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Autore: Mypipedreams    24/08/2015    2 recensioni
Perché non è difficile odiare ciò che ci rende speciali e fare di noi stessi il nostro ostacolo più grande e nemico peggiore.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ACCETTALO, SEI SPECIALE

Da quando aveva memoria le cose erano state così. Non accusava nessuno di dimenticarsi di lei, era convinta che non ci si dimentica delle persone importanti, e che quindi, semplicemente, lei non rientrasse in quella categoria. Aveva smesso di incolparsi per il suo modo di essere, troppo chiusa, cervellotica, così si era definita, qualcuno che deve sempre analizzare ogni cosa.

Una volta un suo compagno di classe o amico, non era brava con le relazioni, le aveva detto che lei aveva sempre qualcosa di profondo da dire, e che era una cosa bella. Lei l'aveva guardato e aveva sorriso, non aveva avuto il coraggio di dirgli che non c'era niente di bello nell'essere cervellotica.

Quando aveva iniziato a non sentirsi a sua agio con gli altri aveva dato la colpa alla sua timidezza, quando poi si era resa conto di non riuscire a comunicare per via di quello che avrebbe detto, qualcosa che non fa piacere sentire, un ragionamento una conclusione una sentenza, qualcosa di profondo, allora aveva guardato in faccia la realtà e aveva ammesso a se stessa che era semplicemente più intelligente di molti, quel più che le permetteva di vedere le cose da punti di vista meno raggiungibili dalla media, quella media da cui era circondata.

Finiti i sensi di colpa per aver pensato di essere qualcosa in più degli altri, lei che era abituata alla mediocrità, né bella né brutta, carina, né pessima né brava, te la cavi, né 5 né 10, 8, si era rassegnata ad avere un qualcosa in più che nessuno avrebbe né notato  ammirato  capito.

E così si ritrovava circondata da persone con cui non parlava, era molto più brava ad osservare, ad agire. Non diceva "ti voglio bene", qualcuno che lei ammirava molto aveva scritto "ama chi ti ama, non amare chi ti sfugge, ama quel cuore che per te si strugge. Non t'ama chi amor ti dice, ma t'ama chi guarda e tace"*, e lei sperava che prima o poi qualcuno l'avrebbe guardata e vista davvero, così, nell'attesa, per dimostrare ciò che provava parlando il meno possibile aiutava, stringeva mani, abbracciava, accarezzava via lacrime, sperando che tutto questo bastasse, sperando di ricevere in cambio anche lei almeno un sorriso, un "grazie", qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di quel niente, anche un cenno avrebbe potuto risvegliarla da quel terpore causato dal non riuscire a essere capita da nessuno.

Una volta una professoressa all'uscita di scuola l'aveva fermata e le aveva detto "l'intelligenza non basta", anche quella volta aveva sorriso e se ne era andata, pensando che si, qualcuno era riuscita a notarla, ma che infondo quelle parole non l'avevano affatto fatta sentire più compresa, le avevano solo confermato il solito sospetto, era una cervellotica troppo intelligente.

Una sera, in discoteca un ragazzo le aveva chiesto come mai fosse sempre così silenziosa, e lei, sempre sorridendo, aveva risposto che le piaceva stare da sola. Ovviamente aveva omesso che le piaceva stare sola spesso, ma che era orribile sentirsi sola sempre.

E alla fine, quando non si aspettava più niente da nessuno, quando solitudine e delusioni erano diventate la normalità, era arrivato lui.

***

Bisogna dire che lui non era propriamente arrivato, si era più che altro rivelato. Stavano nella stessa classe da due anni e non si potevano definire nient'altro che compagni di classe, non erano amici, si limitavano a odiarsi cordialmente, con frecciatine più o meno cattive di chi non sa nulla dell'altro e quindi può giudicare solo l'apparenza. A un tratto del loro rapporto le parole erano cessate (a lei non piaceva parlare) ed erano iniziate battaglie di sguardi, curiosi astiosi sfuggenti. A volte si fissavano e basta, come a voler capire tutto l'uno dell'altro, e lei aveva paura di quelle volte, perché non le piaceva nemmeno essere guardata. E così cadeva nella sua ennesima complicatezza: come può desiderare di essere vista senza essere guardata? Come può essere amata senza amarsi? Non pensava fosse una cosa possibile.

All'inizio della primavera c'erano state molte uscite con gli amici. Durante quelle serate ogni tanto si erano rivolti parole più gentili del solito, forse perché si stava così bene con qualcosa di alcolico tra le mani e la testa più leggera, forse perché quella brezza leggera che si portava via l'inverno contemporaneamente lasciava un po' di loquacità a chi di solito non ne aveva, o forse, come molti dicevano, la primavera dava alla testa.

La prima volta che avevano parlato davvero stavano a una festa, lei si era allontanata un attimo per potersi dire che si sentiva sola perché effettivamente lo era. Si era seduta per terra e aveva iniziato a guardare in alto. Odiava il groppo in gola che le poteva venire a qualsiasi ora e in qualsiasi luogo. Una volta sicura di non avere gli occhi lucidi e riacquistate le redini dei suoi pensieri aveva abbassato lo sguardo e si era resa conto di non essere da sola. Non aveva fatto in tempo a dirgli di andarsene, che già non sopportava di avere dei momenti di debolezza, permettere che qualcuno addirittura vi assistesse era troppo, quando lui l'aveva guardata negli occhi e le aveva fatto una domanda che non si sarebbe aspettata in quel momento, soprattutto non da lui.

"Perché non ti piace essere guardata?"

Allora l'aveva guardata negli occhi e gli aveva detto: " Non è vero". Lui aveva accennato un sorriso, "Non potrai nasconderti all'infinito" le aveva detto, e lei non era riuscita a sorridere, si era alzata ed era tornata dagli altri.

Aveva evitato di guardarlo per giorni, lo ignorava, sperando di riuscire a ignorare anche la speranza che stava nascendo in lei, speranza di essere notata, ammirata, capita.

Erano tornati a rivolgersi la parola a scuola. Si stava bene in giardino, con lo sguardo rivolto al cielo e il sole a riscaldarti come solo lui sa fare. "Perché non ti piacciono le parole?" chiese lui. Si era seduto accanto a lei, e nemmeno questa volta lei si era accorta del suo arrivo. "Cosa ti fa pensare una cosa del genere?" replicò lei, infastidita da una domanda così diretta. "Parli solo se strettamente necessario" disse lui, "quindi ho pensato che, o non ti piacciono le parole o non ti piacciono le persone a cui ti rivolgi. E siccome dovresti odiare troppo persone, ho scartato la seconda ipotesi". "Ci pensi parecchio a me" disse lei scherzando. Lui rimase stupito da quella frase, non l'aveva quasi mai sentita parlare con leggerezza, dietro quello che diceva c'erano sempre mille significati. "Più di quanto dovrei" ammise guardando per terra, come se quella confessione fosse qualcosa che nemmeno lui riusciva ad accettare. Lei fu come scottata da quella affermazione, per un secondo si irrigidì e gli occhi le si spalancarono, "Tra tutte le ipotesi che hai fatto, non c'è il motivo più semplice e banale per cui le persone non fanno le cose" disse per ritornare all'argomento precedente, terreno più neutro per entrambi. "E quale sarebbe? Penso tu abbia un concetto di semplice e banale tutto tuo" "Semplicemente", iniziò lei ignorando le sue ultime parole, "non mi piace parlare". "È bello il silenzio" aveva affermato lui, poi l'aveva guardata negli occhi, aveva sorriso, e lei aveva pensato che avevano tutti ragione, la primavera dava alla testa.

Il giorno in cui aveva smesso di nascondersi era uno qualunque. Che poi, lei non aveva propriamente smesso, le sue difese erano più che altro cadute. Inaspettatamente.

Lei era più distratta del solito, si perdeva dietro a pensieri che avrebbe preferito non avere, riguardanti una testa mora e due occhi verdi che non smettevano di guardarla, e non lo aveva sentito avvicinarsi, si era resa conto che non lo sentiva mai quando si avvicinava. Lui doveva aver fatto una battuta, ma lei non aveva sentito nemmeno quella, troppo presa a tenere gli occhi chiusi, a non ammettere a se stessa la motivazione per cui la sua testa fosse così piena di lui, e mentre lei si stava voltando per guardarlo, lui aveva usato l'unica arma che sarebbe stata in grado di distruggerla. "Ogni tanto puoi anche smetterla di essere così...così cervellotica! Sei anche maledettamente intelligente, cavolo! Possibile che non ci arrivi?!". Aveva sentito il momento in cui il muro che si era eretta intorno era crollato pezzo per pezzo, ogni mattone per terra equivaleva a occhi sempre più lucidi e mani tremanti, cuore palpitante e respiro affannoso. Prima che l'inevitabile accadesse davanti a occhi indiscreti, occhi verdi che non smettevano di guardarla, era corsa in bagno. Mentre la gola aveva iniziato a bruciarle per i singhiozzi trattenuti, le lacrime avevano iniziato a scorrerle sul viso. Odiava piangere, ma non riusciva a smettere. Proprio quando stava per entrare in un gabinetto, per poter piangere senza il pericolo di essere vista da qualcuno, ma tanto per rendere la cosa ancora più umiliante, fu strattonata per un braccio. Lui era di nuovo davanti a lei, ma non fece in tempo a dirgli di andarsene, di lasciarla da sola e di smetterla di parlarle, di guardarla, che si ritrovò con le sue mani tra i capelli e coinvolta in un bacio, tenero, dolce, uno di quelli che lei avrebbe definito del buongiorno o della buonanotte. Quando si staccarono lei lo guardò negli occhi, e lui sorrise. "Scusami, non volevo dire quelle cose" le disse mentre le asciugava le lacrime, "è solo che non sopporto quando guardi un punto ma non vedi niente, quando ti isoli. Penso sempre che in quei momenti tu stia guardando i tuoi fantasmi negli occhi, e non capisco perché loro si e me no". Lei rimase colpita da ciò che aveva detto, "Hai ragione, loro riesco a guardarli negli occhi, ma solo per impedire che si avvicinino" confessò abbassando lo sguardo. Lui le mise due dita sotto il mento e lei tornò a guardarlo negli occhi. "Mi prometti una cosa? Quando vedi i tuoi fantasmi, guarda me negli occhi, vedrai che andranno via". Fu il suo turno di sorridere e di baciarlo, lui lo prese come un si.

Qualche giorno dopo, giorni pieni di domande e risposte, "dimmi quello che ti passa per la testa, a me piace il silenzio, ma è bello sentire anche qualcosa di profondo", lei si ricordò di quello che era successo quel giorno, il giorno da cui non si sarebbero più potuti tirare indietro.

"A che cosa non arrivo?" gli chiese guardandolo negli occhi. Stava imparando a parlare e guardare, anche se preferiva di gran lunga osservare e agire. Lui la guardò stralunato. "A cosa ti riferisci?" "L'altro giorno mi hai detto che nonostante il mio, ehm, modo di essere, non ci arrivo. Quindi volevo sapere, cosa è che non capisco?" gli chiarì lei. Lui arrossì, forse ricordando quella giornata, o forse per essersi lasciato sfuggire quell'affermazione che avrebbe voluto tenere per sé. "Vuoi davvero che te lo dica io?" "È davvero così terribile?" "No, anzi, lo è solo per te stessa" "Dai su, dimmelo" "Accettalo, sei speciale".

***

*questa verità non può che essere stata detta dal grande William Shakespeare.

Che dire di questa storia? Ci tengo e ne sono soddisfatta come di ogni cosa che mi viene dal cuore. Ho scritto il titolo in verde forse sperando che qualcosa di quanto scritto accada veramente. E' stato difficile provare a dare un ordine a questa storia, un po' perchè parlando di sentimenti non esiste, un po' perchè, vivendo di quelli, forse proprio non lo concepisco. Ma a prescindere da me, siete voi che dovete sentirvi coinvolti e, perchè no, anche capiti. Quindi, ecco a voi.


  
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