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Autore: Clockwise    27/08/2015    10 recensioni
«Non so di cosa stai parlando, Raine.»
«L'elefante nella stanza. Proprio qui in mezzo a noi.»
Jem deglutisce a vuoto e indietreggia appena. La luce negli occhi di Raine – sorniona, determinata e maledettamente scientifica – lo spaventa e lo incuriosice allo stesso tempo.
«Intendi dire che...»
«C'è qualcosa di cui siamo entrambi consapevoli ma che preferiamo ignorare.»
«Oh.»
Jem deglutisce di nuovo.
«Un elefante.»
Raine annuisce con aria grave, richiudendo il libro.
«Un elefante.»
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
- Questa storia fa parte della serie 'La mela di Newton'
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Jem aveva dovuto trovare la casa piena di schiuma color salmone per accorgersene.
L'elefante nella stanza.


 
Elephant Toothpaste
ovvero
degli effetti collaterali di un esperimento per bambini



H2O2 + sapone + catalizzatore = BOOM
Catalizzatore: polvere da sparo? bicarbonato di sodio? lievito?

La prima volta, con il bicarbonato di sodio, non aveva funzionato: serviva qualcosa di più potente – la polvere da sparo era off-limits, ovviamente. Il lievito, invece, aveva fatto un buon lavoro.
Socrate miagolava contento, cercando di afferrare la schiuma rosata – due gocce di succo di rabarbaro – che eruttava dalla bottiglia di plastica. Che momento glorioso.
Raine era finita in punizione senza la promessa gita all'osservatorio, ma non importava: un piccolo sacrificio, per un grande passo nella scienza.


«Raine, Jeremiah. Jem, Lorraine.»
Il ragazzo si fece avanti porgendo la mano ed esibendo un bel sorriso.
«Piacere di conoscerti, Raine. Chiamami Jem.»
La ragazza sollevò un sopracciglio e gli strinse la mano senza particolare entusiasmo.
«E tu chiamami Lorraine, nessuno ti ha dato tanta confidenza. Saremo coinquilini, non migliori amici.»
Jem e Amir, l'inquilino che stava cedendo a Jem la sua stanza, visto che sarebbe andato a lavorare a Bristol, si scambiarono un'occhiata fra il perplesso e il divertito. Amir alzò le spalle.
«Sta' tranquilla, Raine, è uno a posto, ho controllato. E poi lo conosco da quando era un pischello brufoloso con l'apparecchio.»
Jem strabuzzò gli occhi, mentre Raine sollevava un angolo della bocca, sarcastica, incrociando le braccia al petto.
«Grazie, Amir» mormorò a denti stretti il ragazzo, mentre l'altro rideva.
«Oh, non sentirti in imbarazzo. Amir portava i capelli a scodella fino all'anno scorso. E rubava riviste di cucina alla vecchietta del piano di sotto. Ed era il sarto-accomoda-calzini-e-bottoni ufficiale di mezzo palazzo.»
Fu il turno di Jem di ridacchiare educatamente, mentre Amir si imporporava.
«Se la vostra generazione di donne emancipate non sa cucire non è colpa mia! Io vengo da una buona famiglia con sani principi!»
Jem e Raine si scambiarono un'occhiata. E la ragazza lasciò andare un minuscolo, riluttante, mezzo sorriso.


Stavolta, Raine ha trovato la miscela perfetta: acqua ossigenata al 30%, “presa in prestito" dal laboratorio di chimica del sotterraneo – non se ne sarebbe accorto mai nessuno, a chi importava dello sfigato laboratorio di chimica?; sapone per piatti al limone, extra-smacchiante, anti-grasso, biodegradabile – Jem si era fissato con l'ecologia, ultimamente; idruro di potassio in soluzione acquosa, distillato da lei stessa; succo di barbabietola.
Mai esperimento era stato così soddisfacente.


«Jem, ho una questione di importanza vitale da sottoporti.»
Il ragazzo sollevò gli occhi dalla pentola e li posò su Raine. Era rimasta sepolta fra fogli, libri, calcolatrici e squadre per le precedenti tre ore, senza dare segno di vita che non fosse un regolare sbuffo di frustrazione. Jem supponeva che stesse studiando un qualcosa di misterioso per il nuovo progetto a cui lavorava all'università – qualunque cosa implicasse dei numeri era aramaico, per lui, giovane professore di inglese.
«Dimmi» disse, curioso, tenendo d'occhio il riso ai funghi che cuoceva lentamente e domandandosi se era rimasto un po' di vino.
«Secondo te mia madre preferisce un cerbiatto ricamato su un fazzoletto o il suo nome a ghirigori incorniciato?»
Jem sbatté le palpebre un paio di volte.
«Scusa, cos-»
La ragazza gli sventolò due fogli sotto al naso, con quelli che sembravano gli schizzi dei due ricami, precisi al millimetro.
«Ma che... è questo che hai fatto tutto il pomeriggio?»
«Oh, Jem, certo che no. Ho anche pensato al tuo di regalo. E calcolato la temperatura, la quantità di neve e le generali condizioni di umidità che bisognerà raggiungere prima che il tuo basilico, rosmarino e le altre erbacce che coltivi come una brava donna di casa sul balcone muoiano definitivamente» disse, porgendogli un foglio pieno di grafici, frecce e numeri.
Jem scosse la testa, tentando di processare le informazioni.
«Aspetta, aspetta... Un mese fa mi parlavi a malapena, dovevo chiamarti 'Lorraine', ci mancava poco che dovessi inchinarmi davanti a te, e ora pensi alle mie piante? E mi fai addirittura un regalo?»
Raine alzò gli occhi al cielo.
«Le ho chiamate erbacce e ho insultato la tua virilità. E ti regalerò un libro, non farti grandi speranze. E lo faccio solo perché è Natale.»
Jem scrollò le spalle e tornò al suo risotto.
«Hai paura che Babbo Natale non arrivi, se non fai la brava?»
«Più che altro vorrei che esaudisse il mio modesto desiderio di ricevere un microscopio elettronico, ecco...» fece la ragazza, con fare noncurante. Jem si voltò di nuovo verso di lei.
«Una lente d'ingrandimento è tutto quello che avrai, farai meglio a tenertela stretta.»
Raine sbuffò e iniziò a raccogliere i suoi fogli.
«E in ogni caso, il nome. Lo farai ricamare ad Amir?»
«Sì, mi deve un favore.»
Alla fine, Jem scovò una bottiglia di vino rosso che non vide mai la luce del mattino. Fu una serata piacevole, rilassante, come ne capitavano sempre più spesso, fra loro due, ora che gli altri tre ragazzi con cui condividevano l'appartamento erano via per le vacanze.
Entrambi avrebbero voluto che quella bottiglia di vino fosse senza fondo, che l'alba non arrivasse mai.


Raine ha passato la mattinata a calcolare l'esatta quantità di ingredienti che le sarebbero serviti, e conseguentemente a procurarseli. Quindi ha liberato un po' di spazio sul tavolo, disposto il necessario, indossato la sua mascherina protettiva e iniziato.
La schiuma rosa ha eruttato con tanta forza da rovesciare il bidone di plastica in cui aveva miscelato gli ingredienti.
Jem non ne è stato particolarmente contento.


«Scusa.»
«Oh, prego.»
«No, prima tu.»
«No, vai pure.»
«Oh, scusa.»
«Scusa
Le scale erano troppo strette perché due adulti, ingombri di sacchi della spesa l'uno e scatoloni del laboratorio dal contenuto ignoto l'altra, riuscissero a percorrerle in senso opposto senza urtarsi. E, chissà perché, anche solo il pensiero di sfiorare la sua coinquilina, ora che erano rimasti in due, metteva Jem in uno stato di agitazione che gli torceva le viscere in una morsa impietosa – altro che farfalle. E si ritrovava, senza alcuna logica, a voler stringere quella mano che si strofinava distrattamente contro la sua, inviandogli brividi e scosse di elettricità su per la spina dorsale. E il cuore accelerava.


«Ma che diavolo... Per tutti i santi, Lorraine Douglas! Perché casa nostra sembra la vasca da bagno di una bambina di cinque anni? Mancano solo le paperelle!»
Raine solleva appena un sopracciglio, voltando una pagina del suo tomo di musica romantica, placidamente seduta al suo posto nel vano della finestra come se la casa non fosse praticamente ricoperta di schiuma rosa e tiepida – si era premurata di coprire il suo posto e la poltrona preferita di Jem, prima dell'esplosione.
«Anche gli elefanti devono curare la loro igiene orale. Questo è dentifricio per elefanti.»
Jem solleva le sopracciglia, incrociando le braccia al petto.
«Abbiamo un elefante, qui?»
Raine alza lo sguardo su di lui per un istante, prima di voltare pagina di nuovo.
«Constatiamo l'ovvio, Jem?»


«Cosa stai cercando?»
«La mia tazza di tè.»
«Ti sei fatta il tè e te lo sei perso?»
«Non essere ridicolo, Jem. C'è sempre una tazza di tè vicino alla mia poltrona, la sera.»
«Lo so, ma stasera non ho avuto il tempo di preparartela, sono appena tornato. Ora vado, dammi un secondo.»
Raine si immobilizzò e sbatté le palpebre.
«Vuoi dire che sei tu a prepararmi il tè tutte le sere?»
Jem alzò gli occhi al cielo, cercando di non mostrarsi troppo divertito.
«Cosa credevi, che comparisse dal nulla? E ti consideri una scienziata...»
Raine si lasciò cadere al suo posto alla finestra, corrucciata, mentre Jem ridacchiava davanti ai fornelli.
«Eppure non capisco.»
Jem si voltò, aprendo una confezione di Earl Grey. Raine continuò, lo sguardo fisso alla strada trafficata al di sotto.
«Siamo in cinque in questo appartamento, eppure non prepari tazze di tè per nessun altro. Giusto?»
Jem sorrise fra sé, tornando a darle le spalle.
«Giusto.»
«E allora perché lo fai? Voglio dire, gli altri sono qui, tranne Nicholas, che non c'è mai la sera; tutti gli altri tornano a casa regolarmente fra le sette e le nove. Eppure c'è solo una tazza di tè che mi aspetta qui sul davanzale. Gli altri provvedono da sé, e si rintanano ciascuno in camera propria. Non capisco.»
Jem le lanciò un'occhiata rapida, imprimendosi nella retina il suo viso confuso, illuminato da una tenue – o era lui a volerla vedere? – speranza, le guance colorite. Non rispose subito, ma finì di preparare il tè. Lo versò in due tazze, mise latte in quello di lei e zucchero nel proprio, e si andò ad accovacciare sul vano della finestra, accanto alla ragazza. Lei accettò la tazza fumante con un flebile “grazie”.
«Raine, hai mai avuto un ragazzo?»
Con sua sorpresa, la ragazza si irrigidì, il suo sguardo si pietrificò. Posò il tè sul pavimento e nascose le mani tremanti in grembo, portandosi le ginocchia al petto.
«Raine, tutto bene?»
«Preferisco non parlarne.»
«Mi dispiace, non volevo...»
«Non capiresti mai. Tu sei quello bello e simpatico della classe, che fa amicizia con tutti, non ha problemi ad uscire con chi vuole, ma non cerca storie senza importanza. Io... preferivo il libro di fisica a qualunque essere di sesso maschile. O femminile, a dirla tutta. Non capiresti.»
Jem si morse il labbro, mettendole una mano sulla spalla.
«Raine, puoi parlarmi di qualsiasi cosa, lo sai...»
«Togli quella mano da lì, Jem.»
Il tono freddo e spaventato della ragazza spedì una stilettata al suo cuore. Allontanò la mano.
«Cosa ti è successo, Raine? Chi ti ha ridotto così?»
Gli occhi della ragazza si velarono di lacrime rabbiose, per la prima volta da quando Jem l'aveva conosciuta. Provava ancora troppa vergogna al solo ricordo – non voleva che Jem lo sapesse. Voleva che la conoscesse per l'irriverente, sarcastica, intelligente studentessa-quasi-dottoressa di Fisica che era diventata, non come... la sciocca, stupida ragazzina che si era lasciata abbindolare dal primo sorriso che le avevano rivolto. Eppure voleva, disperatamente, fidarsi di lui, sentiva che lui non l'avrebbe giudicata.
Si morse il labbro e raccontò tutto a bassa voce, rapidamente, con tutto il distacco che riuscì a metterci.
Alla fine, Jem, senza curarsi della ritrosia e dell'imbarazzo di lei, la avvolse in un abbraccio stretto, caldo, rassicurante. Diversi minuti dopo, andò a prepararle un altro tè.


«Non so di cosa stai parlando, Raine.»
«L'elefante nella stanza. Proprio qui in mezzo a noi.»
Jem deglutisce a vuoto e indietreggia appena. La luce negli occhi di Raine – sorniona, determinata e maledettamente scientifica – lo spaventa e lo incuriosice allo stesso tempo.
«Intendi dire che...»
«C'è qualcosa di cui siamo entrambi consapevoli ma che preferiamo ignorare.»
«Oh.»
Jem deglutisce di nuovo.
«Un elefante.»
Raine annuisce con aria grave, richiudendo il libro.
«Un elefante.»


«Dovresti andare a letto, Jem. Hai lezione domattina. O meglio, questa mattina.»
Jem controllò l'orologio. Un quarto alle tre.
«Non ho sonno.»
Raine gli lanciò un'occhiata rapida, aprendo la tastiera del suo vecchio, piccolo pianoforte.
«C'è qualcosa che ti tiene sveglio.»
Jem annuì, rigido, gli occhi tenacemente fissi sul suo libro.
«Ottima deduzione, Sherlock.»
«Tuo fratello.»
«Mh.»
«L'anniversario della sua morte.»
«Davvero, voi scienziati non riuscite proprio a dire le cose con un minimo di poesia.»
Raine sollevò il mento, sedendosi al pianoforte. Si sgranchì le dita con un paio di scale, gli occhi su di lui.
«Debussy? O Fauré?»
Jem la guardò confuso.
«Cosa?»
Raine annuì.
«Debussy» decise. Posizionò le mani sulla tastiera, trattenne il fiato e si lasciò andare ad una struggente, malinconica, dolceamara melodia.
Jem abbassò il suo libro, la mente in quella spiaggia in Cornovaglia, in quell'orribile giorno assolato.
«Giocavamo a calcio sulla sabbia. Eravamo poco più che bambini. Lui è entrato in acqua per rinfrescarsi. Era più piccolo di me. Nessuno di noi due sapeva nuotare.»
Andò avanti, impietoso; Raine rabbrividì. Continuò a suonare, sebbene volesse solo raggomitolarsi in un angolo e piangere e inveire contro quel mondo a rovescio che uccideva bambini. Poteva vedere, sul legno lucido, il riflesso di Jem lasciarsi andare a due lacrime silenziose. Si rese conto all'improvviso di quanto dovesse sentirsi solo: lontano dalla città in cui era cresciuto, non parlava più nemmeno con i suoi genitori, da quando se n'era andato di casa. Forse lo accusavano della morte del fratello.
Chiuse gli occhi e tentò di riempire i tasti di tutto il sentimento di cui era capace – ancora non osava chiamarlo altrimenti – sperando che lui potesse coglierlo. Smise di suonare quando lo vide reclinare la testa all'indietro e chiudere gli occhi. Il respiro andava ad appesantirsi, via via più regolare, mentre Jem scivolava nel sonno. Raine si alzò e lo svegliò gentilmente, trascinandolo con delicatezza verso la sua camera, la prima oltre il salotto – quella di Jem era in fondo al corridoio, e lei non avrebbe dormito comunque.
«R-Raine...» farfugliò lui, aggrappandosi alla sua maglietta. «Grazie, Raine. Mi hai salvato, per la prima volta da quel giorno mi hai fatto sentire bene, integro, completo, senza macchie, tu bellissima scienziata pazza...»
Lei lo aiutò a sdraiarsi sul letto, gli tolse le scarpe e lo coprì goffamente.
«Mi farai arrossire, Jem.»
«Dico sul serio. E vorrei ricambiare il favore, ma tu non me lo permetteresti mai, il tuo lavoro, la tua scienza è troppo importante per te...»
«Hai già fatto molto per me, Jem. Ora dormi.»
«Vorrei amarti, Raine, ma non so se ne sarei capace... Ci vuole un amore straordinario per una creatura come te, e io sono solo un bambino che gioca al professore di inglese, cercando di dimenticare i suoi fantasmi...»
Raine deglutì a vuoto, il cuore che batteva impazzito.
«Non potrei chiedere di meglio» sussurrò, sentendosi all'improvviso parte di un caldo e avvolgente flusso di emozioni palpitanti – una situazione completamente nuova per lei.
«Buona notte, Jem.»
Nessuno dei due avrebbe parlato di quella notte, la mattina seguente.
Così Raine decise di fare un esperimento.


Jem si dondola sui talloni, a disagio, cercando di evitare in tutti i modi gli occhi di carbone della ragazza. Il suo sguardo inciampa sulle sue guance colorite, le sue labbra pallide e piene – ed è anche peggio. Si schiarisce la gola.
«Dovremmo liberarci di questo elefante, allora.»
«Decisamente.»
In due passi fluidi, Raine è davanti a lui, in mezzo al soggiorno. Lo guarda imperscrutabile per qualche secondo, poi, senza alcun preavviso, si china, arraffa una manciata di spuma e la schiaffa in faccia a Jem.
«Ma che...»
La reazione di Jem è istintiva: una manciata di spuma colpisce Raine dritto sul collo.
In pochi minuti, la quantità di schiuma addosso a Jem e Raine equivale a quella rimasta sul pavimento, che si scioglie lentamente.
I due sono a terra, schiena al muro, spalla a spalla, ansimanti e sghignazzanti.
«Questa... è la cosa più stupida... che io abbia mai fatto» ansima Jem, pulendosi la faccia alla bell'e meglio sulla maglietta.
«Baciami e batterai il record.»
Il cuore di Jem si inceppa per un istante, per poi riprendere a correre all'impazzata.
Raine volta il viso verso di lui. Sembra calma e tranquilla, ma Jem può vedere paura e trepidazione e speranza annidate dietro le iridi nuvolose.
«Dobbiamo liberarci dell'elefante, giusto?» mormora Jem, la gola secca, gli occhi sulle labbra schiuse della ragazza.
«Esattamente.»
Jem scuote la testa, sorridendo. Quella geniale idiota della sua coinquilina aveva dovuto riempire la casa di dentifricio per elefanti per riuscire a baciarlo e fargli capire quanto fosse irrimediabilmente innamorato di lei.

L'elefante scoppiò in una bolla di sapone.






•••
Non è propriamente il mio stile, lo so, però mi sono divertita. Il dentifricio per elefanti è un esperimento per bambini piuttosto divertente - mi sono presa alcune libertà letterarie, tuttavia, sulle dimensioni dell'esplosione.
Grazie se siete arrivati fin qui! Fatemi sapere cosa ne pensate, è sempre apprezzato :)
-Clock

  
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