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Autore: Lena_Railgun    23/08/2015    2 recensioni
"Ivan mi stava aspettando: il suo sguardo da prima perso nel vuoto si posò su di me e mi sorrise.
-Bravissima Mary- mi disse evidentemente fiero di me. Si avvicinò e mi scompigliò i capelli mentre io abbassavo il capo.
-Grazie- feci teneramente. Non l'avevo notato, ma nella mano destra teneva un'orchidea.
-è..è per me?- chiesi sorpresa.
-No guarda, per mia cugina che abita Torino che evidentemente frequenta l'accademia. Certo che è per te- fece ironicamente alzando il sopracciglio.
Gli feci la linguaccia:
-Ma dai! Non serviva!- feci quando me la porse.
-Viene sempre dato un fiore a chi si esibisce no?- mi disse lui mettendo le mani in tasca.
-Dove l'hai tirata fuori questa?- chiese divertita.
-Da qualche film- disse lui alzando le spalle. Osservai l'orchidea e sorrisi:
-é...perfetta. È tutto perfetto- "
Marina Rinaldi è una ragazza di sedici anni, che lascerà la sua normale vita da liceale, per accettare una borsa di studio per un'accademia di musica a Firenze. Per fare ciò, verrà ospitata da amici del padre, la famiglia Innocenti, con i loro due figli, Ivan e Celeste. Nonostante Ivan sembri molto diffidente, piano si avvicineranno molto. Cosa succederà tra i due?
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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COME SONO ARRIVATA QUI: UN FLASHBACK IN VIAGGIO
 
In viaggio. Il sole si alzò sempre più nel cielo, brillante e luminoso che, come al solito, illuminava quella giornata di inizio settembre con un carico di nostalgia, ricordando che le vacanze sarebbero finite a breve. Guardai fuori dal finestrino distrattamente, ammirando il paesaggio che mutava ad ogni chilometro mentre scendevamo verso sud, salutando le mie adorate Alpi, chiedendomi quando le avrei riviste, per dare il “Buongiorno” alla catena appenninica, un paesaggio al quale dovevo abituarmi e sapevo che non sarebbe stato facile, non sarebbero bastate frasi fatte della serie “Ma sì, cambiare aria mi farà bene”. No. Continuavo a chiedermi se avessi preso la decisione giusta mentre stringevo tra le dita la collana che portavo al collo, sulla quale c'era scritto “Marina” il mio nome. Sapevo che,probabilmente, avrei dovuto toglierla; i ricordi che mi legano a quest'oggetto sono vari, smisurati con  tanti sentimenti contrastanti ma non ce la facevo a separarmene. Mi ricordavano quel cinque marzo, giorno dove mi trovai di fronte ad un bivio e prendere una decisione non fu per niente facile. Ma andiamo con ordine: Mi chiamo Marina Rinaldi, ho sedici anni e sono Veneta. Sono una ragazza molto chiusa e riflessiva, passionale che ama quello che fa e ci mette anima e cuore. Conseguenza del mio carattere è il fatto che non riesco a relazionarmi molto bene con gli altri. Perciò, quando mi lego a una persona, vuol dire che ci sono molto affezionata e cerco di trattarla con il massimo rispetto. Il destino mi ha donato delle amiche molto speciali, che sono riuscite ad andare oltre le apparenze, oltre al mio broncio e sono riuscite a conoscermi per quella che sono. Sono tre i nomi che rimarranno nel mio cuore nonostante l'avanzare degli anni: Mara, Lucia e Caterina, amiche incredibilmente dolci, conosciute in situazioni diverse ma abbiamo formato un gruppetto fenomenale. Per cominciare, Mara è la mia migliore amica da quando alle elementari ci misero nello stesso gruppo per decorare un cartellone. Strano a dirsi, ma la cosa che ci unì fu il nostro amore per il colore verde, colore che amo e che mi rispecchia, perché ricorda i miei occhi e la natura, che amo. Nonostante i mille litigi, siamo ancora qui dopo dieci anni.  Caterina l' ho conosciuta ad un corso di scrittura creative alle medie, una passione che ci ha unite fin da subito: la scrittura creativa è un'arte, ciò che ci rappresenta. Scriviamo principalmente fantasy e commedie d'amore, perciò l'ispirazione, inizialmente, proveniva molto da Harry Potter, saga che amiamo, e da qualche film d'animazione. Lucia è l'ultima arrivata: la chiamo “la mia bionda”, e frequenta la mia stessa scuola, in una sezione differente dalla mia. Conosciute nel coro della scuola, siamo un po' come il giorno e la notte: lei molto spigliata e sicura di sé, ma molto imbranata. Io chiusa nella mia timidezza ma molto più seria di lei. Siamo due metà e ci compensiamo: siamo la bionda e la mora.
Sono amicizie importanti, perché avevo proprio bisogno di amici in quel periodo, insicura su cosa fare e che decisione prendere, e loro mi sono stante molto vicine sin da quel 31 ottobre, dove tutto è cominciato. Quel giorno ci furono le audizioni per lo spettacolo di natale della mia scuola, il liceo linguistico Dante Alighieri. Spinta un po' dalla mia passione per la danza, un po' dalla voglia di mettermi alla prova, decisi di presentarmi alle audizioni come membro del corpo di ballo, eseguendo una coreografia inventata da me. Il mio professore di educazione fisica organizza questo spettacolo ogni anno ma non gli avevo mai detto, in due anni che lo conoscevo, di voler partecipare. Perciò, quando mi presentai ed eseguì aggraziatamente la mia coreografia, rimase piacevolmente sorpreso. Lavorai con lui e il mio partner Gabriele con impegno e dedizione, alternando studio e danza inizialmente con estrema fatica, poi in modo quasi automatico. Il 22 dicembre, giorno dello spettacolo, era un puro fascio di nervi; nonostante cercassi di dimostrare tranquillità agli occhi degli altri, dentro di me mi sentivo morire. Cercai di rilassarmi mentre stendevo l'ombretto verde sulle palpebre, aiutata da una ragazza che conobbi lì, di nome Cristina, con cui scambiai qualche chiacchiera e risata, che mi servii a stendere i nervi incredibilmente tesi. Indossai un paio di pantaloncini corti verdi ed una maglia larga a decorazione floreale, scarpe da ginnastica bianche e scesi verso le quinte. Vidi Gabriele accogliermi appena scesi le scale dei camerini.
-Ehi- mi disse osservandomi -Nervosa?-
-Mah un po'- mentii, nascondendo l'ansia che, ormai, era integrante del mio modo d'essere. Parlando con lui mi rilassai, aveva una grande capacità di aiutarmi anche durante gli allenamenti, quando un passo non mi riusciva. Nel momento in cui il nostro turno arrivò, il suo sorriso mi rassicurò come nulla prima di allora. Mi prese la mano e venimmo accolti da  applausi e grida entusiaste. Eseguimmo la nostra coreografia di danza moderna con vari elementi presi da stili diversi che il mio prof ci insegnò. Fu proprio quel giorno che io e Gabriele ci mettemmo insieme. Me lo chiese subito dopo la nostra esibizione e mi sentì incredibilmente imbarazzata ma provavo qualcosa di davvero molto forte per lui. Fu il mio primo ragazzo, una delle più grandi emozioni mai provate, almeno fino a quando non venimmo selezionati per partecipare ai regionali di danza che si sono tenuti a Mestre. I giorni precedenti a essa, ci siamo esercitati con la massima affinità e complicità e,quel giorno, eseguimmo la coreografia dello spettacolo natalizio, migliorata con elementi aggiuntivi, imparati cercando qualche spunto da video di ballerini su internet. Arrivammo ventesimi su centoventi ballerini, un risultato che ci diede grandi soddisfazioni. Il fatidico cinque marzo arrivò con una grande sorpresa per me: mi venne offerto un posto alla “Florence music accademy”  accademia, come dice il nome, musicale che si trova a Firenze, dove oltre alle materie tradizionali di un liceo, vengono insegnate danza, canto e suono di strumenti. Fu proprio quel giorno che Gabriele mi regalò la collana che porto fieramente al collo, dimostrandomi il suo affetto. Ma, per me, quel gesto comportava ancora più fatica per scegliere se partire o rimanere. Dover lasciare la mia famiglia, Gabriele, le mie migliori amiche, la scuola, la città ,in poche parole, la mia vita mi risultava troppo doloroso. Chiesi consiglio, parlai con diverse persone, passai a rassegna il sito della scuola da cima a fondo e passai periodi di crisi e instabilità. Ma quando in ventisette giugno, decisi che la mia passione mi faceva stare bene, mi faceva sentire speciale, capii che dovevo avere il coraggio di buttarmi nel vuoto verso qualcosa di nuovo.
-Sei davvero sicura?- mi chiese Caterina per l'ennesima volta.
-Si Cate. Ho deciso così. Mi mancherete tutte tantissimo- disse, abbracciando le mie dolci amiche, che erano corse da me non appena comunicai loro la notizia.
-Anche tu a noi- disse Mara con le lacrime agli occhi, e sapevo che per lei era dura lasciar andare via una persona con cui se ne sono passate di tutti i colori.
-è stata una decisione davvero difficile. Però non posso lasciarmi scappare un'occasione così importante- dissi, come per scusarmi di lasciarle lì, sentendomi davvero parecchio in colpa.
-Ti capiamo infatti. Non ti diremo mai di rimanere per noi, saremo davvero egoiste. Noi vogliamo il meglio per te.- fece Lucia con un sorriso triste.
-Ho le migliori amiche del mondo- dissi tra le lacrime. Cercai di asciugarle ma più passavo le mie dita sulle guance, più esse scendevano e mi rigavano il volto.
-Dai, va tutto bene Mary! Devi ancora parlare con Gabriele- disse Caterina cingendomi le spalle.
-Hai ragione- dissi prendendo il cellulare. Composi il suo numero, aspettando di sentire la sua voce. Quando rispose, sentì la sua bellissima e calda voce, che si preoccupò nel sentirmi singhiozzare. Gli dissi che volevo parlare con lui di persona, acconsentì ancora preoccupato ma cercai di rassicurarlo come potevo. Riagganciò dopo avermi detto “Ti amo Mary” e sorrisi, un po' più tranquilla.
Ci incontrammo quella sera nella zona pedonale della mia città, ci sedemmo in un luogo tranquillo e gli spiegai della mia decisione di partire. Lui rimase calmo, sempre con il suo sorriso e l'aria angelica che lo avvolgeva e,quando finii di parlare, mi baciò dolcemente, dicendomi:
-A me basta la tua felicità-
Rimasi colpita dalla sua tranquillità, ma non ci diedi troppo peso. Mi abbracciò forte, e io mi immersi nella sua calda stretta. Dopo alcuni secondi, mi sussurrò all'orecchio:
-Voglio fare l'amore con te-
Mi allontanai e lo fissai, in secondi di puro imbarazzo. Penso di non essere mai arrossita tanto. Mi alzai e, senza voltarmi, gli dissi:
-Non me la sento.-
Raccontai tutto a Mara, nonostante inizialmente avessi optato per tenermelo per me, ma il peso che avevo nel cuore era troppo. Lei mi disse che avevo fatto la scelta giusta, che non dovevo farlo per forza se avevo paura e che lui avrebbe dovuto capirlo.
Nonostante le sue parole di conforto, mi sentii in dovere di scusarmi con lui per essere corsa via. Lo chiamai diverse volte ma non mi rispose e ,in quel momento, mi sentii “Semi-single”. Non volevo demordere, essendo molto testarda perciò presi un autobus e mi recai a casa sua, essendo molto distante da dove abitavo io. Appena scesi nella fermata lì vicino, lo trovai sul muretto di casa sua a baciare un'altra ragazza, bella, bionda, un fisico stupendo ed invidiabile. Ma non da me, in quel momento provai solo odio. Tornai sui miei passi, quasi decisa a farmi tutta la strada a piedi, perché avevo bisogno di pensare e camminare mi aiuta. Ero stata tentata di andare lì da lui per farmi ridare i soldi del biglietto ma non avevo davvero voglia di parlarci, di litigare. Gli mandai solo un ultimo messaggio con scritto “Addio”.
-Perché non la butti via?- mi chiese Caterina indicando la collana.
-è un ricordo- dissi semplicemente, dondolandomi sulla sedia nel portico di casa mia. -Un ricordo come un altro. E poi i regali non si buttano-
Era il trenta giugno e io e Caterina stavamo passammo un pomeriggio che fu importante per me. Capii quanto fossi forte, quanto riesca a mantenere la calma in situazioni dove normalmente, una ragazza avrebbe pianto sotto le coperte. Ma lui non meritava le mie lacrime e fu questo pensiero a darmi la forza.
“Il mio ragazzo mi ha tradita. Ok può succedere” pensai. Ero relativamente piccola per capire cosa vuol dire amare una persona anche se per quei mesi ci avevo creduto davvero.
-Mary sei davvero una persona forte. Sai, credo che te la caverai benissimo a Firenze, la tua tenacia è incredibile- mi disse Caterina sorridendo.
-Ancora mi chiedo se ho fatto la scelta giusta- dissi dubbiosa.
-Ascolta...smetti di pensare a noi e vai, realizza il tuo segno-
-Bhe, ormai indietro non posso tornare. Papà ha già trovato chi mi ospita. Sono amici con cui mio padre ha avuto contatto per un lavoro. Sembrano davvero gentili-
-Bhe, io ti auguro il meglio- disse alzandosi e abbracciandomi.
-Ti voglio bene Cate- sussurrai dolcemente.
-Non immagini quanto- mi disse lei, accarezzandomi la schiena.
 
-Sei pronta?- mi disse una voce che riconobbi come quella di Lucia.
Era il sette settembre, il giorno prima della partenza. Le mie amiche erano venute a prendermi a casa e trascinatami da qualche parte, mi avevano bendata e trascinata da qualche parte.
-Sono pronta- risposi
-Uno, due...tre!- urlarono togliendomi la benda.
Eravamo nel giardino di Mara, enorme, bello e ombreggiato, dove avevo passato molte estati quando ero piccola a giocare con lei. Ed era proprio lì che tutti i miei amici, parenti e compagni di classe e di coro erano radunati davanti a me, con enormi sorrisi incoraggianti Mi voltai verso le mie amiche, senza parole:
-è...davvero tutto per me?-
-Ovvio scema!-
-Ma...ma non dovevate prendervi tutto questo disturbo-
-Sei la nostra migliore amica! Questo è il minimo- disse Mara, dandomi un'affettuosa pacca sulla schiena.
-Siete davvero...il massimo- dissi commossa.
-Su vai! Sono tutti lì per te-
Fu una giornata incredibilmente nostalgica. Parlare di ricordi lontani, di esperienze avvenute così tanto tempo fa...mi ha fatto commuovere e provocare una fitta allo stomaco.
Quella sera, le mie meravigliose amiche mi diedero un pacchetto regalo: dentro c'era un braccialetto con le nostre iniziali.
-Saremo sempre con te- mi disse Mara.
-Volete proprio farmi piangere?- dissi tra le lacrime -Vi prego...non voglio ricordare questo giorno in questo modo. Voglio che sia felice-
-Ma...tu te ne stai andando- disse Lucia, anche lei con gli occhi lucidi.- È impossibile non piangere-
-Lo so...però...-balbettai tra le lacrime.
-Abbracciaci- disse Mara, allargando le braccia -Vieni quì-
-Tu e i tuoi imperativi!-  esclamai ridendo.
-Amami così come sono-
Furono le ultime parole di Mara che mi fecero ridere, che mi fecero capire quanto mi sarebbero mancate. Passai la notte a casa di Mara, a dormire tutte vicine e spiaccicate nel materasso matrimoniale a morire di caldo. Ci svegliammo molto presto, assonnate ma ,soprattutto, molto malinconiche.
-Hai preso tutto vero?- chiese Caterina.
-Si mamma- dissi, prendendola in giro.
-Scusa, non posso farne a meno! Mi preoccupo-
-Lo so- dissi abbracciandola.
Diedi l'ultimo grande abbraccio alle mia amiche, alla mia forza formato persone.
-Mi mancherete così tanto-
-Anche tu-
-Ci sentiamo vero? Tutti i giorni?- chiesi, quasi supplicando.
-Ovvio stupida- rispose Mara.
Sorrisi, ne avevo davvero bisogno.
-Ciao- dissi, salendo in auto e salutando con la mano. L'auto partì, facendo diventare i loro volti sempre più lontani da me. L'unica cosa che vorrei dimenticare di quel viaggio così devastante fu un messaggio che ricevetti quella mattina:
“Buona fortuna”
Gabriele
 
In viaggio, cercavo di fare la forte, mostrandomi sicura della mia scelta, ma dentro di me tremavo sia per l'emozione che per l'agitazione. Passavo le dita tra i miei lunghi capelli neri, come per tranquillizzarmi però non ce la facevo. Perchè metro dopo metro ero sempre più vicina a quella nuova vita che avevo scelto.
Girammo a destra all'uscita dall'autostrada, poi dritti fino ad una rotonda e poi a sinistra. La famiglia che mi avrebbe ospitata non abitava a Firenze Santa Maria Novella, dove sarei andata a scuola , ma a Firenze Rifredi, una cittadina di provincia non troppo distante (da quanto mi ero documentata, sei minuti in treno e una ventina di minuti  in autobus). Girammo ancora ma il mio sguardo si perse nel vuoto, nell'osservare gli edifici e le strade, fino a quando mio padre non disse:
-Siamo arrivati-
Spensi L'ipod e scesi dall'automobile, con ancora la canzone che stavo ascoltando nella mia testa e con una gran voglia di canticchiarla. Mio padre suonò il campanello e dopo poco tempo, una donna sulla quarantina venne ad aprirci. Indossava un grembiule da cucina sopra ai suoi vestiti. I capelli lunghi e castani erano raccolti in una coda bassa.
-Buon giorno e ben arrivati- disse, aprendo il cancello ed aiutandosi a portare dentro le valige. Io avevo in mano la mia borsa, lo zaino con i libri di scuola e i beauty case e accettai l'aiuto di mio fratello per portare dentro la valigia più grande, con i vestiti invernali. Ci scambiammo un'occhiata di complicità, che mi diede sicurezza ed entrammo in quel posto, che sarebbe diventata la mia nuova casa.
-è un piacere rivederti Alessandro- disse un uomo rivolto a mio padre.
-Anche per me Pietro- disse lui a sua volta.
-Vorrei presentarti la mia famiglia- proseguì mio padre -Lei è mia moglie Giorgia, mio figlio Nicola e mia figlia Marina- disse, presentandoci. Salutammo cordialmente, ringraziando per l'ospitalità e per il disturbo che si erano presi.
-è un piacere- disse la donna che ci aveva aperto la porta. -Io mi chiamo Serena- disse sorridendo e si rivolse a me:
-Marina, spero che tu ti possa sentire come a casa-
Sorrisi e ringraziai, nonostante la mia timidezza mi stava bloccando dall'essere più cordiale.
-Loro sono i nostri figli, Celeste ed Ivan- disse, indicando una ragazzina che si era alzata dal divano, venendoci in contro un po' timorosa, ed un ragazzo alto, uguale al padre: stessi capelli castani e ricci, che sembravano animati da vita propria per la loro caoticità, stessi occhi grigi, bellissimi ed espressivi. Il sorriso che ci mostrò, però, era spento, privo di emozioni.
“Non mi vorrà qui” pensai “Ma come biasimarlo? Avere una sconosciuta in casa comporta vari cambiamenti...e i cambiamenti non piacciono a tutti”. Serena si avvicinò a me e mi disse sottovoce:
-è un brutto periodo per Ivan, non pensare che non ti voglia quì- bisbigliò.
-Ma...come?- balbettai, sconcertata che fosse riuscita a capire ciò che pensavo solo guardandomi. Che fossi un libro aperto?
Serena mi fece l'occhiolino e si rivolse verso la mia famiglia.
-Il pranzo è pronto, accomodatevi pure-
Ci sedemmo a tavola e,come un pranzo degno di nota, durò delle ore, come fosse un pranzo di natale e cose del genere. I miei genitori e i signori Innocenti passavano da un argomento ad un altro come delle macchinette, raccontandosi dalle vacanze ad aneddoti su quando erano adolescenti e cose su me e Nicola, che ci fecero imbarazzare ed abbassare lo sguardo, maledicendo nostro padre e la sua parlantina.
“C'era da aspettarselo” pensai “Mio padre quando inizia a parlare, non si ferma più”.
Sentivo le carezze che mi faceva mio fratello sulla testa, che mi davano sempre forza e coraggio nei momenti di crisi, e credo volessero prepararmi per il mio nuovo inizio, la mia nuova vita.
-Grazie fratellone- gli sussurrai.
Quando Serena ci servì il dolce, si sedette rivolgendosi a me:
-Allora Marina, che scuola frequentavi prima?-
Rimasi un po' colpita dal suo tentativo di fare conversazione, ma, infondo, sarei stata come una figlia in più, e probabilmente voleva cercare di conoscermi il più possibile.
Sorrisi e risposi:
-Liceo Linguistico-
-E come ti trovavi? -
-Bene, all'incirca. Non avevo proprio una bellissima classe ma non era così male infondo.- risposi, cercando di guardare Serena negli occhi nonostante la mia dannata timidezza, intenta a bloccarmi. Non sapevo il perché, ma avevo voglia di continuare a confrontarmi con lei, perciò continuai:
-Onestamente, molti insegnanti delle medie mi avevano scoraggiata, dicendo che non ero portata per quel tipo di liceo ma non mi importava, io volevo andarci e ci sono andata. E non me ne sono mai pentita- dissi soddisfatta, ripercorrendo i passi che mi avevano condotta a compiere quella scelta.
-La testardaggine è la cosa migliore!- disse Serena entusiasta. Le mostrai un sorriso sincero, che mostrava tutta la mia gratitudine perché quelle parole erano davvero molto significative per me.
Finito, finalmente, quell'interminabile pranzo si erano fatte circa le tre del pomeriggio, e Serena si rivolse ad Ivan:
-Ivan, aiuta Marina a portare le valigie in camera sua-
-Va bene- rispose lui alzandosi, ma si vedeva che era molto contrariato.
-Seguimi- disse rivolgendosi a me. Presi alcune delle mie valigie, le quali erano rimaste all'ingresso, e lo seguii su per le scale.
“Sarà che non è un buon periodo, ma è davvero antipatico” pensai, mentre cercavo di trasportare le mie valigie contenenti la mia vita e brutalmente buttata in borse, zaini eccetera. Ivan mi guidò fino ad una porta a destra del corridoio e la aprì. Mi invitò ad entrare con un cenno goffo e io accennai un sorriso prima di entrare. Ricordo che rimasi davvero colpita, perché quella camera era meravigliosa, una sorta di divisione tra due mondi. Alla mia sinistra, c'erano i classici arredamenti di una camera ma con un tocco in più: per cominciare il letto era rialzato dal pavimento da due lastroni di marmo circolari sovrapposti, formando una piccola gradinata. Il comodino accanto al letto sulla sinistra, a destra, scesi i gradoni del letto, c'erano diverse librerie, un armadio e una cassettiera attaccati al muro. Seguendo, la scrivania. Difronte all'entrata, si trovava il balcone che rendeva la stanza luminosa e dove io rimanevo spesso ad osservare le stelle. Nella parte destra, c'era quella che chiamavo “zona del rilassamento estremo” con due soffici poltrone dove mi sedevo per comporre, per leggere o semplicemente per pensare, sorseggiando il the al limone all'aroma di vaniglia, davanti al fuoco del caminetto che gentilmente Serena mia accendeva (in inverno, ovviamente). Nel momento in cui entrai, mi sembrava davvero esagerata per me che ero un'estranea, un'ospite che invadeva lo spazio di una famiglia.
-Ma seriamente è per me questa camera? Mi sembra un po' eccessiva- esclamai incredibilmente sorpresa.
-Veniva usata da mia nonna- mi spiegò Ivan  -Da quando è morta, è stata usata...- si bloccò un attimo e prese un respiro -Da un'altra ragazza che abbiamo ospitato.  Abbiamo cambiato qualcosina per te ma nulla di troppo impegnativo.-
Non capivo bene il verso significato di quell'ultima frase ma dissi:
-Davvero, ringrazio ancora tantissimo per l'ospitalità – feci con dolcezza.
Lui sembrò molto sorpreso dalla mia tenerezza e vidi un piccolo sorriso sincera comparire sul suo volto:
-Figurati- mi disse. Esitò un attimo ma poi riprese:
-Se vuoi ti aiuto a disfare la valigia-
-Come preferisci- dissi, avanzando impacciata.
Ci sedemmo di fronte all'armadio e iniziammo a disfare la prima valigia e gli risparmiai di sistemare la mia biancheria, insomma, fu abbastanza imbarazzante, soprattutto perché il silenzio tra di noi era netto, non avevo nemmeno il coraggio di spiaccicare parola, aprire uno straccio di conversazione.
-Allora- iniziò lui ad un certo punto, dopo secondi che sembravano ore -Sei contenta di essere qui?-
-Continuo a chiedermi se ho fatto la scelta giusta- risposi sospirando.
-Immagino non sia facile. A sedici  anni non è facile prendere una tale decisione-
-Hai ragione- feci io annuendo -Anche se non ne ho ancora sedici. Li compirò tra circa un mese-
-Che giorno?- chiese, con il suo solito tono pacato, anche se sembrava essersi addolcito un po'.
-Il quattordici ottobre-
-L'anno scorso non avresti mai immaginato di passare l'ultimo compleanno con i tuoi genitori per molti anni- osservò lui.
-No...e questo mi fa solo pensare a quante cose sono successe in fretta in sei mesi- dissi, ripercorrendo i miei ricordi dalle audizioni fino alla borsa di studio.
-In effetti...come sei arrivata qui? Insomma...come hai ottenuto la borsa di studio?-
Così gli raccontai tutto, dal 31 ottobre, allo spettacolo di natale, al concorso a Mestre fino a giungere ai mesi della mia decisione di partire, tralasciando,però, Gabriele e i nostri sei mesi insieme.
-Wow- fece Ivan -Devi avere talento. Quì non prendono chiunque-
Mi sentii lusingata e sorrisi dolcemente:
-Non saprei ma...grazie- poi continuai -Tu che scuola frequenti?-
-Liceo scientifico- fece lui ma si bloccò con lo sguardo serio; probabilmente non aveva molta voglia di continuare il discorso. Infondo, parlare di scuola gli ultimi giorni di vacanza non era certamente la cosa migliore.
-Scusami-feci -Non volevo essere invadente-
-Non importa- fece lui in tono pacato. Si alzò e mi guardò:
-Manca quello scatolone e abbiamo finito- disse indicando una scatola che avevo lasciato vicino al letto, quasi nascosta dal copriletto.
-Non c'è bisogno, faccio da sola- dissi, alzandomi di scatto e mettendomi davanti ad essa.
-Sicura?-
-Si si, vai pure e grazie per l'aiuto- dissi con un sorriso.
-OK- fece lui con indifferenza e con quel tono che avevo già imparato ad odiare. Appena uscì, spinsi la scatola sotto al letto: dentro c'erano molti dei miei manga preferiti, gadget, magliette e tutto ciò che ha a che fare con il mondo degli anime e manga e del Giappone, una delle mie più grandi passioni. Non ne parlo molto volentieri, non perché mi vergogno, anzi, ma perché sono sempre stata discriminata, tormentata e presa in giro perciò preferisco tenermelo per me ed essere me stessa solo con le mie amiche, che condividono la mia stessa passione. Uscii da quella stanza che sarebbe diventata il  mio nuovo rifugio sospirando, perchè Ivan mi aveva portato alle mente troppi ricordi, alcuni davvero dolorosi.
-Hai sistemato tutto?- mi chiese Serena appena raggiungi il salotto, distogliendomi dai miei pensieri.
-Si- risposi annuendo.
Notai che i miei genitori mi stavano guardando malinconici:
-Mamma, papà, fratellone-
-Abbi cura di te Marina- disse mio padre abbracciandomi.
-ciao papà-
Mia madre mi abbracciò a sua volta, raccomandandosi di ubbidire a Pietro e a Serena, di non spendere troppi soldi e di essere sempre educata, insomma, raccomandazioni che solo una mamma può fare. Mio fratello mi strinse a se subito dopo, e sentivo già la mancanza di tutti loro
-Ciao Marina- dissero in coro, salutandomi per l'ultima volta. Li seguii con lo sguardo finché l'automobile non sparì dalla mia vista. Mi sentivo spaesata e persa, lontana dalla mia famiglia e avevo quasi voglia di urlare loro di tornare indietro perché non ero pronta, avevo deciso troppo in fretta ma ingoiai quelle parole, perché troppo tardi per pentirsi. Serena venne verso di me, accarezzandomi la schiena come per dirmi che mi capiva e che mi era vicina in quel momento.
-Hai bisogno di qualcosa?- mi chiese dolcemente. Scossi il capo, anche se non sembravo molto convincente:
-No tranquilla grazie. Devo solo abituarmi- dissi facendo un profondo respiro.
-Tranquilla- mi disse -Per qualunque cosa chiedi-
-Grazie- risposi sorridendo e salii le scale. Rimasi in quella camera che non sentivo ancora mia, guardandomi in giro, cercando di sentirmi a casa ma nulla di quel posto ricordava casa mia. Si erano fatte circa le dieci quando, dopo essermi infilata il pigiama, qualcuno bussò alla porta:
-Avanti- esclamai.
Serena entrò con un sorriso.
-Ti va una tazza di thè- mi chiese.
Annuii -Si grazie.-
 
-Allora- iniziò versandomi il the tiepido su una tazza -Come stai?-
-Credo che ci vorrà un bel po' prima di non sentire più la nostalgia di casa- dissi, soffiando sul thè per raffreddarlo ancora un po'.
-è normale. Però ricordati che sei qui perchè hai un sogno da realizzare- mi disse facendomi l'occhiolino.
-Hai ragione Serena- le risposi -è che...a volte mi chiedo se ci ho pensato abbastanza-
-Puoi tornare indietro se non te la senti. Ma credo che tu ci abbia riflettuto davvero bene, perché se non lo avessi fatto, non saresti qui. Ascolta, se hai bisogno di aiuto considerami pure come una seconda mamma- disse con un grande sorriso. Io ero un po' imbarazzata da quella gentilezza ma sorrisi teneramente, abbassando lo sguardo
-Grazie mille per essere così gentile con me-
-Ti considero già come una terza figlia. E spero davvero che tu riesca a sentirti a tuo agio-
-Grazie- esclamai e la abbracciai di colpo, come se fosse seriamente mia mamma perché la mia era a tre ore e mezza da lì e ne avevo bisogno. Serena mi accarezzò i capelli, si alzò e mi diede la buona notte. Tornai a distendermi sul letto e notai che il display del mio telefono si era acceso. Era un messaggio di Mara che diceva:
-Buona fortuna Mary-
 
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eccomi qua con una nuova original. So che non è coerente non avendo ancora finito di pubblicare "Tra incubo e sogno", soprattutto perché TIES l'ho finito già da qualche mese e "Il mio posto" no, però per variare un po' volevo pubblicare anche questa. Mi scuso se ci sono errori. Questa ff è nata da un sogno che ho fatto, sono due anni che ci ragiono su e appena ho finito TIES mi sono decisa a scriverla seriamente. Originalmente si chiamava "27" ed era ambientata a Roma, ma i miei schizzi hanno deciso di cambiare titolo e location. E quindi ecco quì, spero che a qualcuno possa piacere e alla prossima =)
Lena
   
 
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