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Autore: fireslight    30/08/2015    1 recensioni
Lincoln ha quel tono di voce rude e al contempo rassicurante, carismatico, da cantore, che Octavia rimarrebbe ad ascoltare per ore − come sua madre che, quando lei e Bellamy erano bambini, raccontava loro di dèi, mostri ed eroi.
[Lincoln/Octavia♥ − SeasonO1| Angst, Introspective • 2.366 words]
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lincoln, Octavia Blake
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fiori bianchi e caverne sotterranee

        Di fiori bianchi e caverne sotterranee
            {I’ll make a warrior out of you yet}

 

Il primo è incastrato in un basso cespuglio, lo raccoglie con destrezza, veloce.

Octavia non esita un istante, camminando sul sentiero che si dirama nel bosco, lontano dall’accampamento. In breve, le luci, i rumori e le voci che le sono familiari si attutiscono, scomparendo tra gli alberi. Il secondo fiore è sospeso su un ramo, il terzo, poco prima l’entrata del nascondiglio sotterraneo.

Le basta spostare rami e foglie secche utili a nasconderne l’accesso, calarsi nella terra, camminare per qualche metro nel corridoio angusto e freddo, prima di ritrovarsi nella caverna di Lincoln.

In quel momento lui è di spalle, sta disegnando qualcosa sul muro e Octavia può vedere i muscoli contrarsi sotto la pelle, le spalle ampie e forti che le hanno salvato la vita tendersi come ali.

Si avvicina lentamente, sfiorargli appena la schiena.

«Sei venuta, alla fine.» il tono dell’uomo è roco, controllato, per nulla sorpreso.
Mi ha sentita arrivare
, pensa fra sé.

Sono qui,» risponde, percorrendo delicatamente la linea evidente della spina dorsale e per un momento, Octavia è sicura che il suo respiro si sia fermato, «Volevo vederti prima di−»

«Octavia,» la interrompe, continuando a disegnare sulla pietra, concentrato, «Dovresti rimanere qui.»

Eppure, quell’affermazione così vera, ovvia, pericolosa, cade nel vuoto. Vero, il suo accampamento potrebbe essere attaccato in ogni momento − un’altra volta − ma lei ha provato il fortissimo quanto egoistico impulso di correre da lui, al sicuro fra le sue braccia.

Lincoln si volta, e Octavia sarebbe costretta ad alzare il capo per guardarlo negli occhi, ma non lo fa; rimane a osservare il suo petto, con minuzia, analizzando attentamente le linee decise dei tatuaggi senza capirne realmente il significato.

«Cosa significano?» chiede, sfiorando con le dita il disegno sul collo, spostando lo sguardo su quello dell’uomo. Lincoln non risponde, − non lo fa quasi mai, del resto, preferendo che sia lei a trovare una risposta ai suoi silenzi − chinandosi per baciarla.

Un bacio nuovo, diverso, impetuoso − perché Lincoln è questo, è silenzi e sorrisi appena accennati quando camminano insieme nei boschi, mentre le insegna a riconoscere piante e tracce animali, e Octavia rivede in lui quella bambina spaventata che viveva sotto le assi di un pavimento sull’Arca, riservata e introversa.

«Ricordi di guerra,» ogni volta che le parla, non riesce a non sentirsi affascinata e incuriosita dai suoi racconti, di qualsiasi natura essi siano.

Lincoln ha quel tono di voce rude e al contempo rassicurante, carismatico, da cantore, che Octavia rimarrebbe ad ascoltare per ore − come sua madre che, quando lei e Bellamy erano bambini, raccontava loro di dèi, mostri ed eroi − «Ognuno di questi ha un significato diverso.» vedendola così assorta, lui sorride appena, alzandole il mento con due dita, guardandola negli occhi.

Li ha scuri come il cielo stellato, − quasi come i suoi,  forse è per questo che sono più simili di quanto pensi − e per la prima volta nella sua vita, Lincoln darebbe qualsiasi cosa per vederli perennemente illuminati di una luce nuova e brillante che non sia quella della paura, o della fame, del terrore di morire.

Perché Octavia è forte − più di tanti altri ragazzini venuti dallo spazio − e lui, suo malgrado, lo ha visto sin dall’inizio. Così la prende in braccio, continuando a baciarla, le dita fra i suoi lunghi capelli scuri, i respiri a mescolarsi nel crepitio indistinto del fuoco, protetti dalle spesse pareti della caverna; si stende con lei sul giaciglio di morbide pellicce, spogliandola lentamente, imprimendosi nella mente ogni dettaglio del suo corpo, trovandola bellissima. Non smette di guardarla neppure per un momento, neanche quando è lei a prendere in mano la situazione, scrutandolo attentamente, parlandogli con gli occhi − voglio fidarmi di te, sta dicendo, non lasciarmi andare, stammi vicino, sembra che sussurri e Lincoln comprende ogni sua paura, ogni timore, perché un tempo le paure di lei erano state le sue.

«Farò di te una guerriera,» sussurra, baciandole la fronte, il collo, una spalla, intrecciando le dita con le sue e i loro occhi si cercano, rincorrendosi come costellazioni nel cielo, «Ti insegnerò a non avere paura di niente.»

Octavia sorride, a quelle parole. Si avvicina a lui, facendo scontrare i loro corpi, incastrati come pezzi di uno stesso mosaico.

«Per questa notte,» gli confida a bassa voce, mentre Lincoln non smette di baciarla, di stringerla contro il suo petto, facendole venire i brividi, «Non voglio pensare ad aver paura. Ma domani, poco prima dell’alba, tornerò all’accampamento e−»

«No, non puoi.»

«Mio fratello−»

«Tuo fratello se la caverà,» ribatte prontamente, fissandola a lungo negli occhi, «Lui non vorrebbe che tu fossi in pericolo. Rimarremo qui, e quando sarà passata qualche ora.. andremo a vedere. Ma prima di allora,» adesso, sembra che Lincoln la stia supplicando, avvertendola, ma lei sa che non è così. Non può rimanere al sicuro mentre la sua gente muore, «Rimarrai qui, Octavia Blake.» conclude, perentorio.

«Non puoi obbligarmi!»

Lincoln l’attira rapidamente a sé bloccandole i polsi in una morsa ferrea, serio come Octavia non l’ha mai visto, le loro fronti vicinissime, gli occhi che mandano lampi; a tratti, adesso, il viso impassibile come marmo, sembra pericoloso. Ma non le farebbe mai del male. No, non questo.

La fissa a lungo con un’intensità che la spinge, più volte, a guardare da un’altra parte per non abbassare lo sguardo.

«Credi che tuo fratello ti perdonerebbe mai per esserti fatta ammazzare perché volevi aiutarlo?»

Lei non risponde, prendendosi del tempo. Non vuole pensare, o riflettere, contemplare la possibilità che all’alba gli altri verranno uccisi e lei non avrà fatto niente per impedirlo. Vuole solo chiudere gli occhi, Octavia, sprofondare in quella terra soffice al tatto, dimenticare ogni cosa.

«Lui vorrebbe che tu fossi al sicuro,» riprende Lincoln, scostandole una ciocca dal viso, gentilmente, «Io posso proteggerti.»

«Sarei una vigliacca.»

Lui sorride come non l’ha mai visto fare, sinceramente divertito.

«Ed è questo che ti preoccupa? L’orgoglio? Sei coraggiosa, Octavia Blake, ma a volte l’istinto di sopravvivenza conta più di un’ascia nel petto. Hai la mia parola che domani mattina, alle prime luci, ti riporterò da tuo fratello.»

Octavia annuisce, calmandosi e riprendendo il controllo di sé. Una volta, da piccoli, lei e Bellamy si erano fatti una promessa: finchè fossero rimasti insieme, a entrambi non sarebbe accaduto niente di male. E adesso suo fratello era lontano chilometri da lei.

«Va bene,» annuisce, accennando un sorriso che, come Lincoln si accorge, non le raggiunge gli occhi scuri. Lui si alza dal giaciglio di pellicce, avvicinandosi al fuoco e armeggiando in silenzio per qualche minuto.

Octavia si guarda intorno, portandosi le ginocchia al petto, osservando le stelle dall’alto foro nella roccia, sopra le loro teste.

Quando le si avvicina di nuovo, Lincoln le porge una tazza di metallo colma di un liquido caldo e fumante, dall’odore dolciastro.

«Cos’è?»

«Com’è che chiamate quella bevanda che si prende alle cinque con i biscotti?»

Octavia inarca un sopracciglio, perplessa e sorpresa. «Tè?»

«Più o meno, suppongo: non sono le cinque del pomeriggio e non ho biscotti»

Lei ride, accettando la tazza, bevendone un po’ e rabbrividendo appena per il calore del liquido che le scorre in gola, familiare e rassicurante. Sorride nuovamente al ricordo del surrogato di tè che veniva distribuito sul’Arca.

«Come fai a sapere che si prende alle cinque del pomeriggio con i biscotti?» domanda curiosa dopo qualche minuto, ma Lincoln le toglie la tazza dalle mani con l’accenno di un sorriso compiaciuto in volto, facendola sdraiare e coprendo entrambi con una pelliccia chiara. Octavia poggia il capo sul suo petto nudo, rannicchiandosi di fianco.

Cominciava a fare freddo, dopotutto.

«Credo di averlo sentito da qualcuno, quando ero piccolo.»

«Davvero, e da chi?»

Questa volta, crede di aver avuto un’allucinazione. Il verso che fuoriesce dalla gola di Lincoln è diverso, quasi divertito, come.. una risata. Lincoln stava ridendo, dannazione!

«Non lo ricordo, al momento. Dormi, Octavia.»

«Stavi ridendo.» nota lei contro il suo collo, il respiro corto, l’odore di un corpo vivo, caldo e protettivo al suo fianco. Era da tanto che non provava quella sensazione di sicurezza totalizzante che aveva sempre associato a Bellamy.

«Sarà stata una tua impressione.» lo sente borbottare, poco prima di ritrovarsi con la schiena contro il sottile materasso, il petto di Lincoln vicinissimo al suo. Concentrandosi un po’, riesce a sentire il battito del suo cuore.

Lui si avvicina, baciandola di nuovo, come se non potesse farne a meno: è una sensazione nuova anche per lui, occuparsi di qualcuno che non sia esclusivamente se stesso, tenere alla vita di Octavia come fosse la propria.

«Dormiamo, adesso. O domani mattina sarai troppo stanca per camminare e non riuscirai a tornare da tuo fratello.»

«Va bene, d’accordo,» ribatte lei, senza abbandonare il tono di sfida, «Mi hai convinta.»

Diversi minuti dopo, il battito regolare di Octavia lo avvisa della sua immobilità, al sicuro fra le sue braccia. Alzando lo sguardo verso il cielo, Lincoln intravede il bagliore soffuso delle stelle illuminare il viso della ragazza, disegnandole ombre liquide sugli zigomi.

Sarà un’ottima guerriera, pensa fra sé, mentre nei boschi si leva alto e feroce l’ululare di lupi selvatici, l’eco di quel suono perduto tra le fronde degli alberi.

 

 

Si sveglia alcune ore dopo la mezzanotte, destato dal movimento impercettibile di una gamba contro la sua coscia.

Octavia è ancora accanto a lui, ma si muove a scatti, come se stesse avendo un incubo. Lincoln le scosta i capelli dal viso, osservandola attentamente.

«Octavia, svegliati.» le sfiora una spalla, ma lei si irrigidisce al suo tocco, «Ehi, sveglia.»

Muove freneticamente gli occhi al di sotto delle palpebre, il respiro irregolare di chi è in pericolo anche nel sonno.

Diversi secondi dopo, Octavia spalanca gli occhi, un urlo muto a uscirle dalla gola riarsa, agitandosi al di sotto delle pellicce, spaventata.

Da qualche parte, suo fratello moriva e lei gridava.

Lincoln la blocca sotto il suo corpo, guardandola negli occhi, preoccupato.

«Va tutto bene, era solo un incubo.» le sussurra, riuscendo per un attimo a calmarla, eppure lei continua a guardarlo come se non lo vedesse, come se oltre i suoi occhi ci fosse una scena che non può fare a meno di scrutare con inorridita attenzione.

«È morto,» mormora lei, stringendo le mani di Lincoln tra le sue, in preda al panico, «Mio fratello, devo−»

«Sta bene. Tuo fratello sta bene.»

«No, lui è in pericolo, morirà. Lincoln, morirà.»

Octavia si alza, nascondendo il viso nell’incavo della spalla dell’uomo, gli occhi lucidi. Vorrebbe piangere, abbandonarsi alla disperazione, ma lui sa che non lo farà. È forte, Octavia Blake, più di qualsiasi donna abbia mai conosciuto.

«Sono andato a controllare mentre dormivi,» le dice, quando ormai è tranquilla, docile fra le sue braccia, «Ho corso più veloce che potevo, non volevo lasciarti a lungo. Non hanno attaccato. Lo avrebbero fatto a mezzanotte ed è già passata da un pezzo. Tuo fratello ha organizzato turni di guardia, è all’erta. Sta bene.»

Ma lei è ancora persa nei suoi incubi, rivedendo scene di morti atroci e sangue, sangue ovunque. Lincoln le prende il viso fra le mani, inducendola a guardarlo.

«Sta bene, Octavia.»

«Non lo so, dovrei essere con lui e−»

Lincoln sospira, accennando un sorriso.

«Mi ha detto di darti questa,» così facendo, le porge la giacca scura di Bellamy ancora tiepida del calore del ragazzo, e Octavia se la infila velocemente sulle spalle nude, i lunghi capelli scuri come una cascata notturna sul petto, «Vuole che tu rimanga qui, per il momento. Finchè non sarà sicuro.»

«Come faccio a sapere che non è una tua scusa per tenermi qui?» il tono è talmente sicuro di sé che Lincoln si ferma un istante a riflettere, come se non avesse mai contemplato la possibilità di mentirle, fissandola attentamente.

«Cosa c’è?» domanda allora lei, curiosa del fatto che la stia guardando in quel modo, come un cieco che veda per la prima volta la luce del sole.

«Tra la mia gente,» comincia, e Octavia intuisce sia arrivato il momento dei racconti sul suo popolo. Si mette comoda, poggiando il capo sulla sua spalla, «Mentire alla propria donna è un disonore quasi al pari del tradimento.»

Lincoln la guarda, e Octavia sembra accorgersi quanto lui della precisa scelta di parole, «Se un uomo mente alla propria donna è perché ha paura di cosa lei potrebbe rispondere. Ha paura di un confronto.»

«Hai detto alla propria donna..» lo interrompe a un tratto, incrociando il suo sguardo.

«So cosa ho detto.»

Lincoln le sfiora il viso mentre l’attira a sé, baciandola a lungo finchè entrambi rimangono senza fiato.

«Adesso dormi, c’è ancora tempo per l’alba.»

Octavia si stende accanto a lui, il capo nell’incavo del suo collo. Lincoln la circonda con entrambe le braccia, quasi impedendole di muoversi, riscaldandola dal gelo della caverna.

«Questo è un altro modo per dire che mi ami?» gli sussurra lei, sfiorando con le labbra le linee scure dei tatuaggi, avvertendo il battito veloce del suo cuore nelle proprie vene. Lui non risponde, e quando Octavia si solleva per osservare la sua espressione, Lincoln le sorride, rilassato.

«Il mio popolo non dice quasi mai quelle due parole.»

«Considerate l’amore una debolezza?» la vede inarcare un sopracciglio, scettica.

«No. Lo consideriamo come la forza più potente. Per questo non pronunciamo spesso qualcosa che può legare due anime in maniera così indissolubile.»

Octavia gli sfiora il viso, osservando i disegni che ornano quel corpo che l’ha salvata e protetta e amata molte volte. Gli si avvicina, poggiando la fronte su quella di lui.

«Ti amo,» gli sussurra, a voce così bassa che se non fosse stata così vicina, Lincoln non avrebbe potuto udirla neanche con i sensi all’erta, come nei boschi.

Ma le parole di Octavia rimbombano nella sua mente come una nenia, impossibili da ignorare.

«Ti amo,» le sussurra roco, baciandole la fronte, «Octeivia kon skai kru

Poi, lei sorride e Lincoln la copre con il suo corpo, esplorandone ogni centimetro, guardandola sempre negli occhi scuri, stellati. Sorridono entrambi, adesso, mentre a est il buio stende una lastra purpurea e dorata di luce nuova, abbagliante nell’azzurro della foschia mattutina.






Note dell'autrice.
Salve, aw. Sono al primo debutto in questo fandom che seguo da qualche mese, del quale mi sono innamorata perdutamente. La Linctavia
() in particolare, è stata la mia OTP praticamente sin dall'inizio, è stato amore a prima vista. Adoro il loro rapporto di sostegno reciproco, il fatto che siano sempre pronti a sostenersi l'un l'altro - l'abbraccio sul ponte, oh, che cosa è stato.
Ad ogni modo, questa shot è sicuramente ambientata durante la prima stagione ma in seguito all'episodio del Giorno dell'Unione: mi piaceva il fatto che Octavia fosse tornata in quella caverna, da Lincoln. Ora, il "Se un uomo mente alla propria donna è perchè ha paura di cosa lei potrebbe rispondere", è naturalmente una mia licenza poetica; ho immagginato che, nonostante tutto, Lincoln non riuscirebbe davvero a mentire alle sua Octavia

Spero questa shot possa esservi piaciuta (c'è poca Linctavia, in giro) e sarei contenta se voleste lasciarmi un commento, un pensiero, qualsiasi cosa. Ne sarei davvero felice, ci tengo molto.

Alla prossima,
fireslight.
  
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