La mia unica compagnia, per molti anni, era consistita solo nel sakè, e neppure bevuto caldo, ma freddo, direttamente dalla sua bottiglia. Lacrime e sbronze: ecco come si trascinavano le mie giornate, rannicchiato in qualche angolo buio.
 

Poi… vidi, ammirai quei pugni. Sferrati con una rapidità, con una furia mai viste. Il secco rumore dell’impatto contro uno stomaco o una faccia: un suono che non credevo più di sentire, ormai. Gli yakuza passarono un gran brutto quarto d’ora, quel giorno adesso lontano…

Ti ho creduto il mio personale ponte per lasciare un quartiere fatto di degrado e di povertà: con te avrei ripercorso al contrario il cammino della disfatta. Le luci di Tokio ci avrebbero avvolti del loro fulgore: mille luci colorate, tutte intorno a noi.

Ma dovetti fare i conti con la tua ostinazione di fare sempre le cose solo a modo tuo: spesso a costo di farti del male e di farne pure a chi ti stava intorno, anche non volendolo.

Joe.

La tua fame di libertà e di essere fedele a te stesso, a scapito di ogni cosa...

Nessuno è mai stato come te, ragazzo mio. Nessuno ha mai avuto il tuo cuore. Nessuno mi ha mai fatto gioire e soffrire come te, al mondo.

Mai.

Il mio ponte…

Ora sei un ponte che riconduce i miei passi al ricordo più bello e doloroso, voltandomi indietro… ancora una volta.
 

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