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Autore: Soul of Paper    21/08/2015    11 recensioni
Il mio finale della quinta serie. Cosa sarebbe successo se dopo aver ricevuto quella telefonata notturna a casa di Madame Mille Lire nella quinta puntata ed essersi seduti su quel divano, le cose fossero andate diversamente? Cosa sarebbe successo se Gaetano non avesse permesso a Camilla di "fuggire" di nuovo? Da lì in poi la storia si sviluppa prendendo anche spunto da eventi delle ultime due puntate, ma deviando in maniera sempre più netta, per arrivare al finale che tutte noi avremmo voluto vedere...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Camilla Baudino, Gaetano Berardi, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell’autrice: scusatemi ancora per il ritardo ma tra trasloco, problemi di ispirazione e lunghezza mostruosa del capitolo non ce l’ho fatta a finire prima e l’editing mi ha portato via un sacco di tempo. Non posso credere di essere arrivata al cinquantesimo capitolo di questa storia che tra poco compirà due anni e… che dire… questo capitolo chiude anche una fase della storia. Come vedrete è diviso in tre parti, una prima più di tensione/investigazione, una seconda di tensione ma psicologica, di confronti e scontri e una terza più… movimentata… spero non deluda la lunga attesa e… non vi faccio perdere altro tempo e vi do appuntamento a fine capitolo ;).


 
Capitolo 50: “Playing with fire – quarta ed ultima parte”



 
“Livietta!” grida Renzo, rincorrendola, seguito a ruota da Camilla, Gaetano e Carmen, che era rimasta fino a quel momento pietrificata, assistendo alla scena in disparte.
 
Arrivati fuori, si guardano intorno, urlando il nome della ragazza, ma non la vedono. Del resto a quell’ora di sabato, d’estate, i marciapiedi intorno al parco e il parco sono pieni di londinesi e di turisti.
 
“Dividiamoci: voi controllate per strada, noi cerchiamo nel parco!” propone Camilla a Renzo e Carmen, allargando le braccia per indicare le due direzioni della lunghissima strada che costeggia il parco, non attendendo nemmeno una risposta e infilandosi a rotta di collo, seguita da Gaetano, nello stretto valico d’ingresso, che conduce a quel verde sterminato.
 
Con un cenno del capo, senza bisogno di altre parole, si precipitano lei a destra e lui a sinistra lungo il sentiero, a perdifiato, chiamando il nome di Livietta, incuranti degli sguardi incuriositi dei passanti e di chi come loro, sta correndo, ma per sport e non per un’emergenza.
 
Sanno benissimo che il parco è enorme e che, se non la trovano subito, sarà praticamente impossibile rintracciarla, peggio che cercare un ago in un pagliaio. Camilla corre fino a non avere più fiato, trovandosi infine costretta a fermarsi su una panchina, prima di rischiare uno svenimento. Gaetano corre più forte che può, facendo slalom tra turisti e londinesi, arrivando ad una biforcazione del sentiero e prendendo la destra, sperando che Livietta abbia seguito d’istinto la direzione che, secondo svariati studi psicologici, la maggior parte delle persone sceglie in un momento di emergenza. Così come, alla triforcazione successiva, prosegue dritto, sperando di non sbagliarsi. Ma, arrivato all’ennesima biforcazione e non avendola trovata, pur avendo corso con un ritmo degno di un centometrista, capisce che o ha scelto la strada sbagliata o Livietta non è proprio passata da quel lato parco, altrimenti l’avrebbe raggiunta: l’ha vista correre e, per quanto Livietta sia in forma, sa di essere più veloce di lei e poi… si erano lanciati all’inseguimento praticamente subito.
 
In un ultimo tentativo, taglia per le aiuole alberate e prova a scorgerla nei sentieri lì vicini e oltre il laghetto, ma di lei nessuna traccia.
 
Il cellulare: Camilla.
 
“L’hai trovata?” le chiede, il fiato in gola, avendo spinto ben oltre la sua normale velocità di allenamento.
 
“No! Speravo l’avessi trovata tu…” proclama con un mezzo rantolo angosciato: si sente che è senza fiato, come confermano i respiri erratici e rumorosi che sibilano attraverso l’altoparlante del telefono.
 
“No, mi dispiace, Camilla ma… a questo punto o confidiamo in una botta di fortuna o è inutile cercarla nel parco: è immenso. E poi… comincio a dubitare che ci sia entrata nel parco. Troviamoci all’ingresso e decidiamo insieme il da farsi, ok?”
 
“Ok,” conferma, in un altro sibilo.
 
“Camilla, fai con calma, non voglio che ti senti male e ormai correre non serve a niente, lo sai, vero?” le domanda, preoccupato che le venga un collasso, con questo caldo poi, “ascolta, vuoi che ti vengo incontro? Se mi dici dove sei-“
 
“No, davvero, non ce n’è bisogno. Non ti preoccupare, sto bene. Riprendo un po’ di fiato e ti raggiungo all’ingresso, ok?” lo rassicura, tra un respiro e l’altro, prima di chiudere la comunicazione.
 
Gaetano è il primo ad arrivare: la vede in lontananza, arrancare a passo lento, il viso ancora paonazzo. Le fa un cenno e sta per muoversi per raggiungerla, quando una voce lo blocca.
 
“Gaetano!”
 
“Carmen!” risponde, voltandosi e trovandosi di fronte la spagnola, il viso color peperone, i capelli incollati alla fronte per il sudore della corsa. Non gli serve domandarle nulla, per capire dall’espressione della donna che non ha trovato alcuna traccia di Livietta.
 
“Nada?” gli chiede lei, appoggiandosi alla recinzione per riprendere fiato.
 
“No,” conferma, sentendo i passi di Camilla alle sue spalle farsi sempre più vicini, fino a raggiungerlo, “Renzo?”
 
“Non so… non l’ho più visto… forse la sta ancora cercando… ah, eccolo lì!” indica Carmen e Renzo in effetti è a una ventina di metri da loro, che annaspa reggendosi alla ringhiera, mentre ogni passo sembra costargli uno sforzo immane.
 
È evidente che nemmeno lui ha avuto fortuna e che Livietta è riuscita a fuggire.
 
“E adesso che si fa?” domanda Carmen, esprimendo ad alta voce quello che tutti stavano pensando, avviandosi per andare incontro a Renzo, “anche se non l’avete trovata il parco è grande, ci sono tanti sentieri. Potremmo dividerci e-“
 
“No, credo sarebbe inutile: visto in che stato stava, si sarà voluta allontanare di qui il più possibile, quindi… anche se fosse nel parco, non credo ci resterà a lungo. Ma sono d’accordo con te, Gaetano, secondo me non ci è nemmeno entrata, o l’avremmo almeno intravista. Avrà preso un taxi, qui intorno ne passano tantissimi,” risponde Camilla, che ormai di fughe di Livietta se ne intende, indicando i caratteristici veicoli neri che affollano la strada, “provo a chiamarla, magari risponde.”
 
“Niente, ovviamente è staccato… maledizione!” esclama, chiudendo la comunicazione prima che la signorina termini di annunciare in perfetto inglese britannico che il numero chiamato non è raggiungibile.
 
È preoccupata, molto preoccupata, un’ansia che le stringe lo stomaco come una morsa, mentre i battiti del cuore non accennano a rallentare, e la corsa non c’entra niente: conosce bene sua figlia e non l’ha mai vista così furiosa e ferita. Nemmeno quando aveva avuto quel tremendo litigio con Renzo a cena, in cui si era sfogata con lui e poi era corsa a rifugiarsi a casa di Gaetano. Nemmeno dopo la loro seconda separazione. Nemmeno quando quel cretino di Ricky l’aveva lasciata e lei aveva cercato di scappare a Roma, per poi scoprire che lui la tradiva con la sua amica Giusy.
 
“Ni-niente?” rantola Renzo, giunto infine di fronte a Camilla, il volto a chiazze paonazze, l’aria di chi sta per svenire.
 
“No. Camilla pensa che ha preso un taxi e credo che abbia ragione. Ha provato a chiamarla ma ha già staccato il cellulare,” lo aggiorna Carmen, posandogli un braccio intorno alla schiena per cercare di sorreggerlo, ma lui si scansa, passandosi una mano tra i capelli, mentre con l’altra ancora si tiene alla ringhiera.
 
“E ora? Londra è… è immensa! Potrebbe essere… ovunque!” pronuncia Renzo, espirando forte e tormentandosi gli occhi.
 
“Magari è solo andata a fare due passi per sfogarsi e torna da sola…” prova a rincuorarlo Carmen, anche se il tono non è molto convinto.
 
“No, non l’ho mai vista così, mai e… qui non ci torna di sicuro…” replica Camilla, scuotendo il capo prima di sibilare, il tono che passa dal preoccupato al glaciale, rivolgendosi a Renzo, “non finché ci sei anche tu, almeno!”
 
“Camilla, per favore, io-“
 
“No, per favore niente! Maledizione Renzo, ti ho pregato, ti ho implorato di stare zitto, di lasciarmi spiegare, ma tu niente, sei partito in quarta e ci sei andato giù come un bulldozer, come al tuo solito!!” esclama, in quello che è quasi un grido, fregandosene dei possibili passanti, troppo infuriata per trattenersi, “prega che la troviamo prima che le capiti qualcosa, Renzo, o ti giuro che non rispondo di me!”
 
“E certo, è sempre colpa mia, no, Camilla?! Tu mi conosci e lo sai quanto ero e sono furioso con questo… con questo qui, ho fatto uno sforzo immane per non andare a cercarlo ieri a Torino, perché sapevo che se me lo trovavo davanti altro che non rispondere di me e tu che fai?! Vieni qui e me lo piazzi davanti, così!”
 
“Se ho portato con me Gaetano è perché, visto quello di cui l’hai accusato, pensavo fosse giusto, anzi, necessario che venisse di persona a chiarire questo malinteso con te. Che ne parlaste direttamente e-“
 
“Ma sapendo quanto ero infuriato, avresti potuto, che ne so, degnarti di chiarire prima tu con me, di spiegarmi e magari dopo farmelo incontrare! Non così, a tradimento! Sembra che ci godi a farmi impazzire, Camilla, a farmi uscire di testa, soprattutto davanti a nostra figlia, a farmi fare la figura del cattivo, dello stronzo, del pazzo e-“
 
“Ci godo?! Ci godo?! Secondo te io ci godo che ogni volta che sembra che le cose si stiano sistemando, con te, con nostra figlia, che sembra andare tutto bene, tu ne combini una delle tue e mi tocca pregare che stavolta Livietta non ci mandi a quel paese sul serio o che non si cacci in qualche guaio irreparabile, andare a cercarla e poi provare a rimettere insieme i pezzi?! Io non ne posso più Renzo, non ne posso più!!! Vorrei solo un po’ di serenità, o almeno di pace, vorrei non dover vivere con il pensiero costante che da un momento all’altro mi ritroverò di nuovo in guerra con te, a fare da paciere con nostra figlia o a fare da crocerossina e magari pure a consolarti quando ti rendi conto di avere fatto l’ennesima cazzata e torni a pregarmi di aiutarti a recuperare con le tue lacrime da coccodrillo!”
 
“Camilla-“ prova a bloccarla Gaetano, rendendosi conto dal tono furibondo, dal modo in cui si protende verso Renzo, dalle parole usate che sta per perdere il controllo, ma Camilla lo scrolla via.
 
“Vuoi la serenità? Vuoi la pace? Che Livietta non si cacci in guai irreparabili? E allora non dovevi metterti con un pazzo incosciente che scopre che nostra figlia si è innamorata di un dongiovanni che ha come minimo il doppio dei suoi anni e non ci dice niente!!! Ma sì, no?! Tanto tutto è permesso, tutto è lecito! E poi tocca sempre a me fare la figura del mostro perché cerco invece di difenderla, di proteggerla, di tenerla sotto controllo! Dovresti ringraziarmi, invece che darmi la colpa di quello che succede per colpa della tua irresponsabilità e-“
 
“Renzo, por favor, basta, non-“ prova a fermarlo Carmen, prendendolo per un gomito, temendo un’escalation, dagli sguardi assassini che i due coniugi si lanciano e dal fatto che ormai sono a due centimetri l’uno dall’altra. Ma Renzo si sottrae, tirando il braccio in avanti.
 
La mia irresponsabilità??!! Non ti permettere mai più di insinuare che io metterei in pericolo Livietta, quando sei proprio tu con i tuoi atteggiamenti da medioevo a incitarla a mentirci e a nascondere le cose e-“
 
Con la complicità del tuo amante!” grida Renzo, ormai fuori di sé.
 
“Gaetano non è il mio amante e non-“
 
“BASTA!”
 
Il grido, pronunciato all’unisono da Carmen e Gaetano che, in una sincronia tanto perfetta quanto involontaria, afferrano Camilla e Renzo costringendoli a fare un passo indietro, mette fine almeno per un secondo alla litigata.
 
“Basta, por dios! Non è il momento!” urla Carmen, frapponendosi fisicamente tra i due ex, sapendo benissimo che non sarebbe una buona idea che lo facesse Gaetano, visto che Renzo sarebbe più che capace di colpirlo, mentre Camilla non oserebbe mai alzarle le mani, “scannarvi non vi aiuterà a trovare Livietta!”
 
“Carmen ha ragione: dobbiamo pensare solo a lei, a rintracciarla il prima possibile!” la spalleggia Gaetano, sentendo Camilla afflosciarsi improvvisamente tra le sue braccia e smetterla di resistere, di dibattersi.
 
E anche Renzo sembra accusare il colpo, appoggiandosi di nuovo alla ringhiera, come se non avesse più forze, coprendosi gli occhi con l’altra mano.
 
“Avete ragione… sono… sono un’idiota, siamo due idioti ma… ma come facciamo a rintracciarla, maledizione?! Londra è una città enorme, sterminata! È peggio che cercare un ago in un pagliaio!” esclama Camilla, l’angoscia evidente nel tono di voce, voltandosi verso Gaetano e trafiggendolo con un’occhiata disperata che gli fa male da morire e che lo spaventa ancora più di quanto già fosse, anche se non può darlo a vedere.
 
“Camilla, devi cercare di restare calma e non farti prendere dal panico. Respira piano, brava, così,” la incoraggia, seguendo per qualche istante i movimenti del suo torace, mentre prova ad inspirare ed espirare con calma e lentezza. Quando è sicuro che riesce a reggersi in piedi da sola e che si è lievemente tranquillizzata, solleva le mani dalle braccia di lei per incorniciarle il viso e chiederle, guardandola negli occhi, “Camilla, ti ricordi cosa mi dici sempre, cosa mi hai sempre detto ogni volta che mi sembrava che un problema, che un’indagine non avesse soluzione?”
 
“Fa- fai quello che sai fare?” mormora, sentendo, quasi come per magia, la morsa nello stomaco allentarsi e ritrovando finalmente il fiato.
 
“Esatto. Facciamo quello che sappiamo fare e ritroviamola insieme, ok?” la esorta, il peso sul cuore che si fa più lieve quando la vede annuire e sorridere, anche se flebilmente.
 
Come per un tacito accordo, si voltano verso Renzo e Carmen che li osservano.
 
“E come pensate di fare? Con la magia o i superpoteri?” domanda l’architetto con un sopracciglio alzato e uno sguardo tra l’abbattuto, l’incredulo e il sarcastico, “come hai detto tu stessa poco fa è come cercare un ago in un pagliaio e-“
 
“Non è facile, d’accordo, ma non è impossibile,” rassicura Gaetano, chiarendo, di fronte all’espressione scettica di Renzo, “basta andare con ordine e mettere insieme le informazioni: Livietta non è un ago, è una ragazza intelligente e con un certo istinto di sopravvivenza, a giudicare anche dalle sue fughe precedenti e-“
 
“Tipo quella con Bobo?” gli fa notare Renzo, il sopracciglio che ha ormai raggiunto la cima della fronte, anche se il tono non è più battagliero ma sembra esausto e scoraggiato.
 
“Renzo, por dios, non ricominciamo, vale?” lo interrompe Carmen, mettendogli le mani sulle spalle, “Gaetano è un poliziotto e da quello che ho visto il suo lavoro lo sa fare bene. E Camilla… se non sto a marcire in una galera è solo grazie a lei. Sono sicura che se c’è qualcuno che può trovare Livietta sono loro e-“
 
“E non io…” sospira Renzo, amaro, sapendo che Carmen ha ragione e odiandosi per questo, per essere così inutile, impotente, inerme, per non poter competere con… con loro… con questo maledettissimo talento che gli ha portato via Camilla, ma che ora è la sua unica speranza.
 
“Renzo, non-“
 
“No, Carmen, hai… hai ragione. D’accordo… fate… fate quello che sapete fare,” li prega, prima di mettersi di nuovo la testa tra le mani.
 
“Allora… partiamo da… dalle domande di rito in questi casi. Che cosa aveva Livietta con sé? Soldi? Cellulare? Carte di credito anche se immagino non intestate a lei?” domanda Gaetano, assumendo, anche se inconsciamente, il tono professionale.
 
“Aveva… aveva il suo solito portadocumenti da viaggio… quelli antiborseggio, che si possono tenere al collo, sotto i vestiti. Se lo portava dietro anche per fare colazione, perché le avevo raccomandato di non lasciare mai i documenti incustoditi in camera,” ricorda Renzo, sforzandosi di fare mente locale, “e aveva anche il cellulare, sì, ce l’aveva sul tavolo della colazione e-“
 
“E quando ci siamo alzate da tavola l’ha rimesso in tasca,” conferma Carmen, gli occhi chiusi mentre cerca di visualizzare ogni dettaglio.
 
“Nel portadocumenti aveva anche soldi? Carte?”
 
“Niente carte… tanto era sempre con me o con Carmen per le spese grosse ma… ma le avevo lasciato delle sterline per… per le piccole spese o in caso di emergenza.”
 
“Quante sterline, Renzo?” domanda Gaetano, sapendo che le risorse per la fuga possono incidere e di molto sul tipo di fuga.
 
“Mah… tra le cento e le duecento… dipende da quante ne ha spese, non credo molte… ripeto, è sempre stata con me o con Carmen, raramente ha dovuto pagare lei.”
 
“Beh… questo restringe di molto il campo. Con i costi di Londra con poco più di cento sterline… praticamente è difficile tirare a campare un giorno, massimo due, pure mangiando al fast food… gli alloggi sono carissimi e… e Livietta non mi sembra il tipo da mettersi a dormire per strada, per quanto disperata o arrabbiata possa essere, salvo sia proprio questione di sopravvivenza,” ragiona Gaetano, vedendo, dal modo in cui Camilla annuisce, che è d’accordo con lui.
 
“Sì… e poi… affittare una macchina non può visto che è minorenne e non ha la patente… in taxi con quei soldi non può di certo andare lontano… o prende un autobus o un treno ma… per andare dove? Non conosce nessuno qui in Inghilterra…” riflette Camilla, mordendosi il labbro, mentre cerca di concentrarsi.
 
“Beh, ma… non aveva fatto una vacanza studio a… a Brighton?” le fa notare Renzo, ricordando benissimo quanto era stato in ansia per quel viaggio e che aveva acconsentito proprio perché non si trattava di Londra ma di un posto più tranquillo e adatto a una ragazza di 14 anni.
 
“Sì, ma sono passati due anni e… a parte che secondo me in quella vacanza, come al solito, sono stati più tra compagni italiani e con gli altri studenti internazionali che con qualcuno di inglese, ma poi… cioè anche se fosse rimasta in contatto con qualcuno… per presentarti da una persona dopo due anni a chiedere ospitalità… ci deve essere un rapporto stretto, no? E non ci ha mai parlato di nessuno, personalmente non l’ho mai vista chattare con nessun inglese e… se avesse avuto amici così stretti a Brighton o comunque in Inghilterra magari ti avrebbe chiesto di andarli a trovare un giorno, no? Anche perché Brighton è anche un bel posto… turistico… e-“
 
“E di sicuro non a buon mercato, e non alla portata delle sue finanze, soprattutto ad agosto,” conclude Gaetano, trovandosi di nuovo d’accordo con Camilla, “ha conosciuto qualcuno qui in questi giorni per caso? Qualche ragazzo? Qualche ragazza? Anche se da quello… da quello che c’era scritto su quel pezzo di diario non si direbbe.”
 
“No, è sempre rimasta o con me o con Renzo. In discoteca ha ballato con delle ragazze ma non l’ho vista scambiarsi numeri di telefono, poi… è stata una cosa di un momento… no, devo dire che se ne è stata parecchio per conto suo, fin troppo per la sua età… del resto avendo noi tra i piedi…” sospira Carmen, che più volte si era chiesta, soprattutto negli ultimi giorni, con Renzo musone e lunatico – e ora finalmente capiva il perché – se Livietta si stesse divertendo almeno un po’ o se avrebbe preferito stare da qualunque altra parte invece che lì con loro, “se vuoi ti dico dove siamo stati… ma a parte qualche locale erano quasi tutti i classici posti da turisti…”
 
“Capisco... quindi diciamo pure che Livietta non conosce bene la città, non conosce nessuno… analizziamo le sue fughe precedenti per capire il suo… modus operandi, per così dire… a parte la fuga con Bobo, che lì voleva solo raggiungerlo e… diciamo che la situazione era molto diversa, abbiamo…”
 
“Beh, la fuga verso Roma, quando voleva raggiungere Ricky ma poi ha scoperto che se la faceva con la sua migliore amica e Greg l’ha aiutata a tornare dalla stazione, ubriaca persa…” ricorda Camilla, anche se al solo pensiero le risale l’ansia, “e poi la fuga dopo la cena a casa mia… che poi in realtà di fuga aveva poco, visto che si è rifugiata a casa tua.”
 
“Quindi cosa ne deduciamo? Cosa hanno in comune?” la sollecita Gaetano, per vedere se ha la sua stessa idea.
 
“Mah non lo so… forse che non è andata in giro per locali o… o in posti sconosciuti. Nel primo caso è rimasta in stazione ad ubriacarsi… nel secondo caso… voleva solo allontanarsi ma per andare in un posto tranquillo, dove si sentisse al sicuro… un posto dove Renzo non avrebbe mai pensato di cercarla… per stare da sola… riflettere…” ragiona ad alta voce, concentrata nel visualizzare, nel collegare, senza notare l’espressione di Renzo quando sottolinea che se Livietta scappa è per evitare lui.
 
“E quindi forse anche stavolta, che mi sembra un caso più simile alla fuga verso casa mia, che alle altre fughe per raggiungere qualche ragazzo… probabilmente vuole appunto allontanarsi, non… non vedere Renzo e… forse neanche noi – dipende da con chi è arrabbiata – e starsene in pace ma… non vuole sparire sul serio, no? A parte la fuga con Bobo, negli altri casi Livietta non voleva sparire nel nulla…” commenta Gaetano, elaborando ulteriormente il pensiero di Camilla.
 
“Già… quindi un posto dove non penseremmo di cercarla – va beh, qui a Londra per quello ha l’imbarazzo della scelta – però anche un posto tranquillo, sicuro, familiare… ma… non so se Livietta abbia un posto del genere a Londra. Non la conosce abbastanza e-“
 
Camilla si blocca bruscamente, sollevando gli occhi di scatto e incrociando quelli di Gaetano. Capisce all’istante che hanno avuto la stessa intuizione.
 
“Livietta può espatriare da sola immagino?” le chiede Gaetano, a ulteriore conferma che, sì, stanno come sempre pensando la stessa cosa.
 
“Sì… sì… almeno nei territori dell’Unione Europea e-“
 
“E con le compagnie aeree low-cost, costa molto meno tornare in Italia in aereo che passare un giorno o una notte a Londra…” conclude per lei la frase, avvalorando ad alta voce la sua ipotesi.
 
“Dobbiamo andare in aeroporto, di corsa!” proclama Camilla, voltandosi istintivamente verso Renzo e Carmen che, a quanto ne sa, sono automuniti. Quasi si blocca quando li vede lì, in disparte, in silenzio, ad osservare lei e Gaetano con un’espressione tra lo stupito, il confuso e, soprattutto nel caso di Carmen, l’impressionato.
 
“Avete una macchina? Non c’è tempo da perdere, se ha preso un taxi potrebbe già essere in aeroporto,” ribadisce Gaetano, notando a sua volta come i due architetti sembrino in trance.
 
“Ma… ma siete davvero sicuri che sia andata in aeroporto? Come fate a dirlo?” pronuncia infine Renzo, cauto.
 
“È un’ipotesi, Renzo, ovviamente non possiamo essere sicuri al cento per cento, ma… hai idee migliori? Ti prego, fidati di me, di noi per una volta!” replica Camilla, decisa, guardandolo negli occhi, sperando che capisca e che non faccia altre opposizioni, altre polemiche.
 
Renzo si limita ad annuire, trattenendo in gola il desiderio di rinfacciarle che lui di lei si è sempre fidato, anche troppo.
 
Ma se, per quanto riguarda il loro matrimonio, probabilmente ha fatto male a fidarsi, per quanto riguarda il talento di Camilla per le indagini sa che, anche se non lo ammetterà mai, ogni volta che l’ha vista in azione non si è praticamente mai sbagliata.
 
Prega che sia così anche stavolta.
 
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“We are looking for a girl: Livia Ferrero. It’s likely that she booked a flight to Turin and-“
 
“I am sorry, sir, but the passengers’ list and identities are confidential information that I am not authorized to divulge to-“
 
“I know, I know,” rassicura Gaetano, con il tono più neutro, pacato ma anche autorevole che possiede, estraendo il distintivo e mostrandolo all’addetta al check-in.
 
Il volo per Torino è in partenza tra meno di un’ora ed è l’unico della giornata. Certo, Livietta potrebbe sempre prendere un volo per Malpensa e fare l’ultimo pezzo in treno, ma se ha pochi soldi, questa è l’opzione più economica. Deve avere questa informazione, subito.
 
“Poli-zia?” pronuncia la ragazza, incerta.
 
“Yes, I am with the Italian police, I used to work with the Interpol, see?” le fa presente, sfoderando anche il vecchio tesserino di quando era a Praga, “I know this is confidential information, but this girl is underage, she is sixteen and these are her parents and she is running away. If she gets to Italy and disappears, you understand that we could hold you and your company responsible for obstructing the investigation on-“
 
“One moment, please!” ribatte la ragazza, chiaramente preoccupata di fronte alla prospettiva di grane per se stessa o per la compagnia aerea. Lo sfoggio di autorità evidentemente ha funzionato, ma se la ragazza chiede il parere ai superiori… Gaetano spera che acconsentano.
 
“Ok, I just need to make a copy of your documents and also their documents,” richiede la ragazza, dopo aver parlato al telefono con qualcuno più in alto e Gaetano le lascia il distintivo. Sa di non stare seguendo esattamente delle procedure ortodosse, ma ritrovare Livietta conta più di tutto. Ad eventuali grane con la polizia britannica ci penserà dopo.
 
La ragazza fotocopia il tesserino e le carte di identità di Renzo e Camilla e poi consulta finalmente il suo database.
 
Dopo un’interminabile round di spelling del nome e del cognome di Livietta, la ragazza scuote il capo.
 
“No, she is not on the flight to Turin, I am sorry,” pronuncia e Gaetano sente il cuore finirgli nello stomaco, ma ha ancora un asso nella manica
 
“Can you check also the flights to Milan? Please?”
 
“Ok, ok,” sospira la ragazza, facendo un altro rapido controllo, per poi di nuovo pronunciare quelle nefaste parole, “no, she is not on any flight to Milan either. I am sorry.”
 
Gaetano volta lo sguardo verso Camilla e non servono parole per capire l’impatto della notizia: è pallidissima e morde il labbro per mascherare l’angoscia.
 
Dietro di lei, Renzo sembra quasi incurvarsi, mentre Carmen di nuovo gli posa una mano sulla spalla.
 
“E adesso?! Eppure ero… ero sicura, maledizione! Dove può essere finita?” si chiede Camilla, gettando le mani in aria, mentre le persone dietro di loro rumoreggiano di togliersi da lì e liberare la fila, “insomma… luogo tranquillo… sicuro… pensavo volesse solo tornare a casa e-“
 
“Ma certo!” esclamano, guardandosi di nuovo negli occhi: come avevano fatto a non pensarci prima!
 
“Rome. The flights to Rome, please!” implora Gaetano, rivolgendosi di nuovo all’addetta.
 
“Sir, there are other people in line and this is highly irregu-“
 
“I know, I know. It’s the last one, I promise. But her other relatives are all in Rome. Please, I beg you, I wouldn’t insist, if it were not important, please!” insiste, sfoderando il suo sguardo più convincente e sperando che funzioni.
 
“Ok…” sospira la ragazza, facendo quest’ultima verifica sui voli per Roma. Come il sole dopo una tempesta, vedono il suo volto illuminarsi, “yes! Livia Ferrero. She is on the next flight to Rome but… it is boarding now. She may be already on board and-“
 
“Please, we need to stop her, please! I can buy a ticket if you want, any ticket, to get past security and-“
 
“No, no, you wouldn’t make it in time. I will check with the managers and we will try to stop her. I cannot promise you anything but…” risponde la ragazza, rifacendo di nuovo un giro di chiamate ai suoi superiori in un tono concitato e rapidissimo, “please, wait there. They are trying to intercept her and they will bring her here.”
 
“Cioè… praticamente la bloccano e ce la portano qui? Speriamo in bene… se si vede circondata da dei figuri che la fermano… conosco Livietta e…” pronuncia Camilla, mentre, non potendo fare altrimenti,  lasciano libera la fila, guadagnandosi qualche commento ben poco british dai signori alle loro spalle.
 
“Camilla, lo so, ma dobbiamo pregare che la fermino, è l’unica soluzione. Siamo già stati molto fortunati che abbiano accettato: queste compagnie low-cost si vantano della puntualità ed è rarissimo che ritardino una partenza o fermino un volo. Anche perché se non la blocchiamo qui, dobbiamo mandare qualcuno ad intercettarla a Roma…”

“Tipo mia madre? Oddio… forse sono meglio gli addetti alla security…” sospira Camilla, sapendo già la tragedia che si scatenerebbe coinvolgendo Andreina, tra Livietta, lei e soprattutto Renzo. E hanno già abbastanza problemi senza che sua madre ci aggiunga il suo carico da undici, vista l’opinione che Andreina ha di Renzo e la sua totale incapacità di essere un minimo diplomatica.
 
“Di sicuro…” sentono sospirare Renzo in quello che è poco più di un sussurro.
 
Si voltano verso di lui e Carmen, che si sono seduti su due delle seggiole libere dietro di loro. Camilla incontra lo sguardo di Renzo che sembra ancora mezzo sconvolto e scombussolato, ma decisamente sollevato, come se fosse appena successo un miracolo.
 
E forse è davvero un miracolo, con tutto quello che poteva capitare, anche se Camilla non si sente e non si sentirà sicura fino a che non avrà Livietta di nuovo tra le sue braccia.
 
“Grazie,” pronuncia Renzo sinceramente, dopo attimi infiniti di silenzio, continuando a guardarla negli occhi.
 
“Non devi ringraziare me, ma Gaetano. Se non fosse stato per le sue intuizioni, per avermi aiutata a ragionare e… per il suo distintivo e il suo savoir-faire… non saremmo mai riusciti né ad arrivare qui, né a convincere quella ragazza a darci le informazioni che ci servivano,” replica Camilla, mantenendo a sua volta il contatto visivo.
 
“E va bene… siete una squadra fortissimi! Congratulazioni e complimenti! È questo che volevi sentirti dire?” non riesce a trattenersi dal chiederle, sarcastico.
 
Perché la verità è che, Renzo non può più negarlo a se stesso, lo sono davvero: l’intesa che c’è tra loro, che c’è sempre stata tra loro e che, da quando sono… una coppia, è perfino aumentata, è sempre stata qualcosa di inspiegabile, di innegabile, di incredibile e di… di dannatamente invidiabile.
 
E non solo sulle indagini: che stiano preparando la colazione, discutendo o indagando, c’è tra loro questa stramaledetta complicità. Si capiscono al volo, pensano le stesse cose, dicono le stesse cose, quasi come se fossero una persona sola.
 
È come se entrassero in un mondo solo loro, un mondo di cui, Renzo lo sa, lui non ha mai fatto e non farà mai parte, e non solo perché lui nelle investigazioni è una frana e non ha e non avrà mai il dono di Camilla e… e del poliziotto.
 
Il punto è che lui e Camilla non avevano mai avuto nulla di paragonabile, non erano mai stati così, nemmeno nei momenti migliori del loro matrimonio, nemmeno dopo dieci anni insieme. Erano stati complici, certo, amici ma… lui non riusciva a capirla come il dannato poliziotto riusciva a fare, c’erano dei lati di Camilla che non solo non capiva ma che lo infastidivano, lo turbavano. E c’erano lati di lui che Camilla non aveva mai capito, mai compreso, che la infastidivano e la turbavano… come le sue ambizioni sul lavoro, la sua passione per i progetti importanti, il suo desiderio di fare carriera, che lei non aveva mai condiviso, questo lo sa bene.
 
Mentre con il poliziotto… era come se tutti i lati di Camilla che a lui come marito, come padre, come uomo facevano più paura… era come se fosse proprio di quelli che al poliziotto piacevano di più.
 
Era ed è come… come se fossero fatti l’uno per l’altra. Quanto l’aveva odiata quella frase, quanto la odia ancora… ma è vera. Ma lui aveva sperato, aveva sperato fino all’ultimo che quello che c’era tra lui e Camilla, la loro vita insieme, una vita insieme, fosse più forte, che sarebbe sempre stato più forte anche se… anche se loro invece non erano fatti l’uno per l’altra.
 
Non erano incompatibili, certo, ma non erano nemmeno davvero compatibili, non lo erano mai stati e con gli anni, passato l’innamoramento e l’amore folle dei primi tempi, era diventato sempre più evidente, ma non per questo meno doloroso o più semplice da accettare. Non sa se riuscirà mai ad accettarlo del tutto, ad accettare che quello che ha vissuto con lei non tornerà mai più, che non torneranno mai più quel Renzo e quella Camilla innamorati, sereni, quando gli bastava un sorriso di lei per sentirsi in pace con il mondo, quando non gli serviva altro per essere felice. E, soprattutto, quando sapeva con certezza che anche per lei era lo stesso e quando poteva davvero credere che sarebbe stato così per sempre.
 
Un povero illuso, ecco cos’era.
 
“No, Renzo, bastava appunto un grazie e magari anche uno scusami. Ma immagino che sarebbe pretendere troppo, no?” gli domanda Camilla, pungente, ridestandolo dai suoi pensieri.
 
Sta per ribattere quando due uomini della security dell’aeroporto si piazzano davanti a loro, intimando, in tono abbastanza sbrigativo, di seguirli.
 
Camilla lancia un’occhiata a Gaetano che annuisce: del resto non hanno molte altre alternative. Spera solo che non siano nei guai.
 
Li conducono verso la zona degli arrivi, da dove escono i passeggeri appena scesi dagli aerei, subito dopo l’area bagagli, e chiedono di nuovo loro i documenti, per comprovare che sono effettivamente i genitori di Livietta e un agente di polizia.
 
Hanno appena finito di sbrigare le formalità, quando sentono degli schiamazzi e riconoscono immediatamente la voce di Livietta. E non ci vuole un grande intuito per capire che è fuori di sé.
 
“What are you doing?! I didn’t do anything! Let me go! Let me go!” grida la ragazza, tra lo spaventato, l’arrabbiato e il disperato, scortata da quattro addetti alla sicurezza, di cui due grossi come armadi che la tengono per impedirle di divincolarsi.
 
“Livietta!” chiama Camilla, maledicendosi per non aver insistito per raggiungere di persona Livietta e maledicendo questi quattro idioti per trattare una sedicenne come la peggior criminale, pure se Livietta avesse fatto resistenza.
 
“Mamma!” urla e alla paura, alla rabbia e alla disperazione, si sommano sollievo e incredulità, “mamma!”
 
“Let her go, please!” implora Gaetano, rivolto sia agli energumeni che ancora trattengono Livietta, sia ai due che li avevano scortati fin lì.
 
Grazie al cielo questi ultimi fanno un cenno agli altri quattro e i due armadi mollano la presa su Livietta, che si fionda tra le braccia di Camilla, lasciandosi andare alle lacrime.
 
“Mi dispiace… mi dispiace… hai avuto tanta paura?” sussurra Camilla alla figlia, che scuote il capo sul suo petto, “mi dispiace ma… non ci hanno permesso di raggiungerti e… non avevamo scelta… mi dispiace.”
 
Livietta scuote di nuovo il capo e poi lo solleva, guardando la madre, gli occhi e il viso di entrambe che sembrano due pozze d’acqua.
 
“Scusami mamma… è che… volevo andare da nonna e… ti avrei chiamata dopo ma… non ce la facevo più… non ce la faccio più e-“ si blocca bruscamente quando infine vede Renzo e Carmen in piedi pochi passi dietro di loro, “che ci fa lui qui?!”
 
“Livietta, io-“ prova ad intervenire Renzo, ma Livietta, come un fiume in piena non lo lascia parlare.
 
“Non lo voglio vedere, mamma, per favore! Non… non ce la faccio!” esclama Livietta, la voce carica di una disperazione e di una rabbia che è peggio di un colpo al cuore.
 
“Livietta, ascoltami, tuo padre era… era davvero molto preoccupato per te, come tutti noi e-“
 
“Perché? Pensava che fossi scappata per correre da Lorenzo? O con un altro uomo? O con più di uno? O magari che volessi andare a Roma da Marco, vista l’opinione che ha di me…” sbotta sarcastica, non riuscendo a trattenere la collera.
 
“No, no, maledizione, Livietta, no! Avevo paura che ti succedesse qualcosa! Lo capisco che sei arrabbiata con me, ma non puoi prendere e scappare ogni volta e farci prendere un infarto!” esclama Renzo, provando ad avvicinarsi alla figlia e all’ex moglie.
 
“Senti chi parla! Chissà da chi avrò preso sulle fughe, no?!” proclama, sarcastica, prima di rivolgersi di nuovo alla madre e di implorarla, “ti prego, non lo voglio vedere! Non voglio stare qui! Riportami a casa, ti prego!”
 
“Livietta, per favore, non-“ tenta di nuovo di inserirsi Renzo, ma uno degli uomini della security, di fronte a quella scena, dopo aver parlottato con i colleghi, si rivolge a Camilla, interrompendolo.
 
“Is everything ok, madam?”
 
“Yes, yes, just one second,” risponde Camilla, capendo che, se si mettono a fare una piazzata qui, rischiano pure grane con la security e magari pure che avvisino la polizia. E non vuole casini, né per sé, né per Livietta, né per Gaetano che con la storia del distintivo ha già rischiato abbastanza.
 
“Livietta, per favore, andiamocene di qui, adesso, ok? Ti prometto che se non vuoi stare qui ti riporto a casa, ma… hai anche le valigie in albergo e pure io e Gaetano… e qui tra un po’ ci arrestano tutti se andiamo avanti così. Andiamo in albergo, ci sistemiamo, ci calmiamo un attimo e poi se vuoi torniamo a Torino, ok?” cerca di tranquillizzarla, prendendole il viso tra le mani e guardandola negli occhi.
 
“Ok…” sospira Livietta, annuendo, sapendo che è l’unica cosa da fare e non volendo certo creare problemi a sua madre e a Gaetano.
 
“Ok, everything is ok. We are bringing her back to the hotel with us. Thank you again, sirs,” si rivolge camilla agli addetti della security con un sorriso educato – nonostante vorrebbe menarli per il trattamento riservato alla figlia – mentre anche Livietta annuisce e si sforza di sorridere e far capire che va tutto bene.
 
Dopo qualche altra domanda e raccomandazione a Livietta, gli addetti alla security finalmente li lasciano andare. Si avviano all’auto il più rapidamente possibile, prima di rischiare altri intoppi.
 
“Non voglio sedermi vicino a lui!” intima Livietta, indicando il padre, visto che Renzo stava cercando di prendere posto sul sedile posteriore insieme a lei e a Camilla.
 
“Renzo, per favore puoi-“ domanda Camilla, non volendo esasperare ulteriormente gli animi e Renzo con un sospiro e l’aria di chi si sforza di deglutire un macigno e di trattenere le lacrime, si siede sul sedile anteriore dal lato del passeggero, lasciando che sia Gaetano a prendere posto accanto a Livietta.
 
Silenzio.
 
I primi chilometri trascorrono in un silenzio quasi surreale, la tensione che sembra riempire ogni singolo pertugio dell’auto, mentre Carmen, ormai abituata alla guida a sinistra, cerca di navigare nel traffico congestionato di un sabato d’agosto, tra turisti e londinesi.
 
“Livietta, ti prego, ascoltami, lo so che ho esagerato e… e ho sbagliato ma… prova a capirmi, per favore, io-“ osa infine pronunciare Renzo, rompendo gli indugi e voltandosi verso il sedile posteriore, ma sua figlia lo fulmina con lo sguardo, troncandolo bruscamente.
 
“Sono stufa di capirti, stufa!!! Dovresti essere tu a capire me e non il contrario! Io non ce la faccio più e non ti voglio parlare, non ti voglio ascoltare!!”
 
“Livietta, lo capisco che sei arrabbiata con tuo padre, credimi che lo sono anche io, ma su una cosa ha ragione: non puoi scappare tutte le volte che… che c’è un problema. È pericoloso, molto pericoloso e… i problemi non si affrontano fuggendo ma affrontandoli insieme come-“
 
“Come avete sempre fatto voi, no, mamma?!” la interrompe Livietta, pungente e amara, “soprattutto LUI, ma anche tu. Per quanto sei scappata da un problema? Dieci anni? Quante città abbiamo cambiato? Quante pause di riflessione vi siete fatti? Tutto per affrontare il problema, no?”
 
Camilla, colpita dalla verità di questa affermazione come uno schiaffo in pieno viso, non può fare altro che incassare in silenzio, dovendo ammettere che Livietta, in fondo, non ha torto: tra l’esempio suo e di Renzo, non le hanno certo insegnato ad affrontare i problemi di petto.
 
“Io non posso pensare che tu abbia creduto che io… che io avrei fatto una cosa così a mamma! Che tu pensi questo di me!” prosegue Livietta, imperterrita e indignata, rivolta questa volta al padre, per poi voltarsi di nuovo verso la madre e aggiungere, ferita e incredula, “e che tu nonostante tutto lo difendi ancora, dopo quello che ha insinuato non solo su Gaetano, ma su di me!”
 
“Io non lo sto difendendo, Livietta: tuo padre ha sbagliato e ho cercato in tutti i modi di farglielo capire e sono molto arrabbiata con lui! Ma cerca di capire anche me, Livietta, anche noi, tutti noi. Ci siamo spaventati e-“
 
“Lo so, ma io non ce la faccio più! Non sopporto più le vostre liti e soprattutto non sopporto più  il modo in cui mi tratta LUI, come se fossi una deficiente, un pericolo pubblico o… una zoccola!”
 
“Non dirlo neanche per scherzo, Livietta, io non l’ho mai pensato e-“
 
“Ah, no? Mi hai solo accusata di farmela con l’uomo di mia madre, ah, ma già, giusto, non sono una zoccola, è che mi innamoro facilmente. E quindi sono una facile, in poche parole!” sibila Livietta, il tono più che amaro, più che duro, affilato come un rasoio, tagliente come quelle accuse che l’hanno ferita a morte.
 
“Non sei una facile, ma vuoi negare che ti innamori facilmente? E sempre di mascalzoni, oltretutto?!” sbotta Renzo, non riuscendo più a trattenersi, furioso con lei che non riesce a capire e con se stesso, per non riuscire a farle capire, “e prima Ricky, che ti tradiva con la tua migliore amica, e poi Bobo che era un assassino e adesso pure l’istruttore che ha il doppio dei tuoi anni e che non solo probabilmente cambia una ragazza a sera e ne ha mollata una ubriaca in un pub, alla faccia della difesa personale, ma che-“
 
Renzo interrompe di botto la sua tirata, rimanendo per qualche istante fermo, a bocca aperta, mentre il suo cervello fa un collegamento che fino a quel momento gli era sfuggito.
 
“Aspettate un momento!” esclama, alternando lo sguardo tra i tre occupanti del sedile posteriore, ma concentrandosi soprattutto su Camilla, gli occhi che gli si stringono a fessura, insieme ai pugni, “tutta la storia della lezione di difesa… della mossa… della mossa antistupro… tu mi hai detto che non è mai successa. Che l’istruttore non è caduto sopra Livietta durante la vostra ultima lezione!”
 
“E infatti… e infatti non è successo durante la nostra ultima lezione,” ammette Camilla con un sospiro, sapendo che il momento della verità è arrivato e preparandosi all’esplosione, “l’istruttore ha… ha dato a Livietta delle… delle lezioni private per… per recuperare quelle che aveva perso quando eravamo a Roma e-“
 
“E tu lo sapevi?! No, certo che non lo sapevi! Ma… ma LUI sì, non è vero?!” domanda in quella che è più un’affermazione, puntando il dito verso Gaetano.
 
“L’ho scoperto per caso… li ho visti insieme davanti alla palestra che frequento anche io ogni tanto, ci ero andato per informarmi per un corso per Livietta a settembre e-“ prova a spiegare Gaetano, ma l’urlo di Renzo rimbomba nell’abitacolo, zittendolo.
 
“TU LO SAPEVI?! Sapevi che mia figlia minorenne si vedeva di nascosto con un uomo che ha il doppio dei suoi anni e li hai coperti??!!” grida, fuori di sé, l’aria di chi, non ci fossero i sedili di mezzo, avrebbe già afferrato per il collo l’altro uomo.
 
“Gli ho chiesto io di non dire niente… avevo paura che tu reagissi… così. Non è successo niente di male: ci siamo solo allenati, mi ha solo fatto un favore e-“ prova a difendersi e difenderlo Livietta, ma Renzo ovviamente è troppo furioso per sentire ragioni.
 
“Un favore? Un trentenne che esce di nascosto con una sua allieva minorenne lo chiami favore???!!! Ma siamo impazziti??!! E questo fenomeno qui vi ha pure coperto, ma del resto tra simili ci si aiuta, no, Gaetano?!” sibila, l’espressione e il tono che trasudano disprezzo.
 
“Renzo, per favore!” esclama Camilla, non sopportando che Renzo si rivolga in quel modo a Gaetano, che parli di lui come se fosse uno scimmione.
 
Simili?!” pronuncia invece Livietta, con un sopracciglio alzato.
 
“Volete negarlo? Vuoi negarlo?!” sbotta Renzo, puntando di nuovo il dito verso Gaetano, “poliziotto, alto, palestrato, occhi azzurri, irresponsabile, playboy da strapazzo… devo continuare?!”
 
“E quindi? Cosa stai insinuando adesso, eh?!” urla Livietta, indignata, “che siccome non posso avere l’uomo di mia madre me ne sono cercata una copia?! Lorenzo non è Gaetano e-“
 
Lorenzo?!” sibila Renzo, sillabando il nome come se fosse un veleno.
 
“Sì, Lorenzo, è il suo nome! E comunque pure se mi piacesse un uomo simile a Gaetano, che male c’è? Se ho gusti simili a quelli di mamma, che male c’è?” chiede Livietta, con sguardo e tono di sfida.
 
“E allora lo ammetti! Che male c’è? Che male c’è?! C’è che prima almeno non ti sognavi di correre dietro a un uomo che quasi potrebbe essere tuo padre e-“
 
“Sì, se mi avesse avuta a tredici anni e-“
 
“E comunque questa è la conseguenza del pessimo esempio che le state dando, dei modelli che le state dando!” esplode Renzo, fulminando Gaetano e anche Camilla con lo sguardo.
 
“Esempio?! Modelli?! Ma che stai dicendo, Renzo?!” sbotta Camilla, non potendo credere a quello che sta sentendo.
 
“Sì, esempio, modelli! Che tutto è lecito, tutto è giustificabile, basta dire che si tratta di un grande amore, no? Mentire, fare le cose di nascosto… che male c’è, no? E, soprattutto, che un trentenne dall’ego ancora più ipertrofico della muscolatura, che tratta le donne come fazzolettini di carta usa e getta, non è un soggetto da cui tenersi alla larga e da evitare come la peste, non è una fregatura garantita e un pericolo, ma anzi è l’uomo ideale. Perché tanto con me sarà diverso, io lo cambierò! Bell’insegnamento, complimenti!”
 
“Renzo, adesso basta!” urla Camilla, esasperata, “anche io sono preoccupata di questa cosa e sono arrabbiata con Livietta per aver fatto le cose di nascosto e con Gaetano per non avermene parlato, ma questo non ti da il diritto di-“
 
“Di sputare sentenze come fa di solito e sparare a zero su tutti?!” la interrompe Livietta, il tono carico di risentimento e… quasi di disprezzo, fulminando il padre con un’occhiata che farebbe impallidire chiunque, “ma ti senti? Ti senti?! Ti rendi conto almeno di cosa stai dicendo?! Se c’è qualcuno che mi ha insegnato a fare le cose di nascosto e che tutto è lecito e giustificabile in nome di un grande amore, per poi gettare via il grande amore come un fazzoletto usato, non sono stati certamente solo mamma e Gaetano! E tu cosa hai fatto allora, eh?! Ci siamo già dimenticati di Barcellona?! Di quello che avete combinato tu e Carmen?!”
 
“Livietta, io-“ prova ad intervenire Carmen, imbarazzata, anche se fino a quel momento era rimasta in silenzio cercando di concentrarsi sulla strada.
 
“Non ce l’ho con te, Carmen, ma con lui!” la rassicura Livietta, prima di rivolgersi nuovamente al padre, “tu spari sentenze su tutti, ma perché non provi per una volta a farti un esame di coscienza, eh?! Anche perché se dai la colpa del fatto che… che mi sono presa una cotta per Lorenzo a Gaetano e a mamma, allora seguendo lo stesso ragionamento, Ricky e Bobo sono colpa tua e di mamma, no? In quel caso ho preso esempio da te, ho seguito i tuoi insegnamenti, no?”
 
“Livietta, che c’entra? Ricky e Bobo non mi assomigliano per niente e invece-“
 
“E invece forse sì, ti assomigliano eccome, lo sai? Non fisicamente, magari, ma proprio come te avevano una doppia faccia. Facevano finta di essere quello che non erano, si fingevano innamorati persi, buoni belli e bravi e poi tenevano il piede in due scarpe, come Ricky, tradendomi con la mia migliore amica, o come Bobo, per tenermi buona e avere un alibi. E la sai una cosa? Se devo proprio scegliere, preferisco mille volte un ragazzo che mi dice chiaro e tondo che non vuole una storia seria o che mi molla dopo due settimane o un mese, piuttosto che uno che non ha il coraggio di lasciarmi e continua a prendermi in giro e a farmi perdere tempo per niente, a tenere il piede in due scarpe senza decidersi, proprio come te!”
 
“Quella al limite è tua madre!” sbotta Renzo, ferito a morte, non potendo credere a quello che sta sentendo, “io non-“
 
“Tu non cosa?! È vero, anche mamma vi ha tenuti in ballo per dieci anni, e un sacco di volte mi sono chiesta perché tu e Gaetano non l’avete mandata a quel paese molti anni fa, ma tu pensi di avere fatto di meglio? Se mamma era indecisa e non sapeva cosa voleva o non aveva il coraggio di prenderselo, tu sei ancora peggio! Almeno mamma ha sempre cercato di tenere in piedi questo maledetto matrimonio e poi quando ha deciso, ha deciso, ti ha lasciato e ha iniziato una storia con Gaetano. Tu invece che hai fatto? Prima l’hai tradita con Carmen, e almeno lì hai avuto il coraggio di prenderti le tue responsabilità e di lasciarla, ma dopo?! Hai mollato Carmen come un fazzoletto usato in cinque minuti! Carmen si è ritrovata a trasferirsi in un altro continente da sola e a mandare avanti il vostro lavoro, da sola, perché tu hai piantato tutto e te ne sei fregato. Poi sei tornato con mamma e ci hai di nuovo lasciate per andare a Torino. Poi arriviamo a Torino e siamo tutti insieme finalmente e tu richiami Carmen. E io fossi stata in Carmen ti avrei mandata a quel paese, altro che tornare! E fossi stata in mamma pure, vista la faccia tosta che hai avuto a chiederle di rimettersi praticamente in casa la tua ex amante! Ma ti rendi conto di che esempio mi hai dato tu?! Di che esempio mi avete dato voi?! Che per tenere insieme la famiglia è meglio vivere una vita di bugie, mandare giù tutto? Diventare degli zerbini? O che è normale continuare a cambiare idea e a fare marce indietro e in avanti e indietro e in avanti…? Ti rendi conto che non sai nemmeno tu cosa vuoi e cambi idea ogni cinque minuti?”
 
“Livietta, io-“
 
“Io cosa?! La verità è che a te non te ne frega niente né di me, né di mamma, né di Carmen: pensi solo a te stesso, a quello che senti tu! Tu vuoi solo quello che non puoi avere e quando ce l’hai te ne freghi! Quando stavi con mamma volevi Carmen, quando stavi con Carmen stavi ancora appresso a mamma, quando stavi di nuovo con mamma rivolevi Carmen, e adesso che potresti passare tutto il tempo che ti pare con Carmen invece torni a correre dietro a mamma e a farle le scenate di gelosia! Ed è lo stesso con me: quando mi avevi in casa con te ti ricordavi che esistevo solo per controllarmi, spiarmi, farmi sentire in colpa per essere cresciuta! Te ne vai, sparisci, poi ricompari e siccome non viviamo più insieme ti torna la voglia di fare il padre. Nonostante tutte le discussioni e tutto quello che hai combinato negli ultimi mesi decido di partire con te, di darti un’altra possibilità, sembra finalmente andare tutto bene, con te che finalmente ti comporti come un padre e non come un secondino o un bimbo viziato che fa i capricci, ma ovviamente non può durare, no?! Perché tu invece che esserne felice, che magari, che ne so… parlare con me della mia vita, dei miei interessi, chiedermi se mi piace qualcuno, insomma cercare di conoscermi, ti metti di nuovo a spiarmi di nascosto! Scopri che secondo te mi sono presa una cotta per Gaetano e invece di affrontarmi e di parlarne con me, corri a parlarne con mamma, perché ieri quando sei sparito era per andare da lei, non negarlo perché non sono scema! Dimostrandomi che più che per me, eri solo preoccupato di prenderti la tua rivincita e correre da lei a dirle te l’avevo detto, Gaetano è uno stronzo e Livietta se la fa con tutti! Scommetto che non vedevi l’ora, no? Che ne eri quasi felice!”
 
“Ma che cosa dici?!” esclama Renzo, la voce che gli si spezza, trattenendo a fatica le lacrime, “ma come fai a non capire??!! Per me è stato un incubo, un incubo terribile, in tutti i sensi! Non riuscivo a dormire, non riuscivo a mangiare, ero terrorizzato all’idea di te e LUI, all’idea di quello che poteva succederti!”
 
“E allora avresti dovuto parlarmene, dirmelo in faccia, invece che fare finta che andava tutto bene e ignorarmi e trattarmi come un’estranea, un’aliena! Ma tu pensi che sono stata bene io in questi giorni, con te che improvvisamente non mi consideravi più, che eri freddo, distante assente? Mi sono chiesta in continuazione cosa era successo, in cosa avevo sbagliato, se ti eri stufato di me!” grida Livietta, il labbro e le mani che le tremano, gli occhi grandi e lucidi, “e invece, come al solito, hai preferito fare la commedia e riempirmi di palle, piuttosto che tirarle fuori le palle e affrontarmi, almeno per una volta in vita tua!”
 
“Livietta! Tu non puoi parlarmi così! Sono tuo padre e mi devi comunque rispetto e-“
 
“Come tu ne devi a tuo padre, eh?! Io non ti devo niente! E poi parli di rispetto? Proprio tu che non hai avuto alcun rispetto nei miei confronti, nei confronti della mia privacy?”
 
“La privacy? Tu sei mia figlia, sei minorenne e ho il diritto e il dovere di sapere quello che ti succede, maledizione, Livietta!” esplode, esasperato, scuotendo il capo e picchiando un pugno sul cruscotto dietro di lui, non sapendo più cosa fare, come farsi ascoltare, come farle capire.
 
“E come? Spiandomi?! Tu pensi che così sai qualcosa di me? Di quello che mi succede? Di chi sono? Di quello che sento? La verità è che tu non sai niente di me, non mi conosci per niente, se sei arrivato a pensare quello che hai pensato! E magari le cose te le direi anche, te le avrei anche dette, se non dovessi ogni volta temere le tue reazioni, perché la verità è che a te qualsiasi ragazzo che si avvicina a me non è mai piaciuto e non piacerà mai! E poi ti stupisci che ti nascondo le cose! E la fiducia e il rispetto bisogna conquistarsele!”
 
“Come ha fatto LUI?!” urla Renzo, puntando di nuovo il dito contro Gaetano, “facendo l’amicone? Coprendoti e aiutandoti a nasconderci che ti vedevi con un trentenne?! E chissenefrega delle conseguenze?! Bella forza! Complimenti!”
 
“No, maledizione! Ma che pensi?! Che Gaetano ha fatto i complimenti a me e a L- all’istruttore e ci ha detto: ‘bravi, continuate così!’?” gli chiede, battendo le mani in un applauso sardonico, “no! Non l’avevo mai visto così arrabbiato, gli ho pure detto che mi sembrava quasi te! Ma mi ha ascoltato, ne abbiamo parlato e mi ha spiegato perché secondo lui dovevo togliermi Lorenzo dalla testa, perché una relazione con un trentenne sarebbe pericolosa, perché dovevo stare attenta e perché era preoccupato. E siccome l’istruttore non ci ha mai provato con me e non è successo niente-“
 
“E vedersi di nascosto con te lo chiami niente?!”
 
“Per delle lezioni, maledizione! Comunque Gaetano ha capito che avevo capito, che ci siamo capiti e ha deciso di fidarsi di me e-“
 
“E ha fatto male, molto male, da quello che ho letto in quel diario!” esplode Renzo, amaro, non potendo evitare che quelle immagini, l’immagine di Livietta e di quel cretino che si baciano che… che si toccano, gli invadano di nuovo la mente, “e soprattutto non aveva il diritto di nascondere questa cosa a tua madre e a me!”
 
“E una volta che ve lo diceva cosa pensavi di fare, sentiamo? Andare a linciare uno che non ha fatto niente e che non si interesserà mai a me perché mi sono presa una cotta per lui? Ma sì, tanto non mi hai già umiliata abbastanza, no?! E comunque se tu non ti fidi di me, sai che c’è? Che io non mi fido di te! Che sono stufa di provare a fidarmi di te e rimanere delusa ogni volta! Che non me ne faccio niente di un padre come te, che invece di aiutarmi, di starmi vicino, di farmi sentire meglio, è solo capace di ferirmi, di umiliarmi, di farmi sentire una merda!”
 
“Livietta, io non…“ sussurra Renzo, atterrito dal tono di lei, dallo sguardo di lei, disperato quanto duro, freddo, glaciale, come quello di un animale ferito troppe volte e che non permetterà più a nessuno di avvicinarsi.
 
Riconosce quello sguardo e sente una mano gelida stringergli il cuore.
 
Proprio in quel momento, l’auto frena quasi bruscamente e Renzo realizza con sgomento che sono già arrivati davanti all’hotel. E che è tardi, è troppo tardi.
 
“Mamma, fammi scendere, per favore, fammi scendere!” implora Livietta, un paio di rivoli che le solcano le guance, le lacrime che non riesce più a trattenere.
 
Camilla sa di non avere scelta: apre la portiera e fa come chiesto, Livietta che si fionda giù dal sedile e corre verso l’entrata dell’hotel.
 
“Livietta!” grida Renzo, precipitandosi fuori dall’auto, inseguendola e scansando Camilla, che tenta inutilmente di bloccarlo.
 
Il cuore in gola, riesce quasi a raggiungerla, quando la vede sparire dietro una porta con un simbolo inconfondibile: la toilette delle donne.
 
Spompato, esausto, fisicamente e mentalmente si appoggia alla parete, ignorando le occhiate dei passanti e le voci di Camilla, Gaetano e Carmen, che lo stanno raggiungendo.
 
È troppo tardi, se lo sente, è troppo tardi.
 
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“Dov’è?!”
 
“Mi dispiace, Renzo, ma si è chiusa in bagno come ha sentito che eri tu… continua a dire che non vuole vederti e non credo proprio che cambierà idea,” risponde Camilla, rimanendo sulla soglia della porta e non lasciandolo entrare.
 
Dopo aver convinto Renzo a lasciare un attimo in pace Livietta e tornare in camera, Camilla aveva passato più di mezzora a parlare, a cercare di tranquillizzarla.
 
Livietta voleva tornare a casa subito, ma Camilla le aveva fatto notare che non c’erano altri voli per Torino in giornata ed era infine riuscita a convincerla a ritornare insieme a lei e a Gaetano con il volo del mattino dopo.
 
Ma Livietta si era rifiutata di rientrare nella stanza che divideva con il padre. Per fortuna, Camilla e Gaetano erano riusciti a trovare due stanze libere nello stesso hotel – anche se erano costate loro un occhio della testa, vista la posizione e il numero delle stelle del lussuoso albergo – e quindi Camilla e Livietta avrebbero dormito in una stanza, Gaetano nell’altra.

Camilla era dovuta andare nella stanza di Renzo a fare i bagagli di Livietta. Renzo l’aveva implorata di aiutarlo a parlare con la figlia, disperato come non l’aveva mai visto, anche più di dopo quella litigata a cena, dopo la fuga di Livietta a casa di Gaetano. E, nonostante tutto, nonostante tutto quello che era successo il giorno prima, l’ultimatum e nonostante fosse ancora furiosa con lui, non si era sentita di dirgli di no. Conoscendo Livietta, sapeva e sa benissimo che con il tempo la frattura tra lei e il padre non può e non potrà fare altro che peggiorare, e Camilla non aveva e non ha mai voluto che si arrivasse a questo punto, che Livietta escludesse Renzo dalla sua vita.
 
Gli aveva chiesto un po’ di tempo, per provare a calmarla ancora un po’ e a convincerla a concedergli un chiarimento.
 
Ma ogni suo tentativo si era infranto contro un muro di gomma: Livietta era furiosa e non aveva fatto minimamente marcia indietro, non si era ammorbidita nemmeno un po’.
 
“Ma, Camilla, io-“
 
“Lo so, Renzo, però… ti garantisco che ci ho provato in ogni modo, ma non posso obbligarla e non posso insistere oltre, altrimenti finirei solo per esasperarla e… non voglio rischiare che scappi di nuovo o faccia qualche altra sciocchezza. Non serve a niente che tu le parli adesso, fino a che sta così. Devi darle tempo, Renzo,” lo prega, sperando che capisca e che non si impunti, visto che rischierebbe solo di far precipitare la situazione.
 
Perché, per quanto sia convinta che Livietta abbia bisogno di un padre, di suo padre, tanto quanto Renzo ha bisogno di lei, ora l’unica cosa che conta per Camilla è la sicurezza di Livietta, il suo benessere e non può metterlo in pericolo, per niente al mondo.
 
“Ma non c’è tempo, Camilla, non c’è tempo e lo sai anche tu! Lo so che lo sai anche tu!” esclama Renzo, disperato, trattenendo a fatica le lacrime, “se… se non riesco a parlarle prima che ve ne andiate se… se ve ne andate, io… io lo so che Livietta si sta allontanando per sempre da me e… che non riuscirò mai più a recuperare, a farmi ascoltare. L’ho visto come… come mi guarda sai? Come mi ha parlato e… ed è lo stesso modo in cui io guardo mio padre, in cui io parlo a mio padre. ‘Non me ne faccio niente di un padre come te!’ – gliel’ho detto anche io, lo sai? Tanti anni fa… prima di cacciarlo di casa, di… di pregarlo di non tornare più, di lasciare in pace me e mia madre. E… e da lì non si torna indietro, Camilla, da qui non si torna indietro e… ho paura che… che…”
 
Non riesce nemmeno a finire la frase, il groppo in gola che gli impedisce di parlare, di articolare anche solo una sillaba in più. Scuote il capo, trattenendo a fatica l’istinto di dare un pugno o una testata al muro.
 
I loro occhi si incrociano un’ultima volta e Renzo, tirando un forte sospiro, si volta e sparisce oltre le porte dell’ascensore.
 
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Il trillo del cellulare squarcia la tranquillità della penombra e delle luci soffuse del locale, praticamente deserto. L’unico rumore è quello della lieve musica di sottofondo : una collezione di struggenti blues, la colonna sonora perfetta per chiunque si trovi a bere alle undici di sabato sera al bar dell’hotel, invece che da qualche parte a divertirsi in una città che sembra non dormire mai.
 
E anche Renzo non sa se e quando riuscirà più a dormire. Scambia un altro sguardo con il barista che si sta prodigando ad asciugare un bicchiere già asciutto da tempo, guardandolo con un’aria di compatimento.
 
Afferra il telefono, pregando, sperando in un miracolo: che sia Camilla o magari… o magari che sia addirittura Livietta.
 
Barbara
 
Il nome bianco sul display nero gli causa una fitta di irritazione e di senso di colpa in egual misura.
 
La ignora e lascia squillare a vuoto, come aveva già fatto con le chiamate dei giorni precedenti. Come aveva ignorato i messaggi che gli aveva lasciato su whatsapp e tutti gli sms da… da quando aveva letto quel maledetto pezzo di diario.
 
Per evitare che provi a richiamarlo, si affretta a spegnere il telefono.
 
Sa che si sta comportando come uno stronzo, come il peggiore degli stronzi, ma non ci riesce, non ci riesce a parlarle, ad ascoltarla, ad ascoltare quella sua voce sempre così dolce e allegra e piena di vita, a darle le attenzioni che lei vuole e merita, a scherzare con lei, a giocare con lei mentre il suo mondo sta cadendo in pezzi.
 
Quegli attimi sereni, spensierati passati insieme a casa di lei, a letto, le loro cene… sembrano cose successe ad un altro uomo, in un’altra vita, anche se è passata poco più di una settimana.
 
Ritira il cellulare in tasca, per toglierselo dagli occhi, per togliersela dagli occhi e beve un’altra sorsata di scotch. Almeno quello è di eccellente qualità, come tutto in questo bar: questa si preannuncia come la sbornia più costosa di tutta la sua vita.
 
Ma che gliene frega dei soldi quando non gli rimane più niente?
 
Un’ultima boccata e ritrova di nuovo l’unico amico che gli è rimasto, l’unica certezza che gli è rimasta: il fondo del bicchiere.
 
“One more, please!” domanda al barista, alzando il dito della mano destra.
 
Ed è in quel momento che un pugno si abbatte sul bancone alla sua destra, facendolo sobbalzare.
 
“No more, please! He’s had enough!” intima la proprietaria del pugno con un tono che porta il barman a posare bruscamente la bottiglia che aveva già preso in mano: Carmen.
 
“Carmen, per piacere, non-“
 
“No, niente Carmen, Renzo! Che vuoi fare? Come si dice? Tirarti nero? Io non voglio passare un’altra notte a curarti mentre vomiti o a impedirti di fare qualche idiozia! Non è bevendo che si risolvono i problemi!” esclama Carmen, decisa, posandogli una mano sulla spalla e girandolo sullo sgabello fino a costringerlo a guardarla negli occhi.
 
“Come… come hai fatto a trovarmi?” le chiede, stanco, sfinito, esausto, non avendo voglia di combattere, di combatterla.
 
“Aspettavo che rientrassi in camera ma… non tornavi e mi sono preoccupata. Alla reception mi hanno detto che eri qui. Ma non cambiare discorso! Lo sai che non ottieni niente così, se non di spaccarti il fegato e rischiare di fare di nuovo la figura dell’idiota?”
 
“Lo so… lo so, Carmen, ma… non so cosa fare, lo capisci? Non so più cosa fare!” ammette, lasciando finalmente andare il dolore, mentre gli occhi gli bruciano e sente il viso bagnato, “non ho alcun modo di farmi ascoltare da Livietta, non mi vuole parlare non ascolta… non ascolta nessuno, nemmeno Camilla! Sto perdendo mia figlia e non posso fare niente, non c’è nessuno che può fare niente, maledizione!”
 
Questa volta è lui a picchiare il pugno sul tavolo, fregandosene delle lacrime che gli cadono sulla camicia e non riesce più a trattenere.
 
Guarda Carmen, lì, fissa, immobile davanti a lui, che lo osserva con un’espressione indefinibile.
 
Non sa cosa si aspettava, forse che lei lo abbracciasse, lo consolasse, lo rassicurasse come aveva fatto in mille altre occasioni, ma lei rimane lì, in piedi a fissarlo, sembrando persa nei suoi pensieri.
 
“Forse c’è qualcuno che può fare qualcosa, che può aiutarti, Renzo, qualcuno che Livietta di sicuro ascolta e ascolterà. Ma fossi in lui non so se ti aiuterei, dopo tutto quello che hai combinato, Renzo…” pronuncia infine Carmen, posando anche l’altra mano sulla spalla dell’uomo e chinandosi lievemente verso di lui, trafiggendolo con un’occhiata che sembra scrutargli fin nel profondo dell’anima.
 
“Non starai dicendo che…” mormora, incredulo, guardandola come se fosse impazzita.
 
“Cosa conta di più per te, Renzo? Il tuo orgoglio o tua figlia?” gli chiede, stringendogli le spalle, prima di lasciarle andare e rimettersi in piedi, “pensaci e, se decidi di andarci a parlare, ti consiglio di smaltire l’alcol prima: ci manca solo che ci fai di nuovo rissa o ti metti a insultarlo come al tuo solito. Non puoi più permetterti di sbagliare, Renzo.”
 
Ancora a bocca aperta, sbigottito, la osserva voltarsi e allontanarsi, senza guardarsi indietro.
 
Rimane per qualche istante così, paralizzato, mille idee in testa, il cuore che gli rimbomba nel petto.
 
Senza quasi accorgersene, in maniera automatica, si alza e a passi lenti ed incerti percorre la distanza che lo separa dalla reception. Si guarda intorno per un secondo e poi segue l’istinto ed esce, sentendo l’aria frizzante della notte londinese schiaffeggiargli il viso.
 
Comincia a camminare, senza una direzione precisa, senza meta, i suoi passi che lo conducono fino all’ingresso principale del parco, che è ancora aperto, visto che da lì corre un’ampia strada che taglia il parco in verticale, percorribile anche in auto.
 
Non c’è in giro anima viva: del resto ormai gli spettacoli alla Royal Albert Hall, che si trova oltre la parte opposta del parco, sono finiti per quella sera e… questo è un quartiere tranquillo, i locali notturni sono altrove.
 
Ignorando ogni possibile pericolo o precauzione – tanto che cos’ha da perdere? – inizia ad incamminarsi lungo la strada, respirando l’aria fresca, cercando di schiarirsi le idee.
 
Arriva infine al ponte che dà sul lago del parco, si appoggia alla balaustra in pietra, sotto al lampione e si ferma per un attimo, chiudendo gli occhi.
 
Seguendo un impulso irrefrenabile, infila la mano in tasca ed estrae il portafoglio. Lo apre e la vede: quella foto bellissima di lui, Camilla e Livietta, la sua preferita.
 
Era stata scattata il giorno del settimo compleanno di Livietta, l’ultimo compleanno davvero sereno, l’ultimo in cui erano stati davvero una famiglia.
 
Certo, l’anno successivo si era prodigato per regalarle una festa indimenticabile, si era pure messo a gonfiare palloncini e a intrattenere Livietta e i suoi amichetti.
 
Ma, se in apparenza andava tutto bene, in realtà non era così: c’era già Pamela, che lo aveva scombussolato e tentato come mai gli era successo prima, fino a fargli quasi perdere la ragione e poi… e poi c’era LUI, il dannato poliziotto-super-più.
 
In quella foto invece… erano ancora solo loro, loro tre e basta. Non c’erano poliziotti, indagini, insegnanti di ballo, colleghe di lavoro o produttori di vino.
 
Si vedeva dai loro sorrisi che erano felici, veramente felici, che nessuno di loro avrebbe voluto essere da nessun’altra parte.
 
Erano passati dieci anni… una vita… una vita buttata via cercando inutilmente di ritornare .
 
Fa scorrere le altre foto che tiene nel portafoglio, praticamente tutte solo di Livietta che guardava dritto in camera, verso di lui – perché era lui il fotografo – e gli sorrideva in quel modo adorante pieno di amore, di fiducia incondizionati.
 
Come vorrebbe che lo guardasse di nuovo così, anche solo per un minuto, sentire di non averla mai delusa, mai tradita, sentire di essere il padre che avrebbe sempre voluto essere, il padre che forse per un periodo è stato ma che ormai non è più da troppo tempo.
 
Si rende conto in un istante che quelle foto hanno tutte una cosa in comune: sono state tutte scattate prima di Barcellona. Quando si era separato da Camilla la prima volta, una foto di lui, Carmen e Livietta aveva sostituito quella di lui, Livietta e Camilla nel suo settimo compleanno. Ma quella foto non l’aveva mai buttata, l’aveva conservata gelosamente insieme ad altri ricordi del loro matrimonio, compresa la fede nuziale che ancora indossa, anche se non sa il perché.
 
Camilla invece no, lei la sua fede l’aveva buttata in un momento di rabbia – così gli aveva spiegato almeno – e… anche quando erano tornati insieme non avevano comprato delle nuove fedi, lui aveva rimesso la sua vecchia fede, a ricordo della prima promessa, Camilla invece era rimasta con l’anulare sinistro spoglio.
 
Col senno di poi, era un segno, un piccolo segno come tanti altri, ma tutto è più facile col senno di poi.
 
E, quando era tornato con Camilla, ovviamente la foto di lui, Carmen e Livietta a Barcellona era sparita ma non ne aveva messa una nuova, non aveva aggiunto alcuna immagine nuova, né di Camilla, né di Livietta, né di loro tre insieme.
 
Forse perché sapeva che non avrebbe mai retto il confronto con quella di dieci anni prima, che avrebbe solo mostrato la terribile, innegabile verità che lui si ostinava a non vedere. Che non avrebbe più letto l’amore, la felicità nello sguardo di Camilla. E soprattutto che Livietta, lo sapeva e lo sa bene, non l’avrebbe mai più guardato in quel modo, con quello sguardo che a lui tanto mancava e tanto manca.
 
Lo sai cosa penso, papà? A volte mi sembra che tu… che tu mi volevi bene e mi hai voluto bene davvero solo fino a che ero una bambina piccola, dolce, fino a che pendevo dalle tue labbra, fino a che eri il mio eroe, il mio papà perfetto e non avrei mai potuto contraddirti, perché… perché ero una bambina e non avevo una mia personalità, delle mie idee, che magari non sono uguali alle tue. Mentre ora sembra che hai… che hai paura a parlare con me, ad affrontarmi e non accetti che sono cresciuta, che gli anni sono passati e che il tempo perso non ritorna indietro. Perché la Livietta piccola e dolce e ingenua con i codini a cui volevi tanto bene non esiste più e non esisterà mai più, perché non avrò mai più dieci anni! E se non riesci a vedermi, ad accettarmi per come sono ora… io… io…
 
Quelle parole cariche di rabbia, di disperazione, che Livietta gli aveva sbattuto in faccia durante quella maledetta cena, gli ritornano alla mente, colpendolo al cuore come una stilettata, esattamente come allora.
 
Livietta aveva ragione… non sul fatto che lui non le volesse più bene come quando era piccola ma che… che per paura che lei non gli volesse più bene, non lo amasse più come allora, per paura di affrontare la realtà… non l’aveva affrontata. Si era allontanato, aveva preferito far finta di nulla, far finta di non vedere che Livietta cresceva, far finta che… che tutto fosse rimasto esattamente come allora.
 
Non aveva più cercato di conoscerla, di capirla, di parlarle non perché se ne fregasse di lei, ma perché… perché aveva paura di quello che avrebbe potuto sentire. Di capire di averla persa per sempre, che stava per perderla per sempre, che non era e non sarebbe mai più stato l’uomo più importante della sua vita, la persona più importante della sua vita.
 
E, se da un lato sapeva che questo era normale, che… che Livietta prima o poi avrebbe dovuto trovare la sua strada, farsi la sua vita… allo stesso tempo gli ricordava di tutto il tempo perduto, buttato via a compiangersi, a inseguire Camilla e poi la sua carriera e poi Carmen, tutto il tempo in cui Livietta cresceva e lui non c’era. Tutti gli attimi, i mesi, gli anni preziosi e irripetibili che erano passati e non sarebbero mai più tornati mentre lui… mentre lui era altrove.
 
Mentre lui cercava di sopravvivere, certo, di non affondare, di… di trovare almeno un poco di quella felicità che gli era sfuggita dalle dita e che non riusciva più a riacciuffare ma… ma questo lo aveva allontanato dalla persona più importante al mondo per lui, perché… perché dove c’era Livietta c’era anche Camilla e… Camilla era come una ferita aperta per lui, sia quando non stavano più insieme, sia quando erano tornati insieme. Una ferita che non è sicuro si rimarginerà un giorno.
 
Ma le cose devono cambiare. Livietta non… non può più pagare per la sua vigliaccheria, per la sua rabbia, per il suo orgoglio ferito.
 
Cosa conta di più per te, Renzo? Il tuo orgoglio o tua figlia? – sente le parole di Carmen, sussurrargli nelle orecchie.
 
E ora sa cosa deve fare.
 
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TOC TOC TOC
 
Rintocchi, rintocchi di nocche sul legno lo svegliano di soprassalto, portandolo a toccare il materasso accanto a sé, cercandola e non trovandola, e a guardarsi intorno in confusione.
 
Le luci che filtrano dalla finestra gli consentono infine di mettere a fuoco quella stanza opulenta quanto sconosciuta: è in hotel a Londra.
 
Il bussare si fa sempre più intenso, quasi disperato, ma nessuno chiama alla porta.
 
Guarda l’orologio: è l’una di notte passata.
 
Il cuore gli va nello stomaco: Camilla, Livietta, un’emergenza… corre verso la porta e la apre senza pensarci, senza alcuna precauzione.
 
Renzo.
 
Sbatte le palpebre tre o quattro volte per assicurarsi di aver visto bene e trattiene a stento l’impulso di darsi un pizzicotto per accertarsi di non stare sognando.
 
“Renzo, che ci fai qui?” gli chiede, incredulo e preoccupato, notando lo sguardo dell’architetto che sembra allo stesso tempo determinato e… ansioso, quasi disperato, gli occhi grandi e lucidissimi, il viso a chiazze paonazze, “ma ti senti bene? Hai bevuto?”
 
“Sì, ho bevuto ma… due ore fa, non sono ubriaco. Ho… ho bisogno di parlarti, Gaetano,” pronuncia a fatica, non per l’alcol ma perché quelle parole gli costano e gli bruciano come acido in gola. Ma sa che non c’è alternativa.
 
“Non sono qui per… per litigare o per fare rissa. Solo per parlare,” ribadisce, con il tono più deciso che riesce a produrre, dato l’orario e… e la situazione, guardando il rivale di una vita dritto negli occhi, “posso entrare?”
 
Gaetano si limita per qualche istante ad osservare l’altro uomo, cercando di leggerlo, di capire le sue intenzioni.
 
“Solo un secondo che… che mi metto qualcosa…” pronuncia infine, indicando i boxer con cui è andato a dormire, trovando la prima scusa per chiudere la porta almeno per qualche istante.
 
Rapidamente, indossa la camicia e i pantaloni che aveva gettato sulla sedia la sera prima e, soprattutto, afferra il cellulare. Attiva la registrazione e se lo mette in tasca: non vuole rischiare altre accuse assurde e che questo sia magari tutto un piano di Renzo per incastrarlo.

Riapre poi la porta e lo invita ad entrare, sempre guardingo. Si stupisce quando Renzo annuisce e si avvia verso una delle due poltroncine della stanza, disposte intorno ad un tavolino da tè, senza aprire bocca e soprattutto senza fare alcuna battuta sarcastica sul suo abbigliamento – considerato che non perdeva occasione per rinfacciargli di girare mezzo nudo.
 
“Gaetano… ascoltami…” esordisce Renzo, cercando di ritrovare le parole del discorso che si era preparato ma che ora gli sfuggono di mente, per poi incontrare gli occhi del poliziotto, faccia a faccia, e sospirare, “lo so e… lo sappiamo tutti e due che… tra noi non corre e non è mai corso buon sangue. Diciamo pure che non ci sopportiamo e… e forse non riusciremo mai davvero a sopportarci e di sicuro non diventeremo mai amici e-“
 
“Se mi hai svegliato a quest’ora per pronunciare queste ovvietà, direi che-“
 
“Ti prego, fammi parlare o… non so se riesco a ricominciare se mi interrompi…” chiede Renzo, bloccandolo prima di cedere alla tentazione di alzare di nuovo i toni, “quello che volevo dire è che… anche se… anche se so benissimo che non… che non siamo amici e che… con tutto quello che è successo in questi mesi, in queste settimane, se già prima non ci potevamo vedere ora… probabilmente mi odi e che quindi… sei l’ultima persona a cui vorrei e potrei mai chiedere un favore… io…”
 
“Un favore?” non può fare a meno di ripetere Gaetano, chiedendosi di nuovo se sia finito in un sogno bizzarro.
 
“Sì… un favore. Gaetano... per me l’unica cosa che conta davvero è Livietta… lo so che ho sbagliato tanto con lei ma… ma è l’unica cosa che mi è rimasta, la amo più della mia vita e… posso vivere senza Camilla, l’ho fatto per tanti anni, in fondo, ma non… non posso vivere senza Livietta e… e ho bisogno del tuo aiuto,” ammette, riuscendo infine ad espellere le ultime parole dalla gola.
 
Gaetano non sa cosa dire… è completamente sbigottito, si limita a guardarlo, chiedendosi se Renzo non sia impazzito del tutto.
 
“Lo so… lo so che ti sembra assurdo ma… ma Livietta si rifiuta di vedermi, di parlarmi, di ascoltarmi. Non ascolta né me, né Camilla, non vuole sentire ragioni. Ma so che… che, anche se mi costa ammetterlo, c’è una persona che mia figlia ascolta e di cui si fida… forse anche di più di… di quanto ascolti Camilla. E questa persona sei tu, Gaetano,” pronuncia quelle sillabe che gli pesano come un macigno, ma che sono purtroppo la verità, “quindi… ti prego… ti prego intercedi con mia figlia… convincila a… a non partire domani… a darmi un’ultima possibilità. Se… se Livietta se ne va domani, la perdo per sempre, me lo sento!”
 
“Renzo… io… io non so cosa dire…” mormora Gaetano, scuotendo il capo, a dir poco sbalordito e sconcertato: mai si sarebbe immaginato una cosa del genere quando ha visto Renzo davanti alla porta, mai.
 
“Ti prego, Gaetano, lo so che… che non sono nella posizione di chiederti niente e… e credimi che preferirei mangiarmi degli scorpioni vivi piuttosto che… doverti implorare di qualcosa ma… ma mia figlia conta più di tutto, più del mio orgoglio, più dei problemi tra me e te! Sei padre anche tu, anche tu hai… hai sbagliato e hai avuto una possibilità e ora… e ora ne ho bisogno io… ti prego, cerca di capirmi, sono disposto a chiedertelo anche in ginocchio se necessario!” esclama, alzandosi dalla sedia e cercando sul serio di inginocchiarsi, ma Gaetano lo blocca, trattenendolo per una spalla e portandolo a rimettersi a sedere.
 
“Renzo, per favore, no che non è necessario,” ribadisce, sciogliendo immediatamente il contatto e risedendosi a sua volta, chiarendo, guardando l’architetto negli occhi, “non voglio certo che tu… che tu ti umili, non voglio questo. Ma… sinceramente non… non so se Livietta mi ascolterebbe, anche se le chiedessi una cosa simile e poi… e poi per quanto posso capire che hai bisogno di tua figlia, che… che non vuoi perderla, io… io devo pensare solo al bene di Livietta e di Camilla adesso. E proprio perché si fidano di me, perché Livietta straordinariamente si fida di me, non posso in coscienza implorarla, convincerla a fare qualcosa di cui poi finirà per pentirsi. E di cui tu stesso finirai per pentirti, Renzo.”
 
“Che cosa? Che vuoi dire?” chiede Renzo, preso in contropiede, “come potrei pentirmi di… di avere un’altra possibilità con mia figlia?”
 
“E invece finirai per pentirtene se… se convinco Livietta a concedertela e tu… per via della rabbia, del risentimento, della sfiducia che hai nei miei confronti e nei confronti di Camilla, te la bruci di nuovo e, scusa il francesismo, mandi tutto a puttane un’altra volta,” spiega Gaetano notando, con un certo sollievo, che Renzo sembra colpito dalle sue parole, a giudicare da come abbassa la testa e si passa una mano sugli occhi, “Renzo, io posso capire che tu ce l’abbia con me, che pensi il peggio di me – entro certi limiti, perché direi che sei andato oltre ai limiti comprensibili e accettabili, perfino per la nostra situazione – ma… tu non puoi un giorno venire con il ramoscello d’ulivo da me o da Camilla a fare proclami di pace e il giorno dopo accusarmi delle cose peggiori o minacciare Camilla di toglierle vostra figlia! E siccome un risentimento del genere non sparisce magicamente dalla mattina alla sera… io credo che nel profondo tu… tu mi odi ancora… e che soprattutto sei ancora convinto di ciò che hai detto: che… che io sono un pericolo per Livietta. E allora prima di fare l’ennesimo disastro, forse è meglio che… che davvero tenti in qualche modo di rimettere insieme i pezzi della tua vita, Renzo, anche se non è facile, e ti garantisco che lo so che non è per niente facile ritrovarsi soli. Ma devi riuscire a smaltire la rabbia, il risentimento, anche a farti aiutare, se è necessario, prima di riprovarci con tua figlia. Perché ogni volta è peggio e la corda a furia di tirarla si spezza, se non si è già spezzata, Renzo.”
 
Renzo si morde il labbro e si tormenta per qualche istante ancora gli occhi, prima di riaprirli, azzurro che incontra azzurro.
 
Una parte di lui lo sa che il poliziotto ha ragione, lo sa che… che non può continuare così e lo odia e si odia per questo. Ma sa anche che… che non c’è più tempo.
 
“Ed è proprio perché forse si è già spezzata che… che non ho tempo, Gaetano, non ho tempo di… di rimettere insieme i pezzi della mia vita – ammesso che riesca a farlo senza Livietta – e poi di tornare da mia figlia. Perché mia figlia non… non ci sarà più, non per me, non mi permetterà più di rientrare nella sua vita, lo so,” cerca di fargli capire, buttando al vento ogni residua traccia di orgoglio e decidendo di essere onesto, di… di dirgli quello che non avrebbe mai voluto dire a nessuno, meno che mai al dannato poliziotto, “Gaetano… io ho visto come Livietta mi guardava oggi… ho riconosciuto quello sguardo, quelle parole che mi ha detto. Le ho dette anche io, tanti anni fa, a mio padre, prima di… prima di tagliare per sempre i ponti con lui. E so per… per esperienza che da lì non si torna indietro, che se non recupero ora, se la lascio andare, Livietta non mi darà mai più una possibilità, che con il tempo sarà sempre peggio, lo capisci questo?”
 
“Renzo, io-“ prova ad intervenire Gaetano, ma Renzo ormai è come un fiume in piena.
 
“È vero, sono ancora arrabbiato con te… furioso con te! Non solo per… per tutto quello che è successo tra di noi in passato o perché… perché mi hai nascosto, ci hai nascosto questa storia dell’istruttore, cosa che – Camilla può dire quello che vuole – ma per me è gravissima! Però non è solo questo, Gaetano, non è solo questo! Io non mi sono mai fidato degli uomini come te o come… come quel Lorenzo e non c’entra niente Camilla, non c’entra niente Livietta, io gli uomini come te non li ho mai potuti sopportare per… per via di mio padre,” ammette, tormentandosi le mani e scuotendo il capo.
 
“Cosa… cosa c’entra tuo padre?” chiede Gaetano, sempre più confuso e turbato, non capendoci più niente.
 
“Mio padre era… era un donnaiolo, un playboy, un tombeur-de-femmes. Aveva questo… questo maledetto fascino… le donne cadevano ai suoi piedi e lui… lui le lasciava cadere, le raccoglieva e poi le gettava via di nuovo, quando si era stancato,” racconta, mentre gli tornano alla mente tanti, troppi ricordi orribili, “non c’era… non c’era praticamente mai a casa… faceva l’agente di commercio e… e viaggiava, per lavoro, diceva lui. Lavoro un corno, anzi, forse sì, ma al plurale! Riempiva mia madre di corna, l’ha sempre riempita di corna e tornava da lei solo quando… quando gli faceva comodo… quando aveva voglia di un pasto caldo, delle sue pantofole e di giocare… di giocare alla famiglia felice. Non so perché.. perché si sia sposato… credo che... che sia solo perché mia madre era rimasta incinta di me e… i loro genitori li hanno costretti. Erano entrambi molto giovani… erano altri tempi…. Mia madre non me l’ha mai detto ovviamente ma… ma l’ho capito negli anni. Come ho capito tante altre cose: la prima volta che l’ho beccato con un’altra avevo dieci anni. Si baciavano nell’auto di mio padre, parcheggiata poco lontano da casa… era sera e… ed ero sceso a buttare i rifiuti. Era… era la cameriera del bar vicino casa e mio padre non… non si preoccupava nemmeno più di… di nascondere le sue tresche o di andarsele almeno a cercare lontano da casa. Mia madre non diceva mai niente… lo difendeva sempre e… e lo perdonava ogni volta, se lo riprendeva in casa e ingoiava, ingoiava, ingoiava e deperiva, deperiva sempre di più. È morta… è morta che aveva cinquantacinque anni… era più giovane di me adesso!” esclama, non riuscendo a contenere il tono di voce, mentre ricorda in che stato si era ridotta, peggio di una larva, “non… non si era più curata di sé e si era lasciata andare. Chissà da quanti anni… da quanti anni stava male ma non era mai voluta andare a farsi visitare, non aveva mai detto niente… fino a che… fino a che non si reggeva quasi in piedi e le hanno trovato un tumore al polmone al terzo stadio. Ormai era troppo tardi… non c’era nulla da fare… era piena di… di metastasi.”
 
Gaetano è nuovamente ammutolito: sapeva qualcosa del padre di Renzo e del fatto che si detestassero, ma… ma non avrebbe mai immaginato tutto questo. Tante cose cominciano ad essergli chiare, mentre lo sguardo di Renzo, così carico di tormento, di… di odio, di angoscia, il suo tono di voce lo colpiscono come non avrebbe mai ritenuto possibile. Forse perché… perché gli suonano fin troppo familiari.
 
“Hai un’idea di cosa significa vivere con… con il senso di colpa che… che se non fosse stato per me, che se non fossi nato io, mia madre… mia madre avrebbe avuto una vita diversa?” gli domanda il tono sempre più disperato, “io sì! Ed è per questo che… che non ho mai potuto sopportare gli… gli uomini come mio padre… per questo che… quando ho saputo quello che è successo a Tommy io… ti ho disprezzato ancora di più e… ed è per questo che non mi sono mai fidato di te, delle tue promesse, che ho sempre avuto il terrore che tu potessi… che un uomo come te potesse entrare nella vita di Camilla e di nostra figlia. Ed è per questo che sono sempre stato così… così protettivo con Livietta, forse ho esagerato ma… ma ho il terrore che possa succedere anche a lei che… che incontri l’uomo sbagliato e che… basta un momento per rovinarsi la vita per sempre e… io non voglio che Livietta possa mai fare la fine di mia madre!”
 
“Queste cose hai mai provato a dirle a Livietta?” osa chiedere Gaetano, visto che Renzo sembra aver fatto un attimo di pausa.
 
“A Livietta?! E quando?! E come?! Livietta… Livietta non mi ascolta, sono anni che non mi ascolta e… quando mi ascoltava era troppo piccola per capire… e… la verità è che… è colpa mia se non mi ascolta, se non sono più… più in grado di parlarle,” riconosce Renzo, anche se gli costa una fatica tremenda, ma… è inutile raccontarsi palle, ormai, “sai… sai cosa mi fa più male? Che quando è morta mia madre… ho deciso… ho promesso a lei e a me stesso che non sarei mai stato come mio padre. Ero già fidanzato con Camilla e ho promesso che se ci fossimo sposati e se avessimo avuto dei figli, per loro ci sarei stato sempre, sempre. Che sarei stato il marito e il padre perfetto, quello che mio padre non era mai stato, che avrei dato loro tutto quello che era mancato a me e a mia madre. E invece… e invece mi ritrovo adesso a 56 anni, a rendermi conto che ho sbagliato tutto! Sono stato assente per troppi anni… ho passato troppo poco tempo con mia figlia e lei... lei si è sentita abbandonata da me e mi odia e mi disprezza proprio come… come io disprezzavo mio padre. Sono diventato come mio padre, Gaetano e senza nemmeno rendermene conto! Certo, non ho avuto duecento donne ma due ma… ho fatto questo tira e molla assurdo e… e non servono duecento donne per… per rovinare la vita a una bambina, basta molto meno. Non solo, ora scopro pure che… che per colpa mia e delle mie assenze mia figlia cerca riferimenti in altri uomini molto più grandi di lei e per di più simili a mio padre come quell’idiota dell’istruttore o-”
 
“O come me?” domanda Gaetano, con un sopracciglio alzato, essendosi ormai fatto un’idea precisa della situazione.
 
“Già… e sai cosa mi sembra incredibile, Gaetano? Che io… io non ho mai pensato che tu saresti mai stato capace di fare il padre… almeno in quello mi sono sempre sentito superiore a te, migliore di te. Penso solo a qualche mese fa… neanche un anno fa… io avevo una famiglia, una figlia, una moglie… tu avevi le tue donne, certo ma… tuo figlio non ti poteva vedere e tu sembravi fregartene di lui. E ora… io non ho più una moglie, mia figlia mi odia e tu invece… tuo figlio ti adora come se fossi un supereroe, Camilla è innamorata persa di te - e non fare quella faccia sorpresa, purtroppo lo so che è così, di quello che prova lei per te purtroppo non ho dubbi, forse una parte di me l’ha sempre saputo, è su di te che… che di dubbi ne ho ancora e parecchi,” precisa, vedendo l’espressione sbigottita di Gaetano, di fronte a questa ammissione che, di nuovo, pesa a Renzo come un macigno, ma ha deciso di smetterla di mettere la testa sotto la sabbia, “ma… ma se sapevo che Camilla aveva perso la testa per te, se quando… se quando mi ha detto che era finita tra noi, una parte di me sapeva di doversi rassegnare… non avrei mai immaginato che… che mia figlia si legasse così tanto a te. Che tu saresti riuscito dove io ho fallito: a conquistarla, a conquistarti la sua fiducia. Tanto che mi ritrovo qui ad implorarti di aiutarmi a riavvicinarmi a lei. Ma la verità è che ho paura, ho paura di come tu la userai questa fiducia, Gaetano, perché… perché già quello che è successo con quel… con quel cretino dell’istruttore dimostra che tu non hai idea di cosa significa gestire una ragazza di sedici anni. Forse io sono troppo severo ma tu-“
 
“Renzo, Renzo, ascoltami. Lo so che ho sbagliato a non parlare con Camilla di… di quello che Livietta mi aveva confidato sull’istruttore ma… ma se non l’ho fatto è perché ho chiesto informazioni su di lui, ho parlato con lui e… e ho capito che non è un pericolo per Livietta, ne sono sicuro. E sono convinto che non la cercherà più,” afferma, deciso, anche se ritiene decisamente più prudente tenere per sé il fatto che sia convinto che all’istruttore Livietta piacesse, e molto. Del resto Camilla lo sa e tanto basta: Renzo farebbe fuoco e fiamme e non vuole certo che corra ad aggredire Ferri o ad insultarlo. Livietta non li perdonerebbe mai.
 
“E ti garantisco che anche io non farei mai del male a Livietta, non… non sono un pericolo per tua figlia, Renzo. Non sarò perfetto, non sarò un santo, farò degli errori ma… io le voglio bene, le voglio bene da anni e mi ammazzerei piuttosto che farle del male. Lo so che non mi credi, ma è così. Io non voglio prendere il tuo posto, anche perché Livietta non mi vede e non mi vedrà mai come un padre e lei è la prima a non voler scegliere, Renzo, lei vorrebbe poterci avere tutti e due nella sua vita, possibilmente senza che passiamo il tempo a scannarci. E visto che tu sei qui a chiedermi un’altra possibilità, te lo chiedo anche io, Renzo, di darmi almeno una possibilità con lei, di dimostrarti che non hai nulla da temere da me!”
 
“La fai facile tu… tu che fai il permissivo, l’amicone, il poliziotto buono! Io sarò esagerato dal lato opposto ma… io ho il terrore della… della leggerezza che dimostri con mia figlia, di queste tue certezze incrollabili! Ma che ne sai davvero tu di quello che… che un trentenne sciupafemmine potrebbe volere da mia figlia? Come fai a dire che non è un pericolo, che tiene a lei? Perché ci hai parlato una volta e hai preso due informazioni e allora, siccome hai questo intuito prodigioso, sei sicuro di non sbagliarti?” chiede Renzo, la sua voce di nuovo dura e amara, “ti vorrei solo far notare che se il tuo istinto sulle persone fosse così infallibile, forse non avresti bisogno della… chiamiamola consulenza di mia moglie sulle indagini, no?”
 
“Renzo, ascoltami, io-“
 
“La verità è che… che magari tu terrai anche a Livietta, le vorrai bene a modo tuo ma… ma tu hai… hai tuo figlio, hai Camilla, mentre per me… per me Livietta è l’unica persona che mi è rimasta al mondo, l’unica famiglia che ho! Ma tu hai la minima idea di cosa si prova, eh? Cosa si prova a temere ogni giorno di perderla? Di temere ogni giorno, ogni notte che potrebbe capitarle qualcosa di male, che potrebbe uscire una mattina o una sera e non tornare più o che… che comunque le capiti qualcosa di irreparabile, che la rovini per sempre? Puoi capire quello che ho provato con tutta la storia di Bobo, eh? Il terrore, il terrore di non vederla più, gli incubi che ho avuto per settimane, che ancora mi tornano qualche notte, in cui mi annunciano che Livietta è morta o… o che Livietta è sparita e non si trova più? Hai la minima idea di cosa si prova, eh, Gaetano? Di cosa si prova ad amare una persona più di se stessi e sapere che… che non puoi impedirle di farsi male?”
 
“Sì, sì che ce l’ho un’idea Renzo, eccome se ce l’ho! Forse ti dimentichi che io-“
 
“Camilla non conta, Gaetano!” esclama Renzo, sarcastico, “ok, si caccia sempre nei guai ma-“
 
“Non stavo parlando di Camilla, anche se ogni tanto mi fa preoccupare ma… ma lo so che è una donna intelligente, con la testa sulle spalle e del cui giudizio mi posso fidare, stavo parlando di-“
 
“E non conta neanche Tommy: ti garantisco che a cinque anni è facile controllarli… a sedici invece-“
 
“Renzo, mi fai parlare?!” sbotta Gaetano, esasperato, “forse ti dimentichi che… che io per anni ho avuto solo mia sorella. E la sai una cosa, Renzo? Tu non sei l’unico ad avere avuto problemi con tuo padre, ad avere una madre succube che… che si è lasciata andare. E non serve nemmeno un’altra donna, nemmeno una, per creare i problemi ai figli. Anzi, a volte un padre presente può fare anche più danni di uno assente, se è presente nel modo sbagliato. I miei sono morti entrambi che sia io che mia sorella eravamo ancora relativamente giovani, soprattutto Francesca e… mi sono ritrovato per anni a farle da madre e da padre, anche prima che morissero in realtà. E lo sai cosa vuol dire, Renzo, per un ragazzo di vent’anni vivere con il terrore ogni volta che… ricevevo una chiamata da casa, o da Francesca o da un numero sconosciuto? Cosa significa passare anni e anni e anni successivi ad avere paura se non la sentivo per qualche settimana? A temere da un momento all’altro che sarebbe arrivato qualcuno ad avvertirmi che… che si era cacciata in qualche guaio più grande di lei, che era morta o in fin di vita? Sai, dopo che sono morti i miei genitori, quante volte ho temuto di morire in qualche missione e di cosa ne sarebbe stato di Francesca? Che sarebbe finita a fare la barbona o… o peggio a vendersi o… o a suicidarsi. Perché Livietta è una ragazza vivace, sì, e ha fatto degli errori, ma ha un grande istinto di sopravvivenza, Renzo, un grande amore per la vita, per se stessa, per le persone che ama mentre… mentre Francesca… si era persa e, come diceva quella canzone di De André, per un periodo ho davvero temuto che… che non sapesse più tornare, che non avrebbe mai più ritrovato la sua strada.”
 
Renzo rimane per un attimo a bocca aperta, non sapendo cosa dire, sembrando sconcertato quanto Gaetano lo era stato qualche attimo prima.
 
“E se mia sorella si… si era persa era soprattutto colpa di… di mio padre e anche di mia madre… ma… ma anche di alcune esperienze che l’hanno segnata e che io non sono riuscito ad impedire, perché… perché non c’ero, perché stavo anche io crescendo, stavo studiando e non potevo essere presente in ogni momento della vita di mia sorella. E dopo quello che ho passato con Francesca, non vorrei mai, mai che Livietta facesse le stesse esperienze di mia sorella ma… ma non credo che le farà e secondo me non dai abbastanza credito non solo a lei ma all’educazione che le avete dato tu e Camilla. E poi… e poi se c’è una cosa che ho imparato dall’esperienza con Francesca è che col muro-contro-muro, con la severità, con la durezza si fa solo peggio. Io… io ero arrivato a fare peggio di te con Livietta, ero diventato quasi un gendarme con mia sorella e… e mi ero allontanato da lei emotivamente… ero diventato più… più duro, più rigido, più freddo forse perché… perché avevo paura di quello che le sarebbe potuto succedere e… e una parte di me stava forse cercando di staccarsi da lei di… di soffrire meno se lei… se lei… se lei fosse morta.”
 
I due uomini si guardano per qualche istante, entrambi increduli dalla piega che ha preso questa conversazione. Gaetano stringe le maniglie della poltroncina fino quasi a sentirle cedere perché queste sono cose che solo Camilla fino ad ora sapeva – e non perché gliele avesse dette, ma perché… perché conosceva lui e Francesca, perché, come sempre, aveva intuito tutto senza bisogno di parlarne. E non avrebbe mai immaginato di confidarle a qualcuno un giorno, meno che mai a Renzo.
 
“E invece… stavo sbagliando tutto… stavo facendo solo peggio con  la mia severità, la mia intransigenza, avevo spinto mia sorella a pensare che non le volessi bene, a credere di non poter parlare con me, di non potersi confidare con me, a pensare che… che non l’avrei capita, che l’avrei giudicata e basta. E l’ho capito… per capirlo sono dovuto arrivare a trovarmela su un letto di ospedale e… se non fosse stato per Camilla che l’aveva trovata e aveva chiamato l’ambulanza… sarebbe morta… si sarebbe uccisa con i sonniferi e l’alcol…”
 
“È stato… è stato quando Camilla ci ha portato a casa il suo cane?” intuisce Renzo, che all’epoca aveva soltanto saputo che Francesca era in ospedale – che era sorella del poliziotto l’aveva scoperto solo successivamente, perché Camilla, guarda caso, aveva omesso quel piccolo dettaglio. Ma evidentemente non era il solo piccolo dettaglio che aveva omesso, visto che Renzo non aveva idea che Francesca fosse stata ricoverata per una cosa del genere.
 
“Sì, esatto… e lì ho capito che… che dovevo cambiare… dovevo cambiare il mio rapporto con lei radicalmente. Che, certo bisogna… saper mettere dei paletti… criticare anche quando serve o saper dire dei no, nel caso dei figli ma… che bisogna anche saper spiegare il perché non siamo d’accordo su una cosa, perché ci spaventa o ci preoccupa. Saper ascoltare, saper fare capire alla persona che amiamo che… che comunque vada, qualunque cosa farà, potrà contare su di noi, perché la amiamo e la ameremo sempre e non la giudicheremo,” spiega Gaetano, per poi fare un sospiro e aggiungere, guardando di nuovo Renzo negli occhi, “Renzo, io non sono il nemico. Forse non sono e non sarò mai un amico ma non sono il nemico e non farei mai del male a Livietta, mai, non solo perché tengo a lei da morire, ma perché so benissimo che Camilla senza Livietta non potrebbe mai essere felice e io voglio solo che sia felice, che siano felici, anche se tu non mi credi. Ma io non sono un mostro! D’accordo, non sono stato un santo, diciamo pure che in certi periodi della mia vita posso essere stato uno stronzo, ma… ma se per anni sia io che Francesca abbiamo avuto problemi con… con i legami, con le relazioni sentimentali, se per anni non siamo mai riusciti a innamorarci… forse un motivo c’è, no? E… e purtroppo non ho avuto la fortuna immensa che hai avuto tu – anche se forse adesso non la pensi così – la fortuna di incontrare una donna come Camilla al momento giusto, presto, in tempo per formare una famiglia. E quando l’ho incontrata era già impegnata con te. E sicuramente non sarà stato nobile da parte mia corteggiarla… mettermi in un certo senso tra di voi… ma io la amo da sempre e… e credo che questo non mi rende un mostro, Renzo. Come tu quando hai lasciato Camilla per Carmen non sei stato un mostro… siamo solo umani, Renzo. Purtroppo e per fortuna.”
 
Silenzio… un lungo ed interminabile silenzio. Occhi azzurri incontrano altri occhi azzurri, cercando di leggere i pensieri dell’altro, oltre alla sorpresa e a un po’ di imbarazzo.
 
“Forse… forse questa è la prima volta che… che parliamo davvero noi due,” commenta infine Renzo con un sospiro: il confronto a casa di Gaetano che era quasi finito in rissa non poteva certo essere classificato come un dialogo.
 
“Sì, forse sì,” conferma Gaetano, ricambiando il sospiro.
 
“Ammetto che… che forse non… non ho mai provato a mettermi nei tuoi panni, Gaetano – anche se tu più che mettertici te li togli,” ironizza Renzo, per sdrammatizzare, ma Gaetano non può fare a meno di notare che il tono del rivale sembra molto più tranquillo e non sarcastico o beffardo, “forse ti ho sempre visto come questo… stereotipo ambulante e… non ho mai cercato di capirti, di conoscerti… anche perché cercavo solo di evitare che lo facesse Camilla.”
 
“E… e lo posso capire,” ammette Gaetano a sua volta.
 
“E anche se… se non potremo mai essere amici… forse… forse possiamo arrivare davvero ad una tregua per… per Livietta, per Camilla, per me e per te. Anche perché tanto continuando a darti addosso… non risolvo niente, anzi, peggioro solo le cose…” sospira nuovamente, scuotendo il capo.
 
“A me una tregua piacerebbe, Renzo, ma una vera tregua. Non che cambi idea tra due giorni un’altra volta,” ribatte Gaetano, trattenendosi dal commentare con un – l’hai capito solo adesso?
 
“D’accordo, ti… ti prometto che non ti causerò altri problemi e non… non cercherò più di ostacolare la storia tra te e Camilla o… o il fatto che Livietta passi del tempo con te. A meno che tu non me ne dia un motivo, Gaetano: falle soffrire e giuro che me la paghi!” esclama Renzo, deciso, quasi scarnificandosi i palmi con le unghie mentre pronuncia quelle parole che non avrebbe mai voluto pronunciare perché… perché suonano come una resa. Ma, Renzo, lo sa bene, ormai la partita è già persa e… non ha senso continuare a combattere.
 
“Non lo farò, te lo garantisco, Renzo,” assicura, ricambiando l’occhiata dell’altro uomo.
 
“Mi aiuterai con Livietta?” domanda quindi Renzo, l’urgenza quasi disperata evidente nel tono di voce.
 
“Sì. Ma non per te, Renzo, non solo, ma anche e soprattutto per Livietta e per Camilla. Ma a due condizioni: prima di tutto tu mi devi promettere che non la deluderai di nuovo, che non le deluderai di nuovo. Altrimenti sarai tu a pagarmela!” intima, il tono deciso e convinto di chi non sta scherzando.
 
“Te lo prometto. Se Livietta mi darà una possibilità non… non la butterò via. E farò tutto quello che posso per non deluderla mai più,” garantisce Renzo, per poi chiedergli, un velo di apprensione nella voce, “quale sarebbe la seconda condizione?”
 
“Che Camilla sia d’accordo, Renzo. Che sia d’accordo che… che Livietta rimanga qui con te e con Carmen. È la madre di Livietta e la mia compagna e… e non voglio scavalcarla. Lo capisci, vero?” chiede, fissandolo negli occhi, mettendolo alla prova. Dopo quello che è successo con Camilla non vuole più rischiare di fare qualcosa di questa… di questa portata… qualcosa che riguardi Livietta senza consultarla prima: non vuole che pensi ancora che lui possa minare il suo ruolo, la sua autorità materna.
 
“Mi… mi sembra ragionevole…” ammette Renzo con un sospiro, sperando,  pregando che… che Camilla non si metta di traverso. Oggi aveva promesso di aiutarlo con Livietta e le aveva creduto quando gli aveva detto di averlo fatto ma non esserci riuscita: sa che Camilla non gli mentirebbe su una cosa del genere. Però una parte di lui teme che, anche se Camilla non vuole togliergli sua figlia, dall’altro canto non si fidi a lasciarla ancora sola con lui.
 
Con un sospiro, si alza in piedi e porge una mano tremante verso il rivale di una vita.
 
Una stretta rapida, rigida e solenne.
 
Renzo si volta e, in pochi istanti, sparisce oltre la porta.
 
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“Amore!”
 
Un sorriso dolce e viene trascinato dentro la stanza e in un bacio del buon giorno languido e profondo.
 
“Mmm… buongiorno…” le sussurra sulle labbra quando si staccano, posandole un altro rapido bacio, prima di dedurre, dato che sa benissimo che Camilla non lo bacerebbe in questo modo con la figlia presente, “Livietta non c’è?”
 
“Livietta è in bagno…”
 
“Allora… avresti due minuti?” le chiede, esitante, preparandosi mentalmente a quello che sta per fare, che sta per chiederle, sperando che Camilla sia d’accordo e temendolo quasi allo stesso modo.
 
“Anche più di due minuti, dottor Berardi… Livietta è appena entrata nella doccia e, come sai, come minimo ci mette un quarto d’ora, se va bene,” replica con un altro mezzo sorriso, prima di mormorare, lanciandogli un’occhiata eloquente, “dipende però a cosa ti servono i due minuti, perché Livietta non è sorda e… io ti conosco fin troppo bene quando ti vengono certe idee!”
 
“No… no, Camilla, ti… ti devo parlare un minuto. Potresti venire in camera mia? Solo per parlare, davvero,” ribadisce mentre Camilla solleva un sopracciglio e lo squadra con scetticismo.
 
“Solo per parlare? Non so se esserne rassicurata o se mi devo offendere o preoccupare…” commenta Camilla con un sospiro, prima di annuire, “d’accordo. Lascio solo un biglietto a Livietta.”
 
Dopo aver scritto il post-it, Camilla esce, ancora in camicia da notte, dalla stanza ed entra rapidamente in quella di Gaetano, che si trova di fronte alla sua.
 
“Allora? Che succede?” gli domanda, decisamente meno giocosa e più seria di prima.
 
“Succede che… stanotte Renzo è venuto in camera mia e-“
 
“Oddio! Stai bene, sì?!” esclama, ora decisamente preoccupata, osservandolo per accertarsi che sia tutto intero, “e Renzo? Sta bene? Ti ha dato problemi? Avete… avete litigato? Che è successo, Gaetano?!”
 
“No, no… io sto bene, come vedi e anche Renzo sta… fisicamente sta bene… non abbiamo litigato e… e Renzo non è venuto da me per far rissa, Camilla. È venuto per parlarmi e… incredibilmente siamo riusciti ad avere un confronto… civile,” chiarisce, mentre Camilla spalanca gli occhi in un’espressione stupita, probabilmente molto simile alla sua quando si era trovato davanti Renzo poche ore prima.
 
“Di… di che cosa voleva parlarti Renzo?” gli domanda, ancora incredula, anche se deve ammettere di sentirsi sollevata all’idea di non avere l’ennesimo casino da risolvere, come se non bastassero tutti quelli ancora irrisolti.
 
“È… è venuto a… a pregarmi di intercedere per lui con Livietta e di convincerla a non partire oggi.  A rimanere qui con lui e con Carmen,” spiega e la bocca di Camilla si spalanca anche più degli occhi, chiaramente colta completamente di sorpresa, “lui pensa che… che se glielo chiedo io, Livietta possa cambiare idea forse perché… perché Livietta sa quanto poco io e suo padre ci siamo sempre tollerati… per usare un eufemismo.”
 
“In effetti… in effetti potrebbe funzionare,” ammette Camilla, ancora sbigottita, scuotendo il capo, “Renzo l’ha pensata giusta, stavolta. Certo, ha una bella faccia tosta a chiederti una cosa simile dopo tutto quello che ha combinato, dopo quello di cui ti ha accusato! Ma, conoscendolo, gli deve essere costato non poco venire da te a… a chiederti aiuto. Doveva proprio essere disperato!”
 
“Sì… pensa che… si è quasi messo in ginocchio… all’inizio ero scettico e… ho capito che si stava sforzando, che… che stava cercando di recitare un discorsetto che si era preparato… che non aveva affatto cambiato idea su di me… che se lo faceva era perché sentiva di non avere alternative. Però poi abbiamo discusso, abbiamo parlato, ho cercato di fargli tirare fuori quello che pensava sul serio e… e forse per la prima volta da quando lo conosco… credo che ci siamo davvero capiti, Camilla, forse non su tutto, per carità ma… almeno mi ha ascoltato sul serio e ha guardato almeno per un attimo oltre tutti i pregiudizi che ha sempre avuto su di me. E… e mi ha promesso una tregua… ci siamo promessi una tregua, una vera tregua: mi ha giurato che non causerà altri problemi né a me, né a te, che... non ci ostacolerà più e… accetterà anche il fatto che Livietta passi del tempo con me… insomma… che la pianterà di farci la guerra.”
 
“E tu gli credi?” domanda Camilla, un sopracciglio alzato.
 
“Sì,” ammette con un sospiro, “sì, Camilla… ero scettico anche io, molto scettico ma… c’era qualcosa di diverso ieri… io credo che Renzo abbia finalmente capito che con questa guerra non risolve niente e anzi, ha solo da perderci e che… che io non sono realmente una minaccia, né per te, né per Livietta.”
 
“E… e quindi… ne devo dedurre che hai accettato di intercedere per lui con mia figlia?” chiede di nuovo, guardandolo negli occhi con un’espressione indefinibile e Gaetano non riesce a capire se ne sia sollevata o preoccupata. E forse non lo sa nemmeno lui.
 
“Gli ho detto che l’avrei fatto ma… ma solo a due condizioni,” precisa Gaetano, mordendosi il labbro, con un sospiro.
 
“E cioè?”
 
“E cioè che… che non avrebbe più deluso Livietta, che non… non avrebbe bruciato anche questa occasione facendo l’idiota e… e poi, soprattutto, che prima ne avrei parlato con te, come sto facendo, e che tu fossi d’accordo che Livietta rimanesse ancora qui con lui. Insomma, Camilla, dopo quello che è successo… lo capisco se l’idea non ti entusiasma e… e dopo quello che è successo ho imparato la lezione e non… non voglio certo scavalcarti e proporre qualcosa a Livietta che tu non approvi.”
 
Per tutta risposta, Camilla gli sorride commossa per poi posare le labbra sulle sue in un bacio dolce e delicato.
 
“Ti amo, lo sai?” mormora, accarezzandogli una guancia.
 
“Lo so,” annuisce, ricambiando il gesto, assaporando di nuovo la sensazione meravigliosa di sfiorare quella pelle morbida e delicata, che si tinge di rosa al contatto delle sue dita. Diventando poi di nuovo più serio, osa infine chiedere, “devo quindi dedurne che approvi?”
 
“Il tuo comportamento sicuramente, dottor Berardi, promosso a pieni voti!” scherza, facendogli l’occhiolino, prima di tirare un sospiro e chiarire, ora anche lei serissima, “per quanto riguarda Renzo… diciamo che… che sono ancora un po’ sconcertata e… e confusa da tutto. Ultimamente sembra quasi bipolare o schizofrenico con… con questi cambi improvvisi di idea e… di atteggiamento. E mi fido di te quando dici che ti sembrava sincero Gaetano, non fraintendermi, però…”
 
“Però hai paura che, anche se Renzo è convinto di quello che… che promette, poi non riesca a mantenerlo e succedano altri disastri?” intuisce, dovendo ammettere che Camilla tutti i torti non ce li ha ad essere preoccupata, anzi.
 
“Sì… sì, esatto. Sai come si dice… le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni e… e sinceramente, anche se non voglio certo escludere Renzo dalla vita di Livietta, anzi, vorrei che… che si chiarissero che… che riuscissero davvero a ritrovare un rapporto, e anche se so che… che portandoci via Livietta adesso… testona com’è… difficilmente darà a Renzo un’altra occasione, non in tempi brevi, però… però non so se posso fidarmi a lasciarla qui da sola con lui. Anche se c’è pure Carmen, ma…” confessa, riuscendo finalmente ad esprimere ad alta voce le sue paure.
 
“Lo so… e lo capisco, Camilla,” sospira, sapendo che lei ha ragione, ma sentendo anche che… che questo è un treno che non passerà più, per nessuno di loro. Che se non riescono a sistemare le cose adesso, a cogliere questo spiraglio, probabilmente per Camilla e Livietta si prospettano anni di… di faida con Renzo, anni davvero difficili. E, di conseguenza, anche per lui.
 
E l’idea che prima o dopo Renzo decida di provare il tutto per tutto e di… di provare in un certo senso a costringere sua figlia a frequentarlo, mettendo un tribunale di mezzo, non lo fa star tranquillo: sa cosa succede in questi casi e con i tempi della giustizia italiana…. E, almeno economicamente, Renzo può di sicuro permettersi una lunga battaglia legale più di quanto possa farlo Camilla con il suo stipendio da insegnante e sa che Camilla, orgogliosa com’è, difficilmente gli permetterebbe di aiutarla con le spese e con le parcelle.
 
“E se… e se rimanessi anche tu qui con lei, con loro?” propone d’impulso, le parole che gli escono di bocca prima che possa trattenerle.
 
“Che cosa?” sussurra Camilla, sembrando ancora più scioccata di quando le aveva riferito del colloquio con Renzo.
 
“Sì… solo… solo se te la senti, Camilla, è ovvio e-”
 
“E a te non darebbe fastidio?” lo interrompe Camilla, un’espressione indefinibile sul viso.
 
“Beh, diciamo che… che ovviamente l’idea non mi entusiasma… ma c’è Carmen con voi e… da come l’ho visto ieri sera non credo che Renzo farebbe… farebbe altre follie, ecco…. E, da un lato, se potessi rimarrei qui anche io con voi, ma… ma il questore mi sta addosso con questa storia dell’omicidio-suicidio della Mole e… e poi forse è meglio così… forse avete bisogno di un po’ di tempo solo tra voi tre, senza me di mezzo, per… per ricostruire un rapporto diverso e almeno civile. Ma, ripeto, solo se te la senti, Camilla, io-“
 
“No, non è… non è questo è che…” cerca di spiegarsi, sembrando stupita, colpita e… e forse anche…
 
“È che ti stupisce che non mi dia fastidio lasciarti qui con Renzo, visto che… visto che sono sempre stato geloso di lui, visto… visto quello che ti ho detto anche due giorni fa su… sull’influenza che… che a volte temo che lui potrebbe ancora avere su di te?” intuisce, riuscendo finalmente a decifrare le emozioni contrastanti sul viso della sua professoressa.
 
“Sì… non me l’aspettavo e… mi chiedo a cosa devo questo cambiamento,” ammette Camilla, non sapendo in cuor suo se esserne più sollevata o più turbata.
 
“Al fatto che so di potermi fidare di te, Camilla, di quello che c’è tra noi. Soprattutto dopo tutto quello che è successo negli ultimi giorni, ho capito ancora di più quanto mi ami, quanto ti fidi di me, anche se a volte faccio degli errori, ma tu mi ami per quello che sono e ti fidi di quello che provo per te e anche per tua figlia. E anche io mi fido di te, di quello che c’è tra noi, che è qualcosa di… di straordinario e, anche se ho una paura folle di perderlo, di perderti, lo so che non è un’illusione, che non è un fuoco di paglia, che è qualcosa che c’è da sempre e che sta crescendo sempre di più. E sono sicuro che non… che non lo getteresti via per ritornare da Renzo, anche se magari lui ci… ci dovesse riprovare e nonostante l’abbia sempre temuto, perché so che è stato il più grande amore della tua vita e vent’anni di storia non si cancellano certo in due minuti. Ma so anche che… che tra voi non funziona più da tanti anni, che sono anni che non eri felice con lui e che lo sai anche tu che non potrai più essere felice con lui. E l’hai capito e accettato o non avresti mai iniziato una storia con me. E poi… se dovessi vivere con il terrore che ti basti passare qualche giorno con Renzo per… per tornare da lui, beh, non vivrei più, non vivremmo più! E a quel punto sarebbe comunque meglio scoprirlo adesso che tra qualche mese o qualche anno. Ma sono sicuro che non succederà e che, anche se deciderai di rimanere qui con Livietta, tra una settimana tornerai a Torino da me. Non è questo che mi preoccupa di più, sinceramente, sono molto più preoccupato che Renzo non ti dia problemi di ben altro genere, rimettendosi a fare scenate o a farti la guerra ma… ma anche su questo dopo avergli parlato ieri sera, penso di poter essere ragionevolmente tranquillo.”
 
“Gaetano…” sussurra, gli occhi lucidi, il cuore che galoppa nel petto. Lo stringe a sé, più forte che può, ritrovandosi sollevata in aria, rabbrividendo quando sente le sue mani, il calore del suo corpo attraverso la sottile camicia da notte in seta.
 
“Ti amo, ti amo, ti amo…” mormora, ricoprendogli le guance di baci, per poi guardarlo dritto negli occhi e promettergli, “certo che tornerò da te, sempre. Non so cosa ho fatto per meritarmi un uomo come te, Gaetano, ma dovrei essere completamente pazza per pensare anche solo di rinunciare a te. Sei tu il più grande amore della mia vita e non ti libererai facilmente di me, dottor Berardi!”
 
Un sorriso, gocce di rugiada tra le dita e un bacio lunghissimo a suggellare una promessa che non è nemmeno una promessa.
 
Perché per entrambi promettere di ritrovarsi è come promettere di respirare o di mangiare, o di bere: è inevitabile ed entrambi hanno smesso di lottare contro l’inevitabile, di essere in guerra contro se stessi e contro il loro cuore.
 
E non hanno alcuna intenzione di ricominciare.
 
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“Gaetano? Se cerchi mamma non è qui… ero in bagno e… non so dove sia finita.”
 
“Tua mamma è… è in camera mia che si sta facendo la doccia, tanto io l’ho già fatta e così… guadagniamo tempo e-“
 
“Meno male, perché non vedo l’ora di andarmene da qui!” proclama Livietta, decisa ed evidentemente ancora furiosa, “io pochi minuti e sono pronta: facciamo colazione e andiamo e-“
 
“Sì, a questo proposito… veramente… veramente avrei bisogno di parlarti,” chiarisce Gaetano, guardando oltre la ragazza, ancora appoggiata allo stipite della porta, i capelli umidi e una spazzola in mano, “posso entrare?”
 
“Parlarmi di cosa? Comunque… sì… sì, certo, entra. Basta che non ci veda… qualcuno, che come minimo correrebbe da mamma ad accusarci di esserci appartati in camera!” ribatte Livietta, sarcastica, dura ed amara, facendolo passare e chiudendo la porta dietro di lui.
 
“In realtà… è proprio di questo che ti volevo parlare…” sospira Gaetano, preparandosi mentalmente a sganciare la bomba e sperando di non stare per giocarsi per sempre tutta la fiducia che, miracolosamente, Livietta ha riposto in lui.
 
“Di appartarsi in camera?” domanda, sempre più sarcastica, un sopracciglio alzato, per poi aggiungere, con un sospiro, seria ma tagliente come un rasoio, “o di… di quel cretino che una volta chiamavo padre?”
 
“Livietta… ascoltami… lo so che sei furiosa con lui e ti capisco, credimi che ti capisco benissimo, ma… ma ho parlato con tuo padre. Stanotte è venuto a trovarmi in camera e-“
 
“E che ha combinato stavolta?! Gaetano, mi dispiace, io non so come mai non ci hai ancora mandati tutti a quel paese – anzi, lo so, è perché ami mamma da morire – ma… mi dispiace,” si scusa Livietta, imbarazzata quanto triste ed arrabbiata, per poi domandargli, trattenendo il fiato, “allora, che ha combinato? Ha provato di nuovo a fare rissa con te? Cos’è stato capace di insinuare stavolta?”
 
“No, non ha fatto rissa con me e… non è neanche venuto per litigare. In realtà abbiamo parlato in maniera incredibilmente civile – lo so, anche io ne ero sorpreso quanto te, ma è così,” chiarisce, vedendo l’espressione incredula di Livietta.
 
“E… e di cosa avete parlato civilmente? Di me? Di mamma?” chiede, confusa.
 
“Di entrambe le cose ma soprattutto di te. Vedi, tuo padre è venuto da me per… per implorarmi di convincerti a non partire oggi, di rimanere qui con lui e-“
 
“COSA?! Certo che… sono anni che penso che mio padre ha una faccia tosta incredibile ma… ma stavolta ha battuto ogni record!” esclama Livietta, con una mezza risata sarcastica, scuotendo il capo, “non so come ha potuto avere il coraggio di chiederti una cosa del genere dopo quello di cui ti ha accusato, di cui ci ha accusati!”
 
“Livietta, lo so, anche io… anche io ero incredulo e sconcertato e diffidente, però… però poi ci siamo parlati sul serio, insomma, credo che ci siamo capiti per la prima volta da quando ci conosciamo e-“
 
“E quindi tu sei davvero venuto qui a chiedermi di restare qui con… con LUI dopo tutto quello che ha detto su di te? Dopo tutto quello che ha detto su di me? Io non ci posso credere, ma sei fuori?!” sbotta Livietta, lo sguardo carico di delusione di chi ha appena ricevuto una coltellata.
 
“No, no Livietta, ascoltami, io-“
 
“Io non ci posso credere, tu non puoi chiedermi una cosa del genere, non puoi! Non posso credere che tu ti fidi di lui! E perché? Perché stavolta è stato civile e non ha dato di matto?! Non puoi fidarti delle sue parole, non ci posso credere! Ma ti rendi conto che… che cambia umore e idea ogni cinque minuti? Un giorno è un agnellino, poi sclera, poi ritorna il giorno dopo con le lacrime da coccodrillo, poi dà fuori di nuovo! Io sono stufa, stufa! E tu mi chiedi di rimanere qui a subire ancora tutto questo?!”
 
“No, Livietta, no, ascoltami, ascoltami!” la prega, posandole le mani sulle spalle per costringerla a guardarlo negli occhi, “tu ti fidi di me?”
 
Livietta rimane per un attimo in silenzio, sembrando incerta, guardando quegli occhi azzurri che la fissano di rimando, senza esitare.
 
“Sì,” ammette infine con un sospiro, “lo sai che mi fido di te, Gaetano, ma-“
 
“E allora sai anche che non ti chiederei mai di fare qualcosa se… se pensassi che... che è qualcosa di cui tu ti pentiresti, che potrebbe farti male o crearti problemi. Io ti voglio bene e non voglio certo convincerti a metterti in una situazione in cui starai male, non ci penso neanche,” ribadisce, deciso, continuando a guardarla negli occhi per farle capire che è sincero.
 
“Ma allora… perché?” gli domanda, ancora incredula, confusa, turbata.
 
“Ascoltami, le tue paure le capisco, le capisco benissimo. Sono le stesse cose che ho detto anche io a Renzo, le stesse cose che gli ho detto quando è venuto a implorarmi di intercedere con te. Perché, anche se immaginavo quanto gli sarà costato e te lo lascio immaginare, Livietta, orgoglioso com’è tuo padre, non volevo che fossero appunto le solite lacrime di coccodrillo. Che venisse da me col capo cosparso di cenere e poi tra due giorni riprendesse a farmi, a farci la guerra. Ho provato anche io cosa vuol dire continuare a illudersi, a sperare in un miracolo con i propri genitori, a sperare che… qualcosa cambiasse che… ‘questa volta sarà diverso’… e lo so cosa si prova quando si scopre che invece non cambia e non cambierà mai niente.”
 
“Quindi tu pensi sul serio che… che stavolta è diverso?” chiede Livietta e Gaetano non sa se il tono sia più pieno di dubbio o di… di speranza.
 
“Diciamo che… che qualcosa di diverso c’è stato e… e credo che tuo padre si sia reso conto che andando avanti così non avrebbe risolto niente e anzi, avrebbe finito per perderti. Che deve essere un padre migliore per te e che… che io non sono un pericolo per te e per tua madre. Che non saremo mai amici ma possiamo provare a comportarci come persone civili, ecco…”
 
“Ma io pensavo che questo l’avesse già capito prima di partire per Londra, Gaetano, mi sembrava davvero cambiato… sembrava che fosse ritornato come ai tempi d’oro, quando ero ancora piccola e… e quando stava con Carmen,” ammette, anche se a fatica, “anche qui a Londra i primi giorni era… era perfetto, dolcissimo e… e mai avrei pensato che… che potesse pensare che… che io e te…”
 
La voce le si spezza perché quelle accuse sono ancora come uno schiaffo in pieno viso, peggio di uno schiaffo.
 
“Livietta, mi dispiace, io-“
 
“È per questo che… che non so se posso fidarmi, Gaetano. Io mi fido di te e del tuo giudizio però… però tu non conosci mio padre quanto lo conosco io. Sa essere così convincente a volte… quando vuole davvero qualcosa… però poi… però poi arriva sempre la fregatura, sempre,” afferma, gli occhi lucidi e l’aria di chi sta per piangere.
 
Gaetano è per un attimo combattuto su cosa fare. Si chiede se stia facendo la cosa giusta o se non stia invece commettendo il più grosso sbaglio della sua vita. Può davvero prendersi la responsabilità di garantire a Livietta che stavolta sarà diverso quando, lo sa benissimo, l’animo umano non è mai così semplice e… e Renzo è un uomo che sta passando un periodo nero della sua vita e… nei periodi neri le persone raramente danno il meglio di sé o possono mantenere le promesse che fanno, per quanto lo vorrebbero.
 
Ed è di nuovo l’istinto a decidere per lui, l’istinto che gli ha quasi sempre suggerito la cosa migliore da fare, sia con Livietta, sia con Camilla e spera che non sbagli stavolta.
 
“Livietta… credo che… credo che ci sia qualcosa che tu dovresti sentire,” pronuncia, vincendo l’esitazione, il timore di quello che Livietta potrebbe pensare di lui quando le rivelerà quello che le sta per rivelare.
 
“Sentire? Cosa vuoi dirmi ancora? C’è qualcos’altro che io non so?” gli domanda, sembrando sempre più preoccupata.
 
“Ci sono tante cose che… che penso tuo padre dovrebbe dirti, che dovresti sapere ma che… che lui non riesce a dirti. E… e hai ragione, non posso prometterti che stavolta sarà diverso, non posso deciderlo io per te. Come hai detto giustamente, tu conosci tuo padre molto meglio di quanto lo conosca io e… credo che debba decidere tu, giudicare tu,” afferma, deciso, prima di estrarre il cellulare dalla tasca e chiarire, di fronte allo sguardo confuso di Livietta, “lo so che… che forse non ci faccio una gran figura e… che forse penserai male di me, ma… ieri sera quando tuo padre mi si è presentato in camera… ho registrato di nascosto la nostra conversazione, per sicurezza. Sai, non volevo che-“
 
“Che facesse di nuovo il matto e poi ti accusasse di averlo aggredito?” intuisce Livietta, con un sospiro, trafiggendolo con un’occhiata eloquente.
 
“Sì, qualcosa del genere, sì. Pensavo di… di tenere la registrazione per qualche giorno, sai, per sicurezza, e poi… e poi cancellarla, visto che non era successo niente di che. Però… però ci sono delle cose che penso dovresti sentire, che dovresti conoscere. Lo so che tuo padre forse non mi perdonerà mai per questo ma penso che… penso che arrivati a questo punto lui con te non abbia più niente da perdere… e penso che tu hai bisogno di sapere per decidere con consapevolezza, per prendere le decisione più giusta per te… e… e so che questo è l’unico modo, perché probabilmente altrimenti tuo padre non avrà un’altra occasione per spiegartele, per parlartene.”
 
“Cioè, fammi capire: io sono furiosa con mio padre per… per avermi spiata e tu… e tu mi stai proponendo in un certo senso di… di spiarlo?” esclama, un sopracciglio alzato, lanciandogli un’occhiata degna di quelle di Camilla.
 
“Lo so, Livietta e, ripeto, lo so che probabilmente penserai male di me ma… ma in questo caso credo che, anche se, ripeto di nuovo, probabilmente Renzo non lo vorrebbe e non me lo perdonerà, alla fine preferisca anche lui questo all’alternativa, che è perderti, Livietta,” ribadisce, sapendo di stare facendo forse non la cosa più giusta, ma di sicuro la migliore possibile in questo momento.
 
“Quindi il fine giustifica i mezzi?” gli domanda, sempre con quel sopracciglio arcuato e quell’espressione che gli ricorda tanto la sua professoressa.
 
“No, non sempre, ma in questo caso sì,” afferma, determinato e convinto, sostenendo lo sguardo della ragazza.
 
“Certo che tu e mia madre siete proprio fatti l’uno per l’altra: quando siete convinti di una cosa non vi arrendete mai!” proclama Livietta con un mezzo sorriso e un tono affettuoso, scuotendo il capo, “d’accordo, dai, sentiamo!”
 
Si siedono sulle due poltroncine, identiche a quelle su cui lui e Renzo si erano seduti nel cuore della notte, e Gaetano fa partire la registrazione.
 
Livietta rimane ad ascoltare, in silenzio. L’audio è abbastanza buono e si riescono a cogliere tutte le sfumature del tono di voce anche se, Gaetano lo sa bene, le espressioni, i gesti, fanno tantissimo e quelli purtroppo non ha potuto registrarli e Livietta dovrà solo immaginarli.
 
Ma spera che basti.
 
“Si… si stava sul serio mettendo in ginocchio?” gli chiede, incredula, avendo sentito il rumore delle poltrone che si muovevano.
 
“Sì, sul serio,” conferma Gaetano, permettendole poi di ascoltare in silenzio il resto della registrazione.
 
“Cosa vuol dire: minacciare Camilla di toglierle vostra figlia?” sibila Livietta, guardandolo con occhi spalancati e Gaetano sa benissimo che questo è il punto critico di questa conversazione, quello che avrebbe voluto che Livietta non ascoltasse ma… non poteva evitarlo, se voleva che potesse sentire il resto.
 
Si affretta a stoppare la riproduzione audio, prima che Livietta si perda le parti che davvero contano e cerca di chiarire, “tuo padre era furioso quando ha letto quel pezzo di diario e… e insomma, pensava che ti fossi innamorata di me e quindi chiaramente voleva che… che tua madre mi lasciasse in modo che tu non mi dovessi vedere tutti i giorni. E-“
 
“E ha minacciato altrimenti di andare in tribunale per… per chiedere l’affido esclusivo, non è vero?” deduce Livietta, incredula, addolorata, come se avesse ricevuto un altro pugno allo stomaco.
 
“Sì, esatto. Però… da un lato lo capisco, Livietta. Cioè, non fraintendermi, tuo padre ha sbagliato ma… era terrorizzato per te, per la tua incolumità e… e fino a stanotte non avevo capito quanto fossero profonde e radicate queste sue paure. Ascolta il resto, ti prego e poi… poi se vuoi ne parliamo meglio, ok?” propone con lo sguardo e il tono più convincenti che possiede.
 
“Va bene… anche se Gaetano… sinceramente finora non ho ascoltato nulla che può farmi cambiare idea, anzi, dopo questo semmai tutto il contrario!” ribatte la ragazza, decisa e dura, “tante belle parole su quanto mi vuole bene, certo ma… ma quello che contano sono i fatti Gaetano e… e sono anni che le parole di mio padre dicono una cosa e i fatti dicono un’altra.”
 
Gaetano non risponde, si limita a far ripartire l’audio e aspettare.
 
Anche Livietta rimane in silenzio, gli occhi e la bocca che si spalancano e si fanno sempre più lucidi mentre sente Renzo raccontare di suo padre, di sua madre, delle sue paure su Livietta e sugli uomini come suo padre.
 
“Hai chiesto informazioni su Lorenzo? E gli hai parlato?” domanda poi, trafiggendolo con un’occhiata curiosa e penetrante.
 
Gaetano di nuovo stoppa il nastro.
 
“Beh, certo, Livietta… anche se mi fido di te e della tua parola, volevo… volevo accertarmi che Ferri non fosse un pericolo per te, che fosse una brava persona. Perché un conto è fidarsi di te, un conto è fidarsi di lui, che per me era comunque uno sconosciuto. E sì, ci siamo chiariti, tutto qui. Ovviamente non gli ho detto nulla di quello che tu mi hai confidato, Livietta, di quello che provi per lui, ma… insomma… credo che si rendesse conto benissimo anche lui perché la vostra frequentazione mi preoccupava, no?
 
“Sì…” ammette Livietta, annuendo, “In effetti… quando ci siamo salutati il giorno della nostra ultima lezione, mi ha detto che… che sei un uomo intelligente e corretto e… adesso capisco esattamente a cosa si riferiva. E comunque te l’avevo detto di non preoccuparti e che… che lui non voleva di certo… quello da me.”
 
“Proseguiamo ad ascoltare, ok? Anche perché se no tra un po’ il volo parte e ti tocca rimanere qui per forza,” ironizza, glissando sull’affermazione di Livietta perché sa che per risponderle dovrebbe mentire, visto che dubita seriamente che Ferri non fosse interessato a Livietta, almeno un po’.
 
Di nuovo in perfetto silenzio, Gaetano fa ripartire la registrazione.
 
Gli occhi lucidi di Livietta si fanno sempre più grandi e acquosi, fino a che non riesce più ad impedire a due lacrime di rigarle le guance, quando sente quanto suo padre avesse avuto paura per lei ai tempi di Bobo, quanto abbia ancora paura per lei.
 
Un nodo in gola che le impedisce di parlare, ascolta Gaetano raccontare di Francesca, la mano davanti alla bocca come a trattenere un singhiozzo.
 
Gaetano chiude gli occhi e stringe i pugni: non avrebbe mai voluto rivelare questi segreti così dolorosi per lui non ad una, ma a due persone oggi ma… ma sa che non può fare altrimenti e si fida di Livietta e della sua discrezione.
 
Con uno scatto la registrazione finisce.
 
Gaetano riapre gli occhi e incontra quelli di Livietta e rimangono ad osservarsi ancora per qualche istante, senza parole.
 
“Mi… mi dispiace per tua… per tua sorella, non… non avrei mai immaginato, conoscendola adesso. Sapevo che… che la chiami la Mina Vagante ma… non pensavo che…” mormora Livietta, la voce roca.
 
“Lo so… lo sapete solo tu, tuo padre, tua madre e… ed io e Francesca, naturalmente, e-“
 
“Tranquillo, non… non lo dirò mai a nessuno e… insomma… non dirò mai niente a Nino,” lo rassicura, allungandosi per stringergli una mano, in segno di promessa e forse anche di conforto.
 
“Grazie…” le sussurra di rimando, ricambiando la stretta in maniera quasi convulsa.
 
“E… e non pensavo che… ma perché mio padre non mi ha mai detto niente?! Di mio nonno… di… di nonna… di… di Bobo… non credevo che avesse avuto così tanta paura, che… che avesse sofferto così tanto!” ammette Livietta, schiarendosi la voce e asciugandosi le lacrime.
 
“Perché a volte la cosa di cui abbiamo più paura è avere paura, Livietta, essere vulnerabili e farlo vedere agli altri, soprattutto a chi amiamo di più, a chi ci rende vulnerabili. E forse… forse tuo padre non voleva farti sentire in colpa, non ci hai pensato? Anche se poi ti ci ha fatto sentire lo stesso, lo so ma… credo che non volesse questo,” prova a ipotizzare e, per tutta risposta, si trova stretto in un abbraccio fortissimo.
 
“Grazie,” gli sussurra all’orecchio, dandogli un paio di pacche sulle spalle prima di lasciarlo andare e rimettersi a sedere, questa volta sul tavolino.
 
“Tieni,” le offre, porgendole il pacchetto di fazzolettini di carta che tiene sempre in tasca – deformazione professionale.
 
“Grazie…” ripete, afferrandone uno, asciugandosi gli occhi e soffiandosi il naso.
 
“Avevi ragione sai… quando dicevi che… che c’era qualcosa di diverso,” proclama poi Livietta, con voce ancora tremante, guardandolo negli occhi, “e… e capisco ora la sparizione di mamma. Ne hai già parlato con lei, immagino, da quello che hai detto a papà… e sapeva che saresti venuto a parlarmi.”
 
“Sì, le ho spiegato cosa mi aveva chiesto Renzo e che volevo parlarti ma… ma non le ho fatto sentire la registrazione perché… perché non è stato necessario…” chiarisce, non potendo fare a meno di notare che è la prima volta dopo la sceneggiata alla reception che sente Livietta chiamare suo padre papà.
 
E sicuramente non è un caso.
 
“Lei si fida del tuo giudizio, lo so, Gaetano e fa bene a fidarsi,” riconosce Livietta, asciugando le ultime lacrime.
 
“Ma…?” le chiede, riconoscendo quel tono di voce e sapendo che Livietta non ha detto tutto.
 
“Ma, anche se ti ringrazio per avermi… per avermi fatto sentire quello che ha detto papà e avermi fatto capire tante cose di lui che… che non avevo mai capito, gli parlerò e gli darò un’altra possibilità ma… non so se ce la faccio a rimanere qui da sola con lui e Carmen,” ammette con un sospiro, guardandolo negli occhi.
 
“Lo capisco, Livietta ma… se rimanesse anche tua madre con voi?” le chiede, trattenendo il fiato in attesa della risposta.
 
“Mamma?!” chiede Livietta, spalancando di nuovo gli occhi, meravigliata, “ma… ma te l’ha proposto lei?”
 
“Diciamo che ne abbiamo già parlato e so che anche tua madre sarebbe più tranquilla così, solo se lo vuoi anche tu, chiaro.”
 
“Quindi gliel’hai proposto tu,” deduce Livietta, sempre più strabiliata, conoscendo ormai bene Gaetano e i suoi tentativi di glissare quando c’è qualcosa che lo mette in imbarazzo, vedendolo arrossire e avendo quindi conferma delle sue supposizioni, “io… io non ci posso credere che… che hai fatto questo per me!”
 
Nel giro di un secondo, Gaetano si ritrova avvolto da un altro abbraccio, un peso lievissimo sulle ginocchia dato che, nella foga, Livietta gli è praticamente finita in braccio.
 
“Lo sai che se adesso entra tuo padre e ci vede così, finisco sul fondo del Tamigi?” ironizza, non appena lei molla leggermente la presa, facendola ridere e guadagnandosi una gomitata nel fianco.
 
“Quanto sei scemo!” esclama Livietta, con tono affettuoso, per poi sollevarsi dalle ginocchia di lui, rimettersi a sedere sul tavolino e chiedergli, nuovamente serissima, “sul serio non ti darebbe fastidio?”
 
“Finire nel Tamigi? Beh, diciamo che, d’accordo che fa caldo, ma-“
 
“Eddai, lo sai cosa voglio dire! Non ti dà fastidio che mamma rimanga qui da sola con me e soprattutto con papà?” gli chiede, scrutandolo come per cogliere ogni minima esitazione.
 
“Anche io mi fido di tua madre e del suo giudizio,” replica, semplicemente e tranquillamente.
 
“E anche tu fai bene a fidarti, perché non hai nulla di cui preoccuparti: mamma ti ama da morire,” lo rassicura, prima di picchiarsi le ginocchia in un modo che a Gaetano ricorda di nuovo straordinariamente Camilla, alzarsi in piedi e proclamare, “mi sa che mi devo mettere al lavoro: ho una, anzi due valige da disfare!”
 
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“Livietta! Camilla!”
 
Renzo si appoggia allo stipite della porta della sua camera, sorpreso di trovarsele davanti, la vista ancora appannata dopo una notte praticamente insonne.
 
Mettendo meglio a fuoco, si avvede della presenza di Gaetano dietro di loro, con un trolley in mano.
 
“Stiamo andando in aeroporto,” pronuncia Livietta e Renzo sente il suo cuore spezzarsi in mille pezzi, “accompagniamo Gaetano.”
 
“Livietta, io-“ esclama, disperato, bloccandosi di colpo quando il suo cervello registra la seconda frase, “che… che vuol dire: accompagniamo Gaetano?”
 
“Che Gaetano deve rientrare a Torino per lavoro. Io e mamma restiamo,” precisa Livietta, notando come lo sguardo del padre viri dall’angoscia, all’incredulità, alla gioia, “ma alla prima che combini ce ne torniamo di corsa a casa e non mi vedi più: questa è l’ultima possibilità, chiaro?! Ne hai già avute fin troppe e non ne posso più!”
 
“Grazie,” sussurra Renzo, ancora attonito, riavendosi solo quando li vede voltarsi e cominciare ad allontanarsi, “aspettate! Gaetano, aspetta!”
 
Gaetano si gira verso l’architetto, stupito, non sapendo cosa aspettarsi.
 
“Grazie,” pronuncia Renzo, guardando l’altro uomo negli occhi, “non so come… come tu abbia fatto, ma grazie. E… credo… credo… di… di doverti delle scuse. Ti ho… credo di averti sempre giudicato male e… di essermi sbagliato sul tuo conto. Non so se al posto tuo… sarei stato capace di… di fare… questo.”
 
“Non farmi pentire di averlo fatto, Renzo. Perché altrimenti sarai tu a pentirtene, ci siamo capiti?” mormora Gaetano, deciso, prima di allungare una mano e stringere di nuovo quella dell’architetto.
 
Si guardano negli occhi in una specie di avvertimento e di promessa insieme e poi Gaetano si volta e raggiunge Camilla e Livietta, che li guardano stupite e sollevate, vicino all’ascensore.
 
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“Mi sa che devo andare… iniziano a imbarcare…”
 
Sono di fronte all’entrata della security, Livietta l’aveva già salutato ed era rimasta in auto con Carmen, che si era gentilmente offerta di accompagnarli all’aeroporto. Probabilmente per dare loro modo di rimanere ancora per qualche minuto da soli e per evitarsi scene imbarazzanti.
 
Il labbro di lei che trema leggermente, l’espressione di chi sta trattenendo la commozione. Allunga una mano per accarezzarle il viso e si ritrova con un dolcissimo peso tra le braccia e attaccato al collo.
 
“Mi mancherai tantissimo…” tre parole sussurrate all’orecchio ma che significano il mondo per lui. Quelle parole che mille volte avrebbe voluto dirle, mille volte avrebbe voluto sentirle dire, ma che non avevano mai avuto il coraggio di pronunciare.
 
“Anche tu…” mormora di rimando, sforzandosi di contenere le lacrime, perché se no, lo sa, piangerebbe anche lei e non riuscirebbe più a salutarla: del resto è la prima volta da quando stanno insieme che passeranno così tanti giorni senza potersi vedere, nemmeno dalla finestra.
 
“Vedrai che una settimana passerà in fretta,” la rassicura, staccandosi lievemente da lei e sorridendole, per poi prometterle, “e poi ti chiamerò tutti i giorni, ti inonderò di messaggi… alla fine mi pregherai di smetterla o mi denuncerai per stalking.”
 
“Scemo!” esclama con una mezza risata commossa, colpendogli il braccio, “e anche io ti chiamerò e ti manderò un sacco di messaggi, quindi mi sa che ci saranno due denunce da fare.”
 
“Va bene, dirò ai colleghi di tenersi liberi tra una settimana,” ironizza, accarezzandole il viso.
 
“Grazie,” mormora lei con un sorriso.
 
“Perché ti faccio saltare la coda per la denuncia?” scherza, beccandosi un altro buffetto.
 
“No, lo sai il perché,” risponde semplicemente, con un sorriso, prima di aggiungere, malinconica, “mi dispiace tanto, Gaetano, queste dovevano essere due settimane tutte per noi e invece…”
 
“Non dirlo neanche per scherzo, professoressa,” ribatte, tracciandole lo zigomo, “anzi, facciamo una cosa: ti prometto che comincio a programmare delle meravigliose ferie per noi due e per Livietta, se vuole venire con noi, non appena avrò chiuso questo caso della Mole. Che ne dici?”
 
“Ci conto!” esclama con un sorriso, prima di assumere quell’aria da monella che lo fa impazzire e aggiungere, “quindi vedi di chiuderlo in fretta, Berardi, o mi costringerai a diventare tua complice in indagini criminali un’altra volta, perché tra non molto ricomincia la scuola e poi addio ferie.”
 
Un bacio da togliere il fiato, le mani che si stringono come se non volessero mai lasciarsi andare e poi Gaetano, con un ultimo sguardo, sparisce oltre il varco della security.
 
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“E questa è la famosissima Stele di Rosetta, grazie alla quale è stato possibile decifrare i geroglifici.”
 
“Esatto,” conferma Camilla, indicando la stele, “infatti vedi che lo stesso testo qui è scritto tre volte in-“
 
“In geroglifico, in demotico e in greco,” la interrompe Renzo, affrettandosi a precisare, “e quindi sono riusciti a confrontare il testo in greco con quello in geroglifici e a trovare le corrispondenze.”
 
“Il primo a trovare una chiave per interpretare il testo in geroglifici è stato il fisico Thomas Young: aveva capito che alcuni dei geroglifici indicavano il suono del nome di un re, Tolomeo, e che il nome del re veniva indicato anche nel testo in demotico e-“
 
“E quindi Champollion, un professore francese, trovò gli stessi caratteri su un obelisco, dov’erano scritti in greco e in geroglifici i nomi di Tolomeo e Cleopatra,” si inframmezza di nuovo Renzo, “capì quali erano i simboli fonetici del nome Cleopatra e da lì-“
 
“E da lì iniziò a decifrare altri nomi stranieri sulla stele di Rosetta e inizio a costruirsi un alfabeto fonetico,” prosegue Camilla, “poi iniziò a decifrare nomi propri egizi e tutto il resto ma-“
 
“Ma morì e un suo assistente nascose le sue carte, furono ritrovate solo alla sua morte e da lì gli studi poterono riprendere e la traduzione completa finalmente fu fatta nel-“
 
“E basta!” sbotta Livietta, mettendoli bruscamente a tacere e guadagnandosi delle tremende occhiatacce dagli altri visitatori, che però ignora, sfogandosi, imperterrita, “è da quando siamo entrati qui che fate così: sembra una gara a chi ne sa di più di storia e di storia dell’arte! Non ne posso più!”
 
Camilla e Renzo, ammutoliti, si guardano e poi guardano la figlia, dovendo riconoscere, con un sospiro imbarazzato, che non ha tutti i torti.
 
“Scusami Livietta, è che-“
 
“È che la storia e la storia dell’arte sono tra i pochi argomenti che appassionano sia me che tua madre e-“
 
“E io e tuo padre ci siamo fatti prendere un po’ la mano, mi sa, e-“
 
“E state continuando ancora a farlo,” sospira Livietta, scuotendo il capo, “mi sembra di essere tornata a quando ero piccola ed eravate in competizione su chi cucinava meglio, chi guidava meglio, chi parcheggiava meglio…”
 
“Hai ragione, hai ragione ma… credo che… sia un po’ imbarazzante come situazione per me e per tuo padre e… e probabilmente stavamo solo cercando di riempire il silenzio ed evitare che ti annoiassi ma…”
 
“Ma abbiamo esagerato…” conclude Renzo, beccandosi un’altra occhiata eloquente della figlia, “ok, ok, scusa, hai ragione.”
 
“Che ne dici se da adesso in poi ci fai tu le domande, se hai qualche curiosità, e noi altrimenti stiamo in silenzio?” propone Camilla, per tagliare la testa al toro.
 
“Sì… e poi vi do pure i turni per rispondere, come nei quiz,” ironizza Livietta, pregando e sperando che la vacanza non sia tutta così.
 
Se il buongiorno si vede dal mattino…
 
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“Siete diventati anche voi di cera? Devo avvertire quelli del museo di fare spazio per due statue in più?”
 
“Eh?” chiede Camilla, confusa di fronte al tono sarcastico della figlia.
 
Sono al famosissimo museo delle cere Madame Tussauds: visto che questa domenica londinese è molto piovosa, si sono dedicati al giro dei musei principali.
 
Una sfacchinata.
 
Ma, se al British sua madre e suo padre l’avevano esasperata non stando zitti un attimo, in uno sfoggio di conoscenze degno di Hermione, l’amica so-tutto-io di Harry Potter, da quando li aveva ripresi e, soprattutto, da quando erano arrivati a questo museo, niente. Il silenzio più totale.
 
“Da quando siamo entrati non vi ho ancora sentito pronunciare una sola parola! Non si potrebbe avere una via di mezzo tra… tra prima e adesso?” domanda Livietta, un sopracciglio alzato.
 
“È che… hai ragione, siamo un disastro, eh?” ammette Camilla con un sospiro, rendendosi conto che non è per niente facile per lei e Renzo comportarsi in maniera naturale e amichevole e… familiare dopo tutto quello che era successo.
 
È ancora arrabbiata e risentita con Renzo, anche se non vuole darlo a vedere. E immagina che tutto il rancore di Renzo nei suoi confronti per aver scelto Gaetano non possa certo essere sparito dalla sera alla mattina.
 
“Un po’…” conferma Livietta, trafiggendoli con un’occhiata.
 
“E poi… dei reperti del British potevamo raccontarti la storia… l’origine… cosa possiamo dirti delle statue di cera? Che sono somiglianti? Che sono sinceramente un po’ inquietanti?!” domanda Renzo, in quella che è più un’affermazione, per poi aggiungere, ironico, “su quelle sui personaggi storici facciamo la fine del British; quelle sulle star… non me ne intendo di gossip; quelle sui personaggi dei film… la maggior parte non li ho visti, dato che sono quasi tutti film recenti; quelle sugli assassini e criminali famosi… magari quelle le lascio a tua madre, che è lei l’appassionata del genere.”
 
“Ah, ah, molto spiritoso!” ribatte Camilla, scuotendo il capo.
 
“Anzi, guarda chi c’è qui! Dovresti farti una foto con lui, visto che sei la sua degna erede!” afferma con un mezzo sorrisetto, indicando una statua che riproduce fedelmente Robert Downey Jr. nel suo costume di scena da Sherlock Holmes.
 
“Ah. Ah!” ripete, ancora più lentamente, prima di adocchiare meglio la statua e ribattere, “no, grazie, anche perché prima di tutto Holmes, doti investigative a parte, aveva i suoi grossi problemi e poi, se devo proprio scegliere, preferisco di gran lunga l’Holmes interpretato da Jeremy Brett, che almeno è fedele a quello dei libri. Quello di Downey Jr. è talmente diverso che è praticamente un altro personaggio.”
 
“Strano… avrei detto il contrario, visto che l’Holmes di Downey Jr. è molto più simile a… qualcuno di nostra conoscenza di quello di Brett e di Doyle,” rimbecca Renzo, visto che, a parte la dipendenza da cocaina e morfina, l’Holmes originale faceva una vita quasi monacale, mentre quello di Downey Jr. era un donnaiolo.
 
“Non direi proprio, considerato che l’Holmes di Downey Jr. è un borioso egocentrico e inaffidabile che mi verrebbe voglia di prendere a schiaffi, mentre qualcuno di nostra conoscenza è un vero gentiluomo. O non starei qui adesso, Renzo, ma con lui. E faccio sempre in tempo a non restarci, dato che Torino è a un’ora e mezza di volo,” sibila Camilla, pronunciando l’ultima parte della frase in quello che è quasi un sussurro.
 
“Insomma, basta! Non ricomincerete a litigare!” sbotta Livietta, pentendosi amaramente di essersi lamentata del silenzio.
 
“Scusate, scusate, avete ragione!” ammette Renzo, sollevando le mani in segno di resa, “avete ragione… è che… forza dell’abitudine, immagino. Però, sì, ammetto che qualcuno di nostra conoscenza si è comportato da galantuomo con me e… è un’abitudine, anzi, un brutto vizio che devo perdere e che prometto che perderò. D’accordo?”
 
Camilla e Livietta si scambiano uno sguardo, tanto stupito per il mea culpa e l’ammissione, quanto dubbioso sul fatto che Renzo possa effettivamente mantenere questo proposito.
 
Il lupo perde il pelo…
 
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“Ma sul serio ti piace quella roba? Non è… viscida?”
 
Renzo solleva lo sguardo dal piatto pieno di escargot e incrocia gli occhi di Livietta, che ha un’espressione a dir poco schifata.
 
Sono in uno dei migliori ristoranti francesi di Londra, giusto per variare un po’, lui, Livietta, Camilla e Carmen. Per ora la cena era trascorsa nel mutismo quasi totale, non fosse stato per pochi tentativi di Carmen di fare conversazione.
 
“Beh… alla fine se mangi i crostacei e i frutti di mare… non cambia molto,” chiarisce Renzo, prima di offrire, “vuoi assaggiarne uno? Non sono viscidi, anzi, l’unico problema è che se vengono cotti troppo diventano gommosi. Ma questi sono cotti alla perfezione. Sanno del condimento… burro aromatizzato all’aglio.”
 
“No, grazie, te li lascio volentieri,” ribatte Livietta, per nulla convinta, continuando ad assaporare la sua bouillabaisse.
 
“Come vuoi…” sospira Renzo, cercando di pulire un’altra lumaca, che però, a differenza delle altre, oppone resistenza.
 
SPLAT
 
Rimangono per qualche attimo in un silenzio incredulo: l’escargot, volando dal piatto di Renzo, si è tuffata in quello di Livietta, schizzandola con il brodo della zuppa di pesce.
 
Renzo, in apprensione e mortificato, cerca gli occhi della figlia, temendo un’esplosione. Si guardano per qualche altro istante e poi, senza poterlo evitare, scoppiano a ridere.
 
“Scusami… scusami! Non volevo, ti giuro che non mi era mai successo,” riesce a pronunciare Renzo, tra le risate.
 
“Si vede che era destino che la dovessi assaggiare…” ribatte Livietta, guardando la lumaca per qualche istante, prima di prendere coraggio, terminare di estrarla dalla conchiglia – tanto oramai si era quasi staccata – e portarsela in bocca, sotto lo sguardo stupito del padre.
 
“Sa… sa di burro all’aglio e zuppa di pesce…” proclama, scuotendo il capo prima di emettere il verdetto finale, “in effetti non fa schifo ma non ha un gusto suo… a questo punto meglio i frutti di mare. Però adesso come lo pulisco questo disastro?”
 
Come se l’avesse chiamato, un cameriere solerte, avendo probabilmente notato il disastro, si avvicina con uno smacchiatore a secco.
 
“Tranquilla, vedrai che con questo risolviamo,” assicura Camilla, prendendo in mano il flacone e iniziando a spruzzare sulle macchioline più evidenti.
 
Non avrebbero saputo dire come o perché, ma l’incidente è come se avesse sciolto il muro di imbarazzo e, risolta l’emergenza macchie, il resto della cena trascorre in maniera relativamente tranquilla, conversando del più e del meno.
 
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“Forza, papà! Se andiamo avanti così, tra un po’ finisce il noleggio e abbiamo percorso tre metri!”
 
Renzo sbuffa, il sudore che gli scende a rivoli dalla fronte e sulla schiena, la camicia ormai bagnata.
 
Sono quasi in mezzo al lago di Hyde Park, vicino al nolo delle barche e, Renzo deve ammetterlo, il lago sembrava molto più piccolo visto da fuori. Come la barca sembrava molto più facile da guidare e da spostare.
 
“Livietta, siamo in tre e la barca pesa, non è facile muoverla a braccia!” ribatte col fiatone, provando di nuovo a remare.
 
“Stai dicendo che io e Livietta siamo pesanti, Renzo?” gli fa notare Camilla, con un sopracciglio alzato.
 
Carmen non era con loro: si era offerta di andare lei al posto di Renzo agli appuntamenti della giornata. E, siccome finalmente il tempo era bello e non era prevista pioggia, avevano deciso di visitare per bene il parco che, finora, avevano visto praticamente solo dall’esterno.
 
Renzo si era offerto di noleggiare la barca, ma ora se ne sta pentendo amaramente.
 
“Fisicamente o mentalmente? Perché vorrei vedere voi a remare, non è facile come sembra!” sbotta Renzo, esausto, promettendosi di iscriversi in palestra a settembre e sapendo già che, con il lavoro che fa, sempre in viaggio, difficilmente manterrà il proposito.
 
Odia sentirsi così: vecchio e fuori forma.
 
“E allora fai provare me: spostati che ti do il cambio!” si offre Camilla, allungando le braccia per prendergli i remi.
 
“Ma no, non ci penso neanche: non è giusto che ti debba mettere a remare tu!” si rifiuta categoricamente Renzo, tenendo ben saldi i remi.
 
“E perché?! Perché sono una donna?” gli chiede, trafiggendolo con un’occhiataccia, “ma perché voi uomini dovete avere sempre questo maledetto orgoglio maschile?!”
 
“E allora perché tu devi sempre fare la superdonna? La supereroina? Quella che sa fare tutto e lo sa fare meglio?! E se c’era qualcuno che faceva sempre l’uomo e portava i pantaloni in casa nel nostro matrimonio, purtroppo non ero certo io,” ammette Renzo, amaro, ricambiando lo sguardo con uno altrettanto eloquente.
 
“E meno male che lo ammetti pure, che toccava a me fare l’uomo e non certo perché mi facesse piacere, ma perché non avevo scelta! E se c’è qualcuno competitivo e che mi ha sempre criticato su qualsiasi cosa e non perdeva occasione per sottolineare che – questo io lo faccio meglio! – non ero di certo io!”
 
“Basta! Devo mettermi a remare io o mi tocca buttarmi nel lago e tornare a nuoto? Perché non vi sopporto più! Era da ieri che non litigavate, stavo già gridando al miracolo, ma ovviamente, figuriamoci!”
 
Renzo e Camilla si lanciano un’occhiata e poi abbassano lo sguardo, mortificati.
 
“Hai ragione, scusaci, Livietta, è che-“
 
“È che scannarti con mamma è un’altra abitudine, anzi, un vizio che devi perdere?” gli chiede, sarcastica, riferendosi alle sue parole del giorno prima su Gaetano.
 
“In un certo senso… tuo padre e io abbiamo un po’ di… di cose in sospeso Livietta, c’è stata tanta tensione tra noi e non è facile andare d’amore e d’accordo tutto di botto...”
 
“Lo so mamma, lo so… e che sarebbe finto ed ipocrita se andaste d’amore e d’accordo, però… almeno civili, ecco…” sospira Livietta, guardando i genitori negli occhi.
 
“Senti… e se… per tagliare la testa al toro… io prendo un remo, tu l’altro e proviamo a remare insieme?” propone Camilla a Renzo, dopo un attimo di riflessione.
 
“Sì… e così andiamo a zigzag o in tondo! Bisogna remare nello stesso modo e nello stesso momento o la barca va storta, ho già visto prima…” ribatte Renzo, non sembrando per nulla convinto.
 
“Beh, magari Livietta ci dà il tempo per andare a ritmo come-“
 
“Come sulle galere?” chiede Renzo, incredulo, chiedendosi se Camilla sia seria o lo stia prendendo in giro, non potendo però trattenere un mezzo sorriso di fronte a lei e alle sue idee folli: certe cose non cambieranno mai!
 
“Perché no?! Magari se riusciamo ad andare a tempo e far andare dritta questa barca senza scannarci, riusciamo a passare il resto di questa vacanza senza darci addosso… e con l’esercizio fisico ci si sfoga,” ribatte Camilla con nonchalance e Renzo di nuovo non riesce a capire se dica sul serio o meno.
 
“E che cos’è? Una specie di terapia di coppia – anzi, di ex coppia – alternativa? Sei diventata anche psicologa adesso dopo la laurea in criminologia honoris causa?” ironizza, scuotendo il capo.
 
“E dai, Renzo, su! Rilassati, un po’: che ti costa provarci?! Pure se giriamo in tondo o andiamo storti, che problema c’è? Non stiamo mica facendo una gara! E poi, guardati in giro: non è che siamo circondati da canottieri professionisti, anzi,” gli fa notare, indicando altri barcaioli della domenica, anzi, del lunedì, che arrancano con i remi, “dai, fammi spazio!”
 
Renzo sente la barca ondeggiare e la vede alzarsi in piedi: temendo che la barca si ribalti e finiscano tutti a mollo, o che Camilla venga sbalzata fuori, le afferra le braccia, per tenerla in equilibrio, e si sposta leggermente sull’asse centrale su cui è seduto, continuando a sorreggerla fino a che la sente scivolare seduta accanto a lui.
 
In due lo spazio è strettissimo e si trovano letteralmente fianco a fianco: il braccio destro di Renzo che tocca il sinistro di Camilla.
 
È la prima volta da quando si sono lasciati che ce l’ha così vicina, escludendo quell’abbraccio disperato a casa di lei dopo la fuga di Livietta, e Renzo sente uno strano formicolio al braccio e la fronte e il viso caldi. Teme di essere diventato rosso e spera che Livietta non lo noti, visto che era già accaldato e sudato per via dello sforzo fatto.
 
Del resto è inutile negarlo: è ancora attratto da Camilla e forse lo sarà sempre almeno un po’. E poi, anche se gli costa ammetterlo, anche solo con se stesso, da quando sta con il poliziotto – anzi, con Gaetano, deve abituarsi a chiamarlo per nome – Camilla sembra quasi ringiovanita e sembra diventare più bella ogni volta che la vede. E non è solo perché indossa abiti che la valorizzano di più ma… è come se avesse una luce negli occhi, nel viso, quella luce, quella spensieratezza, quella follia che l’avevano fatto innamorare, tanti anni fa.
 
Ma quella luce non è più per lui e Renzo sta cominciando ad accettare che non sarà mai più per lui, anche se gli fa male da morire.
 
“Allora, iniziamo?” domanda Camilla, con un tono e un sorriso tranquilli, non sembrando minimamente turbata dalla sua vicinanza, lei, “Livietta, dacci il tempo, dai!”
 
“Come volete… meno male che siamo in mezzo al lago e non ci conosce nessuno!” commenta Livietta, incredula, ma del resto ha sempre saputo di avere due genitori un po’ matti, “allora, uno, due, uno, due…”
 
“Ehi, piano, piano, mica dobbiamo fare una regata! Rallenta il ritmo!” protesta Renzo, temendo un infarto.
 
“Va bene, va bene…” sospira Livietta, battendo il tempo ad un ritmo adatto giusto per una marcia funebre.
 
Dopo qualche minuto trascorso a girare in tondo o a procedere come un serpente, guadagnandosi le occhiate divertite di altri canottieri, ce la fanno finalmente a sincronizzare le vogate e ad andare diritto.
 
Quando infine riescono a percorrere il lago fino al ponte e tornare indietro, è quasi ora di cena e si ritrovano a pagare una cifra di noleggio a dir poco esorbitante.
 
“Quasi la barca ce la potevamo comprare!” ironizza Renzo, sfinito, spompato, ma sentendosi stranamente felice e sereno come erano secoli che non succedeva.
 
E vedere il sorriso di Livietta e di Camilla, sentirle parlare e parlargli tranquillamente, senza la cappa opprimente degli ultimi giorni, degli ultimi mesi, non ha davvero prezzo.
 
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“Uff… il cellulare… dov’è un tovagliolo quando serve?”
 
“Tieni,” offre Carmen, passando a Livietta il pacchetto di fazzoletti che aveva prudentemente tirato fuori dalla borsa.
 
Sono in un ristorante medievale accanto alla Torre di Londra. Avevano passato tutto il pomeriggio a visitare l’imponente edificio, ammirando i corvi, i gioielli della corona e girandosi tutte le varie sale, memoria di epoche decisamente più buie in cui la Torre era usata come prigione.
 
Erano stati raggiunti per cena da Carmen, a cui Renzo sa che dovrà fare un monumento, visto che si sta sobbarcando quasi tutto il lavoro anche per lui, per permettergli di stare il più possibile con sua figlia e con Camilla.
 
Spesso si chiede come sia possibile che non l’abbia ancora mandato a quel paese, perché lui al posto di Carmen ci si sarebbe mandato da molto, molto tempo.
 
La cena è trascorsa abbastanza tranquillamente, il cibo medievale non era affatto male – avevano evitato i piatti con gli ingredienti più strani – ed era stato divertente e liberatorio mangiare come si usava all’epoca, prendendo il cibo con le mani da un piatto di portata centrale e servendoselo su un grosso pane non lievitato che fungeva da piatto.
 
Ma il telefono di Livietta era squillato proprio sul più bello e le sue mani necessitavano decisamente di una pulita prima di poter rispondere.
 
“Pronto? Ciao Nino!” grida, quando finalmente riesce ad accettare la chiamata, “sì, scusami ma qui c’è rumore… siamo al ristorante. No, in realtà sono a Londra…”
 
Renzo lancia un’occhiata alla figlia e poi a Camilla: ha capito benissimo che si tratta del nipote del poliziotto – di Gaetano.
 
“Sì, sono a Londra con i miei genitori e con… con una collega di papà,” chiarisce, non sapendo bene come definire Carmen, “ah, mi hai chiamato per New York? Partite sabato? Purtroppo… purtroppo io non posso venire, mi dispiace. Sì, sono sicura. Magari sarà per un’altra volta… sì. Salutami Tom e fagli un in bocca al lupo da parte mia e saluta gli altri. Ah e salutami anche i tuoi. Sì, lo spero anche io… ci sentiamo presto!”
 
Livietta chiude la comunicazione, l’aria improvvisamente più mogia. Sapeva benissimo da settimane che New York se la doveva scordare ma… non può evitare di essere ancora un po’ delusa.
 
“Cos’è questa storia di New York?” chiede Carmen, dopo che sul tavolo erano calati lunghi attimi di silenzio.
 
“Il nipote di Gaetano, Nino, va a New York con gli altri ragazzi della band con cui suona, perché… il loro batterista, Tom, non so se te lo ricordi… il figlio di Marco è-“
 
“Marco… quel Marco?” domanda Carmen, sorpresa è dire poco.
 
“Sì, quel Marco,” conferma Camilla, “ci siamo rivisti a Roma quando c’era anche Gaetano e… va beh, è una storia lunga. Comunque vanno tutti a New York per due settimane, vanno a stare da Tom che ha vinto una borsa di studio per la Juilliard e quindi si è appena trasferito lì.”
 
“E doveva andare anche Livietta?” deduce Carmen, a giudicare dallo sguardo mogio della ragazza.
 
“Mi avevano invitato, sì, ma… ma papà e mamma non sono d’accordo. Papà dice che è pericoloso e-“
 
“No, non è che sono io che dico che è pericoloso, Livietta: è oggettivamente pericoloso per una sedicenne essere in giro da sola con cinque adolescenti maschi in una città sconosciuta a migliaia di chilometri di distanza da casa. O no?” chiede, rivolto a Carmen, in quella che è più un’affermazione che una domanda.
 
“Beh… sì… in effetti… capisco che vi siete preoccupati… ma se… se Livietta non dormisse nello stesso appartamento dei cinque ragazzi adolescenti ma a casa di una collega di suo padre che non è più adolescente da un pezzo, purtroppo e per fortuna?” propone Carmen, di getto, sull’onda del momento.
 
“Carmen, stai dicendo sul serio?” domanda Livietta, sbigottita, sentendosi per un attimo in colpa per averla definita come una collega di papà e chiedendosi se Carmen, oltre all’offerta, non stesse lanciando una frecciata velata a lei e forse anche a Renzo.
 
Perché in effetti collega di papà è una definizione che racchiude forse l’un percento dei rapporti tra Renzo e Carmen e della loro storia pregressa.
 
“Sì, direi di sì. Che c’è? Perché mi guardate con quella faccia? Se non siete d’accordo, ok, non mi offendo, ma spero di essere considerata almeno un poco più affidabile di cinque adolescenti, anche se non di molto,” ironizza Carmen, ricambiando l’occhiata sbigottita di Renzo e Camilla.
 
“No… è che… certo che mi fido di te, Carmen,” si affretta a chiarire Renzo, lanciando un’occhiata a Camilla, “è solo che… io non so cosa dire… mi hai e ci hai già sopportato in queste due settimane qui a Londra. Ti ho sbolognato un sacco di meeting e… e tu invece di mandarmi a quel paese, ti offri ancora di portarti Livietta a New York? Poi tu non vivi con Jack oltretutto?”
 
“Cos’è papà? Hai paura pure che ci provi con il fidanzato di Carmen? O che lui ci provi con me?” domanda Livietta, con un sopracciglio alzato, il tono ironico ma ancora evidentemente amaro.
 
È chiaro che l’accusa di Renzo è una ferita che difficilmente si rimarginerà a breve.
 
“Ma no, no!” esclama Renzo, rivolgendosi poi a Carmen, guardandola negli occhi, serio, “ma insomma, Carmen, tu sei già sempre via per lavoro e tu e Jack non vi vedete quasi mai. Se torni a New York e ti porti pure un’ospite a casa… Jack non ti manderà a quel paese?”
 
“Se non mi ci ha mandata finora…” ribatte Carmen, sapendo che tanto ormai cambia ben poco, “e poi Livietta di giorno sarà con i suoi amici… è solo per la notte… la sera e la notte, se stai più tranquillo. Non è un gran disturbo.”
 
La verità, anche se Carmen fatica ad ammetterlo, è che preferirebbe avere ospite quasi chiunque che ritrovarsi da sola con Jack a spiegare troppe cose che non sa spiegare, a fare promesse in cui non sa se né lei, né lui credono ancora, a capire se ha ancora senso stare insieme ad una persona senza vedersi mai.
 
“Non lo so… cioè… tu che ne dici, Camilla?” domanda Renzo, rivolgendosi all’ex moglie.
 
“Beh, sicuramente la presenza di Carmen sarebbe rassicurante, ma Livietta starebbe comunque in giro tante ore da sola con i suoi amici… non lo so, Renzo, poi il più contrario e preoccupato eri tu quindi… forse lo dovrei chiedere a te,” risponde Camilla con un sospiro, non sapendo onestamente cosa prova di fronte a questa proposta, come del resto non ha mai capito bene cosa prova nei confronti della spagnola.
 
“Se vuole può venire anche Renzo… almeno conosci finalmente Jack: sono mesi che mi chiede di incontrarti,” aggiunge Carmen, lasciando Renzo sempre di più di stucco.
 
“Sì, e che cosa facciamo? Tutti insieme appassionatamente in un appartamento di New York? E poi dubito che a Jack farebbe piacere… avermi in casa…” le fa notare Renzo, che di conoscere questo fantomatico Jack sinceramente non ha proprio alcuna voglia.
 
“Il grattacielo dove abitiamo l’ho progettato io, se serve non faccio fatica a trovarti un appartamento per due settimane a un prezzo di favore,” afferma Carmen, scrollando le spalle, “tu che dici, Livietta? A te andrebbe avere me o me e tuo padre per i piedi ancora per un po’?”
 
Livietta è ammutolita, guarda sua madre e non sa cosa dire.
 
“Mah… visto che l’alternativa è rinunciare a New York… però non lo so… ci devo pensare…. Non è per te, Carmen, tu sei gentilissima, è che… insomma… i ragazzi staranno tra loro, mentre io con la scorta… ci devo pensare…” risponde, cercando di prendere tempo.
 
“E anche noi ci dobbiamo pensare, Carmen,” concorda Camilla, lanciando uno sguardo di intesa con Renzo, “però, grazie, insomma, lo apprezzo molto. Dubito che lo apprezzerà il tuo fidanzato, però, quindi… forse è il caso che ci pensi bene anche tu.”
 
L’occhiata che si scambiano le due donne è eloquente e dice molto di più delle parole pronunciate. Carmen riesce quasi a leggere il dubbio, la domanda negli occhi della sua ex rivale in amore.
 
Ma la verità è che nemmeno Carmen stessa conosce la risposta a questa domanda.
 
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“Scusate, devo rispondere: andate pure avanti, ci vediamo al locale!”
 
Renzo si volta verso Camilla che, cellulare in mano, si è fermata e si è appoggiata al parapetto del Tower Bridge, intenta a chiacchierare con l’interlocutore all’altro capo del telefono.

Non ci vuole molto a capire di chi si tratti, visto che lo chiama amore: Gaetano.
 
“Sentite, voi due proseguite, io la aspetto: non mi va di lasciarla qui da sola, ormai è buio,” propone Renzo, raggiungendo Livietta e Carmen, che si sono fermate qualche passo più avanti.
 
Stavano andando insieme ad un locale notturno dall’altro lato del ponte, uno dei preferiti di Carmen: un club di danze latinoamericane con atmosfera, appunto, latina e sudamericana.
 
Dopo la torre di Londra e la cena medievale, Renzo è assolutamente esausto e non avrebbe voglia di proseguire oltre la serata, ma Livietta si era entusiasmata quando Carmen le aveva parlato del locale e quindi… toccava abbozzare.
 
Avevano deciso di andare a piedi, in modo da godersi la vista dal ponte e sarebbero poi tornati in taxi: niente guida dopo i cocktail e il ballo.
 
“Renzo, questa non è una zona pericolosa, non c’è tanta gente in giro, è vero, perché siamo nella City ma, è una zona molto tranquilla. Però se preferisci rimanere con Camilla, ok, va bene. Così io e Livietta cominciamo ad entrare e cambiarci, visto che Camilla non mi sembrava dell’idea,” risponde Carmen, che si era portata dietro un borsone con il cambio di vestiti per las chicas, in modo da cambiarsi direttamente nel bagno del locale e non girare per Londra vestite come bailarinas di salsa e merengue.
 
Ma se Livietta era divertita all’idea di ritornare a indossare quei costumi – e del resto aveva fatto danze latinoamericane per qualche anno – Camilla non sembrava intenzionata ad essere della partita riguardo al cambio di look.
 
Renzo annuisce e le saluta, voltandosi di nuovo verso Camilla e avvicinandosi leggermente a lei, ancora impegnata nella sua telefonata.
 
Camilla non sembra nemmeno accorgersi di lui, immersa com’è nel suo mondo – nel loro mondo, suo e… e di Gaetano.
 
Renzo si ferma a qualche passo di distanza, appoggiandosi anche lui al parapetto, abbastanza lontano per non sembrare intento ad origliare, ma, essendo controvento, riesce comunque a sentire praticamente tutto.
 
“Sì, oggi siamo stati alla Torre, poi in un ristorante medievale – no, non era male, parecchio speziato. Sì, adesso andiamo in un locale di salsa e merengue che conosce Carmen e – eddai, Berardi, non mi fare il geloso! Anche se, come dici tu, ho la febbre del sabato sera, lo sai che c’è un solo uomo a cui permetto di curarmi – o di beccarsi il contagio,” la sente ridere in un modo così cristallino, quasi infantile, mentre non può fare a meno di spiare la sua espressione, il volto che le si illumina come accade solo… solo quando parla con lui.
 
Ha sempre fatto così, anche quando stavano ancora insieme: non ha mai sopportato lo scintillio che le si accendeva negli occhi quando il poliziotto chiamava o mandava un messaggio.
 
“Ci conto, Berardi! Preparati perché quando torno ti tengo in piedi fino all’alba – certo, per ballare, che ti credi?! Guarda che sono una brava ragazza io! E non osare fare battute sulla mia età anagrafica o quando torno me la paghi. Come ci conti?!” la sente domandargli con un’altra risata, mentre Renzo non sa se gli faccia più male o più bene sentire tutto questo.
 
Perché è sicuramente da pazzi masochisti, ma forse ha bisogno di sapere, di sbatterci la testa per mettersi definitivamente il cuore in pace sul fatto che il suo matrimonio è finito per sempre.
 
Perché con lui Camilla non è mai stata così… così giocosa e passionale e disinibita e… e quasi bambina al tempo stesso, nemmeno i primi tempi del loro rapporto, nemmeno quando le cose tra loro andavano ancora bene, anche a letto.
 
Cerca di togliersi dalla mente le immagini mentali che questa conversazione gli produce e spera solo che la telefonata si concluda presto e non si vada a finire in scenari infiniti alla “mi ami, ma quanto mi ami? No metti giù tu, no tu!” degni di Livietta quando occupava per ore il telefono con quell’idiota di Ricky.
 
“Mi manchi lo sai? Tantissimo…” la ascolta pronunciare, con un tono serio e malinconico che è l’ennesima coltellata, “sì, qui è tutto bellissimo e sto vedendo posti stupendi ma… vorrei che ci fossi anche tu qui con me. Certo che mi piacerebbe tornarci con te, magari tra un po’… sarebbe bellissimo. Ci rifaremo in vacanza?! Ma hai già un’idea…? Una sorpresa? Non mi puoi dare qualche indizio? Eddai, lo sai che sono curiosa!! Va bene, va bene, ho capito. Il caso della Mole come va? L’hai risolto o devo intervenire io e fare venire un colpo al questore? No, non in quel senso, gelosone! Mmm… beh, quando ci sono troppi indizi… o la soluzione più semplice è la più giusta o c’è qualcosa di strano. Perché allora invece di partire da cosa c’è, non ti concentri su cosa manca? No, non sono una veggente, si dice intuito femminile… ma ti squilla il cellulare? Ah, è Eva? Certo che calcolare il fuso orario, troppo sforzo! No, rispondi, rispondi, dai, non ti preoccupare. Sì, noi ci sentiamo domani. Un bacio! Anche io, da morire, baci!”
 
Con un sorriso ancora sulle labbra, Camilla mette giù il telefono, lo ritira in tasca e si volta per incamminarsi verso questo fantomatico locale – a lei salsa e merengue stavano sul gozzo da quel dì, e l’idea di essere circondate da coppiette che si strusciano mentre lei è a centinaia di chilometri di distanza da lui non la entusiasma affatto – quando, alzando gli occhi, si trova davanti Renzo.
 
“Che ci fai qui? Vi avevo detto di avviarvi!” esclama, non potendo trattenere l’imbarazzo e il fastidio nella voce.
 
“Lo so, ma non ti volevo abbandonare da sola per strada a quest’ora. Anche se lo so che sei abituata ad imprese ben più rischiose,” ribatte, mantenendo un tono tranquillo, anche se coglie benissimo l’irritazione di Camilla.
 
“Quanto hai sentito?” gli chiede, guardandolo negli occhi.
 
“Mah… che ti devo dire… non molto…” abbozza, non potendo evitare di abbassare lo sguardo.
 
“Sei sempre stato un pessimo bugiardo!” sospira Camilla, scuotendo il capo, “e vedo che non perdi il brutto vizio di spiare ed origliare e-“
 
“Non stavo origliando, non ho potuto fare a meno di sentire!”
 
“Sì, che avresti potuto fare a meno, se avessi fatto come ti ho chiesto o se ti fossi fermato qualche metro più in là,” sbotta Camilla, aggiungendo, seria, “e queste sono cose private tra me e Gaetano, che riguardano solo me e Gaetano, non mi piace sbattere in piazza i fatti nostri!”
 
“Va bene, ma se ne parli in un luogo pubblico, non sono più private e scusa se mi preoccupo per te, visto che, quando tu e… e Gaetano siete nel vostro mondo, potrebbe arrivare una banda di malintenzionati e portarti via pure le scarpe o peggio e nemmeno te ne accorgeresti!” ribatte Renzo, altrettanto serio, “e poi… cose private… non è che adesso ne so di più di prima. Tu lo ami, lui ti ama, pucci-pucci, Eva rompe le scatole… sai te che novità!”
 
“Pucci-pucci?” chiede Camilla, incredula di fronte al tono di Renzo, sarcastico sì ma anche… rassegnato.
 
“Sì, e poi sinceramente dopo che mi sono dovuto sorbire voi due che limonavate come ragazzini in un pub, sentire due pucci-pucci al telefono non mi cambia molto la vita,” aggiunge, amaro, tirando un altro sospiro.
 
“Ci… ci hai visti?” chiede Camilla, imbarazzata, capendo perfettamente che si riferisce a quando erano andati a sentire suonare la band di Savino e poi Renzo aveva dovuto riaccompagnare La Venere a casa.
 
“Eh, beh… non è che sono cieco, se vi baciate quando ci sono anche io, è chiaro che vi vedo!” sbotta Renzo, prima di sospirare di nuovo e concedere, più calmo, “e comunque immagino che… che se dobbiamo fare questa… questa benedetta – come si dice? – famiglia allargata, mi ci devo abituare. Basta che non vi allargate troppo che c’è un limite! Che c’è?”
 
“No, niente è che… non mi aspettavo di sentire questo discorso da te… visto come reagisci di solito… mi aspettavo una reazione diversa… che ne so qualche battuta sarcastica…” chiarisce Camilla, presa in contropiede.
 
“Ah, se ci tieni ne ho mille da fare, ma poi non la finiremmo più e-“
 
“No, per la carità, non ci tengo! È solo che… che a volte non ti capisco, Renzo,” ammette Camilla, aggiungendo, quasi tra sé e sé, “e a volte mi chiedo se… se sei masochista.”
 
“A volte me lo chiedo anche io, Camilla,” ribatte, con l’ennesimo sospiro – quasi potrebbero ribattezzare il ponte – voltandosi poi verso di lei e proponendo, per tagliare corto, “andiamo? Vorrei arrivare in questo benedetto locale e magari trovare uno sgabello o un divanetto, che ho la schiena che mi sta uccidendo dopo tutta la giornata in piedi!”
 
“Beh, ma allora dovresti approfittarne per un po’ di merengue. Non era un toccasana per la schiena?” gli chiede Camilla, sarcastica, mentre ricominciano a camminare, “o così almeno sosteneva – com’è che si chiamava? Pensando-a-te?”
 
“Cosa c’entra adesso Pamela?!” le domanda Renzo, colto di sorpresa.
 
“Ah, ma allora finalmente lo ammetti che Pensando-a-te e Pamela erano la stessa persona! Dopo otto anni, ma meglio tardi che mai!” esclama Camilla, lanciandogli un’occhiata eloquente.
 
“Sì, è stata Pamela a mandarmi quella cartolina, va bene, ma tra noi non c’è stato niente di che e-“
 
Niente di che? Quindi qualcosa c’è stato,” desume Camilla, scuotendo il capo, il tono rassegnato.
 
“E va bene, c’è stato un bacio, un solo bacio! E…. No, no, aspetta un momento! Scusa, ma io mi devo giustificare con te per una cosa successa otto anni fa, quando tu ormai ti fai la tua vita con il tuo Gaetano?” sbotta, bloccandosi e puntando l’indice verso di lei.
 
“Ti vorrei far solo notare che otto anni fa io non mi facevo la mia vita con il mio Gaetano, io, ma ero, fino a prova contraria, tua moglie! Quindi da tre mesi e passa a questa parte, per carità, sei liberissimo di farti la tua vita e non mi devi alcuna giustificazione, ma su otto anni fa, il discorso cambia!” esclama, ricambiando il gesto di Renzo, per poi sospirare e assumere di nuovo un tono rassegnato, “e comunque sai che c’è, Renzo? Non fa niente, non importa più e non fa alcuna differenza, grazie al cielo! Ma mi porta solo a chiedermi quanto sia stata masochista io a rimanere con te per questi otto anni, facendo finta di non vedere e non capire, visto che, lo ripeto, sei sempre stato un pessimo bugiardo. Ti rendi conto di quanto tempo abbiamo perso, raccontandoci palle, Renzo? Quando è evidente che il nostro matrimonio è finito tanti anni fa? Ben prima di Barcellona e di Carmen?!”
 
“Forse hai ragione… ma posso dire lo stesso di me con te e il tuo Gaetano, visto che era evidente che eri innamorata persa di lui e lo sei sempre stata. Quindi… che posso dire?! Eravamo una bella coppia di masochisti! Almeno qualcosa in comune ce l’avevamo dopo tutto, a parte la storia, la storia dell’arte, Livietta e divertirci come due cretini a nominare le coppie celebri!”
 
“Già…” sussurra Camilla, mentre alla  mente le ritornano quei momenti, i momenti più belli del loro matrimonio, quando ancora giocavano insieme, scherzavano insieme, si divertivano insieme.
 
Prima di Gaetano, è inutile negarlo.
 
“Sai, forse è quando abbiamo smesso di divertirci come due cretini che il nostro matrimonio è davvero finito. Poi ci abbiamo provato a continuare a fingere di farli i cretini ma… a quel punto eravamo soltanto cretini davvero,” ammette Camilla, non sa se più a se stessa o a lui.
 
Renzo non risponde, si limita ad annuire, ed in un silenzio carico di malinconia, di consapevolezza, ma stranamente confortevole, proseguono la loro camminata.
 
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“Camilla, sei sicura che non vuoi ballare? Non è da te!”
 
“No, grazie, Renzo. Se vuoi vai tu, io passo,” risponde Camilla, sorseggiando il suo drink, seduta allo sgabello del bar.
 
“Ma dai, se ballo io puoi ballare pure tu, no?” le chiede, provando a prenderla per mano, ma lei la ritrae.
 
“A parte che abbiamo accertato che tu sul merengue hai molta più esperienza di me, Renzo, e che in vent’anni di matrimonio avremo ballato insieme quante volte? Dieci a voler esagerare? Ma comunque non mi sembra proprio il caso,” afferma, decisa, lanciandogli un’occhiata eloquente.
 
“Perché?” le chiede, sorpreso.
 
“Lo sai benissimo il perché, Renzo…” ribadisce, un sopracciglio alzato.
 
“Perché c’è un solo uomo a cui permetti di curare la tua febbre del sabato sera?” domanda, sarcastico.
 
“Certo che hai proprio ascoltato con attenzione, e che memoria! Potevi farmi una trascrizione, già che c’eravamo!” commenta con un sospiro, “e comunque, sì, sono impegnata con Gaetano e certi balli non voglio farli con altri che non siano lui. Non solo perché proprio non mi va, ma perché… non è rispettoso. Un conto è in discoteca, forse, ma i latini… non è proprio il caso, soprattutto non con te.”
 
“E perché? Visto che ormai il nostro matrimonio per te è morto e sepolto e per me non provi più nulla, non dovrebbe esserci alcun problema, no? Anzi, meglio che con uno sconosciuto,” ribatte Renzo, con un tono di sfida.
 
“Perché non vorrei che qualcuno potesse pensare che ci stiamo preparando all’ennesimo tira-e-molla, Renzo, visto che non è affatto così. E non sto parlando solo di Livietta o di Gaetano, se lo venisse a sapere – e lo verrebbe a sapere perché glielo direi,” controreplica Camilla, bevendosi un altro sorso di mojito.
 
“Stai parlando di me?” le domanda, stupito.
 
“No, perché spero che nel tuo caso non ci sia nemmeno bisogno di precisare che così non è. Sto parlando di qualcuno che magari aspetta solo che tu le chieda di ballare, Renzo, invece che perdere tempo qui con me,” risponde Camilla con un’occhiata eloquente.
 
“Ma che stai dicendo? Non ti capisco…” ammette, confuso.
 
“O forse non vuoi capire… lasciamo perdere…” sospira Camilla, prima di indicargli la pista, dove Livietta e Carmen stanno ballando insieme, “dai, vai con loro!”
 
“Il merengue non si può ballare in tre,” le fa notare Renzo, sempre più spiazzato.
 
“Almeno quello!” sospira Camilla con un’altra occhiata eloquente, prima di prenderlo per una spalla e spingerlo leggermente verso la pista, “forza, vai!”
 
Ancora confuso, con la sensazione di essersi perso qualcosa ma di non sapere esattamente cosa, Renzo si avvia a raggiungere le due bailarinas.
 
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“Por favor, señorita, un baile!”
 
“No soy una señorita y tengo novio,” risponde Camilla, esasperata, sfoderando la sua scarsa e molto arrugginita conoscenza di spagnolo per cercare di respingere il quarantenne insistente allo sfinimento che la sta tampinando da quasi un’ora, chiedendole di ballare e tornando alla carica ogni dieci minuti, nonostante i suoi rifiuti.
 
I capelli tinti di nero pece e tirati indietro in una coda, nonostante la calvizie incipiente, la camicia mezza aperta su un fisico che non lo consentirebbe più, sembra quasi uno stereotipo ambulante dell’ex lumacone da balera o da discoteca che, a dispetto dell’età che avanza, continua imperterrito ad esercitare.
 
Il fatto che forse qualcuno potrebbe definire anche Gaetano in questo modo non le sfugge affatto ma, a parte che Gaetano si è ormai ritirato dall’attività, almeno è sempre stato affascinante, elegante, di classe e soprattutto dignitoso. E la forma fisica non c’entra niente.
 
“Hablas español?” domanda, entusiasta, e Camilla teme di aver appena commesso un terribile errore tattico.
 
“No, no hablo ni español, ni nada. Quiero estar sola, entiende?” ribadisce, sperando di non doverlo ripetere in tutte le poche lingue da lei conosciute.
 
“Una mujer tan hermosa no puede estar sola en un lugar como este!” prosegue imperterrito e Camilla sarebbe quasi lusingata di essere definita hermosa, non fosse che il tipo in questione sembra già aver bevuto qualche bicchiere.
 
“Camilla, tutto bene?”
 
La voce di Carmen alle sue spalle le sembra improvvisamente il suono più melodioso che esista: Renzo è impegnato a ballare insieme a Livietta da qualche parte ed erano così carini insieme – Renzo è molto meno imbranato di quanto pensasse, si vede che qualche lezione l’aveva presa – che non aveva voluto disturbarli. E aveva perso di vista la spagnola da un po’.
 
“Sì,” risponde, cercando di spiegare oltre, ma il tipo riprende imperterrito.
 
“Muy linda tu amiga tambien!” esclama con un sorriso, facendo per presentarsi a Carmen.
 
Camilla ha un’idea drastica, ma è l’unica soluzione.
 
“No es mi amiga, es mi novia, entiende?” afferma con nonchalance, per poi rivolgersi a Carmen con un sorriso e con uno sguardo che spera risulti sognante, “mi amor! Por fin llegaste! Vamos a bailar?”
 
Ignorando l’occhiata scioccata di Carmen, molla il drink – il secondo della serata – la prende per mano e si avvia con lei alla pista da ballo, lasciando lì l’uomo – Pedro, Pablo, non ricorda – a guardarle con bocca aperta e occhi spalancati.
 
“Scusami, ma non me ne liberavo più! Quindi puoi essere la mia fidanzata fino a che non schioda?” sussurra a Carmen, che la guarda ancora sconvolta, prima di mordersi il labbro e trattenere a stento una risata.
 
“Non ci posso credere, Camilla! Anche se… sei… sei… sei sempre stata loca, ma in senso buono,” afferma Carmen, soffocando le risate.
 
“Ah, grazie! E vorrei vedere te con un tipo così appiccicoso: non sapevo più che inventarmi!” risponde, mettendosi a ballare con Carmen come se fosse la cosa più naturale del mondo, guadagnandosi diverse occhiate curiose dai presenti.
 
“In effetti è una soluzione un po’ drastica ma efficace: mi sa che te la copio! E devo farti i complimenti per lo spagnolo! Non pensavo lo sapessi ancora così bene, anzi che lo avessi mai imparato così bene. Quando eri a Barcellona non lo parlavi quasi mai,” afferma poi, sinceramente sorpresa.
 
“No hablaba mucho, pero entendía muy bien, Carmen,” risponde Camilla con un’occhiata che vale più di mille parole, “e entiendo molto bene pure adesso.”
 
“Che… che vuoi dire?” le domanda, spiazzata, come praticamente sempre quando si tratta di Camilla.
 
“Carmen, quando una donna preferisce ospitare la figlia del suo… collega… nonché suo ex, e magari pure il suo collega – ed ex – piuttosto che passare qualche giorno da sola con il suo novio che non vede quasi mai… o è una santa, o è una pazza, o c’è qualcosa che non va,” chiarisce Camilla, capendo immediatamente dallo sguardo di Carmen che ha colpito nel segno, “senti… non sono affari miei, ok? Però… hai visto anche tu cosa succede quando due persone che stanno insieme cercano in ogni modo di… di non stare insieme, no? Di solito non va a finire bene ed è anche assolutamente inutile. Te l’ho già detto, ma te lo ripeto: pensaci.”
 
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“Tieni…”
 
Camilla afferra la confezione di plastica morbida che le è appena caduta in mano. Intuendo a tastoni che cos’è, estrae con un mezzo sorriso un fazzoletto di carta e si asciuga gli occhi.
 
Les Misérables le fanno sempre questo effetto, che si tratti del libro, del film o del musical, soprattutto la morte di Fantine e adesso, sul finale, la morte di Valjean.
 
“Grazie,” sussurra a Renzo, seduto accanto a lei, “mi stupisci, pensavo dormissi…”
 
“Ah, ah,” sussurra di rimando, per tutta risposta, riprendendosi il pacchetto di fazzoletti che lei gli porge.
 
Guardano in silenzio gli ultimi istanti dello spettacolo e infine si alzano per applaudire.
 
Le luci si accendono e sono pronti ad uscire.
 
“Valeva davvero la pena di vederlo: grazie papà!” sorride Livietta, felice che il padre abbia ricomprato i biglietti.
 
“Figurati… del resto era colpa mia se ce lo eravamo persi settimana scorsa,” risponde Renzo, mettendosi una mano tra i capelli, sentendosi ancora in colpa per tutto quello che era successo.
 
“Già…” sospira Livietta: le accuse del padre ancora bruciano però… però sta facendo di tutto per cercare di recuperare e Livietta spera davvero che questa sia la volta buona.
 
La cosa che la fa essere più ottimista, rispetto alle altre volte, è che sono giorni che non vede i suoi litigare o discutere. Si punzecchiano sempre ogni tanto, ma lo fanno in modo più tranquillo e… quasi affettuoso.
 
Il punto di volta sembra essere stato la serata delle danze latinoamericane. Non sa se sia successo qualcosa sul Tower Bridge, visto che sua madre e suo padre erano rimasti da soli per un po’, ma da lì qualcosa era cambiato, era come se l’aria tra di loro si fosse un po’ ripulita, se la tensione fosse scesa, tornando a livelli più normali e salutari.
 
E anche per lei e suo padre qualcosa era cambiato quella sera. Deve ammettere che era stato divertente ballare con lui, anche se all’inizio ne era stata imbarazzata, a farsi vedere con il suo “vecchio”. Ma alla fine aveva deciso che lì nessuno la conosceva ed era tutta gente che non avrebbe mai più rivisto e allora… perché no? Meglio suo padre dei lumaconi che affollavano il locale.
 
All’inizio era imbranato e peggio di un ciocco di legno, ma poi si era sciolto e anche lei si era ricordata gli insegnamenti delle sue lezioni. Certo, se le danze latinoamericane erano, in teoria, le danze sensuali per eccellenza, loro ne avevano fatto una versione quasi comica ma… era andata bene così e aveva ritrovato il lato di suo padre che preferisce e ha sempre preferito: quello giocoso, quello che non si prende troppo sul serio.
 
E poi avevano avuto la scusa per rimanere abbracciati per un po’, cosa che non accadeva da tanto, troppo tempo.
 
Alla fine, dopo averne discusso con mamma e papà, aveva deciso di accettare la proposta di Carmen e sarebbe partita con lei e suo padre per New York. Nino si era dimostrato molto comprensivo e spera che lo siano anche gli altri ragazzi e non la facciano sentire troppo a disagio e non la escludano.
 
Ma del resto, New York vale ben qualche compromesso.
 
Non è più in apprensione come prima riguardo alla presenza di suo padre e poi Carmen le ha promesso che la aiuterà a tenerlo impegnato, in modo che non la metta in imbarazzo con i ragazzi.
 
Carmen è la persona che Livietta fatica a capire più di tutti: non capisce se il problema per Carmen sia Jack o suo padre o entrambi. Ma le sembra evidente che Carmen tra Jack e suo padre ha scelto e sceglierà sempre suo padre e già solo questo fatto la fa dubitare molto del futuro di questa relazione.
 
Almeno staranno in un appartamento per conto loro, altrimenti sarebbe stato troppo imbarazzante.
 
Quindi non è preoccupata per New York, in realtà, quanto per il rientro a Torino. Spera che la tregua tra suo padre, sua madre e lei regga anche quando ritorneranno alla realtà e, soprattutto, quando suo padre dovrà avere di nuovo a che fare con Gaetano.
 
Ma solo il tempo potrà dirlo….
 
“Allora, pronti per la discoteca?” chiede Carmen, destandola dai suoi pensieri.
 
“Sì, non vedo l’ora!” esclama Livietta, entusiasta: stanno per andare nella discoteca più grande e più famosa di Londra e ne ha sentito meraviglie.
 
“Guardate… se non vi dispiace io… io passerei,” annuncia Camilla, che si sente sfinita e soprattutto per nulla entusiasta all’idea di passare un’altra serata seduta al bar o schiacciata contro al muro dell’affollatissimo locale.
 
“Ma come mamma?! Tu adori la discoteca!” esclama Livietta, sorpresa, per poi fare un attimo di pausa, sembrare capire e domandarle, con tono suggestivo, “o adori la discoteca solo se c’è anche Gaetano?”
 
“Diciamo che la discoteca mi piace, Livietta, ma sono distrutta e… visto che con te ci sono anche Carmen e tuo padre, mi sembra che non ha senso che ti scortiamo in tre. Ti dispiace molto se torno in albergo? Tanto ci vediamo quando rientri e domattina ci salutiamo con calma,” propone con un sorriso: Renzo, Carmen e Livietta avevano deciso di non rientrare a Torino ma di andare direttamente a New York da Londra.
 
Del resto avevano già bagagli sufficienti per due settimane e il clima di New York non è poi molto diverso da quello di Londra: a New York li attende un bel bucato certo, ma l’avrebbero dovuto fare pure a Torino.
 
“No, va bene,  mamma, se non te la senti ti capisco,” la rassicura Livietta, ricambiando il sorriso e sorprendendola con un abbraccio, anche se rapido.
 
“Ma come torni in albergo?” domanda Renzo, preoccupato, visto che Carmen ha deciso anche stavolta di girare in taxi.
 
“In taxi… o a piedi, in fondo siamo vicini all’albergo… e questa è una zona tranquilla…”
 
“No, non se ne parla, non da sola. Ti accompagno io e poi vi raggiungo, va bene?” chiede a Carmen e Livietta che si guardano, sospirano ed annuiscono.
 
“Renzo, davvero, non è necessario: ho quasi cinquant’anni e me la so cavare, tranquillo!”
 
“Lo so che te la cavi, ma non sto tranquillo così. Dai, ti accompagno, tanto è questione di pochi minuti e poi per entrare in quel locale ci sono code infinite. Ci vediamo davanti al club, ok?” ribadisce e Carmen e Livietta, di nuovo, conoscendo Renzo, assentono.
 
“Va bene, va bene, ho capito! Allora a domani, non fate troppo tardi,” si raccomanda Camilla, facendo l’occhiolino a Livietta e Carmen che, dopo un altro rapido saluto, si avvicinano al primo taxi disponibile e ci salgono, sparendo ben presto nel traffico.
 
“Ci facciamo due passi? O ti fanno male i piedi?” domanda Renzo, adocchiando le scarpe con il tacco che Camilla non aveva potuto evitare di indossare insieme ad un abito lungo comprato per l’occasione, per rispettare il dress code del teatro.
 
Del resto, si era portata un trolley piccolo con ben pochi vestiti e a metà settimana lei, Livietta e Carmen avevano dovuto fare un giro di shopping per procurarle il necessario per il resto della permanenza.
 
“Tranquillo: i tacchi sono larghi e le scarpe tutto sommato comode. Vada per i due passi,” lo rassicura Camilla, che aveva bandito anni prima le scarpe scomode e i tacchi vertiginosi. Tanto, per sua fortuna, è già alta.
 
Il primo tratto della camminata trascorre nel più assoluto silenzio, fino a quando arrivano vicino al parco.
 
“L’ho attraversato qualche sera fa ma… credo sia meglio girarci intorno, c’è più gente,” suggerisce Renzo, decidendo di seguire gli altri spettatori che, come loro, stanno andando in quella direzione.
 
“Hai visto? Non sarei stata comunque da sola… ti stai facendo una camminata per niente,” gli fa notare Camilla, non riuscendo però a trattenere un sorriso: conosce Renzo e le sue paure ormai fin troppo bene.
 
“Non è per niente!” ribatte, deciso, per poi voltarsi e guardarla negli occhi, “anche perché… volevo avere l’occasione per… per parlarti e salutarti con calma prima della partenza. E per ringraziarti di… di avere permesso a Livietta di venire a New York con me e con Carmen, nonostante tutto quello che è successo.”
 
“L’ho fatto perché Livietta ci teneva così tanto a quel viaggio e… e perché in effetti vi siete visti davvero poco ultimamente, Renzo e… avete bisogno di recuperare. E poi questa settimana ti sei comportato bene, sia con Livietta che con me: sono giorni che non litighiamo e non discutiamo, mi sembra quasi incredibile!”
 
“Già…” mormora Renzo, respirando per un attimo l’aria della sera, prima di prendere coraggio e confessare, “lo sai… mi ero quasi dimenticato quanto fosse… bello e anche divertente passare del tempo con te, serenamente, senza scannarci. Avere voglia di passare del tempo con te, di stare insieme. Da quanto tempo è che non riuscivamo a parlare così noi due? Forse da… da poco dopo che siamo tornati insieme?”
 
“Secondo me da prima… da quando io stavo con Marco e tu con Carmen, Renzo,” ammette, dopo un momento di riflessione, “credo che… che andiamo più d’accordo quando non dobbiamo convivere, Renzo, o vederci tutti i giorni. Forse il segreto sta nel prendersi a piccole dosi.”
 
“Come un veleno?” chiede, sarcastico, facendola ridere.
 
“Qualcosa del genere, sì…”
 
“Mi è mancata molto la tua risata, sai, Camilla? Sono secoli che non la sentivo più… non con me, almeno…”
 
“È un po’ difficile ridere quando ci si scanna, Renzo, o quando la controparte non fa altro che lamentarsi e brontolare,” gli fa notare con un sospiro.
 
“Forse hai ragione…” sospira di rimando, prima di pensare un attimo a quello che si sono detti e considerare, “tu hai detto che… che andiamo più d’accordo se non ci vediamo tutti i giorni. Però questa settimana ci siamo visti tutti i giorni.”
 
“Sì, ma in vacanza e… in albergo, ognuno nella sua stanza. Non è come convivere ventiquattro ore su ventiquattro Renzo, e una vacanza a Londra non è la vita reale.”
 
“No, non lo è… certo che è ironico: da quanti anni è che ci ripromettevamo di fare un viaggio a Londra noi due? E alla fine… in qualche modo ce l’abbiamo fatta, anche se non avrei mai immaginato… così…”
 
“Già… ma forse è stato meglio così, forse era questo il momento giusto e l’occasione giusta.”
 
“Forse…” concede Renzo, notando con disappunto che si intravede in lontananza l’insegna dell’hotel. Non ha per nulla voglia di lasciare questa… questa pace, in tutti i sensi, per finire nel casino di una discoteca.
 
Ma sa che è meglio così, perché passare troppo tempo solo con Camilla, con questa Camilla, è fin troppo pericoloso per lui. Ma non per lei, ed è questo il problema.
 
“Renzo, ascoltami,” rompe di nuovo il silenzio Camilla, sembrando leggergli nel pensiero, “io spero che… che questa tregua, anzi, diciamo pure questa serenità tra noi e con Livietta continui anche non solo a New York ma… quando torneremo alla vita reale a Torino. E soprattutto quando-“
 
“Quando dovrò di nuovo avere a che fare con… Gaetano?” chiede, riuscendo a trattenersi dall’usare qualche nomignolo e a chiamarlo per nome: l’allenamento mentale ha funzionato.
 
“Esatto,” conferma Camilla, guardandolo negli occhi, “pensi di farcela?”
 
“Tranquilla, Camilla… ho capito… ho capito che tu ami Gaetano e… e vuoi stare con lui e non cambierai idea e… lo devo accettare. E poi io e Gaetano ci siamo capiti e… e non vi ostacolerò… nemmeno per quanto riguarda la separazione,” dichiara, anche se gli costa moltissimo ma… lo sa che non c’è alternativa e non vuole certo passare anni a litigare con Camilla su ogni dettaglio burocratico e a riempire di soldi gli avvocati.
 
“Quindi possiamo fare la consensuale anche questa volta?” chiede conferma Camilla, provando un incredibile sollievo misto ad incredulità.
 
“Sì. Prima che scoppiasse… tutto il casino avevo già passato al mio commercialista l’elenco del mio patrimonio e del nostro patrimonio comune per… per valutare una divisione. In fondo le cose principali ce le eravamo già spartite durante la prima separazione… rimane il conto cointestato che però non è che avesse su molto e la casa… e poi il mantenimento di Livietta, ovviamente, ma anche lì credo che possiamo trovare un accordo senza problemi, no? Quando torniamo da New York ne discutiamo e cerchiamo di trovare una soluzione che vada bene a tutti.”
 
“Per me va bene,” acconsente Camilla con un sorriso, sentendosi quasi alla fine del tunnel e non potendo crederci, temendo di risvegliarsi e che sia tutto un sogno.
 
E, oltre che alla fine del tunnel, sono arrivati anche alla fine della passeggiata, perché sono di fronte alle porte dell’hotel.
 
“Grazie, Renzo per la camminata e… per tutto il resto,” proclama, continuando a sorridere, “ti augurerei di passare una bella serata ma so quanto ami le discoteche e quindi…”
 
“Già… e comunque, figurati, sono io che devo ringraziarti per… per avermi permesso di avere questa possibilità con nostra figlia e con te. Tu non hai idea di quanto ha significato per me e… ti prometto che non la butterò via. Io adesso vado, tu… riposati… ci vediamo domattina per i saluti,” si raccomanda, rimanendo un attimo bloccato con le mani a mezz’aria, incerto su come salutarla.
 
Rimane quasi di stucco quando avverte due mani sulle sue spalle e si sente trascinare nei canonici due baci sulle guance.
 
Un saluto normale, innocente, lo sa, ma è da secoli che per lui e Camilla anche un semplice guancia a guancia sembrava una cosa fuori dal mondo.
 
“A domani!” gli sorride ancora Camilla, prima di voltarsi e rientrare in albergo.
 
Ancora scombussolato, un sorriso sulle labbra, si gira e si guarda intorno per cercare un taxi e… per un attimo teme di stare allucinando o che tutto questo sia solo un sogno.
 
Sbatte due volte le palpebre ma LEI è ancora lì e… anzi no… sta correndo via.
 
“Barbara? Barbara! Aspetta!” grida e finalmente i suoi piedi si schiodano dalla paralisi e parte all’inseguimento della visione che, per sua fortuna, non è solo fasciata in un vestitino nero, ma indossa soprattutto un paio di tacchi vertiginosi.
 
E, per quanto sia incredibilmente veloce su quei trampoli, non gli ci vuole molto a raggiungerla e ad agguantarla per un braccio.
 
“Lasciami, lasciami!” grida, divincolandosi con una disperazione nella voce, nell’espressione e nella forza con cui cerca di sottrarsi dalla sua presa, che lo spingono a lasciarla andare prima che si faccia male.
 
In un secondo si rende conto dell’errore commesso, quando la vede perdere l’equilibrio: riesce ad afferrarla per la vita appena in tempo e, stringendola a sé, ad evitare miracolosamente di spalmarsi con lei sul marciapiede.
 
“Toglimi le mani di dosso!” sibila, lanciandogli un’occhiata raggelante da sotto la cortina di capelli corvini.
 
“Ok, ok, ma… riesci a stare in piedi, ti sei fatta male?” le chiede, preoccupato e lei, per tutta risposta, lo spinge via con una forza tale che si deve reggere alla ringhiera lì vicino per evitare nuovamente di finire a terra.
 
“Adesso ti preoccupi per me, eh? Adesso?! Piantala di fare la commedia, Renzo, di fare quello buono, dolce, premuroso: tutte palle!” urla, chiaramente fuori di sé, “e io che pensavo che tu fossi diverso dagli altri! E in effetti lo sei, ma perché sei peggio, peggio! Non hai nemmeno avuto le palle di dirmi che… che stai ritornando con tua moglie! Bastava dirmelo, maledizione! Credi che non l’avessi capito che sei ancora innamorato di lei, eh? Certo che l’avevo capito, visto che me la nominavi ogni cinque minuti! Bastava che… che prendevi quel maledetto telefono e mi dicevi: Barbara, voglio riprovarci con mia moglie, mi dispiace ma è finita! O anche solo un messaggio, se non volevi sprecarti! E invece sei sparito, dalla sera alla mattina! Sei un grandissimo stronzo, ecco che cosa sei! Uno stronzo senza palle!”
 
“Barbara, hai ragione, hai ragione e lo so che mi sono comportato da stronzo, hai tutte le ragioni per insultarmi ma non è come pensi-“
 
“Che frase originale! Non l’avevo mai sentita!” ribatte, tagliente e gelida.
 
“Lo so, lo so che è una frase terribile, che odio con tutte le mie forze, ma è la verità. Io e Camilla non stiamo tornando insieme: l’ho riaccompagnata in albergo e stavo per prendere un taxi per raggiungere mia figlia e… una mia collega in discoteca. E se ci siamo salutati così è perché… domattina Camilla parte e ritorna a Torino tra le braccia del suo Gaetano.”
 
“E tu? Non dovevi rientrare a Torino pure tu questo weekend? O mi sono persa qualcosa? O qualcuna? Perché fatto sta, che anche se non stai tornando con tua moglie, sei sparito!” sibila, non sembrando per nulla ammorbidita.
 
“No, non c’è… non c’è nessun’altra e-“
 
“E allora se ti sei stancato di me, se hai cambiato idea su noi due, bastava dirlo! Bastava una telefonata, pure uno squallidissimo messaggio, ma almeno un – è finita! – penso di meritarmelo, no? O è pretendere troppo?!” sbotta, gli occhi che diventano lucidi, l’espressione che passa dalla furia al tradimento, l’aria di chi ha appena ricevuto una pugnalata.
 
“No, non è pretendere troppo, anzi, te l’ho detto che devi pretendere di più, Barbara, e tu meriti… meriti molto di più di uno stronzo come me, però-“
 
“Ah, beh, certo: non ti merito, un altro classico!” sbotta, sarcastica e affilata, scuotendo la testa e mordendosi il labbro, l’aria di chi sta ancora trattenendo le lacrime.
 
“No, no… maledizione, hai ragione, non ho giustificazioni ma… ma… non è per te, Barbara, tu sei fantastica, è un problema mio, sono io che in questo momento-“
 
Non sei tu, sono io?!” esclama con una mezza risata amara, “fai più bella figura a dire che non ti piaccio abbastanza e che non te ne frega niente di me e-“
 
“No, non è così, ti prego, fammi spiegare! Non per me: se mi odi e non mi vuoi più vedere neanche in fotografia, ti capisco benissimo, ma perché ti meriti una spiegazione e di capire che… che… maledizione, come faccio a spiegartelo?! Settimana scorsa quando… quando ho smesso di rispondere ai tuoi messaggi ho… ho scoperto o… credevo di avere scoperto una… una cosa sconvolgente su mia figlia. Ero preoccupatissimo, pensavo… pensavo che fosse in grave pericolo e… e non avevo la testa per nient’altro! Non pretendo che tu mi capisca, ma non ce la facevo a risponderti a… a flirtare a scherzare con te. Mi sentivo a pezzi, ero terrorizzato! Quando mia figlia ha scoperto quello che… che pensavo di aver scoperto, si è offesa a morte con me, abbiamo litigato come non ci era mai successo e mi ha detto che non mi voleva più vedere, che per lei non ero più suo padre!”
 
Barbara rimane per un attimo ammutolita: è evidentemente sorpresa e il suo sguardo sembra addolcirsi leggermente.
 
“Per fortuna alla fine mi ha concesso un’ultima possibilità ma… ma non voleva più rimanere qui da sola con me e quindi… è rimasta anche Camilla con noi e in questa settimana… abbiamo cercato di ricostruire un rapporto civile e… credo che ci stiamo riuscendo, che siamo sulla buona strada. Però io… ero concentrato solo su questo, sono concentrato solo su questo. Mia figlia è la persona più importante della mia vita, è l’unica famiglia che mi è rimasta e non posso perderla. E ora la mia priorità assoluta è lei, lo capisci?” le domanda, il cuore in gola, guardandola negli occhi per cercare di farle capire quanto è sincero.
 
“Sì, credo di sì,” annuisce Barbara, dopo aver deglutito un nodo gigantesco, non riuscendo a trattenere più due lacrime che le scendono a tradimento sulle guance, “come ti ho detto, ho perso mio papà che… che avevo dodici anni e… lo capisco che tua figlia ha bisogno di te e tu di lei, ma-”
 
“Lo so che questo non mi giustifica, Barbara e che… rimango uno stronzo però… tu mi piaci moltissimo e con te sono stato benissimo ma… in questo momento devo pensare solo a mia figlia e a ricostruire un rapporto con lei e… non ho la testa per nient’altro. E non hai idea di quanto mi odio, perché ci sei andata di mezzo tu ma… forse questo era il momento sbagliato per iniziare una… una storia, era troppo presto e da un lato lo sapevo, ma tu sei così bella, così… così dolce, così piena di vita! Mi hai fatto sentire bene in un periodo nero e… ed è colpa mia, mi dispiace.”
 
“No… tu… tu me l’avevi detto dei problemi con tua figlia che… che forse non eri pronto per una storia e… e in fondo ci eravamo promessi di non farci promesse, no? Di vivercela giorno per giorno e… a me bastava solo che… che tu mi dicessi: stop, basta, fermiamoci,” gli spiega, la voce piena di malinconia.
 
“Lo so… ma… lo so che è da vigliacchi ma non ci riesco, io non ci riuscivo a dirti: finiamola qui! Perché non era quello che volevo e poi-“
 
“Non è nel tuo carattere, vero? Chiudere le situazioni?” intuisce e Renzo si chiede per l’ennesima volta come possa capirlo così bene, conoscerlo così bene senza conoscerlo.
 
“In realtà… in realtà alcune situazioni le ho chiuse ma… sì… diciamo che fatico a chiudere definitivamente… è… è un mio difetto,” riconosce Renzo, passandosi una mano sugli occhi.
 
“E quindi devo farlo io? Devo essere io a dirti: è finita?” gli chiede Barbara, prendendogli il polso per scoprirgli il viso e portarlo a guardarla negli occhi.
 
“È quello che mi merito,” accetta Renzo, capendo benissimo di aver fatto troppi casini per poter pretendere qualsiasi altra cosa da lei.
 
“Su questo non c’è dubbio, ma è quello che vuoi?” gli domanda, lasciandolo di nuovo di stucco. Ma del resto Barbara ha sempre avuto questa incredibile capacità di spiazzarlo e di essere imprevedibile.
 
“Quello che voglio?” ripete, cercando di capirla, di capirsi.
 
“Sì, tu cosa vuoi, Renzo? Vuoi che sia finita o no?” ribadisce, decisa, continuando a fissarlo.
 
“No. Non… non lo so… il fatto è che… sono confuso da morire: la mia vita è come se fosse sulle montagne russe e non so cosa sarò in grado di fare, Barbara, proprio di testa. E… e come ti ho detto, adesso sono concentrato solo su mia figlia e…”
 
“E quindi cosa pensi di fare adesso? Perché mi hai detto che non torni in Italia,” gli chiede con un’altra occhiata eloquente.
 
“Vado… vado per due settimane con mia figlia a New York. Lei ci teneva tanto a questa vacanza con i suoi amici e… abbiamo bisogno di stare ancora un po’ insieme e… e recuperare il nostro rapporto…”
 
“E immagino che io ovviamente non sarei gradita a New York,” intuisce Barbara, con un sospiro.
 
“Non è… non è questo… è che… prima di tutto ho bisogno di tempo con mia figlia da soli. E poi… siamo in una situazione davvero delicata e… non credo che mia figlia la prenderebbe bene se sapesse che ho un’altra relazione, non adesso,” confessa, sentendosi uno schifo ma sapendo che non può permettersi che Livietta sappia di Barbara, considerato l’opinione che ha di lei. Non capirebbe mai, non ora.
 
“E col tempo secondo te le cose cambierebbero? Secondo te tua figlia la prenderebbe bene?” gli chiede con un tono ed uno sguardo indefinibili.
 
“Diciamo che… so che non la prenderebbe bene comunque, all’inizio, però… almeno non credo che… che mi escluderebbe dalla sua vita, ecco. Ora Livietta ha bisogno di… di sapere che è lei la mia priorità, si è sentita trascurata per troppo tempo e-“
 
“E io invece?! Cosa dovrei fare?! Tornare a Torino e aspettarti come Penelope per altre due settimane e sperare che dopo avrai la testa per stare con me o avrai tempo per me tra le tue priorità?” gli domanda, tagliente, un sopracciglio alzato.
 
“Hai ragione e… ti capisco e non ti chiedo di aspettarmi. Non voglio prenderti in giro, Barbara, e so che ti ho già chiesto fin troppo. Io… vorrei poterti rivedere quando… quando ritornerò a Torino però lo capisco se tu invece non… non ne vorrai più sapere niente di me. Mi dispiace, tu hai fatto tantissimo per me e… mi dispiace davvero, non volevo trascinarti in tutto questo, credimi,” proclama, mettendole le mani sulle spalle e guardandola di nuovo negli occhi, sorprendendosi quando lei non lo scrolla via ma ricambia anzi lo sguardo e il gesto.
 
“Chiamami quando torni a Torino e... vedremo che cosa mi sentirò di fare io e cosa ti sentirai di fare tu,” risponde dopo un attimo di silenzio e di riflessione, “e diciamo che… se non mi chiami entro tre settimane da oggi, non chiamare più, tanto non ti risponderei.”
 
“E… e se ti chiamassi anche mentre sono a New York?” le chiede, sorprendendola e sorprendendosi mentre le parole gli escono di bocca.
 
“Non hai paura che tua figlia ci scopra?” gli domanda con un altro sguardo eloquente, “o com’è? Mi chiami tu quando lei non c’è, ma io non ti posso chiamare? Mi sembra di essere l’amante di un uomo sposato ed è un ruolo in cui non ho mai voluto trovarmi!”
 
“Scusami… hai ragione, io-“
 
“Prova a chiamarmi e… scoprirai che succede,” lo interrompe, posandogli un dito sulle labbra, “ma, Renzo, io l’amante clandestina a vita non la faccio, chiaro? Quindi pensaci bene a cosa vuoi, prima di chiamare. Ti chiedo solo questo.”
 
Il cuore gli si ferma per un secondo nel petto quando sente un tocco morbido e caldo e umido sulle sue labbra, tanto rapido quanto dolce.
 
Sta ancora cercando di riprendersi da questo bacio inatteso, quando cinque dita gli si stampano sulla guancia sinistra, con un colpo secco e doloroso.
 
“Questo è per la sparizione,” precisa Barbara, trafiggendolo con un’occhiata tagliente, mentre lui solleva la mano a coprirsi la guancia, completamente sconvolto.
 
Rimane fermo in quella posizione, il cervello e il cuore in tumulto, anche quando il taxi nero, su cui è salita senza fretta, è già un puntino lontano nella notte.
 
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“Mmm… ti stai già preparando per il nuovo fuso orario?”
 
“Mamma! Non pensavo fossi ancora sveglia!” esclama Livietta, colta di sorpresa, una mano sul cuore, mentre Camilla accende la luce del comodino, “o ti ho svegliata io?”
 
Sono quasi le cinque del mattino.
 
“Ti ho sentita mentre eri in bagno, ma ho già dormito parecchie ore, non ti preoccupare. Comunque mi stupisce la resistenza di tuo padre, in realtà. Soprattutto dato che domani vi attende un volo intercontinentale,” le fa notare Camilla, sollevando il lenzuolo alla sua sinistra, visto che Livietta si è già cambiata per la notte. O per il giorno, considerato l’orario.
 
“Ha stupito anche me… in realtà è una settimana che mi sta stupendo, che mi state stupendo. In positivo. Spero… spero solo che duri,” ammette Livietta, accogliendo l’invito della madre e stendendosi accanto a lei.
 
“Lo spero anche io, Livietta. Ti garantisco che farò tutto il possibile per farlo durare. E sono felice che… che tu stai recuperando un rapporto con tuo padre. Lui ti vuole un bene dell’anima, tanto quanto gliene vuoi tu,” pronuncia, guardandola negli occhi e accarezzandole i capelli, trovandosi stretta in un forte abbraccio.
 
Era stato bello e quasi surreale passare questa settimana insieme, dormire di  nuovo insieme nel lettone, come tanti anni prima. Abbracciarsi e farsi le coccole prima di dormire, come quando Livietta era piccola.
 
Sa benissimo che probabilmente non avranno più momenti così lei e sua figlia, che tra poco Livietta non andrà più in vacanza – forzata o meno – con lei o con suo padre e che si staccherà sempre di più da loro  per farsi una sua vita.
 
“Ti voglio bene,” sussurra Livietta, sciogliendo un attimo l’abbraccio per guardare sua madre negli occhi, “mi dispiace solo che non sei venuta stasera: ti saresti divertita, era un posto pazzesco!”
 
“Livietta, lo so ma io-“
 
“Tranquilla lo capisco se… se ti senti a disagio ad andare a ballare senza Gaetano o… o con papà?” intuisce, capendo dallo sguardo di sua madre che ha colto nel segno. Del resto aveva notato benissimo che la sera dei balli latini sua madre aveva fatto tappezzeria, a parte un breve ballo con Carmen.
 
Scherzi del destino.
 
“Diciamo che… forse è un po’ presto perché io e tuo padre ci… ci facciamo un ballo insieme, Livietta,” replica con un sospiro, accarezzandole di nuovo i capelli.
 
“Perché sei ancora arrabbiata con lui o perché hai paura che possa farsi strane idee e tornare alla carica?” le chiede, uno sguardo indagatore e allo stesso consapevole sul viso che le sembra incredibilmente familiare.
 
“Diciamo che... per il bene di tutti noi, compreso tuo padre, non voglio rischiare di ricadere in vecchi schemi e… rompere questa tregua. E poi… che ti devo dire… non mi va di ballare con qualcuno che non sia Gaetano, a prescindere da tuo padre, salvo forse… che ne so… un caro amico che conosco da tempo o, chiaramente, un’amica. Mi darebbe fastidio, anche se non dovesse dare fastidio a Gaetano e non mi sentirei a mio agio.”
 
Livietta non risponde, non può rispondere, perché la verità è che capisce benissimo sua madre: è la stessa sensazione di fastidio che ha provato ogni volta che qualche ragazzo si avvicinava a lei per chiederle di ballare in queste due settimane e una certa persona le tornava sempre in mente.
 
Lo sa che è stupido, che Lorenzo non è il suo ragazzo e non lo sarà mai, che non gli deve alcuna fedeltà – e lui neanche la vorrebbe – ma… è come se la sua mente e il suo cuore fossero occupati e non volessero lasciare spazio ad altro.
 
“Che c’è?” le domanda Camilla, notando lo sguardo malinconico della figlia.
 
“Niente… è che… ti ringrazio per… per avermi dato la possibilità di… di New York e sono felice di andarci ma… mi mancherai e mi mancheranno queste nostre chiacchierate prima di dormire. Mi ci stavo abituando…” confessa Livietta e, in fondo, sta dicendo la verità, anche se non tutta la verità. Ma non vuole far preoccupare sua madre: ci sono già stati abbastanza casini così e tanto non rivedrà mai più Lorenzo, quindi il problema non si pone.
 
“Attenta che ti potrei prendere in parola!” la avverte Camilla con un sorriso, stringendola in un altro abbraccio fortissimo.
 
“Dubito che tu mi voglia veramente tra i piedi tutte le notti… mi sa che hai di meglio da fare!” ironizza Livietta, ritrovandosi a doversi difendere da un assalto di solletico da farla piegare in due dal ridere.
 
E, si sa, la migliore difesa è l’attacco.
 
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“Chi sono?”
 
Il cuore le rimbomba nel petto e quasi le manca un battito, lo spavento e la sorpresa che si sciolgono immediatamente quando il suo corpo e il suo udito riconoscono quelle mani sui suoi occhi e quella voce nel suo orecchio.
 
“Amore!” esclama, non riuscendo a trattenere un sorriso, voltandosi ed incrociando quegli occhi azzurri che brillano e quell’espressione da schiaffi che le è mancata così tanto.
 
Ed è assolutamente inevitabile cedere all’impulso irrefrenabile di buttargli le braccia al collo e levargliela con un bacio talmente lungo e profondo da far tremare le ginocchia e venire il fiatone perfino ad un maratoneta.
 
“Mmm… ti direi che se la mia assenza ti fa questo effetto, dovremmo stare lontani più spesso, ma mentirei perché mi mancheresti troppo, professoressa,” ammette Gaetano, con un sorriso talmente brillante da sembrarle quello di un bambino, gli occhi lucidi e l’aria imbambolata, i capelli arruffati.
 
“Hai un’idea di quanto mi sei mancato tu?” mormora, un groppo in gola, abbracciandoselo fortissimo e venendo sollevata in aria in quel modo che, sì, inutile negarlo, le era mancato da morire, come tutto di lui, di loro.
 
Wof! Wof!
 
Il suono improvviso la fa sobbalzare e sciogliere leggermente l’abbraccio. Lei e Gaetano si guardano per un istante e scoppiano a ridere.
 
“Il mio Otello!” esclama Camilla, avendo riconosciuto perfettamente l’abbaiare di Potti, guardandosi intorno e chiedendo, non vedendolo, confusa, “dov’è?”
 
“Qui,” indica Gaetano, voltandosi verso un carrello portabagagli con su due enormi trolley e, in cima, un trasportino per cani nuovo di zecca.
 
Gaetano si avvicina, lo apre e il musetto di Potti-Otello fa capolino, abbaiando furiosamente. Come vede Camilla, le si lancia in braccio con un guaito che scioglierebbe un iceberg.
 
“Potti…” sussurra, commossa, abbracciandosi il cagnolino che scodinzola e guaisce e latra in maniera quasi convulsa: non era quasi mai successo che stessero lontani per una settimana intera, anche perché di solito se lo portava sempre dietro pure in vacanza.
 
“Hai fatto il bravo con Gaetano o l’hai fatto disperare?” chiede, rivolgendo un’occhiata eloquente anche a Gaetano che li osserva tra il divertito e il toccato.
 
“Tranquilla: passati i primi giorni in cui probabilmente pensava ti avessi rapita, siamo andati d’accordo, vero Potti?” domanda, allungando una mano per accarezzare la testa del cagnolino.
 
Camilla rimane di stucco quando Potti, per tutta risposta, gli lecca la mano e poi gli si butta tra le braccia, lasciandosi coccolare.
 
“Traditore…” mormora, divertita e commossa, riprendendo ad accarezzare Potti, che sembra per un attimo indeciso su quali coccole scegliere, per poi decidere di godersele entrambe, come un vero re, “non l’ho mai visto fare così con qualcuno che non sono io, nemmeno con Livietta. Solidarietà maschile?”
 
“Eravamo due poveri uomini soli ed abbandonati, ci siamo fatti compagnia,” scherza Gaetano, ma c’è un fondo di verità: non ammetterebbe mai con Camilla, nemmeno sotto tortura, quante serate ha passato a coccolarsi Potti sul divano, mentre cercava di non sentire la mancanza della sua professoressa. E, per qualche ragione, la vicinanza del cagnolino lo aiutava ad alleviare il senso di distacco.
 
“Basta che non avete fatto troppa baldoria, tra uomini soli,” ribatte Camilla con un’occhiata penetrante, posandogli però un bacio sulla guancia.
 
“Aspetta un momento,” pronuncia poi, quando le ritornano in mente  due dettagli fondamentali che non le tornano affatto, cioè i due enormi trolley – e anche il trasportino, in realtà, “che significano?”
 
“Significano che… qualcuno mi ha detto di pianificare una bella vacanza e l’ho fatto. Spero che il programma ti piaccia perché… avrei già prenotato tutto e il nostro volo sarebbe in partenza tra…” esita, guardando l’orologio per avere conferma, “due ore circa.”
 
Il nostro volo?” ripete, a dir poco sbalordita.
 
“Sì… visto che tra poco ricominci la scuola e… e il tempo non è dalla nostra parte, per goderci al meglio la vacanza sarebbe meglio partire oggi. Quindi ho già organizzato tutto: voli, hotel, ti ho preparato la valigia con l’abbigliamento adatto e… beh, ovviamente anche Potti viene con noi, ho scelto strutture dove accettano i cani. Ci portiamo dietro anche la tua valigia di Londra e… troviamo un lavasecco o una lavatrice a gettoni…”
 
Camilla è ammutolita e incredula di fronte a tanto impegno e tanta organizzazione.
 
“E… e quale sarebbe la destinazione?” gli domanda, non appena riesce a sciogliere il nodo in gola.
 
“Le Baleari: soprattutto Maiorca e Minorca. Prima Maiorca: sole, spiaggia, cultura, un paio di discoteche, che una certa professoressa con la febbre del sabato sera ha una promessa da mantenere…” le ricorda, facendole l’occhiolino e aggiungendo, suggestivo, “e poi andiamo a Minorca. Escursioni nella natura, magari anche a cavallo, se ti va, acqua cristallina e… qualche bella spiaggetta solitaria, solo per noi due.”
 
“Che ne pensi?” le domanda, preoccupato, vedendola lì, muta a mordersi il labbro, un’espressione indefinibile sul volto, “se… se partiamo oggi possiamo stare via una settimana e mezza abbondante e rientri in tempo per i tuoi impegni di settembre e prima che Livietta torni da New York. Ma se non ti va, non c’è problema, io-“
 
Il bacio che lo travolge è più eloquente di qualsiasi risposta, si aggrappa a lei e a Potti, che cerca di divincolarsi in mezzo a loro, protestando sonoramente.
 
“Mi sa che devi chiederlo ad Otello, se gli va,” scherza Camilla, staccandosi leggermente da lui, le farfalle nello stomaco, la sensazione di stare fluttuando in aria e un sorriso a trentadue denti che non può e non vuole contenere.
 
“Gli ho mostrato le foto di qualche bella cagnolina delle Baleari e mi è sembrato entusiasta. Non so se sia stato maggiore l’entusiasmo sulle cagnoline o sui piatti tipici in realtà,” ribatte, facendola ridere e scuotere il capo, “e poi, male che vada, mi sono procurato i contatti di un paio di dog sitter con ottime recensioni.”
 
Alla parola dog sitter, Potti riprende ad abbaiare in un modo talmente acuto da fracassargli i timpani.
 
“Ma non gli sfugge proprio niente!” esclama Gaetano, alzando gli occhi al cielo in un’espressione fintamente esasperata, per poi sussurrarle, con faccia da schiaffi, “chissà da chi ha preso…”
 
“Chissà…” sussurra di rimando Camilla, stampandogli un altro breve bacio sulle labbra, per poi domandargli, colta da una curiosità improvvisa, “ma… e il caso della Mole? Deduco che l’ha risolto brillantemente, dottor Berardi?”
 
“Deduci bene, anche se devo ammettere che il suggerimento di una certa professoressa mi ha aiutato molto,” confessa, facendole l’occhiolino, prendendo meglio in braccio Potti per rinfilarlo nel trasportino, nonostante le sue proteste, visto che devono avviarsi verso il check-in se non vogliono rischiare di fare tardi, “tu mi hai detto – e dai, Potti, fai il bravo! – insomma, tu mi hai detto di concentrarmi sulle assenze e l’ho fatto. E, nonostante il posto fosse pieno di sangue, impronte, lettera di addio e confessione, prescrizioni di tranquillanti con cui l’omicida si era tolto la vita e chi più ne ha più ne metta… uno dei due bagni era pulitissimo, immacolato, non c’era una traccia che fosse una. E il cassetto delle posate, da cui è stato preso il coltello da cucina, aveva su una megastrisciata di sangue con l’impronta del marito – il presunto omicida – e pure il coltello usato per accoltellare la moglie ovviamente aveva le sue impronte ma, per il resto, sul cassetto delle posate nemmeno mezza impronta e idem per tutti gli altri coltelli. Molto strano, non credi?”
 
“Beh, sì… perché ripulire il bagno in quel modo se tanto dopo ti vuoi suicidare e lasciare una lettera di addio? E… a meno che non usassero i guanti per lavare e asciugare le posate e non fossero dei maniaci della pulizia…”
 
“Esatto. Quindi abbiamo fatto degli approfondimenti e abbiamo scoperto che il figlio della coppia era pieno di debiti: si è giocato mezzo patrimonio di famiglia ai casinò. Non abitava più con loro da anni, ma abbiamo trovato le sue impronte sul flacone della candeggina, che evidentemente si era dimenticato di ripulire, e dentro un paio di guanti gialli di gomma che stavano sotto il lavello della cucina. Probabilmente non ha pensato che li avremmo controllati, visto che il presunto killer era completamente macchiato di sangue. Il vero assassino aveva indossato alcuni dei vestiti del padre per compiere l’omicidio e poi glieli aveva infilati addosso prima che subentrasse il rigor mortis. C’era un’altra impronta digitale del figlio sul cinturino di metallo dell’orologio del padre, a conferma di questa ipotesi, oltre al fatto che stranamente il padre aveva le mani fin troppo sporche di sangue, come se se le fosse sporcate apposta, ma il viso senza nemmeno una macchiolina. Poi l’assassino si era lavato, aveva ripulito tutto ed era uscito, per poi fingere di ritrovare i genitori morti il giorno dopo. L’abbiamo messo sotto pressione ed è crollato e ha confessato che… aveva deciso di… accelerare i tempi dell’eredità.”
 
“Beh, io ti avrò anche dato un suggerimento, ma le deduzioni sono tutte tue e non avrei mai saputo fare di meglio, in così poco tempo, poi! Ottimo lavoro, dottor Berardi, stavolta si è superato!” proclama Camilla con un sorriso orgoglioso e un tono fintamente marziale, per poi prenderlo per il colletto della polo e trascinarlo in un bacio dolce e profondo, anche se fin troppo breve, ma del resto sono in un luogo pubblico.
 
“La sai una cosa?” proclama Gaetano, la voce roca, quando riprende fiato, “è esattamente quello che mi ha detto anche il questore. Lui però non mi ha baciato, per fortuna!”
 
“Quanto sei scemo!” esclama, scoppiando a ridere e dandogli un pizzicotto nel fianco.
 
“Però, siccome era di buonumore, non ha avuto problemi a concedermi le ferie… anzi, mi ha detto che se la prospettiva delle vacanze mi rende così efficiente, me le concederà più spesso… anche se ne dubito,” sospira, afferrando il carrello portabagagli e cominciando a spingerlo verso la fila per il check-in.
 
“Invece io ci conto, Gaetano, a costo di andare a ricordare di persona al questore la sua promessa,” ribatte, non potendo evitare un mezzo sorriso compiaciuto quando nota l’espressione gelosa di lui, “anche perché le prossime ferie le organizzo io e le pago io. Ah e, per inciso, i ristoranti e tutto ciò che non hai già prepagato… facciamo alla romana, intesi?”
 
“Non se ne parla neanche, Camilla!” nega, risoluto, smettendo di spingere il carrello per un attimo, per guardarla negli occhi.
 
“E invece sì che se ne parla, Gaetano!” rimbecca lei, altrettanto risoluta.
 
“E invece no!” ribadisce, non indietreggiando di un millimetro, anzi avvicinandosi lievemente a lei, con sguardo di sfida.
 
“E invece sì!” rimpalla, con lo stesso medesimo tono di lui, protendendosi inconsciamente in avanti.
 
“E invece no!”
 
“E invece sì!”
 
“E invece no!”
 
“E invece sì!”
 
“E invece no!”
 
“E invece-“
 
Il sì le muore sulle labbra di Gaetano, che si scontrano con le sue in duello appassionato e infuocato che fa girare la testa ad entrambi e li porta ad aggrapparsi al carrello dei bagagli.
 
“E state attenti, porca miseria! Peggio di due adolescenti!”
 
La voce maschile e a dir poco alterata li porta a staccarsi bruscamente e a voltarsi verso un cinquantenne rubizzo a cui erano quasi andati addosso con il carrello dei bagagli, di cui avevano preso il controllo.
 
“Oddio, ci scusi!” proclamano all’unisono, mortificati, ma il signore, dopo aver lanciato un paio di insulti, se ne va per la sua strada.
 
“Hai visto che figure mi fai fare?” domanda Camilla, non riuscendo però a trattenere un mezzo sorriso.
 
“Io?” le chiede di rimando, con tono innocente.
 
“Tu, tu. E comunque la prossima vacanza la pago io e si fa alla romana!” ribadisce, con tono di chi non cambierà mai idea, anche se ha un certo scintillio negli occhi.
 
“E io ti ripeto che non se ne parla,” riafferma, cercando di mantenere un’espressione decisa e severa anche se un sorriso minaccia di tradirlo in ogni momento.
 
“E allora vorrà dire che le prossime ferie le farò con il questore!” proclama con aria serissima, le braccia incrociate, lanciandogli un’ultima occhiata eloquente, prima di dargli le spalle e cercare di allontanarsi da lui.
 
“Camilla!” lo sente ruggire quando ha fatto appena un paio di passi, le braccia che le si allacciano intorno alla vita e la sollevano di peso, facendola scoppiare a ridere, prima di trovarsi zittita da un altro bacio che non concede tregua, né respiro.
 
“Che cosa devo fare con te, me lo spieghi?” le sussurra infine sulle labbra, un sorriso e il tono divertiti ed esasperati, tenendola ancora stretta a sé.
 
“Esattamente quello che stai facendo, dottor Berardi,” mormora di rimando, accarezzandogli il viso, prima di abbracciarselo ancora più forte.
 
E così, sorridenti, mezzi abbracciati, mano nella mano, si avviano insieme verso la loro prima vera vacanza romantica a due.
 
Ma la verità è che si sentono già in paradiso.
 
 
 
 
Nota dell’autrice: E finalmente siamo arrivati alla fine di questo cinquantesimo capitolo e di questa fase della storia. Dopo la tempesta è arrivata un po’ di quiete per i nostri piccioncini che stanno per godersi una meritata vacanza solo per loro due, Potti-Otello permettendo. Il prossimo capitolo inizierà dopo un salto temporale e conterrà dei salti temporali. Ci saranno alcuni ritorni (prima di tutto una certa svedese e un certo adorabile impiastro) e poi… un altro giallo attende i nostri protagonisti e non solo loro con alcune rivelazioni e colpi di scena. E in mezzo a tutto questo i nostri cominceranno a maturare alcune scelte importanti per il loro futuro.
Spero di riuscire a pubblicare prima della prima puntata della nuova attesissima serie di PAP, ma, se così non fosse, vi auguro e ci auguro che questa serie ci consenta di vedere su schermo tutto quello che abbiamo potuto solo sognare e soprattutto che il sogno non si spezzi sul finale ;). Io in ogni caso proseguirò a scrivere questa mia personale versione della sesta serie di PAP (perché come finale della quinta è un po’ enorme xD) per portare a termine questo lungo percorso fatto insieme a voi e ai nostri personaggi e per portare a compimento la loro evoluzione così come la avevo immaginata, fino al tanto agognato lieto fine.
Vi ringrazio come sempre per avermi letta fin qui, per i vostri bellissimi commenti e se vi va vi do appuntamento al prossimo capitolo, sperando di continuare a meritare il vostro tempo e la vostra attenzione.
Grazie e a presto!
   
 
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