L’aveva ingannato ancora una volta. Aveva lasciato che le bugie valicassero i sentimenti e le aveva camuffate in languide promesse d’amore. Fujiko non era capace di amarlo. Se ne era reso conto tanto tempo prima e ogni giorno ridefiniva i contorni del niente, una manciata di attimi infarciti di una sensazione cosi sgradevole da appiccicarsi sulla pelle. Lui non era niente. Se l’era ripetuto così tante volte da volerselo scrollare di dosso ma ogni volta i suoi desideri riesumavano a imbrattargli la mente, a rincarare la dose.
Erano desideri promiscui che si colmavano di erotismo, che si appagavano di forme ed eccedevano nella voluttà. La voleva. La voleva come non aveva mai voluto nessun’altra donna. Era il capriccio che gli martellava le membra e il cuore. Nel cuore Lupin aveva stipato un frammento di loro, una cornice di brama e di utopie. Il suo corpo nudo, spoglio di qualsiasi meschinità, seni e forme che gli inebriavano la fantasia, lo consumavano.
Era la donna che avrebbe voluto baciare con una forza brutale che non gli si addiceva. Lingue e denti che si confondevano nella voracità di un bacio sempre più sporco, proibito, le gambe placcate da quelle di lui, i fianchi sinuosi brancicate da mani ruvide e potenti, anime unite in un connubio impunito, dettato dalla sfrenatezza.
Era quello che era successo quando Fujiko aveva smesso di amarlo e da allora l’amore si era condensato in una scopata, consunto in un desiderio sgualcito di affetto. Lupin si era accontentato ma l’amore che lui provava si iniettava in ogni sua azione, ogni sbaglio o ogni presa in giro di lei. Era il prezzo da scontare per non averla fatta innamorare.
Ce l’aveva solo nei suoi sogni quando la guancia si adagiava al cuscino, allora ce l’aveva davvero, stretta sul suo petto, protetta dal suo amore.