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Autore: _diana87    21/08/2015    5 recensioni
Non ricorda più il panorama prima che quell’ondata di fumo nero invadesse la sua visuale.
Neanche nelle sue teorie più assurde avrebbe mai immaginato di vedere il cielo sopra New York tingersi di nero.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Quasi tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il taxi è rimasto lì ad aspettarlo.
Il viaggio del ritorno è silenzioso. L’uomo alla guida getta l’occhio verso il suo passeggero attraverso lo specchietto, ma lo sguardo di lui è perso ad osservare fuori.
Cosa frulla nella mente di Richard Castle, solo Richard Castle lo sa.
“Mi dispiace, signore. Dovremmo restare bloccati qui per un po’”, dice il taxista con rammarico.
Il panorama al di fuori dell’abitacolo mostra una serie di altre auto tutte in fila e ferme. Il traffico newyorkese nelle ore di punta. Castle sbuffa e allunga all’uomo un’altra banconota verde.
“La ringrazio per avermi aspettato e dato un passaggio. Andrò a piedi da qui, mi schiarirò le idee.”
“Tutti così tra le nuvole voi scrittori, eh?”
Rick semplicemente fa spallucce. Si allontana come un passeggero anonimo tra lo smog cittadino e quel fumo lo rimanda a giorni fa. E tutto diventa grigio, difficile e crudele. La donna che amava e pensava di conoscere bene nascondeva una parte di sé rimasta sepolta nel suo inconscio per anni. Si ripete che Kate Beckett non è un mostro, ma una donna che ha aperto gli occhi lì dove lui li teneva chiusi, e ha preso un’orrenda decisione da sola.
Qualcuno lo strattona e senza accorgersene si ritrova con un cappuccio nero in testa che gli copre la visuale. Le mani vengono legate dietro la schiena e violentemente altre mani lo spingono dentro un’automobile che si mette subito in moto. È tutto buio, e Castle non riesce a parlare, né a cercare di capire dove queste persone lo stiano portando. Il veicolo sobbalza più volte e gli sembra di riconoscere la strada che stanno percorrendo. Che stiano tornando indietro? Lo strattonamento continua anche dopo esser giunti a destinazione.
Bendato e legato, Castle sta iniziando a sudare freddo e ad aver paura della sua situazione. Il cappuccio rimane sulla testa e gli viene tolto solo quando a forza viene spinto e gettato dentro quella che sembra una prigione. Chiuso a chiave, Rick si aggrappa alle sbarre non riuscendo a scorgere i volti degli uomini che lo hanno rapito perché anch’essi sono avvolti nell’oscurità. Fruga nelle tasche trovando il suo cellulare morto. Batteria scarica.
Si rassegna a quella condizione da recluso, anche perché ha esaurito tutte le energie per combattere. Poggia la schiena contro il muro e si lascia scivolare a terra fino a sedersi piegando le ginocchia e tenendo le braccia a penzoloni su di esse.
L’indomani viene svegliato bruscamente, incappucciato di nuovo e trascinato fuori dalla sua prigione. Senza opporre resistenza, forse perché a poco servirebbe, Rick si lascia condurre in una stanza più illuminata rispetto la sua cella oscura. Un uomo gli toglie il cappuccio, rivelando un’espressione confusa e scombussolata, che però riesce a mettere a fuoco il volto della persona seduta davanti a lui che lo osserva incuriosito. È un uomo sulla cinquantina con una carnagione tipica di un mediorientale, lineamenti scuri e abiti neri.
Dopo aver esaminato il suo spettatore, guarda la stanza in cui si trova. Nera, illuminata solo da alcune vecchie lampadine poste al di sopra del loro tavolo e negli angoli. Nessuna finestra per impedire la possibile fuga.
Con la mente torna al suo romanzo che aveva iniziato a immaginare qualche giorno fa, durante l’interrogatorio con l’agente Turk.
Nikki Heat è morta e Jameson Rook è solo contro tutti nel tentativo di vendicare la perdita della donna che ama, e per questo vogliono ucciderlo perché ha già scoperto troppe cose.
“Salve signor Castle”, inizia l’uomo sorridendogli, e Castle non può fare a meno di chiedersi perché siano tutti così gentili in questo angolo di New York. “Mi dispiace per la brusca accoglienza”, continua e fa segno ai suoi tirapiedi di lasciare la stanza. Dopo aver udito il rumore della porta chiudersi, l’uomo prosegue, “Ma era necessario. Lei doveva capire.”
“Capire cosa? Chi è lei? Come fa a conoscermi?”
L’uomo alza la mano per ammonirlo dalle troppe domande e si presenta. “Mi chiamo Haashim, sono il leader del gruppo islamico vicino alla moschea, sul quale sua moglie stava svolgendo delle indagini.”
Rick deglutisce quando sente che la trama che stava immaginando inizia a diventare reale. Le sue mani si muovono nervosamente sopra la superficie del tavolo.
“Deve starne fuori, la faccenda non la riguarda”, gli intima Haashim.
“Ha ucciso lei mia moglie. L’ha imbottita di esplosivo e l’ha minacciata che l’avrebbe fatta esplodere se avesse rivelato cosa lei e il suo gruppo stavate facendo.”
“Sta giungendo a conclusioni sbagliate.”
Il sorriso di Haashim è diventato teso, ma sorprendentemente il suo temperamento è rimasto calmo. Rick stringe le mani a pugno e pensa.
Le possibilità di sopravvivenza sono pari a zero. Non c’è via di fuga, il suo cellulare è morto, e quest’uomo probabilmente nasconde una pistola all’altezza della cintura che non esiterà a sfoderare contro di lui. Tanto vale morire avendo scoperto tutta la verità. Chiude quindi gli occhi e vede Kate, Martha, Alexis, Esposito, Ryan, Lanie e perfino la Gates che gli sorridono.
“Sua moglie non ha subito nessun lavaggio del cervello, signor Castle.”
E invece la trama del suo romanzo subisce un colpo di scena inaspettato. Riapre gli occhi e non vede alcuna arma puntata addosso, ma anzi la stanza ha ripreso colore: una luce è stata accesa, rivelando le pareti color panna. Haashim è in piedi davanti a lui e lo guarda compassionevole. Castle è sempre più confuso.
“Non l’ho uccisa. Kate ha agito di sua spontanea volontà.”
“Mi sta dicendo che mia moglie si è suicidata?”
No, la storia che aveva previsto non doveva andare in questo modo. Dove sono finiti i cattivi?
Castle distoglie lo sguardo da Haashim che impassibile gli ha fatto segno di sì con la testa. Non riesce ad elaborare nessuna teoria. Il blocco dello scrittore è stato attivato. Haashim torna a sedersi davanti a Rick incrociando le dita delle mani sul tavolo.
“L’ho sconvolta, e mi dispiace. Mi permetta di raccontarle come sono andate le cose. La detective Beckett mi aveva contattato perché credeva facessi parte di un gruppo di islamisti. In realtà ho a che fare con loro, ma non condivido le loro idee. Gestisco una casa famiglia, la stessa che lei ha visto ieri con l’imam Mohammed, dove ogni settimana arrivano bambini, piccoli profughi che scampano dalla guerra, oppure sono figli di quegli integralisti che vogliono salvare ciò che resta della loro discendenza e li affidano quindi a noi. Sua moglie ha visto quelle vite innocenti, costrette a crescere senza genitori. Ha visto l’orrore contro una vita agiata in cui viveva.”
Nessuno merita di vedere l’orrore che ho visto io.
Ora i pezzi del puzzle iniziano a incastrarsi alla perfezione. La trama che aveva scritto si sta trasformando in un best seller. Manca solo l’antagonista: è forse lui? Colui che non aveva notato il cambiamento di sua moglie e l’aveva indotta, seppur indirettamente, a morire? Eppure non riesce a trovare una risposta logica alla sua domanda che lo tormenta da quando ha visto il corpo di Kate a brandelli.
“Perché si è uccisa? Io non capisco.” Castle si guarda le mani, cercando di nuovo quella sensazione di appigliarsi a qualcosa di reale.
Haashim si alza e gli mette una mano sulla spalla, non con l’intento di consolarlo come facevano gli agenti al Dodicesimo, ma con la voglia di aiutarlo a capire.
“Sua moglie è morta perché voleva liberarsi dall’angoscia di non poterle dare dei figli. Come faccio a saperlo? Quando Kate ha visto quei bambini, ho notato quella luce di disperazione nei suoi occhi. Si è stretta le mani al petto e ha sussurrato di sentirsi un fallimento perché non potrà mai essere madre.”
Haashim lo porta fuori, aiutandolo ad alzarsi dalla sedia. La verità fa male, gli aveva detto Martha. E continua a trafiggerlo con la spada. 
Arrivano alla casa famiglia, accanto alla moschea. Castle passeggia e prende a calci dei sassolini. Sorride amaramente a quando quell’uomo gli ha rivelato. Tutte cose che Beckett non gli aveva mai confidato. Si è uccisa perché si sentiva un fallimento, è questo che Haashim tenta di spiegargli? 
“Un gesto da egoista. Come la vecchia Kate.”
“Non è egoismo, signor Castle. Questi bambini che lei ha visto non hanno più sogni né speranze perché qualcuno glieli ha tolti. I signori della guerra e gli uomini politici che pensano ai loro interessi. Che senso avrebbe crescere un figlio in un mondo così crudele? Si guardi intorno. Che cosa vede?”
“Avrebbe potuto parlarmene invece di agire da sola.”
“Parlarle? E per dirle cosa? Non ne aveva diritto. Voleva che nessuno ostacolasse il suo cammino. Era ferma nelle sue condizioni. Tenace e testarda.”
La sua Kate era proprio così. Il sorriso gli si affievolisce sul volto. 
“Sembrava così felice.”
“E lo era, ma non condividevate la stessa felicità. Tu facevi di tutto per renderla il centro del tuo universo, ma lei ha capito di non meritare quella vita. Non quando ci sono persone a cui tale felicità è stata negata. Ha visto negli occhi di quei bambini e ha percepito tutto sotto una nuova luce. E quando si ha una convinzione così forte è impossibile spegnerla.”
“Non la rendevo felice?” le parole gli tremano sulle labbra.
“La rendeva troppo felice, tanto da non guardare oltre. Voleva meritarsi di viverla accanto.”
Castle si prende la testa tra le mani. Le gambe gli crollano e resta chino sulle ginocchia. Cerca di comprendere il gesto di Kate, vorrebbe farlo, ma per la prima volta nella sua vita da scrittore di gialli, non riesce a trovare un movente logico che l’abbia spinta a uccidersi. Se non quell’input primordiale che si annida dentro di noi fin da quando siamo nati e che esplode all’improvviso come una bomba.
Kate aveva alle spalle una vita dolorosa segnata dopo la morte della madre, che l’hanno spinta a issare un muro contro tutto e tutti. L’esser parte di un mondo violento e crescendo tra uomini di legge e criminali, aveva resto Kate ancora più diffidente verso chiunque la circondava. Non riusciva più a fidarsi completamente delle persone.
A differenza di Rick, cresciuto nel bel mondo dello spettacolo e circondato da persone che lo amavano, chi per soldi, chi per sfamare i propri bisogni fisici, Kate aveva visto la parte corrotta di New York, il lato oscuro della Grande Mela. Per essere arrivata a imbottirsi di esplosivo e farsi esplodere nel mezzo della città, significava che non ce la faceva più. Non voleva che i suoi figli, nel caso avesse potuto averne uno, crescessero in quel mondo così brutto e crudele.
Così, ancora una volta, ha pensato a se stessa e si è uccisa, impedendo ad un’altra vita di nascere. Era bastato un piccolo input per decidere di farla finita. Quando era avvenuto quell’input, Castle non riusciva a darsi risposta.  
Ride beffardo rivolgendo lo sguardo al cielo, come se sapesse che lei lo stesse guardando. 
“Anche da morta sei rimasta un mistero che non riuscirò mai a risolvere.”
Haashim lo guarda senza capire le sue parole. Lo scrittore scuote la testa, sventolando una mano per indicare di lasciar perdere.
Si alza da terra e ringrazia l’uomo per le spiegazioni che gli ha dato, ma mente sul fatto che lo abbiano aiutato a comprendere il gesto di Kate.
“Mi dispiace molto per sua moglie”, gli dice Haashim, stringendogli la mano per congedarlo. Allunga l’altra per arrivare a toccargli la spalla in segno di conforto, e gli fa un lieve ma compassionevole sorriso. “Dico sul serio.”
A Rick non resta altro da fare se non ricambiare lo sguardo, che però torna fiero e severo rivolto in avanti.
È ora di tornare a casa. Per lui non c’è più nulla da fare.
Passa per la casa famiglia e respira aria di desolazione. Ognuno dei piccoli ospiti ha un’espressione diversa sui visi tristi che fingono di divertirsi. I loro occhi sono grandi, forse diventati così perché costretti a crescere troppo in fretta dopo le tante lacrime versate.
Un bambino dai capelli scuri e ricci sta giocando con un modellino di carro armato. Castle si appoggia silenziosamente sull’uscio della porta e osserva incrociando le braccia. Haashim fa capolino per dirgli che la sua auto è pronta, ma lo scrittore lo ammonisce alzando il dito indice e lo invita a guardare il bambino.
Il carro armato avanza a gran velocità e le piccole mani si muovono imitando dei passi di danza un po’ rozzi. Il piccolo afferra un orsacchiotto marrone che posiziona davanti l’oggetto color grigio come il fumo emesso dopo l’esplosione di una bomba. E lo agita. Gli fa muovere le zampette morbide verso l’altro giochino e gli fa dire: “Signor carro armato non vorrai calpestare un animale innocente come me!”.
La genuinità di quel bambino spiazza lo scrittore. Ha solo sei anni. Come riesce a conoscere quei termini complicati? Come fa a distinguere il bene dal male se neanche un adulto riesce a farlo?
“Deve essere la loro innocenza”, gli fa notare, silenziosamente, Haashim e con un gesto della mano gli intima di seguirlo fuori. “Un bambino che nasce e cresce nell’Inferno impara a conviverci tutti i giorni e per lui le cose appaiono così naturali che gli sembra quasi di giocare con le armi da guerra”.
“E’ terribile”, osserva Rick, allontanando con un calcio dei sassolini.
“Sì, ma solo se vedi con i tuoi occhi la cruda realtà, solo quando la tua pelle si marchia di sangue e di cicatrici, e solo cadendo nel buoi dell’oscurità più profonda riuscirai a comprendere perché lottiamo e facciamo ciò che facciamo”.
“Per sopravvivere.” Ormai le parole gli escono così spontanee come se stesse scrivendo un libro. Il suo libro.
Entrambi guardano avanti, senza indugiare o farsi ulteriori domande. Il cielo azzurro pare tranquillo, e se Rick riuscisse a stare in silenzio, senza muovere un muscolo, potrebbe udire quel silenzio squarciare il suono degli uccelli.
“Siamo ciò che siamo, signor Castle.”
Rick scuote la testa, non avendo a pieno compreso quel modo di pensare distante anni luce dal suo. Forse anche lui e Kate viaggiavano su due binari diversi.
Nessuno merita di vedere l’orrore che ho visto io. Neanche i nostri figli.
Guarda Haashim che gli rivolge un sorriso spento e lo osserva allontanarsi e sedersi su una panchina mal ridotta nel parco adiacente. Scopre una gamba rivelando un pezzo di ferro che poggia sull’unico ginocchio che gli è rimasto, e inizia a lucidarla con la sua manica.
Siamo ciò che siamo, signor Castle.
“I bambini smettono di sognare nel momento in cui vedono chi ha distrutto le loro speranze. Così impugnano le armi e imparano ad odiare. Kate lo aveva capito, signor Castle. Eppure, quando vedi la luce appassita negli occhi di questi bambini, vuoi credere che vale ancora la pena combattere in questo mondo.”
Lo scrittore torna a guardare quel bambino riccio, incantato nei suoi giocattoli, mentre si alza la brezza della sera che scompiglia i suoi capelli, e vede anche spazzare via tutta la sua felicità.
 
Il piccolo George sta imparando in fretta a leggere e a scrivere. Merito dei suoi tre insegnanti che l’hanno accolto nella loro casa e da allora lo trattano come un membro della famiglia. Avevano bisogno di qualcuno che riempisse il vuoto lasciato da lei.
Vestiti nuovi per George.
Una famiglia nuova, nuovi amici, tanti libri, tutto per George.
Siamo ciò che siamo, signor Castle.
Kate era scomparsa, arrendendosi, sentendosi un fallimento. Quell’input primordiale era stato più forte di lei, facendole credere che non meritasse di vivere e di dare altra vita.
Rick, invece, è rimasto senza fuggire via, combattendo per restare vivo.
C’è ancora qualcosa di bello in questo mondo per cui lottare.
E lui, eterno sognatore e ottimista, sa che ne vale la pena.




Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
La mia paura principale era riuscire ad esprimere il gesto e il perché Kate si era fatta uccidere. Perché la mia mente malata elaborava teorie su teorie ed era difficile metterle per iscritto.
Detto ciò, mi aspetto linciaggi per aver 'trattato' Kate in questo modo :p ma in fondo l'ho sempre vista così: lei è quella persona che fugge, il suo carattere è quello, e quando poi è arrivato quell'input primordiale, il non avere figli l'ha sconvolta; ha perso la madre quando era giovane e ha visto già gli orrori del mondo prima di diventare una detective, e tutte queste cose, unite agli orrori dei bimbi nella casa famiglia, hanno risvegliato in lei questo istinto suicida.
Rick, al contrario, non si è arreso, e pensa in positivo perché è fatto così (e me lo immagino così): per questo ha deciso di adottare il bambino che lo ha colpito. Per dargli un'altra speranza.
Okay, sono pronta a ricevere padellate, fate pure :p
Grazie per essere giunti fin qui e per aver assecondato, di nuovo, le mie follie :p
A presto!
D.
   
 
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