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Autore: Reaper_Hel    29/08/2015    1 recensioni
"Il mondo è di chi rimane, e tu non devi avere paura. Non sei solo." Questo recita la guida alla sopravvivenza del Superstite Responsabile.
Quando però Miriam si sveglia, quella mattina, non è rimasto più nessuno.
Genere: Horror, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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SUPERSTITE
Notte buia, niente stelle

 

Quando suonò la sveglia, Miriam era nel mondo dei sogni da circa dodici ore.
Non avrebbe saputo dire che giorno fosse, né per quale ragione il suo sonno era stato così profondo. I suoi occhi marroni si aprirono, però, su un mondo nuovo.
La bocca impastata si aprì a formulare una pigra parola, mentre i pensieri, rarefatti, ricominciavano a emergere nella sua mente «Mamma?»
La serata precedente l’aveva trascorsa in compagnia di un mal di testa insopportabile. Le capitava spesso di doversi mettere a letto col tramonto, per poi svegliarsi il giorno successivo nelle prime ore del pomeriggio.
La sveglia che l’aveva destata non era la sua. Non l’aveva nemmeno puntata, lei. Era un suono quasi impercettibile che veniva da qualche parte nella casa.
Si stiracchiò e si tirò a sedere. La stanza era immersa nell’oscurità. A tentoni, indovinò la luce del suo seminterrato e lasciò che illuminasse le fredde pareti di cemento vivo, un vecchio armadio e una rampa di scale che portava al piano terra. Il seminterrato era stato una “gentile” concessione dei suoi genitori, che avevano minacciato di sbatterla fuori di casa se non avesse smesso di suonare il suo maledetto sassofono. Siccome effettivamente il rischio c’era, si erano limitati a insonorizzare l’interno della stanza e lasciargliela pro bono, almeno finché non avesse trovato un lavoro vero. Un lavoro vero a Fontanelle: una cosa che non si era mai vista. Un paesino di montagna che contava 250 abitanti non era un posto dove potevi aspirare a un lavoro vero: il medico c’era già, così come il farmacista avrebbe ceduto la sua licenza ai figli ora e per sempre nei secoli dei secoli, amen; c’era anche il veterinario, lo studio associato in legge e quello del commercialista.
A Fontanelle si poteva al massimo aspirare a diventare cameriere. Per carità, lavoro rispettabilissimo: ma di sicuro non garantiva lo sguardo ammirante dai tuoi genitori.
Per il momento, dunque, Miriam si limitava a fare finta studiare medicina al college di Helton e nel frattempo inseguire il sogno che le capitava in quel periodo: un po’ di pittura, un po’ di scrittura, un po’ di musica.
 «Mamma?» chiamò di nuovo. Caracollò giù dal letto e salì le scale stiracchiandosi ripetutamente. «Mamma?»
La porta della sua stanza era aperta. Si bloccò sull’uscio notando con disappunto che fuori era scuro. La cucina era semibuia ma in ordine perfetto, e c’era un vago odore di biscotti nell’aria che lentamente veniva portato via dall’ingresso di servizio, che era spalancato sul cortile. Scalza, oltrepassò la veranda e lanciò un’occhiata al giardino. La fortuna di vivere in un posto come Fontanelle era proprio quella: c’era la possibilità di vivere all’aria aperta, cenare circondati dalla verzura e dalla bellezza delle colline. La sera era scura, ricoperta da un denso strato di nuvole poco promettenti.
La mamma, però, non c’era. L’auto era parcheggiata sul vialetto e tutto taceva anche nelle case circostanti. Trovandosi in cima a una salita, la casa di Miriam poteva considerarsi privilegiata sul paesaggio montano e su quello cittadino. Quello che però riusciva a vedere quel giorno, in qualche modo, le gettò addosso uno strano disagio, quasi da interrogazione scolastica.
Fatta eccezione per le luci lungo le strade, nessuna delle case aveva un solo lume acceso. Le finestre apparivano buie e fredde, come bocche aperte su un’oscurità che non avrebbe mai voluto conoscere.
Miriam accese la luce e chiamò più forte.
 «Mamma? Papà?»
Di nuovo niente. Un’idea le balenò nella mente, talmente terribile da farla sussultare. Cercò dappertutto: in cucina, in salotto, tra le pieghe del divano. Controllò la spazzatura. Forse non lo avevano ritirato? Si precipitò in giardino e cominciò a guardarsi attorno, facendosi luce col cellulare. Doveva essere da qualche parte lì fuori. L’erba fredda la solleticava fino alle caviglie, mentre la terra umida le sporcava i piedi. Quel giorno avrebbe dovuto tagliare l’erba e non l’aveva fatto.
Trovò il giornale quotidiano nel solito posto, accanto alla veranda, inzuppato di rugiada e forse un po’ di pipì di gatto. Ma non aveva alcuna importanza.
Non appena lesse i titoli in prima pagina, l’ansia da interrogazione divenne angoscia da attacco di panico. Una timida presa di coscienza che non si vorrebbe mai avere. Dovette sedersi sullo sgabello in cucina. Respirare, espirare.
La prima pagina era ormai sempre quella da quasi un anno, ma quel giorno era più vera che mai:
 
“NUOVE SCOMPARSE SU TUTTO
IL TERRITORIO NAZIONALE

HELTON, oggi – Non è chiaro se il paese si trovi sotto un grave attacco da parte di eserciti e organizzazioni terroristiche anti-democratiche o ci sia sotto qualcosa di più misterioso. Da quando il nostro Presidente è scomparso misteriosamente nel suo letto, assieme alla moglie e i due figli, sempre più cittadini americani scompaiono ogni giorno senza lasciare traccia.
[…]
Il centro di assistenza per i sopravvissuti si trova a Helton, cinquatasettesima strada. Per qualsiasi emergenza rivolgersi al numero 1-212-645-5550.”

Appoggiò delicatamente il giornale al tavolo e, tremando come una foglia, chiuse gli occhi. Alla fine, era successo anche a Fontanelle. E proprio a lei, ai suoi genitori.
Un rumore ovattato ruppe il silenzio della cucina. Miriam si voltò di scatto e vide il grosso gatto dei vicini che saliva sul banco e si incamminava verso di lei, miagolando. Quel gesto le impedì di farsi cogliere dalla disperazione: non poteva essere finita lì. Si piegò in avanti a grattò il grosso orecchio rovinato di Bombalurina, feroce gatta guerriera che riusciva a mettere in fuga anche gli opossum. Dopo averle aperto una scatoletta di tonno, Miriam prese in mano il cellulare e compose il numero dei suoi genitori.
Il telefono della madre suonò lontano, ma chiaramente udibile, nella loro camera da letto. Il telefono di suo padre era a terra, nella stessa stanza.
Un moto di rassegnazione: ma c’era di più. Qualcosa di meno limpido, di preoccupante. Miriam si scoprì, in qualche modo, sollevata.
Se il mondo continuava a sparire a questa velocità, forse non avrebbe dovuto trovarsi un lavoro vero. Forse avrebbe potuto abbandonare gli studi. Avrebbe potuto non essere più giudicata da nessuno, o magari sparire a sua volta per morire, o finire in un mondo più semplice, dove gli altri ti dicevano quello che dovevi fare e tutto diveniva così spontaneo. In quel mondo, i giudizi personali sulla vita di qualcun altro non avrebbero contato, perché tutti erano uguali.
Si infilò un paio di anfibi e una vestaglia troppo larga, quindi, dopo aver recuperato le chiavi di casa, ripercorse correndo tutto il giardino fino ad arrivare al cancello. La strada era deserta, ma non era difficile vederla in quello stato: non molte persone arrivavano fino a lì, nel bel mezzo del nulla, salvo chi ci abitava e qualche pazzo escursionista. Attraversò la strada e proseguì verso il centro della città, fermandosi di casa in casa a suonare campanelli. Il fresco della sera e il silenzio del paese erano quasi un tutt’uno, e Miriam si trovò a chiudere gli occhi, ferma in mezzo alla strada, nella speranza di poter udire qualche rumore. Un rumore qualsiasi. Un’auto. Un frullatore. Una televisione accesa.
 «C’è nessuno?» domandò, scoprendo un tremito nella sua voce. Poi lo chiese di nuovo, più forte: «C’È NESSUNO?»
Il silenzio di risposta non aveva precedenti. Si lasciò cadere a terra, in ginocchio, e cominciò a sfregarsi gli occhi nervosamente. Non lei. Non proprio lei. Miriam non era fatta per sopravvivere da sola: non era come quei tizi nei film che pensavano di non farcela e poi ce l’avrebbero fatta: persone non comuni, rimaste sole al mondo per opera di un piano divino che si sarebbe sicuramente risolto per il meglio – o comunque li avrebbe visti sopravvivere. Questa non era una storia destinata alla leggenda. Era solo Miriam. E Miriam, di eroico, non aveva niente.
Si sdraiò a terra, lunga distesa, e iniziò a respirare affannosamente.
   
 
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