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Autore: wildbeauty    28/08/2015    1 recensioni
Ti prego, ti prego, stella della sera,
ti prego, ti prego, fammi avere una bambina.
Partecipa al contest indetto da SamidareEfp sul forum di EFP, 'C'era una volta - Seconda edizione'.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ti prego, ti prego, stella della sera,
ti prego, ti prego, fammi avere una bambina.



Sua madre era una ragazzetta egoista. Si era appena sposata e l'unico motivo per cui voleva avere un bambino era non essere più picchiata dal marito perché non gli dava eredi. 
     Pollicina sapeva che si era rivolta a una strega per averla. Gliel'aveva raccontato sua madre, di quella storia, e di come era sbucata da un granellino di orzo all'interno di un tulipano. E a quel punto la voce di sua madre s'inaspriva e la donna le sputava contro delle dodici monete, della speranza che col tempo crescesse, del tempo che le prime settimane aveva speso per accudirla.
"Ecco qui il tuo petalo di rosa, biscottino! Sai che sei proprio carina? Quando sarai cresciuta un poco ti potrai mettere il mio vestitino verde di tanto tempo fa" le diceva, diceva e sperava.
     E poi i giorni erano passati e l'esaltazione iniziale si era tramutata in indifferenza, poi in disprezzo e infine in odio. Ai mariti non piacciono le mogli che gironzolano attorno alle streghe, è risaputo. Suo padre non l'aveva mai conosciuto davvero. La prima volta che aveva visto Pollicina aveva preso i capelli di sua moglie ed era sparito con lei nella sua stanza. Pollicina si era raggomitolata nel suo guscio di noce e non ne era uscita fino al giorno successivo. Non seppe perché, ma da quel momento la voce di sua madre si era fatta più secca quando si rivolgeva a lei.
     Non lo vide più. Certo, lo sentiva tornare a casa ubriaco ogni sera, ma sua madre si assicurava sempre che fosse ben nascosta, affinché non la vedesse mai. Pollicina non lo esternava, ma dentro di sé provava dolore     In poco tempo era quindi diventata da figlia tanto desiderata a mero trastullo da mostrare alle amiche in visita.
     "Canta, Pollicina. Sa anche attraversare un bicchiere con una foglia come barca. E adesso guarda come si agita se le togli la foglia. Rischia di affogare, poverina."
     Ridevano di lei, loro. Sua madre e le sue amiche, ridevano. Delle sue guance che si facevano pian piano cianotiche, perché a loro non importava certo che l'acqua fosse fredda. Loro non agitavano le braccia cercando di raggiungere la superficie di una gabbia di vetro.
     Pollicina non sapeva che età avesse sua madre, ma sapeva che non era una donna. Le domestiche ridevano dietro ai suoi ordini impacciati e lei era incapace in ogni singola faccenda. Sua madre non era una bella ragazza. I capelli biondi tirati all'indietro in pettinature che la imbruttivano, un viso spigoloso e il principio di un'acne sulla guancia sinistra.
Un'adolescente che giocava maldestramente a fare la signora.
     "Volevo un bambino bello e paffuto, di quelli da tenere in braccio e coccolare e invece sei arrivata tu, piccolo mostricciatolo figlio del demonio" le aveva detto una volta, con una bottiglia d'assenzio vuota in mano.
     Sua madre non era mai gentile. La situazione peggiorò ulteriormente quando rimase incinta. La gente rideva e parlava alle sue spalle e la sola presenza di Pollicina era un ricordo vivente della stregoneria alla quale era ricorsa in passato. E anche se non ne aveva la certezza, Pollicina sospettava che fosse stata lei ad aprire la finestra quella notte. Voleva che se ne andasse; forse per salvare la faccia, forse in un disperato tentativo di recuperare il matrimonio. Doveva liberarsi di lei e magari aveva sperato che se ne sarebbe andata da sola.
     Pollicina questo non lo sapeva, e non le interessava nemmeno.
     L'aveva presa una rana. Diceva che sarebbe stata la sposa perfetta per suo figlio e non importava che lei non si volesse sposare, men che meno con un batrace verde e rugoso. Una foglia di lappola fu la sua dimora, mentre l'intera famiglia del rospo preparava la loro camera nuziale sul fondo dello stagno. Inutile cercare di spiegar loro che non avrebbe potuto vivere sott'acqua. Scuptevano la testa a quelle che ritenevano essere solo stupide scuse, e proseguivano col lavoro.
     Stava quasi per disperare, quando dei pesci, increduli per l'ingiusto matrimonio, mangiarono il gambo della foglia, che venne trasportata dalla corrente. Lontano dal rospo e dall'incombente matrimonio Pollicina non poteva che essere felice, ma la sua gioia era inevitabilmente offuscata dalle sue preoccupazioni: era sola, in balia del fiume e senza possibilità di raggiungere la riva, vista la sua scarsa forza fisica. Dopo un giorno intero di viaggio, quando si era oramai rassegnata a morire o per fame o per annegamento, iniziò ad attraversare un grande prato, ripieno di fipri di campo appena sbocciati, di piccoli insetti e di uccelli dai colori più vivaci.
     "Aiuto! Aiuto!" iniziò a gridare, confidando nell'anima buona di qualche tarantola o nell'abnegazione di un passero.
     Arrivò allora una farfalla bianca, attirata dalle grida della piccola. Questa si offrì di condurre la foglia sino alla riva e Pollicina accettò con gioia. Legò con un nodo scorsoio l'insetto alla foglia, utilizzando il corsetto del suo vestitino. Felice della soluzione trovata, si apprestò dunque a tornare a terra. Ma la sfortuna congiurava contro di lei e le si parò davanti sotto forma di maggiolino, che la rapì, portandola dalla sua famiglia. Pollicina gridò e si dibattè, ma era troppo piccola per sortire un qualche effetto sulla presa ferrea dell'insetto.
     "Devo liberare la farfalla o non riuscirà più a sollevarsi in volo" gli urlava contro, ma quello non l'ascoltava, anzi. 
     "Ho trovato questa bimbetta graziosa; sarà lei la mia sposa!" dichiarò alla sua famiglia e Pollicina scoppiò a piangere disperata. Fortunatamente per lei però, i maggiolini la rifiutarono subito. La sua mancanza di ali e di antenne la rendeva ridicola e brutta. Perciò, sebbene a malincuore, il maggiolino la ricondusse sul prato.
     Lì Pollicina visse per un po', bevendo la rugiada e cibandosi di miele. Ma l'inverno arrivò in fretta e con lui la neve e il freddo. I vestiti leggeri della bamibina non erano certo adatti a un clima rigido e Pollicina sentiva che la sua fine era vicina; era scampata a troppi pericoli, troppe volte era fuggita alla morte: ben presto il Tristo Mietitore sarebbe venuto a pareggiare i conti.
     Ma tutte le sue cupe riflessioni vennero presto smentite, quando vide una piccola tana profilarsi in lontananza davanti a lei. Vi si avvicinò e scoprì che apparteneva a un vecchio topo. Questi l'accolse in casa, a patto però che svolgesse le faccende domestiche. Pollicina acconsentì, e si occupò amorevolmente della sua nuova abitazione sotterranea, per una volta libera da preoccupazioni. 
     Lei e il topo avevano instaurato una piacevole convivenza: lei lo accudiva e lui le raccontava vecchie storie. Poi, ogni tanto, andavano dal loro vicino, il signor Talpa. La vita scorreva tranquilla, quando un giorno Pollicina trovò una rondine ferita in un cunicolo. Iniziò a curare l'ala rotta, portando all'uccello cibo e acqua ogni volta che poteva; purroppo doveva agire di nascosto, in quanto il signor Talpa aveva espresso più volte la sua opinione sugli uccelli, che secondo lui sarebbero dovuti morire tutti. In quel breve periodo di trasgressione, Pollicina si sentì libera e amata come non mai.
     La rondine l'amava a modo suo e le voleva bene sinceramente, senza secondi fini. Alla fine, quando arrivò la primavera, l'uccello la invitò a venire con lui verso i paesi caldi. Pollicina declinò la gentile offerta: aveva avuto abbastanza esperienze nel mondo esterno e aveva finalmente trovato la stabilità che cercava.
     Malauguratamente, dopo la partenza della rondine il topo le comunicò che avrebbe sposato il signor Talpa.
     "Così, oltre a pagare i miei debiti di gioco avrai anche un marito premuroso. Che ne dici?"     Pollicina non poté che assentire e iniziò a preparare il corredo, rimpiangendo la rondine e la sua offerta. Il topo non la lasciava sola un secondo, seguendola ovunque per paura che potesse scappare e rinchiudendola nella sua camera la notte. La lasciava uscire solo per pochi minuti al giorno e a Pollicina sembrava di soffocare.
     Fu così che, tempo dopo, quando tornò di nuovo la primavera, Pollicina sgusciò fuori di casa, approfittando di un momento di sonnolenza del topo. Respirò a pieni polmoni, rimpiangendo quel mondo perduto e mai davvero posseduto. Fu allora che vide la rondine, la sua rondine, atterrare vicino a lei, salutandola e proponendole di viaggiare con lei. Pollicina non se lo fece ripetere due volte, e le saltò in groppa entusiasta. Volarono per giorni interi finché non giunsero al nido dell'uccello. Questi chiese a Pollicina dove desiderava essere posata, e questa scelse un bel fiore bianco.     Lì, con sua somma sorpresa, si trovava già un omino alato, che scoprì essere il Re dei Fiori. Questi le sorrise entusiasta.
     "Questa fanciulla è giunta a me dai cieli. È un segno! Sarai la mia sposa e vivremo felici e contenti!" 
     Pollicina sorrise titubante: certo, il principe era gentile e affabile, ma non lo conosceva affatto, e le sarebbe piaciuto che le avesse chiesto prima di diventare sua moglie, invece di darlo per assodato. Ma ne aveva passate talmente tante che non ebbe la forza di protestare. In fondo per una volta avrebbe avuto tutto ciò che aveva sempre desiderato: amore, una casa, sicurezza, famiglia.
     Tutti gli Uomini dei Fiori si misero al lavoro, per preparare le nozze, che si sarebbero celebrate in pompa magna. Pollicina veniva nel frattempo educata a diventare una brava regina, perché, come a corte dicevano tutti, 'con la vita che ha avuto, è logico che non abbia curato molto la sua persona'. Lei era molto contenta di poter apprendere cose nuove, ovviamente, e non la smetteva di ringraziare il Re per quanto stesse facendo per lei, ma non poteva smettere di pensare che non la stavano semplicemente educando, ma cambiando. Fino ad allora aveva sbagliato il modo di sedersi, mangiare, bere, tossire, soffiarsi il naso, ridere, ballare, parlare e un'infinità di altre cose che il Re si premurava sempre di correggere.
     Non riusciva nemmeno ad accettare il fatto che quando sarebbe diventata Regina il suo nome sarebbe diventato Maia, in quanto Pollicina indegno di una sovrana.
     Era irriconoscente pensarla così, dopo tutto quello che le avevano concesso. Sperava fosse solo la tensione per le nozze e le conseguenti aspettative, che tutti le ricordavano ogni giorno.     Avrebbe dovuto dare dei figli al Re e avrebbe dovuto essere una Regina impeccabile.
     Il gran giorno tre Donne dei Fiori l'aiutarono con il vestito, che era stupendo e pieno di piccole gocce di rugiada cristallizzate, ma anche molto pesante. L'aveva scelto il Re per lei, in quanto i suoi gusti erano ancora da affinare. Pollicina si guardò allo specchio e non potè fare a meno di osservare le sue ali.
     Erano quelle l'ultima novità, infatti. Il Re le aveva commissionate appositamente al migiore artigiano del suo popolo, un artista del ferro. Erano metalliche e dipinte in modo da assomigliare a quelle del Popolo dei Fiori. Funzionavano anche, era solo incredibilmente doloroso per Pollicina azionarle. Per averle infatti, le aveva dovute conficcare nella schiena. I primi giorni era stato unvero e proprio inferno, ma aveva presto imparato a convivere con la sofferenza e aveva smesso di lamentarsi. Certo, preferiva ancora camminare, ma il Re l ordinava spesso di volare insieme a lui e lei, non volendo sembrare un'ingrata, non rifiutava mai.
     Lanciò alla donna nello specchio un'ultima occhiata e si preparò a entrare nella Grande Sala.


Vuoi tu Pollicina prendere Elfric come tuo legittimo sposo?

Lo voglio.
   
 
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