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Autore: Katnip_GirlOnFire    31/08/2015    3 recensioni
Questo è il primo lavoro che pubblico in questo fandom.
Saranno una serie di OS ambientate dopo l'episodio 2x16, che mi ha lasciata così male che mi sarei messa a piangere.
Questa raccolta sarà pura Bellarke, tutti piccoli episodi che definiscono il loro rapporto.
Ci sarà un po' di angst, ma anche tanti bei momenti fluff.
Non so come descrivere questa cosa, se non come qualcosa uscito fuori dal mio povero cuore di shipper in subbuglio.
Dopo questa introduzione di schifo non credo di aver invogliato nessuno a leggere, ma per favore, date una letta.
E.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                                        ATTENZIONE! L'idea per questa OS non è farina del mio sacco.
                                                                                           Perciò dedico questo capitolo all'utente Nala River, la prima persona ad avermi fatto una richiesta: 
Come l'avrebbe presa Bellamy a scoprire la bisessualità di Clarke, la gelosia, e il pensiero di Clarke con un'altra donna.
Grazie, Nala River, per l'idea geniale e originale. Mi sono divertita molto a scrivere questo capitolo e, anche se non è tutto incentrato sulla tua idea, spero ti piaccia comunque.
                                                                                          (Si, ti avevo detto che ci sarebbero stati altri capitoli in mezzo, ma poi ci ho ripensato ahahahah)




Lexa si presenta al nuovo campo a più di un anno dal suo tradimento, e sceglie il momento peggiore. Tutte le piante nell’orto di cui Clarke si è presa assiduamente cura sono morte per il freddo (tranne l’aloe puntigliosa), è pieno inverno e il freddo ha portato con se un’ondata di influenza devastante.
 
Avevano rischiato di perdere tre individui solo durante il mese di Febbraio. Fortunatamente Clarke era riuscita a risolvere la situazione.
Quella mattina, Bellamy si occupa personalmente di andarla a chiamare.
«Vieni subito, è importante», borbotta uscendo dalla tenda medica alla stessa velocità a cui vi è entrato.
La prima cosa che Clarke nota, è che Bellamy è di cattivo umore.
La seconda è che è stato lui stesso a chiamarla. Di solito manda Miller, o Raven, o altra gente.
Questa volta è venuto lui. Significa che è successo qualcosa di grosso.
Ripone in una bacinella gli aghi che stava sterilizzando  sulla fiamma che era riuscita a creare nella stufetta rudimentale, posizionata in un angolo dell’infermeria.
L’infermeria è l’unica ad avere quell’innovativo congegno.
Era stato creato da Wick e Raven, e Bellamy aveva decretato che il primo prototipo sarebbe stato destinato all’infermeria così da poter, all’occorrenza, sterilizzare velocemente sulla fiamma gli attrezzi medici. Alla dichiarazione tutti i ragazzi si erano lamentati, ma Bellamy non aveva accettato obiezioni.
Alcuni dei più giovani avevano avuto l’idea di fingere una qualche ferita e recarsi in infermeria, dove l’ambiente era un po’ più caldo. Quando Clarke l’aveva scoperto si era arrabbiata tanto, che l’infermeria era rimasta vuota per giorni: i ragazzi preferivano tenersi i malanni, piuttosto che affrontare una mamma Clarke di  malumore.
Clarke medita di estinguere la fiamma, prima di seguire Bellamy.
Poi pensa a quanto ci ha messo ad accenderla, e fa marcia indietro.
Sa che se Bellamy lo scoprisse andrebbe su tutte le furie.
La stufa non è collaudata, potrebbe essere pericoloso lasciarla accesa senza supervisione, le aveva detto uno volta.
Aveva ragione.
Oh andiamo, bisbiglia una vocina nella sua testa.
Quanto tempo potrà portarti via questa faccenda? Di certo non abbastanza perché la tua stupida stufa provochi un incendio.
Clarke ci pensa su qualche secondo in più e poi decide che un po’ di calore in più non avrebbe fatto male ai suoi prossimi pazienti.
Si tira le maniche della pelliccia, nascondendovi dentro le mani, e si calca il cappuccio sul volto.

È molto fiera della sua giacca.
Quando Bellamy era entrato nella sua tenda, presentandole con orgoglio la loro prima pelliccia, Clarke era rimasta a bocca aperta.
«Come…?»
Bellamy aveva alzato le spalle. «Abbiamo preso una lince, e Jackson lavorava nel reparto tessile prima di essere arrestato, sull’Arca, quindi…»
Clarke si era lasciata scorrere tra le dita il tessuto morbido.
Bellamy lo aveva lasciato sulle sue braccia, e lei aveva barcollato sotto il peso del tessuto. Sembrava quasi di avere in braccio l’intero animale.
«È per te», aveva borbottato Bellamy. Sembrava non volesse farsi sentire.
Lei aveva strabbuzzato gli occhi. «Per me?». Aveva ammirato il tessuto.
Poteva farne una coperta morbidissima…
Aveva infine scosso la testa tendendola nuovamente a Bellamy. «No, sono sicura che ci sono persone che ne hanno bisogno più di me»
Bellamy aveva alzato gli occhi al cielo e l’aveva ignorata.
«Prendi la pelliccia dannata e basta», aveva borbottato frustrato fra i denti.
Ero uscito borbottando platealmente e facendo ridere Clarke. «Guarda tu, io cerco di essere cortese, e lei deve rendermi le cose difficili…»
Aveva deciso di tenerla, e di farne una giacca per l’inverno che incombeva.
L’aveva cucita con le sue mani, contando solo sulle sue doti di infermiera.
Aveva ricucito insieme così tanti corpi, che una ghiaccetta sarebbe stata una passeggiata.
Era venuta un po’ strana, una manica era più corta dell’altra, e il cappuccio era così grande che poteva calcarselo sulla fronte e poi anche giù fino al naso. Ma era così calda che non interessava proprio a nessuno, menchemeno a lei.
Nel giro di un mese, grazie al nuovo talento scoperto di Jackson, tutti i membri del campo sfoggiavano giacche e coperte nuove di zecca.
Fortunatamente avevano pensato a tutto in tempo, perché non appena era arrivato Dicembre, le temperature si erano abbassate drasticamente. Sarebbero morti di freddo, senza le loro preziose pellicce.
 
(Quando Clarke arriva ai cancelli, stringendosi nella sua giacca, e vede chi sta aspettando dall’altra parte, pensa che forse avrebbe dovuto spegnere la stufa.
Perché questa questione le prenderà molto più tempo di quanto potesse immaginare.)
 
Lexa, non può fare a meno di notare, non è cambiata affatto.
Porta gli stessi capelli lunghi e la stessa pittura nera sul volto, e nei suoi occhi azzurri non c’è cenno di insicurezza.
Ma anche quello che prova Clarke nei suoi confronti non è cambiato.
Nonostante l’anno passato per conto suo, nonostante abbia imparato a convivere con i suoi demoni, Clarke non si è mai perdonata per quello che è successo. Per quello che ha fatto.
E non vede perché Lexa dovrebbe meritarsi quel perdono che lei non ha concesso nemmeno a se stessa.
Quando la vede, dietro le sbarre dei cancelli, affiancata da un gruppo di terrestri, riemergono gli stessi sentimenti provati quella notte in cui Lexa le ha voltato le spalle.
In cui li ha traditi. In cui l’ha tradita.
Clarke sa di non aver mai amato nessuno oltre a Finn, da quando ha messo piede sulla terra. Ma quello che aveva con Lexa, era simile all’amore, in un certo senso.
Era fiducia. Era rispetto.
(Un po’ come tra me e Bellamy, si era sorpresa a pensare. Poi aveva scosso la testa, scacciando il pensiero)
E avevano condiviso qualcosa, quel giorno in cui Lexa le aveva permesso di appiccare le fiamme alla pira dove giaceva Finn.
Quella volta in cui Clarke le aveva salvato la vita.
Quando Lexa aveva deciso di salvare solo lei dall’attacco del missile.
O quando l’aveva baciata.
Ma Lexa aveva distrutto tutto, lasciando solo rancore e disprezzo nel cuore di Clarke.
Bellamy le strizza un braccio, confortandola, quando la vede impietrita davanti al cancello.
Clarke vede la sicurezza negli occhi di Lexa vacillare.
Ma il comandante non si smentisce mai.
«Bellamy», fa un cenno al ragazzo alzando orgogliosamente il mento. «Clarke», dice guardandola dritta negli occhi.
«Siamo qui per trattare una pace»
Clarke rimane impietrita.
Una pace? Un accordo con la persona che li aveva traditi, portandola ad affrontare mesi di sofferenza atroce e sensi di colpa per quello che aveva dovuto fare dopo l’abbandono?
Bellamy scruta le reazioni di Clarke.
Lui era nel monte, quando il tradimento ha avuto luogo, non sa cosa sia successo di preciso, anche se gli eventi gli sono stati riportati dettagliatamente.
La ragazza al suo fianco resta immobile, lo sguardo fisso su un punto indefinito oltre i cancelli.
«Non possiamo rischiare di stringere accordi con comandanti che non mantengono la parola data», afferma Bellamy con calma, cercando di essere il più diplomatico possibile.
È responsabile di un intero campo, ora, non c’è spazio per sbalzi d’umore che mettano a rischio la sua gente. Stringe i pugni cercando di controllare l’ira.
«Stiamo trattando con molti clan al momento, non possiamo accettare la tua proposta».
Lexa annuisce, e poi si rivolge a Clarke. Chiaramente considera lei il capo.
È la risposta di Clarke che le interessa, non quella di Bellamy.
«Clarke?»
La ragazza non risponde. È confusa, è indecisa, è arrabbiata.
Ma non riesce a esprimere niente di tutto questo, mentre guarda Lexa che attande la sua risposta dietro le sbarre del cancello.
Bellamy la prende per un braccio, allontanandola un po’ dal gruppo.
«Ei», le mette un dito sotto al mento, alzandole il viso in modo che possa vederla in faccia.
«Tondc non è più la capitale, non è importante prendere accordi con Lexa, a meno che tu non lo voglia».
Clarke non è sicura. Di cosa sarebbe capace di fare Lexa, in caso rifiutassero?
«La scelta è tua, principessa»
Ancora una volta, Bellamy le sta dando carta bianca. Le sta dando fiducia.
La stessa fiducia che lei aveva dato a Lexa.
Ma era stato un errore.
Un errore che non ha intenzione di commettere di nuovo.
Raddrizza le spalle e annuisce leggermente.
È pronta ad affrontare Lexa, ora.
«È una scelta, Lexa?», chiede Clarke scrutandola con diffidenza. «O il rifiutare causerebbe altre morti?»
«Certo che no, Clarke, sei libera di rifiutare. Lo giuro sul mio onore», risponde.
«Ma ti invito a prendere in considerazione l’offerta, per favore», aggiunge piano il comandante.
Bellamy viene preso in contropiede dallo scambio. Come se Lexa stesse chiedendo qualcosa a Clarke, come se non le interessasse un accordo con il campo.
Tondc è a più di due giorni di viaggio da qui, sussurra una vocina nel suo orecchio.
Tutta quella strada per un trattato di pace con un campo che non entrerà mai a contatto con il loro territorio. Perché?
Alla fine Bellamy giunge alla conclusione che Lexa è qui per Clarke, anche se non sa il perché.
La risposta di Clarke, in ogni caso, non lascia spazio a dubbi.
«Non stringeremo accordi con la tua tribù, Lexa», dice con decisione. «Non ne abbiamo bisogno, al momento»
Le due si guardano negli occhi per qualche secondo in più del dovuto, poi Lexa annuisce piano.
«Osir fis gon we», ordina seccamente ai suoi accompagnatori, che voltano le spalle e cominciano a ritirarsi.
Lexa si trattiene, guardando Clarke negli occhi un’altra volta.
«Mebi oso na hit choda op nodotaim, Klark com skaikru», dice.
«Leidon, Leksa com trikru», replica Clarke.  *
Bellamy non l'aveva mai sentita parlare nella lingua dei terrestri. Evidentemente l'aveva imparata nel suo anno di pellegrinaggio.
Quando Lexa si volta e si allontana, tutti i membri del campo che hanno assistito allo scambio si guardano perplessi. Non si era mai vista una trattativa di pace conclusa così in fretta, senza neanche aprire i cancelli.
Qualcuno chiede spiegazioni a Bellamy, ma lui li liquida senza troppi complimenti.
Sa che questa non era una trattativa di pace. Non era neanche un tentativo di riconciliazione tra due Clan.
Era solo Lexa, che voleva il perdono di Clarke.
Ma per quale motivo era così importante?
 
Bellamy cerca di chiedere spiegazioni a Clarke, più tardi, ma lei lo evita.
Sa che non è capace di mentirgli, e si vergognerebbe troppo ad ammettere che il suo errore di valutazione rispetto il comandante  fosse stato causato dai sentimenti che provava nei suoi confronti.
 
L’unica persona a cui ha confessato tutta la verità è stata Raven.
«Ti ha baciata?!», aveva esclamato il maccanico strabbuzzando gli occhi.
Clarke l’aveva zittita. «Vuoi che lo sappia tutto il campo?»
«Dio, no, sai quante persone farebbero un pensierino su di te e -»
«Santo cielo, Raven!» l’aveva bolccata Clarke. «Sono queste le uniche cose a cui riesci a pensare?»
Raven aveva ridacchiato davanti alla sua faccia scandalizzata.
«Scusa, è che questa davvero non me l’aspettavo». La serietà aveva subito sostituito l’ilarità. «Ne sei innamorata?»
«No», aveva risposto seccamente Calrke.
«Sei sicura?»
Clarke si era nascosta il viso tra le mani, imbarazzata.
«Dio, come siamo arrivate a questo genere di conversazione?»
Era andata da Raven per liberarsi di un peso. Per confessare la sua colpa a qualcuno.
Tutto sommato, se lei non si fosse fidata di Lexa, forse Raven non sarebbe stata torturata fino al midollo. Letteralmente.
Raven era rimasta confusa dalla domanda, anche se retorica. «Cosa ti aspettavi?»
Clarke aveva sospirato. «Non lo so»
Ma il meccanico la conosceva troppo bene. Le era bastato guardarla in faccia per capire.
«Ti aspettavi che mi incazzassi perché avevi una cotta per quella che poi ci ha voltato le spalle?»
«Forse»
 Raven aveva roteato gli occhi e aveva marciato verso di lei, invadendo il suo spazio.
«Sei incredibile!» Clarke aveva indietreggiato confusa dall’aggressività dell’altra.
«Vai in giro aspettando solo che qualcuno ti dia addosso per colpe che non hai.
Ti abbiamo perdonata per quello che è successo. Tutti ti hanno perdonata.
Solo tu sei rimasta indietro e continui a punirti per quello che hai fatto.
E non potevi sapere che quella stronza di Lexa ci avrebbe traditi, non penso che una pomiciata possa metterti a parte di quel genere di informazioni.
Quindi piantala di fare la vittima e volta pagina. L’abbiamo fatto tutti, ed è ora che lo faccia anche tu»
Clarke era rimasta colpita da quelle parole. Ferita da un certo punto di vista, ma era grata che Raven le avesse pronunciate.
Forse aveva ragione.
«Raven?» Stava per fare un’uscita drammatica dalla tenda in cui si erano rintanate, ma la voce di Clarke l’aveva fermata.
«Grazie»
Il meccanico si era bloccato con un piede fuori dalla tenda e l’altro ancora dentro, indecisa sul da farsi.
«Prego», aveva detto infine.
Poi aveva rinfilato la testa nella tenda e aveva aggiunto con un sorrisino «Non è che poi ti viene voglia di baciare anche me?»

(Raven era uscita dalla tenda appena in tempo per schivare la scarpa che le era stata lanciata, e la risata di Clarke era riecheggiata in tutto il campo.)
 
Bellamy entra nella tenda di Raven quando tutti hanno finito di mangiare.
«Ei, come va la gamba?»
Lei alza gli occhi al cielo. «Ah già, oggi ancora non me lo avevi chiesto»
Bellamy si lascia cadere sul suo materasso a peso morto.
«Accomodati» dice Raven sarcastica.
Ma ormai il suo sarcasmo scivola sulla pelle di Bellamy come acqua, e lui decide di andare dritto al punto. «Sai che problemi hanno, o avevano, Clarke e Lexa?»
Raven non si fa prendere dal panico alla domanda. Aveva promesso a Clarke che non lo avrebbe detto a nessuno, e aveva intenzione di mantenere la promessa. «Di cosa parli, Blake
Bellamy la scruta con attenzione.
«So che lo sai, ma non me lo vuoi dire», afferma inclinando un po’ la testa di lato. «Perché?»
Ma il meccanico non cede. «E come sapresti tutte queste cose, Blake
Bellamy sorride sornione.
Oh, si aspettava quella domanda.
«Ti conosco bene ormai, Reyes», afferma socchiudendo gli occhi. «So che non piangi spesso, ma se vedi le lacrime di qualcuno ti apri anche tu come un rubinetto.
So che un tuo sorriso non è vero se non stringi gli occhi fino a quasi chiuderli.
So che ti mangi le unghie quando sei nervosa.
E so che quando menti alzi più volte il sopracciglio destro»
Merda, pensa Raven, l’ho appena fatto.
«E so che mi chiami per cognome ogni volta che menti a me.
Quindi, cosa hai da dire in tuo discolpa?»
Raven forza una risata. «Tu bevi troppo moonshine, Blake»
Cazzo, lo ha fatto di nuovo.
Bellamy sorride soddisfatto.
«E se tutto questo non basta a convincerti a dirmi la verità, dirò a Clarke che la settimana scorsa ho beccato te e Wick a giocare al dottore e l’infermiera nella tenda medica»
«Stai bleffando»
«E che nessuno dei due era malato» prosegue imperterrito Bellamy con un sorriso malizioso sulle labbra.
Raven strabuzza gli occhi. «Non oseresti», sibila.
«Vuoi vedere?»
Alla fine la ragazza cede, ma in sua discolpa bisogna dire che ha tentato con tutte le sue forze di resistere alla furia indagatrice di Bellamy.
Alla fine del racconto, Raven sbuffa, spingendolo fuori dalla sua tenda.
«Ecco, ora torna nella tua tenda e sfoga un po’ della tua frustrazione. Ho appena aperto nella tua mente un hard-disc pieno di immagini della tua principessa in situazioni sessualmente interessanti»
«Io non penserei mai a Clarke in…oh - » Bellamy si blocca subito, accorgendosi di averlo appena fatto.
«Si, come no» dice Raven sarcastica.
 
Bellamy la cerca per tutto il campo. Nella sua tenda non c’è, e neanche nella tenda medica.
Dove si è cacciata?
Magari si è trovata qualche altra ragazza…
Quando si sorprende a pensare una cosa del genere, Bellamy vorrebbe schiaffeggiarsi.
Non poteva essere geloso. Geloso di Clarke.
Erano co-leader. Erano quasi famiglia.
Spero che non pensi determinate cose anche degli altri membri della tua famiglia, lo riprende una vocina nella sua testa. La scaccia infastidito.
Con Clarke non era così, non era quel tipo di rapporto. La loro era più una relazione intellettuale, strategica.
Anche se pensando a…
Bellamy tenta di bloccare il pensiero sul nascere.
La cosa gli sta sfuggendo di mano.
La trova sulla collinetta. È il punto più alto del campo, dove di solito montano i turni di guardia.
Ma ora c’è solo lei, lo sguardo rivolto verso il cielo, i capelli che brillano alla luce pallida della luna.
«Non dovresti stare qui per troppo tempo» dice affiancandola. Lei sobbalza, spaventata, ma riconosce subito la voce e si rilassa. «Non vorremo che il nostro medico si prenda l’influenza»
«Non prenderò l’influenza, Bellamy»
«Me lo prometti?»
Clarke sbuffa. «Si, te lo prometto»
Restano in silenzio per un po’, lo sguardo rivolto verso l’alto, a guardare le stelle e le nuvolette che le loro bocche creano nella fredda aria notturna.
Bellamy decide di affrontare la questione di petto.
«Senti, principessa, per quello che è successo oggi -»
«Bellamy…»
Lui non la lascia intervenire. «So tutto»
Clarke non si volta per guardarlo, spaventata da quello che avrebbe potuto trovare sul suo volto.
Rabbia? Disprezzo? Disgusto?
«So tutto. E posso dirti che niente di tutto quello che so ha importanza»
Vorrebbe credere a quelle parole. Clarke vorrebbe davvero farlo, ma sa che non è la verità.
«Andiamo, Bellamy» dice piano, continuando a guardare davanti a se. «Sappiamo entrambi che non è così»
«Non puoi farti una colpa di quello che è successo solo perché -» Bellamy si blocca, in cerca delle parole.
Finalmente, Clarke si volta verso di lui.
«Solo perché cosa, Bellamy?» sibila. «Solo mi sembra una parola un po’ riduttiva per descrivere il concetto si è inafatuata del comandante a tal punto da non capire che li avrebbe traditi»
Entrambi restano in silenzio per un po’, e alla fine è di nuovo Clarke a parlare.
«Me l’aveva detto anche lei», sussurra. «Anche Lexa mi aveva detto che l’amore è una debolezza. Avrei dovuto ascoltarla.»
Sentire quelle parole fa piangere il cuore di Bellamy. Quei primi anni di vita sulla terra li avevano provati tanto da non conoscere più il vero significato dell’amore.
Ma alla fine, Bellamy era arrivato a capirlo. Contro ogni pronostico, era la persona meno probabile ad avere la risposta.
Vuole che Clarke lo sappia.
Vuole estirpare quel concetto marcio dalla sua mente, e mostrarle la gabbia in cui si era rinchiusa da sola, in modo che si possa liberare.
«Clarke» le poggia entrambe le mani sulle spalle e la costringe a guardarlo.
«Queste sono tutte stronzate, e dovresti saperlo tu meglio di chiunque altro.
Cos’è stato a creare quello che abbiamo intorno, eh? A costruire questo campo?
L’odio? Il potere?
O è stato l’amore che proviamo per la nostra gente?»
Ormai le parole scorrono sulla sua lingua e non riesce a fermarle. Clarke pende dalle sue labbra.
«Nonostante io mi sia opposto con tutte le mie forze, è stato l’amore tra O e Lincoln a unirci con le altre tribù.
È stato l’amore che condividevano Jasper e Maya a convincere molti uomini della montagna a nascondere e proteggere i ragazzi che erano prigionieri lì, nonostante queto li abbia condotti verso la morte.
È stato il nostro amore per la vita a farci sopravvivere fino a oggi. E guardati intorno» Bellamy indica il campo sotto di loro. Il loro campo. «Siamo felici, per quanto possibile»
Clarke non parla. Non saprebbe cosa dire.
«Quindi non venirmi a rigurgitare quelle stronzate sull’amore e la debolezza, perché chiunque creda in quelle cose o è pazzo, o è un idiota, o è cieco»
Bellamy conclude il suo discorso, sollevato per aver detto tutto quello che le voleva dire.
Vorrebbe che Clarke vedesse quello che vede lui.
Vorrebbe che vedesse quanto la loro gente li prenda a riferimento, li rispetti, e li ami.
Vorrebbe che si sentisse amata.
Perché lo è, e neanche lo sa.
Clarke resta al suo posto, apre e chiude la bocca senza emettere suoni.
Poi fa l’unica cosa che riesce a fare, e che possa trasmettere a Bellamy tutta la gratitudine che prova nei suoi confronti.
Lo abbraccia.
Stringe le braccia intorno alla sua vita e affonda il volto nella sua maglietta.
Odora di muschio, di legna bagnata, di pioggia. Di lui.
Bellamy è preso un attimo in contropiede, ma poi la stringe a se, dandole piccole pacche sulla testa.
«Stiamo facendo un buon lavoro», le sussura fra i capelli. «Stiamo andando bene»
Clarke annuisce sul suo petto e poi si allontana, un po’ imbarazzata.
«Ehm si-»
«Si…» Bellamy si passa una mano dietro al collo. «Io vado a…ehm, spegnere il falò»
«Giusto»
Bellamy sta per scendere la collina, quando Clarke lo blocca.
«Posso chiederti l’ultima cosa?»
Lui si volta verso di lei.
Clarke prende un respiro profondo. «Cosa pensi del fatto che io fossi…emotivamente coinvolta da una donna?»
Aveva letto diversi libri in riguardo, sull’Arca. Discriminazione, suprusi.
Gli erano giunte voci anche di alcune coppie sull’Arca. Ma non interessava a molti, siccome lassù meno si procreava, meglio era.
Però si chiede, ora che non c’è più quel genere di problema, cosa potrebbe pensarne la sua gente. A Raven non era interessato.
Bellamy per un attimo non sa cosa rispondere: non aveva pensato a quell'aspetto, al fatto che Clarke potesse sentirsi insicura per via del suo orientamento sessuale. Allora rivolge lo sguardo verso il cielo, e si ricorda di un libro letto sull’Arca.
«Sai, una volta ho letto di un filosofo che spiegava come siano nati l’uomo e la donna.
Inizialmente erano una sola unità, ma poi il padre dell’olimpo Zeus, accecato dall’invidia verso la perfezione di quell'essere ermafrodita, lo aveva tagliato a metà, dando origine all’uomo e la donna.
Da quel giorno tutti gli uomini e le donne sono in cerca della loro metà, la metà complementare. La metà che li renda di  nuovo perfetti»
Clarke è affascinata dalla spiegazione, ma non capisce il motivo di quella lezione di filosofia.
«E…?»
Bellamy sorride. «Il mito vuole che dal momento che trovano la loro metà non saranno più capaci di amare nessun altro in vita loro.
Ma l’amore più alto, è quello che prova l’uomo verso un altro uomo, o la donna verso un’altra donna, perché in questo modo non ha alcun desiderio…corporale. È un amore intellettuale, spirituale.
È puro
«E come si chiamava il filosofo?»
«Non me lo ricordo» Bellamy sorride. «Ma sono d’accordo con lui»
Clarke sorride a sua volta, e Bellamy è contento che sia per merito suo.
Le sue labbra sono ancora più belle, illuminate solo dalla luna. E chissà quante cose –
Bellamy! Riprenditi.

«Posso farti una domanda io?»
Clarke sta per andarsene, ma si blocca immediatamente. «Certo»
«Come è stato baciar - »
La voce nella sua testa lo rimporovera allo stesso tempo in cui lo fa Clarke.
Bellamy Blake, adesso basta.
«Dio, Bellamy!»
Alla sua espressione scandalizzata non riesce a fare a meno di ridere di cuore.
«No, seriamente, è per - »
Clarke praticamente corre giù per la collina.
«Io vado a letto», gli urla. «Cerca di dimenticare tutto, friggiti il cervello nella candeggina, se necessario, Blake»
«Non abbiamo candeggina», gli urla dietro lui.
«Chiedi aiuto a Monty, allora».
Bellamy ride, perché sa che non basterebbe nemmeno la candeggina a eliminare le immagini che il suo cervello ha creato.

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*Le frasi in Trigedaslang tradotte in ordine di apparizione:
«Ce ne andiamo»
«May we meet again, Clarke del popolo del cielo»
«Addio, Lexa del popolo degli alberi»

Ho cercato su internet. Apparentemente il dialetto usato nel telefilm è ripreso da un dialetto inglese antichissimo. 
Ci ho messo tanto a scrivere il capitolo perchè ho trovato un sito fighissimo dove è spiegato tutto di questo Trigedaslang, dai tempi verbali, agli aggettivi possessivi ecc..
In poco tempo lo parlerò fluentemente, ne sono convinta ahahahhaha.


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Eeeeeeiiiiiii.
Scusate il ritardo, ma credevo che tra questa OS e quella precedenti ci sarebbero stati altri capitoli. Poi ci ho ripensato.
Mi scuso, perchè mi sono accorta che ci sono certe incoerenze temporali, che andrò subito a correggere.
Apparte quello, non ricordo il nome di nessuno dei 42. Quindi per evitare di mettere sempre in mezzo Monty, o Miller, o Monroe, o Jasper, o chissoio, ho deciso che inventerò altri nomi. Yeeee.
Per il resto...per chi non lo sapesse (e dubito che ci sia qualcuno che non lo sappia, ma io lo scrivo lo stesso, per sicurezza), il filosofo di cui parla Bellamy è Platone, che usa il mito delle metà scritto dal commediografo greco Aristofane, per spiegare la sua idea di amore platonico. Se non lo sapevate, tranquilli, lo studierete a scuola, e vi ci faranno una testa grossa quanto un capanno. Ergo, non c'è bisogno che vi rompa io i cabbasisi.
E niente. Spero vi piaccia questa cosina, perchè a me è piaciuto scriverla.
Se avete richieste o critiche, al solito, vi prego di farmelo sapere.
Bellaaaaaaaa :)
E.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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