EPISODIO 1
IL GIOCO DELLA
MORTE
(PARTE I)
L’auto di pattuglia
percorreva la Ocean Avenue a bassa velocità, fendendo
con la luce di posizione gli alberi e i sentieri cespugliosi del Prospect Park alla ricerca di improbabili segnali di
allarme.
Era stata
una nottata molto tranquilla, e tutto lasciava supporre che il sole sarebbe
sorto di lì a breve senza il sopraggiungere di qualsivoglia imprevisto.
«Qui è
tutto tranquillo» brontolò l’agente alla guida. «Avanti, torniamocene in
centrale. Non vedo l’ora di buttarmi a letto.»
«Aspetta»
gli disse in quella il suo partner. «Mi sembra di aver visto qualcosa.»
«E ti
pareva.»
L’autista
in verità non aveva nessuna voglia di fermarsi, convinto com’era che il suo
socio avesse avuto solo l’ultima delle sue tante sviste dettate dal fervore
giovanile, ma alla fine il pivellino la ebbe vinta, e la macchina, tornata
indietro, si fermò al limitare del parco, quindi i due agenti scesero dal
veicolo avventurandosi lungo il sentiero.
«Vedi?»
disse però beffardo quando, malgrado tutto, le loro torce seguitarono ad
illuminare solo un’infinita distesa di alberi. «Un bel mucchio di niente.»
E invece
i fatti gli diedero torto, perché proprio in quel momento anche lui poté notare
una figura scura, difficilmente distinguibile, che si aggirava poco distante
tra un gruppo di cespugli e bassi alberi vicino alle zone relax che si
affacciavano sulla duck island.
«E
quello chi cavolo è?» si domandò, dal momento che la torcia del collega, per
quanto potente, non arrivava ad illuminarlo distintamente.
Poteva
trattarsi di tante cose, ma le ipotesi più accreditate erano o qualche drogato
perso nei fumi di chissà quale porcheria o un senzatetto impegnato a rovistare
in cerca di qualcosa di utile: in ogni caso, niente per cui valesse anche solo
un altro passo.
«Avanti,
andiamocene» mugugnò ancora l’autista. «Il nostro turno finisce tra venti
minuti.»
Ma il
cadetto non aveva alcuna intenzione di sfigurare nei suoi primi giorni di
servizio, anche a costo di rendersi antipatico ad un capopattuglia svogliato;
così, di slancio, riprese a camminare, avvicinandosi non senza cautela allo
sconosciuto.
Benché
non potesse vederlo bene, nascosto com’era tra le fronde, dovette fare solo
pochi metri per capire che si trattava di una donna, e che in quel momento gli
stava dando le spalle.
«Signora,
và tutto bene?»
Non vi
fu risposta; poi però, avvicinandosi ancora di più, il giovane si avvide anche
di un’altra cosa, assai più insolita, e cioè che quella donna, oltre che
sporca, era anche completamente nuda.
E allora,
il suo tono di voce cambiò radicalmente: dopotutto, per quanto alle prime armi,
gli era già capitato di incontrare gente di quel tipo.
«Ehi,
tu!» gridò cercando di illuminare il meglio possibile i capelli sudici e
bagnati di quella spiantata. «Sarà anche estate, ma questo non ti autorizza a
girare nuda per il parco! Vieni fuori da lì!».
La donna
non rispose, né diede segno di aver capito, e allora l’agente si mosse in
avanti senza smettere di tenerla puntata la torcia addosso. Aveva già preso le
manette, e stava per afferrarle una spalla e costringerla fuori da quel
cespuglio, quando finalmente la donna, lentamente si girò, piantando i suoi
occhi bianchi contro il poliziotto, che restò pietrificato.
Un
animale sventrato sarebbe risultato meno raccapricciante; lo squarcio che aveva
sullo stomaco era tale che alla luce della torcia sembrava quasi di scorgere
gli intestini, per non parlare dei molti altri tagli più o meno profondi che le
coprivano le braccia, il tronco e perfino la faccia.
Il
giovane restò paralizzato, trattenendo a stento i conati di vomito, e prima che
potesse trovare la forza di muoversi quella poveraccia stramazzò a terra, come
un burattino cui erano stati tagliati i fili.
Come
riuscì a recuperare l'autocontrollo provò a tastarle il polso, ma era
perfettamente inutile, e allora afferrò la ricetrasmittente.
«Quattro-Sette-Sette a Centrale! Mandate subito un'ambulanza
al Prospect Park, agli imbarcaderi per la Duck Island!»
Tutte le mattine, prima di
recarsi al lavoro, all’Agente Speciale Derek Norway
piaceva scacciare via i torpori della notte con una buona mezz’ora di footing
lungo i marciapiedi tutto attorno alla sua abitazione, una casa a tre piani ad
Harlem.
Malgrado
la posizione piuttosto centrale rispetto al centro nevralgico di Manhattan la
rivoluzione urbanistica e la riqualificazione culturale ne avevano fatto una
zona piuttosto tranquilla, dove raramente accadeva qualcosa, ma evidentemente
quella era destinata ad essere una giornata particolare.
Derek
era quasi arrivato sotto casa, giusto in tempo per lavare via con una doccia il
sudore della corsa prima di raggiungere l’ufficio, la maglietta kaki zuppa e i
cortissimi capelli scuri imperlati, quando sul marciapiede sul lato opposto un
balordo in skateboard si avvicinò ad una coppia di anziani in passeggiata,
sfilando violentemente la borsetta alla donna per poi darsela a gambe.
«Al
ladro, fermatelo!» urlò la signora
Derek,
anche se quasi sfiatato, si rimise subito a correre, e mentre correva le sue
gambe andarono circondandosi di un bagliore vermiglio.
«Flash move!» urlò, e come se il tempo tutto attorno a lui si
fosse fermato percorse la distanza che lo separava dal bersaglio in un batter
d’occhio, avventandosi fulmineo sul ladro e buttandolo a terra dopo averlo
immobilizzato.
«Hai
scelto il posto sbagliato per venire a rubacchiare, amico!» gridò stringendogli
con forza i polsi ed avvolgendoli in una specie di legaccio luminoso, più
efficace di un paio di manette.
Aveva
appena restituito il maltolto alla proprietaria, ricevendo in cambio infiniti
ringraziamenti, quando il trillare di un telefono sembrò risuonare direttamente
all’interno della testa del detective, il quale, agitando un dito nell’aria,
fece comparire davanti a sé una specie di finestra olografica simile in tutto e
per tutto al monitor di un computer.
«Norway.»
Il
borseggiatore ammanettato non sentì niente, probabilmente perché la
conversazione stava avvenendo a livello telepatico.
«D’accordo,
arrivo subito» concluse, stavolta a voce, il detective.
E dal
momento che di poliziotti o volanti di ronda non si vedeva alcuna traccia,
Derek non ebbe altra scelta che trascinare a forza quel ladruncolo fin sulla
porta della sua casa, legandolo alla ringhiera della scala d’ingresso
materializzando dal nulla un altro di quei nastri luminosi.
«Aspettami
buono qui. Giusto il tempo di farmi una doccia e ti sbatto in cella.»
Ogni volta che la MAB
veniva chiamata sulla scena di un crimine era raro che qualcuno della squadra
si presentasse sul posto prima del detective Jane Paloski;
trentaquattro anni, di cui cinque passati nell’NSA, di Jane si diceva che fosse
solita pensare alle cose dopo averle fatte, guidata da un’irruenza e da una
intraprendenza cui però non mancava quella giusta dose di buon senso tale da
permetterle di non cacciarsi mai in guai dai quali poi non sapesse uscire.
La sua
immagine, a prima vista, lasciava un po’ spiazzati, per via dei corti capelli
biondi, chiaro segno della sua discendenza siberiana, che spiccavano su di
carnagione più scura, dai toni olivastri, tipicamente portoricana.
«E
quello chi è?» domandò, non senza quel suo cipiglio un po’ spaccone, vedendo il
suo collega Norway arrivare sulla scena del crimine
con un ragazzetto afroamericano ammanettato sul sedile posteriore della sua
vecchia Chrysler.
«Niente
di che. Un banditello che ha pensato bene di
scipparmi sotto casa.»
«E te lo
sei portato fin qui da Harlem?»
«Avanti,
cosa abbiamo?»
«Femmina,
caucasica. Età stimata, trent’anni. L’ha trovata una pattuglia alle cinque di
questa mattina.»
«È una
strega?»
«Bella
domanda. Non siamo ancora riusciti a stabilirlo. Non aveva niente addosso,
neppure i vestiti, e stiamo ancora aspettando Takikawa.»
«Allora
perché hanno chiamato noi?»
«Forse
per lo stato in cui è ridotta. Appena la vedrai, capirai.»
Poco
prima che raggiungessero i cespugli venne loro incontro Jonas
O’Bryan, il veterano della squadra; aveva più esperienza lui nel contrasto alle
attività magiche criminali di chiunque altro, forse perché era l’unico tra
tutti i suoi compagni ad aver avuto dei trascorsi in polizia prima di entrare a
far parte della MAB.
«Scusa
il ritardo, Jonas» si giustificò subito Derek. «Ho
avuto qualche problema.»
«Scuse
accettate. Vieni.»
Quando
finalmente l’agente si ritrovò a tu per tu con la vittima, persino la sua
decennale esperienza nei Navy Seal fu messa a dura
prova.
Il corpo
era riverso su di un fianco, completamente nudo, e alcuni insetti avevano già
iniziato a banchettare con le interiora fuoriuscite dallo squarcio.
«Abbiamo
qualche informazione?» domandò accucciandosi accanto alla vittima
«Le
impronte non sono in archivio, dal che risulta che non ha precedenti di alcun
tipo» rispose Jane. «Abbiamo anche interrogato alcuni frequentatori abituali
del parco e gli abitanti dei dintorni. Ma nessuno l’ha riconosciuta.»
«È strano.
Il sangue qua attorno e sul cadavere è decisamente troppo poco per ferite di
questo genere.»
«Stando
al racconto dell’agente che l’ha trovata, camminava ancora quando la pattuglia
è arrivata qui» rispose O’Bryan. «Ma quasi mi risulta difficile crederlo viste
le sue condizioni.»
«Se
fosse una maga avrebbe un senso» ipotizzò Jane. «Qualche esperimento o giochino
magico andato male.»
«Non
sarebbe la prima volta» rispose l’attempato irlandese. «Cinque anni fa a
Providence un tizio ha camminato per quasi tre ore per la città con l’intestino
di fuori, seminando budella per tutto il centro cittadino per poi crollare
morto proprio davanti ad una scuola.»
«Un
sovraccarico magico può fare questo ed altro!» esclamò il dottor Takikawa arrivando in quel momento sulla scena del crimine,
i capelli neri e corti pettinati con la riga e i buffi occhiali rotondi a
svettare sul volto paffuto.
«Comodo Dean, comodo» lo ammonì Derek. «Tanto qui non c’è niente da fare.»
«Forse
voi della sezione investigativa avete l’orario fisso e le ferie pagate, ma io
mi sono fatto la nottata per finire di redigere i rapporti per la procura, e
quando è arrivata la chiamata dai tuoi amici stavo giusto per concedermi
qualche ora di sonno.
Quindi
risparmiami le tue solite battute.»
Senza aggiungere
altro il dottore si mise subito al lavoro, e come prima cosa, chiusi gli occhi,
sospese la propria mano sul volto della vittima, materializzandone
immediatamente un’immagine olografica tridimensionale davanti a sé, oltre ad
una incalcolabile quantità di dati medici.
«Nessun
riscontro nell’archivio internazionale» sentenziò dopo qualche secondo. «O è
una strega senza autorizzazione o un essere umano. Io propendo per la seconda
ipotesi. Ad una prima analisi l’M-Code sembra abbastanza sviluppato, ma non
così tanto da permettere l’uso della magia.»
«Però
questo riporta a galla la domanda di prima» osservò O’Bryan. «Come ha fatto
questa povera disgraziata a camminare per chissà quanto tempo con gli intestini
di fuori senza l’aiuto di un qualche potere magico a sostenerla?»
«Chi
l’ha uccisa forse ha fatto sparire il sangue per cercare di depistarci» pensò
Jane. «Può darsi che a conti fatti l’omicidio non sia avvenuto poi così lontano
da qui.»
«Ma
allora perché l’assassino avrebbe dovuto permetterle di girare liberamente per
il parco, con il rischio di essere sorpreso? Morente com’era avrebbe fatto
prima a finirla.»
Takikawa nel
mentre stava ancora lavorando sui dati che aveva raccolto, e d’un tratto la sua
espressione solitamente così sicura e sornione, si caricò di stupore.
«Signori,
qui mi sa che abbiamo un problema.»
«Sarebbe?»
chiese O’Bryan
«Abbiamo
acclarato che non può trattarsi della strega. E
allora, qualcuno dovrebbe spiegarmi come mai il livello di Risonanza
nell’organismo di questa donna supera abbondantemente i 300.»
I tre
agenti lo guardarono attoniti, per poi rivolgere nuovamente gli sguardi verso
la vittima.
Una
risonanza pari a trecento era propria solo di alcuni tra i migliori stregoni in
circolazione, ed era assolutamente impossibile che un normale essere umano
potesse avere dentro di sé un potere simile.
Chi
diavolo era quella ragazza?
La sede della MAB di New
York, nel cuore di Midtown, era stata inaugurata da appena tre anni, prima dei
quali la squadra si era vista costretta a “subappaltare” un piano del locale
quartier generale dell’FBI.
Gli
abitanti di New York potevano anche dirsi fortunati, perché escludendo
Washington nessun’altra città dell’east coast poteva vantare una squadra MAB così numerosa e, tutto
sommato, ben organizzata.
Il
caposquadra di New York si chiamava Kay Hodgson, ed
era forse l’unico essere umano sulla faccia della Terra a comandare una squadra
MAB; dall’alto dei suoi cinquantadue anni aveva visto con i suoi occhi l’era
del cambiamento, vivendo sulla propria pelle il passaggio dalla vecchia alla
nuova civiltà, e le rughe che scavavano il suo volto, solo parzialmente
nascoste dai folti baffi scuri, sembravano quasi voler testimoniare le prove
che doveva aver sopportato per emergere in un mondo in cui la padronanza della
magia era tutto.
«Qualche
notizia sulla sconosciuta del parco?» domandò Hodgson
entrando nella grande sala rettangolare che ospitava gli uffici dei suoi
detective e volgendo lo sguardo alla foto del cadavere appiccicata sulla
lavagna.
«Per ora
niente di niente» rispose Norway.
«Nessuno
dei residenti con cui abbiamo potuto parlare finora dice di averla mai vista» proseguì
Jason «E nessuno l’ha riconosciuta.»
«Infine,
secondo Takikawa, il livello di Risonanza residuo non
combacia con l’effettiva struttura del suo M-Code» concluse Jane. «Quattro anni
nella MAB, e questa è la prima volta che mi capita una cosa del genere.»
«Rianimazione»
disse una voce alle loro spalle, spingendo tutti e quattro a volgere lo sguardo
verso l’ingresso.
Dinnanzi
a loro, senza che se ne fossero accorti, era comparsa una giovane cadetta che
ancora odorava di liceo, uniforme blu dei graduati dell’accademia di magia
pulita e ordinata come appena comprata, capelli corti di un castano molto chiaro,
e una 9mm tirata a lucido alla cintura ascellare.
«Una
fonte di magia molto potente inserito all’interno di un corpo morto, abbastanza
potente da riportarlo in vita.»
Poi,
accortasi del modo in cui era fissata, piegò le labbra in un sorriso
imbarazzato.
«Scusate.
Helen Trevor. Sono stata assegnata a questo ufficio a partire da stamattina.»
«Ah già,
la novellina» rispose saccente Jane. «Hai scelto il momento migliore.»
«Forse
sono rimasto indietro con i corsi di aggiornamento» osservò Norway.
«Ma rianimazione e negromanzia non può funzionare sui corpi degli esseri umani.»
«Ecco
spiegato perché il corpo è ridotto in quelle condizioni. Qualcuno ha cercato di
rianimarlo ricorrendo alla negromanzia, ma dopo un po’ l’energia introdotta
all’interno, non potendo contare su di un’appropriata valvola di sfogo, è
esplosa violentemente provocando gli effetti che vedete. Quando poi l’energia
residua si è esaurita del tutto, il corpo è definitivamente morto. Se così
vogliamo dire.»
«Ma per
quale motivo uno stregone dovrebbe prendersi il disturbo di rianimare un corpo
morto» le domandò O’Bryan quasi con tono di sfida, commettendo un atto
illegale, se sa fin dal principio che il suo tentativo è destinato a fallire?»
«Non
saprei? Prestigio? Studi antropologici? Il semplice gusto del macabro?
La magia
è una scienza che si evolve di giorno in giorno, e quello che abbiamo scoperto
fino ad oggi non è che la punta dell’iceberg delle sue effettive potenzialità.
Nuove scoperte vengono fatte ogni giorno, e la corsa all’ultima novità
coinvolge tutti i possibili settori umani.»
«Giocare
con i cadaveri come si gioca con le bambole è quanto di più immorale ed
antietico si possa immaginare» replicò quasi seccato Norway.
«E mi viene male al pensiero che qualcuno possa pensare di usare la magia per
qualcosa del genere.»
«Non mi
fraintenda, detective. Non condivido quello che questa persona ha fatto. Dico
solo che probabilmente, secondo lui, ne valeva la pena.»
Derek e
gli altri girarono quindi nuovamente gli sguardi, stavolta in direzione del
comandante, che dopo un attimo di apparente indecisione si riscosse.
«Facciamo
un controllo in archivio. Cercate gente che abbia già svolto pratiche simili, e
vedete se qualcuno di loro vive nella zona in cui abbiamo trovato il corpo.»
In quella,
un giovane sulla trentina, capelli arancio fuoco e fare goliardico, entrò tutto
baldanzoso nell’ufficio, sventolando la cartella che aveva in mano come fosse
stata una bandiera della vittoria.
«Buone
notizie, gente!» esclamò giocondo, salvo poi ammutolirsi di fronte alla nuova
arrivata. «E questa gentile signorina chi è?»
«Non cominciare
come tuo solito, Foch» lo ammonì Jane
«Accidenti
agente Paloski, siamo proprio di cattivo umore oggi.»
«Solo
quando ti vedo.»
«Ok, ok.
Lasciamo perdere» anche se prima di chiuderla definitivamente quello strambo
giovane non mancò di sfiorare con un dito la guancia della nuova arrivata. «Sei
proprio un bel bocconcino. Quanti anni hai, ventuno?»
«La
detective Trevor da oggi lavorerà con noi» tagliò corto Norway.
«Quindi ora dacci un taglio o tornerai a servire fiocchi d’avena nel refettorio
di Rikers.»
«La
giornata non è cominciata nel modo migliore Kristen,
non renderla ancora meno piacevole» disse O’Bryan. «O devo ricordarti per l’ennesima
volta il protocollo sui detenuti stregoni riqualificati? Avanti, cos’hai per
noi?»
«D’accordo,
per oggi la goliardia la mettiamo da parte.
Comunque
sia, ho fatto una ricerca sulla vostra Cenerentola squartata inserendo la foto negli
archivi della motorizzazione, e credo proprio di avere fatto centro.»
Presa una
scheda di memoria il giovane la inserì quindi nel lettore del proiettore appeso
alla parete, su cui iniziarono a scorrere migliaia di immagini.
«E la
vincitrice è…» disse un attimo prima che l’elenco
smettesse di scorrere. «Lucy Ferrazzani. Ventinove
anni, 650 di Pelton Avenue, Staten
Island.»
«Ferrazzani!?» disse Norway
spalancando gli occhi. «Non sarà per caso…»
«Indovinato.
È la figlia del professor Giulio Ferrazzani.»
«Ma non
ha senso» disse O’Bryan. «Qui risulta che è ancora viva e vegeta.»
«O forse
qualcuno vuole far credere che sia ancora così» ammiccò Jane
«Il
padre insegna alla Carter University. È uno dei dieci ricercatori di
stregoneria più popolari al mondo.
Questo e
altro dovrebbe essere capace di fare con tutte le sue conoscenze in materia.»
I quattro
membri della squadra si guardarono tra di loro, mentre tutto attorno si
diffondeva uno strano silenzio.
«D’accordo»
ordinò Hogdson. «Derek e Jonas,
voi due andate a parlare con il padre della ragazza. Scoprite cosa sa. Jane e Kristen, voi invece provate a sentire i senzatetto e gli
altri frequentatori abituali della zona dove abbiamo trovato il corpo. Qualcuno
deve pure aver visto qualcosa.»
«Perché devo
sorbirmi sempre io questo malato di mente?» bofonchiò a voce neanche troppo
bassa il detective Paloski mentre usciva
«Ti
adoro quando fai così, tesoro.»
Prima che
anche Derek e Jonas uscissero, però, il capitano il
fermò.
«Aspettate»
disse, e indicò . «Portatevi anche lei.»
La ragazza
restò un momento basita, ma poi, alla seconda sollecitazione del detective Norway, gli si accodò sorridendo come una bambina davanti
alla gelateria.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
E dopo tante storie ambientate su
Celestis, eccone una che invece si svolge sulla cara vecchia terra.
Più che una storia, si tratta di una sorta
di fantasia. Mettendo da parte per una volta tutte le atmosfere fantascientifiche
e futuristiche della saga originale, ho voluto creare qualcosa che ricalcasse
le classiche serie tv in sitle CSI, Criminal Minds e via discorrendo, con una squadra di polizia che
investiga su crimini magici in una New York alternativa, ma pur sempre
contemporanea.
Per ora si tratterà di una sorta di Pilot, con una storia autoconclusiva divisa in quattro
parti.
In futuro…
chissà.
A presto!^_^
Carlos Olivera