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Autore: SinisterKid    19/08/2015    3 recensioni
“Promettimi che resterai qui, Jack Frost”, sussurrò Elsa. “Qui con me, sempre”.
Jack, con il suo bastone e gli occhi dipinti di una nuova luminosa tonalità di azzurro, si posizionò a fianco del suo capezzale, intenzionato a non lasciarlo prima che sorgesse il nuovo sole.
“Grazie, Jack Frost”.
“Grazie, piccola Elsa”.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elsa, Jack, Frost
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hold On To What You Believe
Hold On To What You Believe


Il viso della piccola Elsa era incollato alla finestra della sua cameretta: gli occhi spalancati, i pugni tremanti che battevano non troppo forte sul vetro e la bocca che emanava lunghi e impazienti sospiri. Lo spirito dell’inverno sarebbe arrivato quella notte, avevano detto gli anziani di Arendelle, e la principessa non vedeva l’ora di incontrarlo. Aveva letto decine e decine di leggende su Jack Frost, udito decine e decine di racconti su di lui e nel suo cuore si era annidata la flebile speranza di aver trovato qualcuno come lei. Qualcuno di speciale, magico, freddo, ma non pericoloso quanto lo era lei. Qualcuno che non avrebbe mai fatto del male a nessuno e che la gente amava e attendeva ogni anno con grande entusiasmo.

Alcuni narravano che Jack Frost fosse solo un folletto, altri che fosse l’aiutante di Santa Klaus, altri ancora che non esistesse affatto e fosse solo un’invernale allegoria. Elsa scrutò attentamente il sereno cielo notturno e tra le infinite e luccicanti stelle, scorse l’astro più brillante di tutti e il suo corpicino ebbe un fremito. Era così maestosa e incantevole la luna, tanto pallida quanto luminosa, la sovrana più regale ed elegante di tutte. Elsa la pregò di portare Jack Frost da lei, di darle prova di non essere sola al mondo, l’unico fenomeno da baraccone da celare agli occhi dell’indifesa gente. Chiuse gli occhi e pose le mani, unite, davanti al petto, le lacrime iniziarono ad attraversare le sue scarne guance. Pensò alla sua prigionia, pensò alle cose belle che la vita le avrebbe negato fino alla fine dei suoi giorni, pensò alla sua insostenibile solitudine. Pensò, fermamente convinta, che Jack esistesse eccome e avesse bisogno, come lei, di un amico che credesse in lui. Pregò con maggior devozione la luna di esaudire l’unico desiderio che animasse il suo cuore già stanco e ferito, pregò per Anna affinché non dovesse più elemosinare alla porta un’ora o poco più di gioco in compagnia di Elsa.

Chissà se la Luna, lassù, in alto, la stava ascoltando.

“Per favore”, sussurrò Elsa ad occhi chiusi.

La finestra si spalancò di colpo e un gelido vento colpì dritto in volto la bambina. Fiocchi di neve iniziarono a cadere e Elsa decise ad aprire gli occhi. Che la Luna avesse udito le sue preghiere? Raccolse alcuni fiocchi sui palmi di entrambe le mani coperte dai guanti e sorrise di cuore come non faceva da tempo. Si mise a studiarli attentamente e notò quanto fossero perfetti, meravigliosi, l’opera di un vero maestro. Anche lei voleva diventare altrettanto brava, stupire la gente invece di terrorizzarla ed essere amata per questo. Sorrise e portò le mani sul volto per sentire quel brivido freddo sulle sue guance ancora bagnate dalle lacrime. Quel gelo che le scorreva nelle ossa era parte di lei, un alito di vita che soffiava dritto sul suo cuore. Era una sensazione che Elsa opprimeva ed era incapace, il più delle volte, di apprezzare a causa di ciò che aveva fatto ad Anna. Tutto ciò era sbagliato, eppure così giusto e naturale secondo un punto di vista che solo Elsa poteva assumere. Solamente Elsa e il celeberrimo Jack Frost.

“Ti piacciono, eh?”

Una voce squillante, ironica, a tratti dolce, risvegliò Elsa dai suoi pensieri. La bambina alzò lo sguardo e trovò Jack Frost – sì, proprio lui – appollaiato sul davanzale della sua finestra. Così diverso da come lo avevano sempre descritto, ad Elsa non appariva affatto come un piccolo e sinistro folletto, bensì come una delle persone più belle che avesse mai visto. Gli arruffati capelli argentei come un raggio di luna, gli occhi azzurri come un cielo estivo sgombro di nuvole e un sorriso che Elsa capì subito non essere davvero radioso e divertito. Quello era il sorriso malinconico di chi, esattamente come lei, aveva un cuore colmo di dolore e solitudine, il sorriso di chi cerca, speranzoso, un posto nel mondo. Elsa lo sapeva, sapeva talmente tanto per essere solo una bambina.

“Tu esisti”,  fu l’unica cosa che riuscì a dirgli con una voce mista di emozione e incredulità. “Tu esisti sul serio, la Luna mi ha ascoltato”.

Jack strabuzzò gli occhi e sul suo volto si dipinse un’espressione indecifrabile. Strinse con decisione il suo bastone e i fiocchi di neve smisero di cadere.

“Tu mi vedi?”, chiese scandendo per bene ogni sillaba.

Elsa annuì, nel petto un martello insistente e le mani nascoste dietro la schiena, e pensò che questo fosse un sogno.

“Tu mi vedi?”, ripeté il guardiano smarrito. Jack si voltò in direzione della sua amata Luna. “Lei mi vede, mi hai mandato qui per questo?”

La Luna sembrò sorridergli, notò Elsa, e il ragazzo decise a scendere dal davanzale e toccare il pavimento bagnato con suoi piedi nudi. La bambina ebbe l’impulso di mandarlo via dalla sua inaccessibile stanza, quella a cui non faceva accedere nemmeno la sua sorellina, ma non gli diede ascolto e si ritrovò faccia a faccia con colui che tutti credevano fosse una fantasia popolare. Jack le si era inginocchiato davanti con quell’aria ancora scettica che non riusciva ad abbandonarlo. Era sul punto di piangere, così come Elsa che si stava lasciando intenerire da quello che per lei non era che un ragazzino speciale.

“Tocca la mia mano”, le disse, quasi implorandola. “Toccala”.

Elsa non ebbe il coraggio di fargli vedere la sue mani e dissentì con il capo.

“Per favore”.

La bambina, intenerita e allo stesso tempo spaventata, si sfilò prima un guanto e poi l’altro con estrema lentezza. Li gettò per terra e con il cuore in gola, si avvicinò alla mano di Jack, temendo fino alla fine che se l’avesse toccato, lui si sarebbe dissolto nel nulla.

“Non devi aver paura”, fece lui dolcemente. “Non averne”.

Nel momento in cui le loro mani si sfiorarono, Elsa non riuscì a fare a meno di emettere un verso di pura meraviglia. Jack era ancora lì, ancor più stupito di quanto lei potesse esserlo, e la fissava intensamente negli occhi, scolpendo nella sua mente ogni suo singolo particolare per renderlo eterno ed indimenticabile. Entrambe le loro mani erano fredde, pallide, e in qualche inspiegabile modo sembravano combaciare, come se fossero fatte l’una per l’altra. Elsa venne colpita da un sentimento prorompente, enorme, e in quella frazione di secondo crebbe nell’esistenza di Jack Frost più di ogni altra cosa al mondo. Lui era vero, lui era come lei e d’ora in poi sarebbe andato tutto bene. Mai più paura, mai più.

Elsa gli saltò addosso, intrecciò le sue manine intorno al collo di Jack e scoppiò a piangere. Non si era mai sentita tanto felice e pervasa da una selvaggia speranza.

Jack lasciò cadere il bastone e ricambiò l’abbraccio. Piansero entrambi: adesso non erano più soli.

“Guarda, anche io sono come te”, esclamò Elsa orgogliosa materializzando un imperfetto fiocco di neve sul palmo della sua mano. “Anche io faccio quello che fai tu”.

“Ma io lo faccio meglio”, ribattè Jack divertito.

Elsa gli rivolse un’occhiataccia e il guardiano le prese la mano e la mise sul suo palmo. “L’unico modo che hai per controllare i tuoi poteri è accettare i tuoi poteri. Questo è quello che sei e devi voler bene ciò che sei”.

Parole vissute, ricche di esperienza e dolore: Jack conosceva bene l’argomento che stava trattando. I suoi non erano incoraggiamenti di circostanza, banali e Elsa le apprezzò tantissimo, anche se, data la sua giovane età, solo con il tempo avrebbe potuto comprenderne appieno il significato e farle proprie.

Fallì nuovamente nel tentativo di creare un perfetto fiocco di neve e sbuffò, delusa. Jack strinse più forte la sua mano.

“Non aver paura”.

Elsa ci riprovò più di tre volte e solo quando si sentì perfettamente a suo agio tra le braccia di Jack Frost, solo quando si sentì perfettamente a suo agio con se stessa, i suoi occhi videro un fiocco di neve degno del guardiano dell’inverno, impeccabile. Dalle sue mani era venuto fuori qualcosa di buono. Da quella che lei riteneva essere una maledizione, era venuto fuori qualcosa di buono. Aveva cacciato via la paura e la vergogna e aveva lasciato vincere se stessa. Se solo Anna avesse potuto vederla! Elsa riusciva già ad immaginare il suo faccino lentigginoso pieno di orgoglio e gioia, riusciva ad immaginare mille e mille bellissimi pupazzi di neve da costruire insieme.

Si voltò verso Jack con un enorme sorriso colmo di riconoscenza. “Vicino a te non ho paura, non ne avrò mai”.

Il guardiano impresse nel cuore quella frase e sfiorò il dorso della mano di Elsa, cogliendola di sorpresa. Era indescrivibile poter toccare qualcuno, poterlo abbracciare, potergli parlare … ed era ancora più magnifico se questo qualcuno condivideva il suo dono.

Jack mise a letto Elsa e si premurò di rimboccarle le coperte e di chiuderle la finestra per tenerla al caldo. Sentiva un’enorme responsabilità nei suoi confronti e non voleva negarle alcuna cortesia.

“No”, protestò la bambina. “Se chiudi la finestra non potrò vederti imbiancare Arendelle. Voglio veder cadere la neve stanotte”.

“Ma fa freddo …”

Elsa lo interruppe. “A me il freddo non ha mai dato fastidio. Sono gli altri che rischiano di morire congelati …”

Le lacrime le punsero gli occhi al pensiero di ciò che aveva fatto subire ad Anna e si nascose sotto la pesante trapunta. Provava di nuovo paura e vergogna nei confronti di se stessa.

Jack la scoprì appena per poter scorgere il suo volto e le diede un bacio sulla fronte. Elsa ebbe un fremito e gli afferrò il polso, costringendolo a guardarla negli occhi.

“Promettimi che resterai qui, Jack Frost”, sussurrò Elsa. “Qui con me, sempre”.

Jack, con il suo bastone e gli occhi dipinti di una nuova luminosa tonalità di azzurro, si posizionò a fianco del suo capezzale, intenzionato a non lasciarlo prima che sorgesse il nuovo sole.

“Grazie, Jack Frost”.

“Grazie, piccola Elsa”.

“Un momento … come fai a sapere il mio nome?”

Il Guardiano indirizzò lo sguardo al di là della finestra per poi ritornare a perdersi nell’unico paio di occhioni nei quali poteva vedere la sua immagine riflessa. “Me l’ha detto la mia Luna. Lei sa sempre tutto”.

Elsa si addormentò guardando beatamente l’unico paio di occhi nei quali poteva vedere la bambina che era e non il mostro che credeva di essere. E dopo tanto tempo, si sentì veramente a casa.

Dopo tanto tempo, Elsa si sentì coraggiosa, impavida.

Mai più paura, mai più.

   
 
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