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Autore: Holly Rosebane    17/08/2015    3 recensioni
Michael suona per vivere. Si esibisce con la sua chitarra tutti i pomeriggi in piazzola.
Eireen lo ammira in silenzio, e compone poesie su di lui.
Calum ha una passione smisurata per i dolci. E per una cassiera dai capelli blu.
Stacey è un po' isterica e serve in un bar all'angolo, di fronte alla piazzola. Non sopporta il disordine, e ancor meno un insistente giovane dai tratti vagamente orientali. Il quale passa di lì tutti i giorni.
Luke non è bravo con le parole e non riesce a relazionarsi con il prossimo. Preferisce che i suoi disegni parlino per lui.
Sydney è innamorata dell'arte. E della bravura di quello sconosciuto, incontrato casualmente in una caffetteria.
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«Un po’ come la storia dell’Akai Ito, il “filo rosso del destino”. La leggenda narra che ognuno di noi ha un sottile spago scarlatto legato al dito mignolo. L’altra estremità, stretta al medesimo dito, appartiene alla nostra anima gemella».
«Ma potremmo non incontrarla mai», ribatté Sydney. Luke sorrise, scuotendo la testa.
«Impossibile. Siamo destinati a trovarci».
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Warning!: anche questa è una storia SVERR.

 






I.
Musica

 
 
«In questo mondo
contempliamo i fiori;
sotto, l’inferno
»

(Kobayashi Issa - Haiku)
 
 
 
 
Eccolo di nuovo. Stessa ora, stesso luogo. Stessa musica di base. Lo vide inspirare profondamente, e poi cominciare a suonare. Ogni movimento delle sue dita, sembrava seguire un preciso filo logico, un flusso di pensieri, un’armonia del corpo. Era ormai divenuta un’azione abitudinaria.
Tutti i pomeriggi d’estate, dalle cinque in poi, Michael Clifford arrivava in piazzola. Si sistemava al solito posto all’ombra del grande palazzo residenziale. Montava l’amplificatore e una serie di altri oggetti complessi che costituivano la sua strumentazione. Imbracciava la nera chitarra elettrica piena di scritte e disegni scarabocchiati, accordandola per qualche momento. Poi, accendeva la cassa, e iniziava a suonare. Ai suoi piedi, un cappello rivolto al contrario raccoglieva quanto i passanti decidessero di valutare la sua bravura.
Aveva un portamento degno, lo sguardo fiero e l’incarnato eburneo. Due meravigliosi occhi color del mare dal taglio a europeo, naso proporzionato e una bellissima bocca carnosa, che quasi mai si apriva in un sorriso vero. Spesso alzava un angolo delle labbra, regalando qualche attimo di purpureo imbarazzo alle guance di qualche giovane ragazza che depositava uno spicciolo o due nel cappello. Poi, più nulla.
Michael Clifford suonava per vivere. Gettava la sua arte in pasto alla folla per un’oretta, quindi raccoglieva il suo berretto. Spegneva la cassa, intascava quanto guadagnato. Sistemava il resto dell’armamentario in una enorme sacca scura sportiva. E spariva. Non un’anima sapesse dove andava. Non si fermava mai a chiacchierare con nessuno, nemmeno a prendere un bicchier d’acqua al bar.
Eireen Simms mordicchiò il tappo della sua biro ormai consumata, stringendo fra le mani la Moleskine vissuta, aperta su una nuova pagina bianca. Aveva le dita piccole e affusolate e lo sguardo da bambina. Spalancava i suoi grandi occhi da cerbiatta e si lasciava stupire dal mondo.
Dimostrava molto meno dell’età che realmente avesse, con quei capelli corvini dalla frangia pesante lunghi fino alle spalle, un paio di scolorite ciocche rossastre qua e là e la sua abitudine di mordersi il labbro inferiore quando formulava pensieri poetici. Vestiva con i soliti jeans stinti, vissuti e strappati e l’anonima t-shirt nera, spesso con il nome di qualche band post-hardcore disegnato sopra. A volte, quando faceva freddo, portava con sé anche la sua giacchetta di pelle, piena di scritte all’Uniposca bianco. Erano soprattutto versi, quelli che annotava sull’indumento, in mancanza della Moleskine.
Osservò il corpo di Michael piegarsi lievemente in avanti per enfatizzare l’assolo di Sweet Child O’Mine, dunque cominciò a scrivere. Lei, quindi, sedeva tutti i giorni sulle scalette della chiesa di fronte alla piazzola. Guardava il giovane suonare e componeva poesie di getto. Era talmente affascinata dalla musica rock e dall’abilità di quel ragazzo, da farne la propria fonte d’ispirazione. La sua musa. Avrebbe dato di tutto pur di scambiare una sola parola con lui.
Eppure, non disponeva di così tanto coraggio. Preferiva dialogare silenziosamente attraverso i suoi versi, intavolare conversazioni con se stessa e il giovane immaginario che le intesseva sogni dinanzi agli occhi. Ogni tanto alzava lo sguardo, e a volte incontrava il suo. Allora chinava di scatto la testa, e ricominciava a scrivere.
Continuava così per tutto il tempo in cui Michael suonava. Quando sentiva la musica cessare, riponeva il quadernino nella lisa borsa che si portava dietro e tornava a casa. La stessa routine che si ripeteva tutti i giorni, dall’inizio dell’estate. Mai una parola. Mai un cenno.
A volte, il suo amico Calum veniva a farle compagnia. Ma, per quanto bene gli volesse, Eireen non riusciva mai a concentrarsi con lui nei paraggi. Parlava decisamente troppo. E le riempiva la testa di chiacchiere sulla commessa del bar all’angolo. Una tipa un po’ isterica con l’eyeliner agli occhi e i capelli blu.
«Posso leggere?»
Eireen alzò di scatto la testa. Era rimasta così concentrata su quell’ultima poesia, che non si era nemmeno accorta dello strano silenzio in piazzola, segno che Michael avesse spento la cassa. Ma la sua sorpresa fu ancora più grossa quando, nel sollevare lo sguardo, si era ritrovata niente meno che lui in persona dinanzi. Ad un palmo di naso di distanza. Bello come non mai.
 Gl’indisciplinati capelli neri sparati in tutte le direzioni e scomposti sulla fronte madida di sudore, la sbrindellata canotta nera appiccicata al petto scolpito, le mani sprofondate nelle tasche degli stretti e stinti skinny jeans scuri. Da vicino era ancora più alto. E aveva davvero un volto perfetto. La giovane poetessa scosse energicamente la testa, arrossendo per l’imbarazzo.
«Perché no?» Insisté, sollevando un angolo delle labbra come solo lui sapeva fare. «Guarda che lo so di cosa si tratta».
«Come fai a saperlo?» Scattò Eireen, sulla difensiva. Chiuse il quaderno con un gesto secco, inchiodando Michael con lo sguardo. Il giovane alzò gli occhi, assumendo un’aria pensierosa.
«Diciamo che è stato un uccellino a rivelarmelo», la prese in giro. Quando notò che Eireen seguitava a guardarlo male, sospirò. «Okay, ho chiesto in giro. Hai presente la cassiera isterica del bar all’angolo? È mia amica. Mi ha detto che componi delle poesie veramente niente male».
«E… e che altro?» Eireen iniziò a temere che gli avessero anche spifferato su chi scrivesse quei famigerati versi. Michael scosse la testa, facendo ondeggiare le morbide punte color cioccolato. La giovane sospirò di sollievo, dentro di sé.
«Allora? Mi fai leggere o no?»
«Non se ne parla. Sono personali», concluse la mora, riponendo la Moleskine e alzandosi in piedi. Sì, Michael era più alto di almeno due spanne, ma finse di non dargli peso. Si voltò, avviandosi verso casa.
«Andiamo, non saranno mica tutte personali!» Esclamò il musicista, iniziando ad inseguirla. Bene. Eireen aveva desiderato per secoli quel momento, finalmente poteva parlare di persona con la musa ispiratrice delle sue poesie, ma… così era troppo.
«Fatti gli affari tuoi! E poi nemmeno mi conosci!» Ribatté, arrossendo nuovamente. Perché in realtà, con tutte le volte che l’aveva osservato suonare, sentiva di conoscerlo più che bene. Almeno fisicamente.
«Se ti scaldi tanto per le formalità, allora perfetto» disse, fermandosi in strada. «Mi chiamo Michael Clifford» e le tese la mano.
Eireen si voltò, leggermente incredula. Fissò prima il braccio proteso, con un paio di tatuaggi tribali a circondare una porzione di pelle prima e dopo il gomito, poi il volto determinato del suo interlocutore. “Accidenti, questo qui fa sul serio”, pensò. Gli strinse la mano timorosamente, sussurrandogli il proprio nome.
«Fantastico, ora che ci siamo presentati… addio» e girò nuovamente sui tacchi, accelerando per frapporre distanza tra lei e Michael. Ma fu inutile.
«Perché scappi? Sembrerebbe che tu abbia paura di me!» Commentò lui, posandole un braccio attorno alle spalle. Tutto quel contatto fisico fu eccessivo, Eireen sentì il cuore martellarle nelle orecchie.
«Ti prendi troppe confidenze, Michael Clifford» disse la giovane, cercando di allontanarlo senza molta convinzione. Egli rispose con una sonora risata, e Eireen riuscii solo a pensare a quanto potesse suonare bene quella voce nelle sue orecchie. Tanto che non si accorsero delle bombolette comodamente sistemate a terra, inciampandovi sopra e cadendo.
«Ma che cazz…» cominciò Michael, ma venne interrotto da un urlo mezzo soffocato. Un giovane artista di strada stava lavorando ad un graffito su un ritaglio di cartone, e loro gli avevano appena rovinato l’opera. Lui li guardava, con quei suoi due occhi azzurro cielo, gli scompigliati capelli biondo grano e un impudente piercing all’angolo inferiore sinistro del labbro. Aveva un’espressione terribilmente ferita e sconvolta, quasi come se avesse appena ricevuto una pugnalata in pieno petto. E gli avevano semplicemente rovesciato dei colori in terra.
«Scusaci!» Esclamò Eireen, affrettandosi a rimettere in piedi le bombolette che erano cadute tintinnando.
«Non volevamo…» aggiunse, prendendo l’ultimo cilindretto metallico. Ma qualcun altro fu più veloce e le loro dita si sfiorarono. Eireen sentì una scossa elettrica fulminarle le vene, mentre Michael alzava lo sguardo e le sorrideva come solo lui era in grado di fare.
«Fatto. Visto? Non ci è voluto poi molto…» commentò lui, tirandosi su e levandosi la polvere dai pantaloni.
«Da’ qua».
Prima che Eireen potesse alzare lo sguardo, si ritrovò la mano di Michael dinanzi. Voleva aiutarla a rialzarsi. La giovane fissò quelle lunghe dita affusolate dalle unghie lievemente smangiucchiate, un po’ sporche di polvere e con qualche graffio qua e là. Avrebbe potuto tirar fuori dei versi anche solo per come quelle falangi accarezzavano l’aria.
Tuttavia, si limitò a sorridere lievemente e a stringergli la mano, lasciandosi sollevare senza difficoltà. Superarono l’artista di strada continuando a scusarsi, e a qualche metro più avanti Michael scoppiò a ridere di nuovo.
«Hai visto che faccia?» Commentò, riferendosi alla smorfia di orrore di quel ragazzo, alla vista delle sue bombolette a terra. Eireen scosse la testa.
«Non essere cattivo, Michael. Magari ci teneva, a quel disegno…»
«Così come tu tieni alle poesie?»
La mora arrossì e chinò la testa, evitando di rispondere. Non si era minimamente aspettata che il musicista della piazzola avesse un carattere simile. Anzi. Se l’era figurato bello e impossibile.
Guardò l’orologio per prendere tempo e si accorse… di non averne più. Il treno per riportarla a casa sarebbe passato fra una mezz’ora. Doveva sbrigarsi.
«Scusa, ma ora devo proprio andare», disse Eireen. Michael assunse un’espressione lievemente smarrita.
«A-ah», balbettò. «Domani… domani mi farai leggere le tue poesie?» Chiese, un’ultima volta. Lei scoppiò a ridere per la tale insistenza. Che importanza potevano mai avere i suoi stupidi versi per lui?
«Chissà. Forse sì, forse no» commentò. Michael sorrise.
«Guarda che ci conto», rispose, allungando una mano e scompigliando i capelli della ragazza che gli stava di fronte.
«Dovresti sorridere più spesso», aggiunse.
«Perché?»
«Ti s’illuminano gli occhi. Sei molto più bella». 



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Nota: Asking Alexandria è finita. Non potevo lasciare all'attivo solo THM, si sarebbe sentita sola! Ecco quindi un'altra delle mie storie un po' vecchiette, che hanno cambiato casa. Noterete anche un leggero mutamento di stile, rispetto alle ultime long che sto pubblicando. Sappiate che questa vicenda ha quasi due anni alle spalle! Ed è basata su una leggenda giapponese che gli amanti della cultura nipponica riconosceranno sicuramente! Quindi non stupitevi del cambiamento. Quando la scrissi, stavo ancora maturando.
Ci saranno quattro capitoli a tenervi compagnia, tre si focalizzeranno sulle coppie principali e l'ultimo fungerà da "epilogo". Questa vicenda è leggera e senza pretese, ve la consegno così com'è nata, eccezion fatta per alcune significative modifiche, che mi hanno permesso di plasmarla e rimodellarla al meglio.
Corro ad aggiornare THM, vi lascio il solito angolino pubblicità! Ringrazio chiunque le dedicherà un pizzico del proprio tempo e... sappiate che un parere è sempre ben accetto!


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