alti fino al cielo - e quasi quanto la torre- rendendoli ancora più vivi e...minacciosi.

 

Quando finalmente il vento calò, e con esso l’Elegia, i nobili e con essi i musicanti vennero invitati ad abbandonare l’ultimo piano della Torre così che, per qualche attimo, la Nihaar’ì ed il Naphil potessero rimanere soli sulla sommità. Era cosa necessaria, poiché in genere questo rituale stancava tanto la ragazza da richiederle al termine qualche momento di tranquillità per riprendere le forze e riguadagnare la voce.

Ancora in piedi la Nihaar’ì fece allora qualche passo in avanti, socchiudendo appena gli occhi così da bearsi dei sibili e mormorii del vento fra le alte colonne tutt’attorno. Parevano piccoli spiriti curiosi che a più riprese si sporgessero dai propri nascondigli per sfiorarle una guancia o pizzicarle una gota per poi fuggire via in un guizzo divertito.

“Sei stata brava, oggi” la lodò poco distante Zaphil. Come sempre l’uomo se ne stava nella parte più estrema della torre, ad un passo dal precipizio, come se quell’altezza vertiginosa non lo turbasse ma anzi stuzzicasse sfidandolo ad andare un poco più avanti, più oltre. A volte la ragazza aveva il sospetto che quell’uomo fosse stato in un’altra vita un falco o un’aquila tramutata poi per dispetto in essere umano così da potergli negare le grandi altezze, le correnti ascensionali e si, il volo.   

“Sono sempre brava” si strinse nelle spalle allungando una mano e giocando a dondolarsi da una colonna all’altra “Se è chiedermi scusa per il tuo comportamento di questa mattina ciò che desideri, ti pregherei di farlo e basta senza blandirmi”.

Qualcosa si tese per un attimo nella figura di Zaphil. Poi però, silenzioso, egli abbozzò un movimento di resa.

“E’ il mio dovere, mia Signora” sillabò in un mezzo sorriso sghembo “Poiché nessuno è autorizzato a farlo, spetta a me il difficile compito di proteggerla, badare  a lei e si, provvedere alla vostra istruzione” “Credevo che per questo ci fossero i Maestri” lo apostrofò l’altra. Zaphil annuì “Al mondo ci sono diversi gradini nella scalata all’istruzione. Io mi occupo di tutti quello meno gradevole ma dal quale dipende la vostra stessa vita, mia Signora”.

Per un attimo la Nihaar’ì si dondolò piano, le mani incrociate attorno ad una colonna, il capo indietro onde lasciare che la nera treccia le scivolasse oltre le spalle in un fruscio ovattato “Finora non ho mai sbagliato” disse dopo un attimo con un sorriso leggero - forse un po’ sbarazzino-, come a voler intendere che tutto sommato lui era un buon maestro e lei una buona allieva. Pace fatta.

“Finora non ti è stato chiesto di fare giusto” fu però la gelida risposta del Naphil. Il sorriso della ragazza svanì in un attimo. Facendo un passo avanti, l’uomo si tolse dal capo le stoffe arrotolate, rivelando una chioma di bruni capelli tagliati poco sopra le spalle. Nel guardarlo la ragazza non tardò a comprendere il perché tutte le dame bramassero anche solo un’occhiata da parte sua. Distolse rapida lo sguardo, incerta sull’espressione del suo viso.
Del resto nessuno si sognerebbe di reclamare il volo ad una creatura senza ali” la apostrofò lui apparentemente incurante delle sue reazioni “Ma le voci della Torre cominciano a farsi sempre più insidiose giorno dopo giorno”

Notte dopo notte.

Annuendo una volta -quelle di Zaphil non erano affatto parole gonfie di novità-, la Nihaar’ì percorse per intero lo spiazzo per giungere ad uno dei corni. Vi poggiò una mano sopra avvertendone sotto le dita la superficie liscia e calda. Sospirò.

“Temono di essersi portati a casa una Rashid...” ancora prima di terminare la frase, la Nihaar’ì capì di aver fatto un errore. Si morse troppo tardi la lingua, preparandosi alle conseguenze della sua noncuranza nel parlare.

“Chi ti ha insegnato questa parola?” la gelò infatti Zaphil poco distante. Immobile, la Veggente parve non trovare nulla di meglio da fare se non stringersi nelle spalle “Non ha nessuna importanza” sillabò tentando di mettersi sulla difensiva “Voci di corridoio”. Zaphil parve però per nulla intenzionato a concederle una nuova tregua, quella mattina “E queste voci hanno anche un nome o mi dovrò limitare a punire chiunque dimori in questa Torre per fare un po’ di chiarezza a riguardo?”.

Strabuzzando gli occhi, la Nihaar’ì si ritrovò a schioccare stizzita la lingua sul palato per poi sbottare “L’ho sentito dire da una delle guardie qualche giorno fa” Zaphil parve poco impressionato “Sai cosa vuol dire?” la pungolò implacabile. Ora palesemente sull’offensiva, la ragazza diede diede un sonoro strattone al corno rischiando quasi di farlo cadere “Parlano giusto perchè hanno la lingua per parlare. Non vuol dire niente, lo sappiamo tutti e due!”

“Un Rashid è un traditore, una spia” pareva che non l’avesse sentita “Uno che dice di essere qualcosa mentre è qualcos’altro o mente su fatti che lo riguardano. Che tale parola abbia preso a circolare nella Torre è cosa grave..” esitò “Ben più grande di quello che tu possa credere”.

Ovviamente. Convenne la ragazza con un’occhiata velenosa decidendo in quell’istante che la cosa migliore da farsi era inforcare la via d’uscita da quel luogo e lasciare solo Zaphil per tutto il resto della mattina...anzi, della giornata.Visto che ogni tua spiegazione è molto meno che una mezza menzogna o una quasi verità.

Dannato Naphil. Unica sua fonte di informazione sulle cose del mondo esterno, mai nella vita egli le aveva rivelato per intero qualcosa. Probabilmente non le aveva mai mentito. Anzi, quasi certamente. Ma vi sono modi davvero fantasiosi per rivelare la verità. Modi arguti ed eleganti. Modi docili e modi irruenti.... e lui di certo li conosceva tutti.

“Aspetta”

Per un attimo Zaphil parve come intenzionato a toccarla, ad afferrarla per il braccio.Era vietato per i Naphil toccare le Nihaar’ì. Vietato dall’alba dei tempi. Solo all’ultimo si bloccò a metà strada, la chiara espressione di una presa che si trasformava in una semplice mano aperta sul suo cammino.

“Sarà meglio scendere. Oggi ho lezione e preferirei passare per i Giardini prima di cominciare...” tentò di dire lei con il cuore in gola ma lui non la lasciò finire.

Odayn” la sua voce era bassa e cupa ora. Abbastanza da impietrirla lì, un piede su ed un piede giù come nell’atto di spiccare un balzo in avanti “La Torre del Tempo non sarà per sempre un luogo sicuro per te. Cerca di fare attenzione”.

 

  
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