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Autore: Nerhs    26/08/2015    1 recensioni
"E' stato solo un angelo che ha sfiorato le mie labbra"
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«Io non volevo deluderti Cal. Cosa posso darti? Sarebbe tutta un'immensa bugia»
Genere: Fantasy, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                                   Musica: Ludovico Einaudi - Experience
 
Mi ritrovai spiaccicata contro quel cassonetto dell’immondizia, fradicio e puzzolente, con le mani legate e appese dietro la schiena. Iniziavano a farmi male i gomiti, ma non era la cosa che più mi premeva in quel momento.
Quei tre ragazzi dei quali non conoscevo neanche il nome, mi sbeffeggiavano e ridevano di me, ridotta in quella pietosa situazione. Non sapevo chi loro fossero o il perché avessero scelto proprio me. L’unica cosa che sembravo sapere, era la convinzione che non avrei fatto ciò che loro mi chiedevano di fare.
 
«Coraggio, piccola, se avessi accettato al inizio, ora non saremmo messi così. Devi dire di si» parlò quello al centro
«Non ucciderò mai un ragazzo innocente. Ficcatevelo in testa» urlai, spazientita, agitando le mani dietro la schiena. Uno dei tre mi venne incontro, muovendo tra le mani una pistola nera lucida e puntandola contro la mia tempia destra e facendo pressione.
«In testa ti ci ficco una pallottola se non ti sbrighi ad andare da quello lì e ficcargliela tu, Clarisse»
«Non permetterti di pronunciare il mio nome, assassino che altro non sei»
 
Non potevano costringermi ad uccidere qualcuno. Non conoscevo loro, non conoscevo lui. Uccidere andava contro i miei principi, andava contro i principi di chiunque, ma a quanto pare non ai loro. Mi sentivo impaurita, ma per qualche strano motivo, la paura si era manifestata sotto forma di impertinenza. Non volevo essere lì, non volevo dire di sì per salvarmi la pelle, volevo solo che tutta quella insana situazione fosse un incubo dal quale mi sarei svegliata da un momento al altro. Ma era la realtà, la vita vera.
 
«Se non muore lui, muori tu. Scegli» urlò spazientito quello al centro, prendendo la pistola dalla tasca posteriore dei jeans e puntandola verso di me
«Io non uccido» sentenziai, chiudendo gli occhi, pronta alla prossima mossa
«Io sì»
 
Un dolore fitto mi sconvolse, lasciandomi in balia di me stessa, in balia della morte. Sentii le palpebre farsi tremendamente pesanti e scintille di luce balzavano su e giù, tra le mie iridi. Un vortice mi inghiottì e caddi al suo interno, senza poter far nulla per risollevarmi. Niente sette minuti per rivedere i miei miseri sedici anni di vita. Niente farfalle e fiori.
Mi trovai stesa in un lungo corridoio di pavimento lucido bianco. Aprii di scatto gli occhi, ritrovandomi viva. Sentendo ogni osso del mio corpo emettere un tetro scricchiolio ad ogni tentativo di rialzarmi, mi convinsi che in realtà nessuno mi aveva uccisa, ma forse inciampando ero caduta in fondo ad un fosso e mi fossi rotta tutte le ossa della spina dorsale. Eppure come lo spiegavo quel bianco? Tutto quel bianco che mi circondava metteva paura. Non c’era nulla, solo il bianco. Una volta in piedi, iniziai a tastarmi il corpo e al posto degli skinny strappati e del giubbotto pesante, indossavo una lunga tunica, bianca anche quella. Sformata, senza zip, con delle cuciture grossolane. La raccolsi tra le mani e iniziai a camminare, nel vuoto senza fine.
Senza alcun rumore e soprattutto in maniera del tutto misteriosa, spuntò di fronte a me una porta di acciaio. Balzai al indietro dalla sorpresa e mi voltai, cercando qualcuno. Nessuno. Poggiai la mano sulla maniglia e la trascinai in giù, trovandomi in un’altra stanza bianca. Sbuffai, desiderando solo di poter tornare alla mia vita. Una volta chiusa, la porta scomparve nuovamente e mi convinsi di aver battuto molto forte la testa. Non poteva essere.
 
«Eccome se può essere!» scoppiò una voce allegra. Mi voltai di colpo, trovando un ragazzo di fronte a me. Aveva un gran sorriso ed era vestito completamente di nero, creando contrasto con tutto quel bianco. Si avvicinò ridacchiando e, da subito, mi ispirò fiducia.
«P-può spiegarmi dove sono? E lei chi è?» chiesi
«Non aver paura di me Pich, non devi! Io mi chiamo Ashton e sono qui per aiutarti»
«Pich? Io mi chiamo Clarisse! Cosa vuole lei da me? Aiutarmi per cosa?» iniziava ad essere tutto così confuso, eppure una parte nascosta del mio cervello mi tranquillizzava a fidarmi di quel ragazzo. Ashton sorrise, come dispiaciuto, abbassando gli occhi, e avanzando mi poggiò una mano sulla spalla e mi accarezzò.
«Io e te dobbiamo farci una chiacchierata. Gradisci un tè?»
 
Sbuffai. Un tè? Non c’era nulla oltre al nulla lì. Ashton, leggendomi nuovamente nella mente, sorrise e mi fece voltare. Dietro di me si trovava un tavolo, apparecchiato con una tovaglia bianca e una teiera con due tazze che fumavano. Spalancai gli occhi e ci passai le mani sopra. Era tutto stranissimo. Doveva essere un incubo, uno di quelli così reali da sembrare veri. Il ragazzo mi spinse cortesemente verso una delle due sedie e mi fece accomodare.
 
«Tu mi devi delle spiegazioni» poggiai i gomiti sul tavolino, sentendone la consistenza. Il sogno era proprio ben fatto.
«Si, ma tu smettila di pensare che questo sia un sogno. Non lo è Pich. Tu, o meglio, Clarisse è morta nel momento in cui quel ragazzo ti ha uccisa con il colpo di pistola» alle sue parole, rimasi scioccata. Dov’ero quindi? Se ero morta, quello era il Paradiso?
«Per l’amor del Cielo Pich! No, questo non è il Paradiso! Questa è la Stanza di Mezzo, non ve ne parlano ancora laggiù, eh? No, scommetto di no» sorseggiò il suo tè, sbrodolandosi sulla camicia nera, ma la cosa non lo scalfì. Rimasi in silenzio, per ascoltare cosa aveva da dirmi.
«La Stanza di Mezzo accoglie tutte quelle persone morte, e nel tuo caso, uccise per salvare o proteggere qualcun altro. Credi negli Angeli, Pich?» sorseggiò ancora. Se credevo negli Angeli? Beh, no, ma in quel momento tutte le mie convinzioni erano state spazzate via, quindi avrei potuto ricredermi. Per quel momento, scossi la testa negando.
«E sbagli! Gli angeli esistono, guarda me, ne sono la prova vivente! Ne esistono di varie specie, ci sono i Custodi, i Prendimorte, i Medicanti, e via dicendo…»
«E tu cosa sei?» chiesi curiosa
«Io sono uno dei 20. Ogni cento anni, vengono scelti 20 angeli Custodi che diventeranno Arcangeli, e io sono in transizione, per diventare Arcangelo, ma per ora mi prendo cura di te»
«E cosa c’entro io in tutto questo?»
«Essendo morta per il bene di un’altra persona, favorendo la sua vita al posto della tua, ora diventerai un Angelo, mi sembrava chiaro. Diventerai una Custode, dovrai essere per sempre fedele al tuo Assegnato, fin quando egli non morirà nel bene e sulla diritta via. E’ tua responsabilità, ora. Il tuo nuovo nome sarà Pich, l’ho scelto io per la cronaca, mi piaceva e credo che…»
«Frena un attimo, Angelo, io sono una cosa? Io sono una Custode? Ma…non so neanche preparare il pranzo per me, figuriamoci badare ad un altro essere umano! Ho solo sedici anni e poi Pich, sei serio?»
«Lo so che può sembrare disorientante, ma è così. Devi accettarlo. Anche per me è stato… traumatico, ma sono qui e far del bene è gratificante. Imparerai, non sarai mai sola, ci vuole solo del tempo. Non devi sottovalutarti. Sei una persona coraggiosa, in pochi avrebbero preso la tua stessa decisione, puoi farcela» mi prese la mano e la strinse. Decisi di abbracciare il mio nuovo incarico, sentendo quella vocina nella testa che continuava a ripetermi di fidarmi. Mi abbandonai senza pochi dubbi a quella nuova vita, ma c’erano ancora molte cose che mi ronzavano in mente.
«E…chi sarebbe il mio Assegnato?» chiesi
«Il suo nome è Calum, Calum Hood. Tu gli hai salvato la vita» mi venne risposto.
  
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