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Autore: Exentia_dream    24/08/2015    1 recensioni
Hermione e Draco, Harry e Ginny, Theo e Daphne finalmente insieme felicemente....
Ma sono davvero felici? E Ron, che fine ha fatto?
Blaise smetterà i suoi abiti da Don Giovanni e ricomincerà a credere all'amore?
Finalmente il continuo di "Since I kissed you."
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Se si ascoltasse il cuore…
 
 
 
–Credo che dovremmo parlarne.
-Di cosa?
-Di questi silenzi che ci stanno allontanando. Sta accadendo qualcosa e non ce ne stiamo rendendo conto.
-Non è nulla, Ginny.
 
Ginny la osservava: le ginocchia tirate al petto, lo sguardo vacuo e gli angoli della bocca tirati in giù.
Non li vedeva, certo, ma era sicura che fossero così.
Hermione non riusciva a piangere: certe cicatrici erano troppo profonde per essere riempite con le lacrime e lei lo sapeva.
Alzò il cuscino e tirò fuori una fotografia.
Era tagliata a metà. No, non tagliata. Era stata strappata.
Hermione la guardava con gli occhi lucidi e nessuna lacrima: avrebbe potuto riattaccarla con la magia e nessuno avrebbe mai notato quella rottura, ma lei sapeva perfettamente che c’era.
Avrebbe potuto riattaccarla con lo scotch- se fosse stata nel suo mondo, a casa sua, con i suoi genitori.
Anzi, nel suo modo non ci sarebbe stata nessuna foto da riparare perché non ci sarebbe mai stata nessuna immagine che li avrebbe ritratti insieme.
Nel suo mondo, a casa sua e con i suoi genitori, non ci sarebbe stato Draco.
 
-Cos’è Herm?
-Cosa?
-Tutto questo: gli occhi lucidi, il corpo che trema.
-Sarà un po’ di influenza.
-Speri che ci creda, vero?
-Anche tu hai gli occhi lucidi, gonfi e stai tremando.
-La mia è influenza.
-Certo, una febbre d’amore per Harry Potter.
-E la tua per chi è?
-Ho paura di scoprirlo.
-Non ci sarebbe niente di male.

-Non sono innamorata di lui, Ginny.
-Sei stata in silenzio per tanto tempo, sai?
-Davvero?
-Sì, davvero.
 
Ginny ricordava perfettamente i momenti di tristezza di Hermione, quelli che erano seguiti al suo esilio con Draco, ma quella che aveva di fronte non era la sua amica triste.
Era di più: triste e innamorata.
Ora Ginny ed anche Hermione avevano la consapevolezza di quello che mesi prima era solo un’incertezza: Hermione amava Draco.
E lo amava molto più di quanto lei stessa avesse potuto credere.
Con la foto ancora stretta tra le mani, la riccia si avvicinò alla finestra e puntò gli occhi in quelli dell’amica. -Non l’ho baciato. Non ho mai voluto farlo.
-Lo so.
-Lui no. Non so… non lo sa e non mi crede e non mi lascia il tempo di parlargli.
-Troppi “non” in questa frase.
-Sì.
-Herm, si sistemerà tutto. Fidati di me.
-Non ce la faccio.
-A fidarti di me?
-A stare così.- non era piacevole e faceva male: vivere nel dubbio era una cosa, ma vivere con la consapevolezza di amarsi tanto e non sapersi tenere era davvero doloroso. Ed inutile.
Sembrava anche inutile sprecare tanto amore, riversarlo sulle pareti di una stanza o nel letto di qualcun’altra.
Al solo pensiero, Hermione sentì lo stomaco stringersi fino allo spasmo.
Appoggiò la testa sulle ginocchia di Ginny e pianse tutte le lacrime che aveva trattenuto in quei giorni e in quelle notti.
-Shh. Andrà tutto bene. Tutto.
 
 
 
 
 
Harry Potter continuava ad allenarsi senza sosta.
Avanti e indietro e poi a destra e sinistra: il boccino continuava a sfuggirli dalle mani e i capelli gli si incollavano alla fronte.
Faceva freddo, ma l’allenamento lo faceva sudare. La schiena, la fronte, le mani.
Soprattutto le mani.
Quella, per lui, era una partita importante. Era sempre stata una partita importante, perché in quei minuti di gioco e di corse interminabili, si rivelava sempre la verità della vita: vinceva il coraggio o la codardia?
Beh, c’erano state anche partite vinte dai Serpeverde, ma questa volta i Grifondoro e il loro coraggio avrebbero vinto.
Allungò la mano quando gli sembrò che il boccino si stesse arrendendo.
Lo perse di nuovo e allora si arrese lui.
Scese sul terreno bagnato e diede un pugno poco distante dai suoi piedi, in una piccola pozzanghera piena d’acqua e il fango gli sporcò il viso e gli occhiali.
Maledetta pioggia.
 
 
 
 
 
La sua mente continuava a pensare a lei, a quello che si diceva in giro: non poteva evitare di farlo, non riusciva a non sentire le parole degli altri studenti che gli rimbombavano nelle orecchie e gli colpivano il cuore.
Era quasi il tramonto e le ore che si rincorrevano erano diventate un peso quasi insostenibile: le parole erano sempre le stesse, le espressioni sul viso degli altri erano sempre uguali, i suoi pensieri e tutto il resto non cambiavano mai.
Hermione, Hermione. Hermione e Dean. L’immagine di quei due che si baciavano attaccata agli occhi.
Forse stava impazzendo.
Lo sapeva. Lo sapeva dal primo momento che lei lo avrebbe condotto in qualche brutto posto, uno di quelli bui, che fanno paura… ed ora ci era dentro con tutte le scarpe.
La pazzia, il voler essere masochista e camminare comunque tra i corridoi e cercare di catturare qualsiasi strascico di conversazione che riguardasse Hermione, erano diventate sue abitudini.
Ogni giorno, ogni volta che ne aveva la possibilità.
Era pazzo. Nessun dubbio.
 
–Non lo so… io mi sento come se il tempo fosse finito.
-Magari, Mezzosangue.
-…come se fossi l’ultimo granello di sabbia in una clessidra…
 
E il tempo era finito. Il tempo dell’esilio, dei baci dati di nascosto, delle mani strette davanti a tutta la scuola, degli sguardi stupiti.
Ora, l’esilio e i baci e le mani strette erano solo un ricordo.
Quello che rimaneva erano gli sguardi: pietosi, beffardi, cattivi.
Qualcuno sembrava aver scritto negli occhi: “Sapevo che sarebbe andata a finire così.”.
Sì, era finita così e lui era impazzito.
E, se solo avesse avuto un piccolo dubbio sulla sua pazzia, aveva trovato la certezza quando aveva cominciato a scrivere un biglietto e lo aveva riposto nella tasca della divisa.
Avrebbe aspettato l’alba.
Forse, avrebbe dovuto sfogare la rabbia, accontentarsi di un’illusione piuttosto che chiedere amore come aveva supplicato la pietà di Lord Voldemort.
Sentiva gli occhi pungere, eppure non riusciva a piangere: non sapeva se per orgoglio o perché non avrebbe saputo farlo.
Passò una mano sul viso per mandare via quella sensazione di debolezza, poi uscì dalla sua camera da Prefetto.
Aveva la ronda quella notte, si sarebbe tenuto occupato rompendo i coglioni a qualche studente che non voleva rispettare le regole.
Fanculo, fottuto castoro.
E nella mente ancora lei.
Strinse più forte la pergamena su cui aveva scritto qualche minuto prima. Più la stringeva, più sentiva quelle briciole di coraggio diventare più piccole.
Draco non era un Grifondoro. Era un Serpeverde e le serpi erano codarde: non poteva rinnegare la sua natura, non poteva far finta di non aver paura.
Una fottuta paura che gli attanagliava tutti i nervi: spesso non si sentiva in grado di farcela.
Ma ce l’avrebbe fatta, lo sapeva. Ce l’avrebbe fatta come sempre.
 
-Non te ne andare.
 
L’amava. Lo aveva capito dalla prima volta che lei si era allontanata, quella sera che era scappata dalla Stanza delle Necessità.
Intanto, il tempo era passato ed era sera. Era cominciato il suo turno di ronda.
I dubbi continuavano a corrodergli le pareti del cervello.
Si sentiva quasi avvilito da quello sconforto, da quella volubilità.
Si sentiva stanco: a cosa sarebbe servito crogiolarsi tanto? Rimandare a data da stabilire quella fine che sarebbe arrivata comunque, per un motivo o per un altro?
Aveva capito, nei giorni in cui era stato lontano da lei, che il destino non poteva essere cambiato: il suo era stato deciso da quando era un bambino o, forse, già da prima che nascesse.
Quindi, che senso aveva lottare per una cosa non era nel suo destino?
Affrettò il passo e si diresse verso la Guferia. Le mani strette sulla pergamena, su quelle parole scritte.
E su quelle che aveva in testa e che presto, molto presto, gli sarebbero uscite dalla bocca.
E’ finita.
Non voleva perderla, eppure aveva deciso che lo avrebbe fatto: per paura o per altro.
Lei non era per lui. O forse era lui a non essere per lei.
Cos’era, poi, lui per lei?
E cos’erano l’uno per l’altra? Come avevano potuto credere di essere più forti di tutto? Lei che combatteva senza sosta, lui che non faceva altro che tirarsi indietro.
Non lo sapeva, forse non avrebbe voluto saperlo… O sì.
Legò la pergamena alla zampa del gufo e lo spedì.
L’appuntamento sarebbe stato per l’alba: il giorno sarebbe cominciato e la loro storia sarebbe finita.
 
-Buonanotte, Draco.
-Buonanotte, Hermione.
 
 
 
Ron giocherellava con una matita, picchiettandola sul suo ginocchio: quella sera sarebbe rimasto da solo.
Non aveva detto a Lisa il perché di quel suo isolamento. Aveva inventato una scusa: non poteva dirle che, per quanto sembrassero sempre uguali, le cose tra di loro stavano cambiando.
Lui si ritrovava a pensarla più spesso durante la giornata, a fare di tutto per incontrarla e fingere che fosse un caso, infilarsi in una delle aule vuote e fare l’amore.
Fare l’amore. Non fare sesso.
Ecco cos’era cambiato: si erano promessi una storia senza impegno, senza sentimenti… invece lui stava cominciando a provarli.
Hermione era quasi uscita totalmente dalla sua mente e dal suo cuore. Certo, esultava ancora al pensiero che tra lei e Malfoy fosse finito tutto per una cosa da niente: quella storia non avrebbe dovuto nemmeno cominciare e, anzi, a parer suo, era anche durata troppo.
Durante le vacanze di Natale alla Tana, Ron aveva ripensato ai momenti che aveva condiviso con Harry e Hermione.
Con un po’ di malinconia, ma anche con la rassegnazione che quel tempo non sarebbe tornato.
E, proprio nella sua vecchia camera, aveva deciso di andare avanti con la sua vita, di lasciar perdere il passato e tenerlo da parte.
Si sentiva un po’ più adulto e responsabile, anche se non rimpiangeva quello che aveva fatto e lo avrebbe rifatto ugualmente. Almeno, però, ora non aveva più voglia di essere qualcun altro.
Lui era Ron ed era fatto in quel modo e gli andava bene.
Andava bene anche a Lisa che non faceva domande, non faceva problemi, non si intrufolava nei suoi silenzi.
Gli riempiva le serate di sospiri e di piccole smancerie che a lui piacevano e non poco.
Con lei sarebbe stato tutto facile.
La matita che picchiettava sul ginocchio, il sorriso sulle labbra, la consapevolezza nelle vene.
Stava bene. Stava finalmente bene.
E poco importava se aveva perso le amicizie di sempre: ne aveva una nuova che riusciva a completarlo, che si plasmava a lui.
Ron era felice di non dover più cambiare per gli altri, di non essere più lo stupido in una coppia di intelligenti, di non stare più dietro quando i corridoi erano stretti.
Insomma, viveva per essere se stesso e si sentiva forte, tanto da sentire pulsare nel cuore il coraggio di parlare con Lisa. Di dirle che aveva infranto la loro promessa, che per quanto avrebbe voluto continuare ad evitarlo, alla fine, si stava innamorando di lei.
Forse, a frenarlo ancora, era la paura della reazione di Lisa: e se lo avesse respinto?
Come si sarebbe sentito se per lei non fosse stato lo stesso?
Non voleva pensarci ancora: voleva solo godersi quella sensazione di benessere che non gli faceva visita da un bel po’.
Nei mesi precedenti si era sentito come se il marciume gli avesse invaso ogni cellula del corpo, ogni soffio d’aria nei polmoni, ogni pensiero nella mente. Ed era stato difficile uscire da quello stato fino a quando non aveva chiuso il passato in una scatola e Lisa non aveva aperto le gambe per accogliere quello di cui, ora, lo rendeva più fiero di tutto: se stesso.
 
 
-Ron…
-Sì?
-Non fermarti, ti prego.
 
 
 
 
 
Quello era davvero troppo: per quanto gli volesse bene, Blaise non aveva mai sopportato l’arroganza di Draco.
Come poteva solo pensare che- di domenica, tra l’altro- si sarebbe svegliato alle sei per parlare con lui? Avrebbero potuto parlare durante la ronda o la mattina, magari verso ora di pranzo, se non dopo.
Eppure, sulla pergamena c’era scritto che era una questione di vita o di morte.
Blaise guardò l’orologio che aveva al polso e contò mentalmente che sarebbero mancate quattro ore all’appuntamento con l’amico, perciò si rigirò nel letto e provò a dormire.
Chiuse gli occhi e si concentrò sul battito del suo cuore.
Tum tum.
Era così lento e presente allo stesso tempo.
Ripensò a quante volte sul suo petto si era poggiata Pansy o qualche altra con cui aveva fatto sesso e mai nessuna si era mai accorta del battito del suo cuore.
E ripensò a quella volta in cui lei lo aveva fatto, aveva ascoltato quel tum tum e aveva sorriso.
Aria sorrideva sempre e per questo Blaise l’aveva amata: osservava, ascoltava e sorrideva.
Gli mancava come l’acqua nel deserto, ma le miglia che li dividevano e il fatto che lei non sapesse chi davvero avesse accanto erano difficoltà insormontabili: mentire a chi si ama non era un gioco e lui non voleva farlo, perciò l’aveva lasciata andare via.
Quell’unica notte e poi addio. Per amore, non per altro.
Al quel pensiero si sostituirono le parole che Draco aveva scritto sulla pergamena e l’agitazione prese il posto della volontà di dormire, continuava a rigirarsi nel letto.
Sapeva che Draco non era in un bel momento e avrebbe voluto aiutarlo, ma lui non faceva altro che respingerlo e mandarlo a farsi fottere.
Non ci riusciva: era troppo curioso e doveva sapere- ad ogni costo e il prima possibile- di cosa doveva parlargli Draco.
Si rivestì, poggiando il pigiama sul letto e mise il mantello sulle spalle: di notte, i corridoi della scuola erano gelidi.
Uscì senza fare rumore e si diresse verso la Guferia. Probabilmente, Draco era ancora lì: il gufo gli era arrivato poco prima, bussando alla finestra con il becco. Lo aveva spaventato.
No, qui non c’è.
Allora tornò indietro. Non sapeva dove cercarlo: Hogwarts era immensa e non sarebbero bastate quattro ore per visitarla tutta.
Draco gli aveva detto che lo avrebbe aspettato nella Stanza delle Necessità e Blaise decise che sarebbe andato lì.
Si avviò verso il settimo piano. Guardava i quadri, le torce, le scale.
Cos’avrebbe pensato Aria di tutto questo? Del suo mondo? Di quello che lui era in realtà?
 
-Mi piace il battito del tuo cuore.
-E’ un battito normale.
-No, è un battito dolce.
 
In una di quelle notti in cui aveva sentito la sua mancanza, Blaise aveva lasciato la Sala Grande ed era uscito a guardare la luna e l’immagine di lei avvolta nelle lenzuola gli si era disegnata vivida davanti agli occhi.
Non poteva dimenticarla, non ci riusciva e, forse, non voleva farlo: lei era stata quanto di più giusto e buono avesse mai vissuto e no, non voleva dimenticarla.
Forse, se si fossero rincontrati, le avrebbe detto la verità. Le avrebbe spiegato che lui era un mago- non uno di quelli che tirano conigli dai cilindri o che trasformano dei fazzoletti in mazzi di fiori.
Le avrebbe raccontato del Marchio Nero, della Guerra Magica, di Hogwarts, del Quidditch e della Foresta Proibita.
Forse. Se si fossero rincontrati.
Camminò avanti e indietro per tre volte, poi comparve la porta della Stanza delle Necessità: sembrava la Sala Comune di Serpeverde.
Blaise non aveva molto fantasia e, in ogni caso, si era prefissato di pensare a qualcosa di familiare: non avrebbe voluto vedere l’espressione di Draco nel caso si fosse trovato di fronte un letto matrimoniale con le lenzuola di seta e un bel balcone fiorito. No, proprio no.
Aveva fatto bene a mettere da parte i ricordi e pensare ad altro.
Si sedette sul divano, vicino al camino acceso, e si mise ad aspettare: mancava solo mezz’ora alle sei del mattino.
Gli occhi verso la finestra, intenti a guardare il cielo, le mani poggiate sulla pancia, la mente affollata da mille ricordi, domande e ipotesi.
E, in parte, si stava preparando alla conversazione con Draco: non sapeva mai come cominciava né come andava a finire e questo un po’ lo spaventava: per quanto Serpeverde, Blaise odiava dare ragione a chi aveva torto e odiava il fatto che, spesso, quella ragione veniva pretesa. E Draco, sì, sarebbe stato capace di farlo.
Sentì la porta aprirsi e si girò a guardare l’amico che poggiava il mantello sul divano.
-Ti pare l’ora di chiedere un appuntamento?
-Non è un appuntamento.
-Questo lo so, vostra grazia.
-Ho bisogno del tuo aiuto.
-Di co-cosa?
-Hai capito bene.
-E per quale motivo?
-E’ colpa tua se è iniziata la storia con Hermione.
-Colpa? Un mese fa hai detto che era stato merito mio.
-Merito o colpa, non importa. Devi fare qualcosa.
-Non c’è nulla che posso fare.
-Oh sì, invece.- Blaise guardò Draco con l’espressione di chi sta per sentire cose che non vorrebbe. –Mi hai rinchiuso in quel dormitorio con lei e lì ho capito che mi piaceva la Mezzosangue…
-Non dovresti chiamarla così.
-La chiamo come mi pare, Zabini.
-D’accordo… e allora?
-Fallo di nuovo. Con un’altra.
-Ma sei impazzito?
-Non la voglio più nella mia vita: deve uscire dalla mia testa.
-Parli sul serio?
-Hai intenzione di fare altre domande? Ti ho detto cosa devi fare, quindi fallo ed in silenzio.
-Non pensarci proprio. Tu… tu non puoi credere a quello che si dice. Hermione e Dean non si sono baciati e lui non l’ha toccata. Ci ha provato, è vero. Lei non te ne ha parlato subito, è vero anche questo… ma se la ami non puoi mandare a puttane quello che avete costruito finora.- Blaise sapeva che la cosa giusta da fare era sempre quella di ascoltare il cuore: ci si poteva far male, si poteva cadere, ma i panorami che si guardavano da quella prospettiva erano sempre i migliori.
E non importava quanta fatica costasse, non importava quanto coraggio servisse per avventurarsi tanto oltre: ne valeva sempre la pena.
Continuava a guardare Draco- gli occhi sul fuoco acceso nel camino, la sigaretta stretta tra le mani- e aspettava.
Aspettava una risposta, aspettava che lui gli desse ragione. Aspettava e riceveva in cambio solo silenzio.
Dieci lunghi minuti di silenzio in cui Blaise non smise mai di guardarlo.
-Non ho mai detto di amarla.
-No. Ma non servono le parole per capirlo.
-Stammi a sentire: ora tu rifai l’incantesimo che hai fatto quando mi hai rinchiuso lì dentro con Hermione, poi sparisci.
-No. Io non ti faccio un bel niente.
-Rifai l’incantesimo.
-No.
-Te lo ripeto per l’ultima volta: rifai l’incantesimo.
-Puoi ripeterlo quante volte vuoi, Draco. Io non rifaccio un bel niente: hai un problema con Dean? O con Hermione? Risolvilo.
-Ho un problema con te e non ho paura di schiantarti.
-Non ne ho paura nemmeno io.- Non era vero: ci teneva alla sua pelle e il suo spirito di sopravvivenza non era di certo andato in viaggio, ma non voleva vedere l’amico che veniva divorato dai dubbi a causa di quello che dicevano gli altri alunni.
Blaise li aveva visti: aveva visto che Hermione non aveva baciato Dean, che gli aveva dato uno schiaffo.
E aveva sentito. Sto con Draco. Non è giusto che tu st… E’ giusto per me.
No, non avrebbe fatto quello che gli chiedeva Draco.
-Zabini, sbrig…
-NO. Ma ti rendi conto di quello che dici? Cosa credi di poter fare stando chiuso in una stanza con un’altra? Credi che t’innamorerai? Credi che dimenticherai Hermione? Beh, ti do una notizia: non succederà. Non dimenticherai niente e l’amerai comunque. Qualsiasi altra persona, anche più bella, non sarà mai lei: non avrà i suoi occhi, la sua bocca, le sue mani e tu continuerai a cercare tutto quello che ti ricorda lei e ti mancherà da fare schifo.
-MI MANCA GIA’ DA FARE SCHIFO. Tu non sai un cazzo dell’amore: non sai cosa significa girarsi nel letto e non trovarla, non sai cos’è quel vuoto allo stomaco quando ti accorgi che lei non c’è e, poi, quella leggerezza quando la vedi, anche solo per caso.
-E tu che ne sai? Che ne sai di quello che so io dell’amore? Te lo ripeto: non farò nulla di quello che mi hai chiesto. Non voglio vederti toccare il fondo.
Si guardavano negli occhi: Blaise con il respiro corto e Draco con lo sguardo gelido e impassibile.
Sentirono entrambi l’incrinarsi di un qualcosa che era da sempre stato fragile, come un calice di vetro, quello da cui bevevano il vino durante le loro cene in famiglia.
E un po’ se l’aspettavano: la loro, era sempre stata un’amicizia in bilico sul filo del rasoio: una parola in più o una in meno avrebbe potuto mandare all’aria tutto.
Blaise cercò di ammorbidire lo sguardo, ma Draco continuava a presentargli il freddo dei suoi occhi -L’ho già toccato il fondo.
 
 
 
 
Angolo Autrice:
 
Eccomi qui, dopo mesi.
Perdonatemi l’immenso ritardo: non vi dirò che ho avuto problemi con il pc o con la connessione…
Ho semplicemente passato un momento di merda che sembrava essere infinito e- per quanto ci provassi- il capitolo proprio non voleva venir giù: ho scritto, cancellato, riscritto e ricancellato.
Non ho riletto quello che ho scritto ora, per non trovarmi di nuovo con il foglio bianco.
Scrivere è l’unica cosa che mi faccia sentire bene e, quando non riesco a farlo, penso sempre di dover chiudere i battenti e lasciarvi in pace.
Detto questo… mi rendo conto che non è un capitolo corposo, ma vorrei comunque spendere qualche parolina a riguardo:
-Hermione e Ginny si sostengono, si aiutano, provano a parlarne con toni calmi; Draco e Blaise, invece, per la prima volta si danno contro, si confrontano: questo è uno dei momenti bui della loro amicizia… 
-La situazione tra Hermione e Draco continuerà ad essere complicata ancora per un po’: diciamo che è la storia che lo richiede: non può mica essere rose e fiori tra questi due?
-Ron è uno dei personaggi che più ho odiato nella storia precedente e- per quanto io ami illimitatamente Draco- credo di dover un po’ di buono anche a Ron: ha un cuore anche lui e ha fatto tanti errori perché credeva di essere innamorato. O forse lo era davvero. Su questo punto restiamo un po’ tutti in dubbio, ma, in ogni caso, ora si sta innamorando di Lisa.
E si sta innamorando di lei per tutte le persone che amano questo personaggio (parlo sempre di Ron) e non è giusto che io lo renda tanto odioso.
 
Ora, spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero di non avervi annoiato troppo con le mie chiacchiere.
 
A presto, stavolta davvero.
 
La vostra Exentia_dream
   
 
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