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Autore: VeronicaFranco    26/08/2015    20 recensioni
Tra ricordi, politica e doveri militari, un raggio di luna nella giornata d'un soldato ben noto. Questa storia partecipa all'iniziativa "Buon Compleanno André"!
Genere: Malinconico, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Marron Glacé, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Rivoluzioni'
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Parigi, 26 agosto 1788, mattina

Caserma della Guardia Cittadina

 

Ronde, solo ronde, da qualche tempo a questa parte. Missioni contenitive, dicono. La gente continua a riversarsi per le strade. Sono tanti, sempre più violenti. Sono stanchi.

In fondo li capisco. Lo sono anch’io, ed è strano trovarmi dall’altra parte della barricata. Se potessi, anche io chiederei le stesse cose che chiedono loro. Giustizia, diritti… uguaglianza.

La politica è un grande aiuto per me, in questi tempi di fermento. Leggo tutto quello che posso, ascolto tutti i discorsi che posso. Continuo a sperare nelle riforme. Vorrei che Brienne fosse dimesso al più presto, che richiamassero Necker e che l’ascoltassero. Non c’è Ministro delle Finanze che possa tenergli il passo, che abbia occhio lungo come il suo su ciò che c’è da compiere. Ecco perché il popolo rumoreggia; e io prego in silenzio che vinca, anzi, che con-vinca chi può decidere il Bene e il Male per la Nazione. 

L’altro mio aiuto è la vita di caserma. Con l’occhio non va molto bene, ma riesco comunque a fare tutto senza che gli altri si accorgano del mio problema… a parte Alain. Lui ha capito qualcosa, ma di lui posso fidarmi.

Ho imparato a usare decentemente le armi da fuoco. Con la spada, comunque, me la cavo meglio. Se avessi entrambi gli occhi, non avrei difficoltà a battere anche Alain, ne sono sicuro; ma mi accontento di non essere il peggiore.

Questa vita, con i suoi spazi angusti, questa cuccetta scomoda e il lezzo delle camerate, ha i suoi lati positivi. Dopo quasi sei mesi mi ci sono abituato, a onta di tutti gli agi di cui godevo prima, come un letto comodo, una ricca colazione e abiti sempre puliti e caldi.

Qui ho dovuto sperimentare un regime spartano, che però ho scoperto piacermi. Anche solo perché mi avvicina alla vita della povera gente, alla realtà dei miei camerati. Li osservo in silenzio, non mi unisco a loro quando giocano a carte. Non li seguo nei postriboli e non cerco altro che il conforto di una bottiglia di vino, quando siamo in licenza insieme e quando non lo siamo.

Poi mi piace avere orari precisi, compiti piccoli e grandi. Non devo pensare a me stesso, ci pensa il sistema. Il rancio è fissato, il riposo è fissato, la stanchezza mi concede di abbandonarmi a quelle poche ore di sonno che mi permettono di andare avanti il giorno successivo. Non faccio progetti a lungo termine, non posso farne. Concentro nell’attimo ogni pensiero, e scopro di potermi concedere anche sorrisi.

Lei è sempre lì. Ci incontra nel piazzale, ci addestra, ci guida e ci segue. Non parliamo spesso, e quando accade sono sempre discorsi qualunque. Non rinvanga il passato e nemmeno io lo faccio. Non la cerco con lo sguardo e non credo lo faccia nemmeno lei. Alain a volte mi osserva di sottecchi, e quando me ne accorgo scuote il capo. Lui mi ha già detto chiaramente cosa pensa di questa situazione: sono solo un pazzo. “Cosa speri di ottenere, a starle così vicino?”, mi ha chiesto l’altro giorno.

“Niente”, dico, ed è vero. Non voglio niente. Se devo dare merito alla vita militare, c’è anche questo: mi ha dato un mezzo per disciplinare il dolore, il mio corpo, la mia identità. Sono un suo soldato, posso prendere ordini e parlarle attraverso le risposte alle sue domande. Ho un ruolo nella sua vita, posso assistere serenamente al suo sbocciare come Generale.

È un comandante eccezionale. Tutti pian piano si stanno lasciando conquistare dal suo carisma. Nella Guardia Reale aveva sempre cura di tutti e pretendeva da tutti il massimo. Stavolta è diverso, però. Non è mai stata così attenta ai pensieri dei suoi soldati. Cerca di comprenderli, li ascolta, li osserva come non aveva mai fatto. So che vuole conquistarli, ma è molto scaltra e profondamente sensibile; non cerca scorciatoie, ma applica il principio di ogni grande generale, come fu Cesare. Si sottopone in prima persona a ogni missione e addestramento. Mangia il nostro cibo e a volte dorme in Caserma. Vorrei suggerirle di non farlo, di riposare in un letto comodo. Ma la gioia di saperla sotto lo stesso tetto, vicina, è più forte.

Cosa voglio… niente. Proteggerla mi sembra sufficiente.

“Così ti ammazzerai”, ha sentenziato Alain.

È molto doloroso, è vero. Ho male al petto e allo stomaco, quando penso a lei e non c’è. A volte, quando lei ci guarda, ho la speranza che mi cerchi. A volte vorrei poterle andare vicino e farle una battuta, una qualunque, una di quelle che la facevano sorridere. A volte vorrei tornare il me stesso di un tempo. Ma so che non potrei essere me stesso senza di lei. Tutto questo è sbagliato, dice Alain. Ma non posso fuggire da lei. Lei è l’anima, e per quanti sforzi faccia non posso sradicare l’anima dal mio corpo prima che lo decida il Signore.

Allora ho deciso di abbracciare il mio dolore. Di vivere con lui come con un vecchio amico. Se c’è un’ombra dietro di me, voglio che mi stia accanto, perché nessun uomo può staccarsi dalla propria ombra. Essa è indispensabile___

*** 

– André. – la voce di Alain strappò André ai suoi pensieri, e fermò la sua penna sul foglio.

– Eccomi. È già l’ora?

– No. – Alain fece un sorrisetto. – Ma c’è qualcuno per te.

– Chi?

– Una vecchietta, purtroppo. – e fece una risatina.

– Oddio…

 

André uscì nello spiazzo interno della caserma, e vi trovò Marie.

– Nonna. – disse, con i denti stretti e un’espressione accigliata. – Cosa ci fai qui…

– André! – esclamò lei, appena lo vide. Sembrava triste e felice insieme: portava una scatola, che porse al nipote prima che lui finisse di rimproverarla.

– Buon compleanno, tesoro.

André prese la scatola dalle mani della Nonna, interdetto. Sospirò.

– Sei venuta in carrozza?

– Sì.

– Bene. Non da sola, spero.

– No, non preoccuparti, André. C’è Jerome.

– Lo sai che ci sono stati tumulti a Parigi. Ancora non è successo niente di troppo grave, ma non è il caso di…

– Non lo apri?

La Nonna sembrava eccitata, incosciente. André scosse il capo e decise di farla contenta.

– Oh. – Fragranza di mele e cannella invase il suo olfatto appena aprì il coperchio. Era una torta di mele, la solita torta di mele del 26 agosto.

La Nonna lo contemplò con gli occhioni colmi, dietro gli occhiali rotondi.

André sapeva cosa provava. Da quando lui e Oscar non erano più assidui a casa, la Nonna si era intristita parecchio. Nei giorni di licenza, André tornava da lei e la trovava su di giri, felice fino ad avere gli occhi lucidi. Lo copriva di baci come un bambino, gli tastava le spalle e gli chiedeva se mangiasse abbastanza. André riusciva a scherzare con lei, faceva il gesto di gonfiare il bicipite e borbottava “Figurati, con tutto l’esercizio che faccio guarda che muscoli!”, e la Nonna rideva nervosa, e tornava ad abbracciarlo. Com’era diventata piccola, pensava allora André. Iniziava anche a dimagrire, lei che aveva sempre avuto un seno dolce e generoso, lei nutrice, lei madre per tante volte nella sua vita. Lei severa e dolce insieme, lei buona anche quando fingeva di voler punire… cosa avrebbe dato, lui, per essere ancora quel bambino che temeva le sue mestolate.
Invece la vita l’aveva condotto sulla soglia dei trentaquattro anni, la Nonna era diventata piccola; la torta di mele che era tradizione del suo compleanno e che un tempo sembrava enorme, André l’avrebbe potuta mangiare in pochi morsi, perché era un uomo fatto ormai, e in caserma si nutriva meno di quanto avrebbe voluto.

– Grazie, Nonnina.

Si sorrisero.

– Quando sarai in licenza, André?

– Non lo so, Nonna. Forse tra pochi giorni.

– Allora festeggeremo meglio… insieme, a casa.

– Certo.

A un tratto, alcuni commilitoni chiamarono André. Il servizio stava per riprendere. André sorrise alla Nonna.

– Devo andare. E tu devi tornare subito a casa… oggi potrebbero esserci di nuovo problemi in città.

– … va bene, caro. – disse lei, insolitamente remissiva.

In quel momento, Oscar comparve dal portone centrale. Venne sotto il sole d’agosto, e il vento l’accarezzò. Sul suo viso fu stupore appena si accorse di Marie.

– Nonna. – disse, e Marie le andò incontro con rinnovata energia, il sorriso pieno in volto e la malinconia dimenticata per un attimo. Non osò abbracciarla davanti a tutti, ma le appuntò addosso uno sguardo vivace, quasi ammiccante. – Perdonami, so che non dovrei essere qui. Ma dovevo portare… una cosa ad André. – E le strizzò l'occhio.

Oscar non sembrò capire. Alzò lo sguardo verso André, interrogativa, ma lui si era già allontanato; il suo passo placido risuonava già verso i gradini del portone secondario, dov’erano le camerate.

– Oscar… – disse la Nonna, titubante. – Il 26 agosto, ricordi… ?

– Oh. – Per un istante, Oscar smise la maschera di soldato e comandante. Sgranò gli occhi e si portò una mano alla fronte.

La Nonna non fece domande. Ebbe solo un’espressione triste: che Oscar avesse dimenticato il compleanno di André, era evidente. Eppure, ogni anno quel giorno era stato occasione di festa e di sorrisi; una torta con il resto della servitù, una cavalcata in riva al mare di Normandia, una bevuta parigina, una gita.

– Nonna, ora devi andare, ti prego. – le chiese Oscar. I soldati avevano iniziato a radunarsi alle direttive di D’Agout. Oscar cercò tra di loro la sagoma famigliare di André, con gli occhi stretti in due fessure azzurre.

 

Alain intercettò André nei corridoi.

– Eccoti.

– Altri tumulti, vero? – disse André, mentre andavano in fretta verso le scuderie.

– Perché no, amico? Ormai non stanno fermi un giorno, i Parigini. E fanno anche bene. – ghignò Alain, poi sbirciò ciò che André portava con sé.

– Cos’è?

– Ah… la torta, dannazione.

– Torta?

– Già. Me l'ha portata lei...

– Aaaaaahn, è vero… oggi invecchi, vecchio mio.

– E tu come fai a saperlo?

– Dimentichi che ti ho raccomandato io, per arruolarti? 26 agosto 1754: per essere un vecchio guercio, te li porti bene i tuoi anni. – e gli diede una pacca sulla spalla, con André che gli rispondeva a tono di andarsi a fare un giro per quel paese.

 

Ma i tumulti non ci furono. A metà pomeriggio, di colpo, le strade risuonarono di grida di festa.

NECKER! VIVA NECKER! LE COSE CAMBIERANNO!

André, Alain e gli altri fronteggiarono una folla non belligerante. La notizia della destituzione di Brienne e il ritorno in carica del sempre rimpianto Necker diedero una scossa alle intenzioni ostili dei Parigini. Dopo giorni di controlli, ronde sfiancanti e disordini, ecco un raggio di sole.

– Tsk, meno male. Tutto è bene quel che finisce bene… un bel regalo per il tuo compleanno, da parte del Re.

André rise alle parole di Alain. – Dubito pensasse a me, quando ha fatto questa scelta.

– Ma ti fa piacere.

– Sì, Alain. Mi fa molto piacere.

Alain se la rise di cuore. – Bene. Benissimo. Lo dicevo che in fondo sei a posto, anche se sei pazzo… e stasera riceverai il tuo regalo di compleanno. VIVA NECKER! – gridò in conclusione, unendosi senza false imparzialità al tripudio generale. Le strade principali erano un’unica eco che parlava di concordia; e come ogni fine e inizio, la speranza aveva un effetto lenitivo sulle teste più calde. Ma ormai il giorno volgeva al meriggio, e il meriggio sarebbe diventato tramonto, lentamente, sonnacchiosamente, alla maniera d’agosto. E la notte avrebbe potuto di nuovo svegliare la Parigi dormiente e assassina, quella che assaliva le carrozze e uccideva i nobili come prede di un formicaio.

Ma non sarebbero stati loro ad assistervi. Il gioco dello scarica-barile era ormai innestato: chi era di ronda, aveva le sue rogne; concluse, voleva solo il riposo e se ne fregava serenamente dei casini dei compagni. A ciascuno il suo. E così Alain e gli altri, finito il turno e calata la sera, salutarono D’Agout e si godettero la serata libera senza nemmeno passare per le camerate. André li seguì, sfinito e per questo pago, già pregustando la bevuta con cui avrebbe festeggiato.

– Fermo lì, André. – gli ingiunse però Alain, quando smontarono da cavallo davanti alla solita locanda. – Tu entra solo quando te lo dirò io.

– Eh?

– Hai capito bene. Anche voi, aspettate con lui. Prima vado io.

André cercò spiegazioni negli sguardi degli altri, ma ricevette solo sorrisi divertiti. Ad Alain ci volle qualche momento, un po’ di discussioni all’interno: dalla porta uscirono, infastiditi, un paio di avventori.

– Maledetti soldati, chi si credono di essere… – stava borbottando il primo, e il secondo:

– Io sono qui da prima di lui. Dannazione, ce la pagherà.

Notando altri soldati, i due se ne scapparono alla chetichella, mormorando poche fumose minacce.

– Ehi! Entrate, è tutto a posto! – chiamò Alain dalla sala.

L’oste servì da bere a tutti, tranne che ad André.

– Tu dopo. Il tuo regalo sta di sopra, vecchio mio. – disse Alain, sollevando il bicchiere per un brindisi. – Berremo alla tua salute! Fatti onore!

André intuì ben presto il senso di quelle parole e dell’occhiolino che le accompagnò. Guardando in alto, dalla balaustra si sporse una donna dai capelli neri che lo osservava con curiosità. Il taglio dei suoi abiti non lasciava adito a dubbi, anche se la giovane età addolciva la sua figura e il sottinteso dei suoi movimenti e dei suoi sguardi. Occhi di fuoco per carne fresca, formosa e pronta a servire il primo cliente della serata. Fece anche un sorriso compiaciuto in direzione di Alain, squadrando il cliente a lei destinato con evidente soddisfazione. Il tutto senza una parola, col solo brillare della malizia tra le ciglia nere e dei denti tra le labbra dipinte di rosso.

– Offriamo noi! – disse Pierre, ridendo.

– Forza, André!

– Vedrai il Paradiso con quel tuo unico occhio!

 

Le buone intenzioni a volte sono indiscrete. Non tengono conto dei motivi dell’altro: invadono, banalizzano, ridicolizzano. André si vide ricondotto al cospetto della vita senza passare per l’anima, e questo lo disturbò. Rise col cuore e gli occhi, li guardò tutti già consapevole di quello che avrebbero potuto pensare: – Bene, ragazzi, credo che tornerò alle camerate. Sono molto stanco.

Si fece ridere dietro da tutti i compagni.

– Devi essere un eunuco! – gridarono François e Pierre.

Gerard non si capacitava, nemmeno Xavier. Paul rideva come un matto, e Luc scuoteva la testa e si toccava la tempia con un dito, guardando Alain. – Mah!

Solo Alain non rise. I due si fronteggiarono con gli occhi. André rideva con le labbra all’insù, placidamente, da vincitore.

Sei sicuro di quello che stai facendo?

Sì.

Sei sicuro di voler stare da solo?

Sì.

– Domani, quando lo racconteremo… – stava ridendo sguaiatamente Pierre.

– SILENZIO!

Alain fece trasalire tutti sbattendo un pugno sul bancone.

– Voi non racconterete un bel niente.

E mentre l’amico arringava così gli altri, André chinò il capo ai compagni, li salutò. La luna nacque sui suoi passi di fuga: fuggiva dalla vita, da un mondo di sensazioni senza Oscar. Era una fuga priva di forzature, ormai spontanea e naturale come il respiro. Prese le redini di Alexander e salì in sella. Andò al passo, seguendo la strada verso la caserma, osservando le stelle sbiadite sopra di lui.

 

Qualcuno gli venne incontro.

La luna sparò un raggio bianco su di lei, l’avverò. Ritta e fiera in sella a César, veniva al passo anche lei, Oscar, la bella senza pietà. André la riconobbe anche così, per la patina d’argento che la luna versò sui suoi capelli.

I loro cavalli si fermarono l’uno davanti all’altro, più saggi dei loro padroni, più pronti a seguire la consuetudine di una vita.

André, nascosto dal silenzio, la osservò di sottecchi, benedicendo la luna piena che gli permetteva di osservarla bene, di riconoscerla.

– Pensavo avessi la serata libera.

– È così, – e André increspò le labbra in un sorriso spontaneo, – Comandante.

– Non sei con gli altri?

– No. 

– Oggi è andata bene con D’Agout.

Non era una domanda, ma André rispose ugualmente. – Sì. Per fortuna la gente era più impegnata a festeggiare Necker, che ribellarsi.

Oscar annuì. – Immagino tu sia molto stanco. – C’era una nota di apprensione, in quelle parole. André le bevve come il vino mancato poco prima.

– Non così tanto. Ma… – una pausa, cercò le parole – … mi annoiavo. E così…

– … capisco. – Oscar sorrise nella luna. – Non avresti voglia… di una bevuta?

André annuì con un sorriso forte, il cuore scaldato da una vampata di fiamma. Fece voltare Alexander, già pronto a scortarla lungo la via di un altro posto a lui noto, uno di quelli dove a volte andavano in altri tempi, quand’erano inseparabili.

– No… – disse Oscar, scuotendo il capo, i capelli, il cuore di André che la stava osservando. Lei estrasse dalla borsa allacciata alla sella una bottiglia di vino. – Andiamo a berlo da qualche parte, ma non al chiuso. È una bella serata. – disse, con voce serena.

 

Andarono al Monte dei Martiri. A vederla da lì, lungo il pendio del colle, Parigi era un reticolo di strade e quartieri tagliato dal nastro della Senna. Quella salita era terra franca, allora, fatta per il vento e i mulini. Ma era un colle prezioso, perché da esso si dominava tutta la città, le sue guglie, gli edifici medievali e i molti lampioni accesi a lucciole.

Smontarono da cavallo nei pressi di una macchia. Lì i cavalli si sarebbero riposati e nutriti, e loro avrebbero fatto lo stesso.

Se dovessimo immaginare i pensieri e il cuore di André in quel momento, non vi sarebbero tremiti da raccontare. La sua gioia era diventata pura come lo smalto della luna sulle superfici; rotonda e compiuta, aveva il sapore delle piccole cose felici. André non sperava in nulla, perché aveva imparato a non credere nella speranza. Possedeva, è la cruda verità, la fedeltà di un cane per il padrone. Ma aveva anche la grazia soffice di un gatto, la sua discrezione e il suo silenzio potente. E così, tessendo il proprio amore, avvolgeva di potere anche lei, Oscar, che rifulgeva serena sotto i raggi dell’astro. E i ricordi fioccavano nell’ora della notte, ripercorrevano mani pronte su redini sciolte, carezze ai cavalli e all’erba; li ritrovavano seduti su prati scoscesi per osservare vastità e bellezze, campi, palazzi, città.

André portò con sé la torta, ammaccata ma ancora intera nella borsa assicurata alla sella. Oscar prese la bottiglia.

Erano affamati e assetati. Sedettero accanto, al suolo, si offrirono a vicenda quel pane dolce e quel vino. Bevvero dalla stessa bottiglia perché non avevano bicchieri, mangiarono l’uno dalle mani dell’altra. Si saziarono e si pulirono la bocca con il dorso delle mani, non avendo di meglio, in un gesto gemello. 

Così avevano mangiato e bevuto mille altre volte. Parlando, o in silenzio, ridendo o dando spazio alla malinconia. Celebrarono il rito della comunione, dunque, come sangue nel sangue. André sentì il proprio corpo corroborarsi per la vicinanza di lei. C'era benessere, in quella presenza. La sensazione di essere vivo era tutta corporea, non necessitava d'alcuna cogitazione. Era Oscar a ripristinargli il pulsare del sangue, a stroncare il gelo e permettere al respiro di tornare, portando con sé il profumo di lei. La sensazione d'essere ascoltato, accolto e rispettato nei propri sentimenti lo invase e lo sorprese. E fu più dolce di quello che stava mangiando, e più caldo del vino che stava inghiottendo. In quel momento molte ferite sanguinanti furono sanate nel suo spirito.

 

Quando il pasto si concluse, contemplarono Parigi pieni di sentimento per quella disgraziata città. Lei invocava in cuor suo il canto dell’orgoglio nazionale, lui l’uguaglianza stabilita da Dio.

Nel silenzio, la voce di Oscar emerse come un battito d’ala. – André.

– Sì?

– Sono felice che tu sia con me... anche quest'anno.

André abbassò lo sguardo, abbozzò un sorriso e guardò la Senna lontana. Scorreva sempre, lei, libera come l'acqua.

 









____________________
Note.
- La data della nomina di Necker al posto di Brienne è storica, ed è proprio il giorno dell'ultimo (sigh sob) compleanno del nostro! Compleanno che in questo fandom oggi sarà degnamente celebrato da molte scrittrici, nell'ambito dell'iniziativa "Buon compleanno André". Come altre volte, sarà delizioso scoprire cosa ciascuna autrice avrà immaginato: stesso tema, tante teste, la varietà è assicurata! Buona lettura a tutti, dunque!
- Carrozze assaltate dalla folla: secondo la cronologia ufficiale, Saint Antoine si sarebbe verificato meno di un mese dopo questa giornata. Quindi era un problema serio, eccome!
- Ho pensato a Pamina71 scrivendo una certa frase. Grazie Pam! :***

P.S.! Una nota stupefatta e doverosa! Inneggio al neurone che condivido con Lucy71 e mgrandier, che come me hanno trovato succoso lo spunto di questo 26 agosto 1788! Ma se con Maddy i presupposti sono diversi (e così il finale, arf!), con Lucy71 siamo partite dallo stesso inizio, la stessa atmosfera, gli stessi sentimenti e abbiamo addirittura scelto lo stesso titolo senza saperlo!! I finali son diversi e tutto poi si snoda autonomamente, secondo la sensibilità di ciascuna, è naturale... ma è stata davvero una cosa speciale. Cose incredibili di un fandom ricchissimo, dove ho trovato tante scrittrici di pregio con cui condividere l'amore per O&A e una certa affinità di sensibilità. E' vero: uno stesso spunto per teste diverse dà esiti diversi, ed è bellissimo riconoscere correnti affini e non. E siccome ci saranno molte altre iniziative come questa e quelle del 25 luglio e del 14 luglio... tutti pronti a nuove alchimie di cervelli e nuovi spunti!


   
 
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