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Autore: GabrielleWinchester    26/08/2015    3 recensioni
“Signora, ecco il suo bambino”
Con un sorriso raggiante, una giovane infermiera appoggiò al seno il mio bambino ma io non provai nulla. Era una femmina, una bambina dal pianto tenace e volitivo, una piccola creatura che già sapeva che cosa voleva dalla vita. Tutte le altre mamme mi guardarono sconvolte, non una lacrima, non un sorriso aveva scalfito il mio volto, ero rimasta impassibile come se mi avesse detto “Oggi è sereno ma portati l’ombrello”
Storia di una donna affetta da Alexitimia, letteralmente "mancanza di parole per le emozioni" . Piccolo esperimento che spero vi piaccia :-) Buona lettura :-)
Genere: Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buon pomeriggio a tutti,
ispirandomi a una storia di cronaca, ecco a voi "Alexitimia", la storia di una donna che non riesce a esprimere le proprie emozioni, neanche nel giorno più bello della sua vita, ovvero la nascita di sua figlia Angelika. Questa storia è un piccolo esperimento che ho voluto provare a fare e chiedo umilmente scusa se eventualmente vi dovesse annoiare. Da parte mia ringrazio di tutto cuore tutti coloro che la leggono e la leggeranno, tutti coloro che la recensiscono e la recensiranno, tutti coloro che mettono e metteranno le mie storie tra le seguite, ricordate, preferite e da recensire e tutti coloro che mi hanno messo e mi metteranno come propria autrice preferita. Buona lettura :-)
Ps: Oggi l'editor di Efp mi ha fatto leggermente impazzire u.u

                                                      Alexitimia
Signora, ecco il suo bambino”
Con un sorriso raggiante, una giovane infermiera appoggiò al seno il mio bambino ma io non provai nulla. Era una femmina, una bambina dal pianto tenace e volitivo, una piccola creatura che già sapeva che cosa voleva dalla vita. Tutte le altre mamme mi guardarono sconvolte, non una lacrima, non un sorriso aveva scalfito il mio volto, ero rimasta impassibile come se mi avesse detto “Oggi è sereno ma portati l’ombrello”
“Guarda quella lì” disse la mia vicina di letto con un ghigno alla sua dirimpettaia “Sicuramente finirà che ucciderà la bambina, non appena uscirà da qui”
“Hai ragione Clarissa” rispose l’altra, mentre faceva fare il ruttino al suo bambino “I suoi occhi sembrano due palle di vetro, mi mette i brividi”
Inghiottii un’imprecazione e mi ostinai a guardare il soffitto, mentre la piccola Angelika continuava a mangiare. Avrei voluto piangere e mandarle a quel paese ma quello che mi sentivo di fare era guardare il soffitto e basta. Non sapevano nulla di me e molto spesso ciò che non si conosceva e non si comprendeva, finiva per diventare un qualcosa da temere. Ero sempre stata così, ogni avvenimento che mi era capitato nella vita non aveva suscitato in me nessuna emozione, niente risa di gioia o pianti disperati, solo una faccia da poker, tanto che tutti nel mio quartiere mi soprannominavano “Emma, faccia da Jolly”.
Ero affetta da Alexitimia, letteralmente “mancanza di parole per le emozioni”, emozioni che io sapevo di avere, ne avevo la piena consapevolezza, ma che non riuscivo a esprimerle a pieno con la voce, lasciando che la fredda scrittura lo facesse al posto mio. Perfino nel giorno del mio matrimonio, fallito miseramente qualche anno dopo a causa della mia sindrome, avevo detto un “Sì” talmente monocorde, che il prete si era girato verso di me e mi aveva domandato “Emma, ne sei proprio sicura di sposare Thomas?”
Appoggiai la bocca sulla testa della mia piccolina e Angelika mi aveva guardato con i suoi piccoli occhi blu, quel blu incerto che l’accomunava a tutti gli altri, e avrei voluto ridere e strapazzarmela di baci e coccole ma non ci riuscivo. Ignorando le occhiatacce delle mie compagne di stanza, d’improvviso presi una penna dal comodino e incominciai a scrivere un piccolo pensierino “Le mie emozioni sono incastonate tra la mente e il cuore, tra la mente e le corde vocali, afone ma piene di un amore incommensurabile”
Arrotolai il pensierino e glielo misi nella sua piccola mano. Angelika smise di succhiare il latte e mi guardò. Nel suo sguardo c’era tutta la saggezza dei neonati, quella saggezza che si perdeva nella crescita e si recuperava a un passo dalla morte.
“Piccola mia, questo è l’unico modo per esprimere le mie emozioni. Non abbandonarmi pure tu”
Come se avesse capito il mio problema, Angelika strinse forte il pugno, chiuse gli occhi un attimo e dopo sbadigliò, un suo modo di dirmi che non dovevo avere paura, che lei non mi avrebbe mollato e che saremmo state alleate per tutta la vita. E io per la prima volta sentii di essere amata e di non essere giudicata.
  
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