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Autore: Pizee_01    01/09/2015    8 recensioni
[Tratto dalla storia]
Mi siedo sulla poltrona. Cigola.
Avvicino a me il fascicolo, lo apro e... no, non può essere...
“Imputato: Duncan Nelson
Accusa: omicidio di secondo grado.”
ATTENZIONE:
In questa storia si tiene in considerazione solo TDI, TDA, e TDWT
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Scott | Coppie: Duncan/Courtney
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale
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La legge del gioco
Capitolo 1: Nell'ufficio
Accendo la sigaretta. Aspiro. Il sottile strato di nebbia del fumo inizia a riempire il mio buio e grigio ufficio. Mi sento incredibilmente meglio, come se oggi non fosse accaduto niente di vagamente emozionante. Invece, è successo. Guardo fuori dalla finestra, vedo il cielo grigio, e sento odore di pioggia. Mi alzo, e vado a chiudere la finestra.
Torno verso la scrivania e mi siedo sulla mia vecchia e logora sedia in pelle nera. Aspiro ancora, guardo la sigaretta consumarsi lentamente.
Oggi c'è stata la grande rimpatriata dei concorrenti del reality. La prima cosa che pensai quando ricevetti la chiamata da Bridgette fu “perché?”. Perché? Continuai a chiedermelo mentre, parlando con lei, mi fingevo entusiasta. Mi disse che alcuni vecchi compagni non sarebbero potuti venire. Quella piccola informazione mi rallegrò un poco. Ma non troppo. Io non volevo vedere nessuno di loro. Nessuno faceva eccezione.
Quei due non c'erano. Per fortuna. Quindi la serata è andata avanti a sorrisi e risate finte.
Dopo il reality io tagliai completamente i ponti con la mia vita precedente. Non sento la mia famiglia da allora. Be', almeno, non mi dovetti preoccupare di trovare il modo di dire ai miei genitori che me ne sarei andata di casa: ci pensarono loro. Non avevo concluso niente con il reality. E avevo sprecato anni che avrei potuto passare all'università per rincorrere l'idea di vincere il milione di dollari. Non ero una figlia degna di far parte di quella famiglia
Per colpa di quello stupido show ho perso la mia famiglia. Non che, a casa, qualcuno mi volesse bene, però, sarebbe stato bello avere delle persone a cui poter dire: “ho trovato lavoro” oppure “mi sono laureata”.
Ormai la sigaretta si è quasi consumata completamente, perciò la spengo nel posacenere pieno che sta vicino al portapenne. Guardo il mio ufficio; un po' mi rispecchia: disordinato, abbandonato e pieno di polvere.
Non ho un cliente da mesi. Non so il perché, ma ormai non me lo chiedo neanche più. Vengo qui cinque giorni alla settimana solo perché il mio appartamento è messo peggio di questo trasandato ufficio.
Guardo fuori. Le gocce ormai cadono copiosamente. Sento un tuono. Mi viene un brivido.
Il mio orologio da polso inizia ad emettere quel fastidiosissimo e penetrante suono: è ora di tornare nella bettola.
Faccio per alzarmi ma la porta si apre. È il mio capo. Sono sorpresa: sarà da due anni che non entra nel mio ufficio.
-Barlow, ho un caso per te.-
Come? Un caso? Non parlo, ma la mia sorpresa può benissimo essere colta semplicemente guardando i miei ormai vuoti occhi.
-Bene, domani comincerò a lavorarci su.-
-Inizierai a lavorarci ora.-
Butta malamente il fascicolo sulla mia polverosa scrivania, senza lasciarmi il tempo di terminare la frase.
Mi porto una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio, valuto l'ipotesi di passare la notte a lavorare su un caso. Una notte senza ratti che camminano sul pavimento non può farmi che bene.
-Come vuole. Per quando è fissato il processo?-
-Tra una settimana.- dice, facendo un ghigno divertito nel momento in cui vede il mio viso che muta dal sorpreso-indifferente al sorpreso-indignato: è rimasto talmente poco rispetto in me da affidarmi un processo che sarò sicuramente destinata a perdere? Che schifo di vita.
-Le conviene fare in fretta.- aggiunge.
Il nervoso sostituisce la sorpresa. Perché me l'ha assegnato solo ora?
-L'imputato ha chiesto solo ora un avvocato.- risponde, svogliatamente, come se io fossi solo una bambina che non merita alcuna spiegazione.
Trascorriamo alcuni secondi immersi nel silenzio, riempito solo da secco rumore della pioggia che penetra la finestra chiusa.
-Be', la lascio lavorare. Arrivederci, Barlow.- Si congeda.
Mi dà abbastanza fastidio il fatto che mi abbia chiamato solo “Barlow”, invece che “avvocato Barlow”, ma è il mio capo, perciò me ne sto zitta.
-Arrivederci, Mr. Daniels.- dico, cercando di non far trapelare quanto la cosa mi irriti.
Esce dal mio ufficio sbattendo la porta. Sospiro profondamente.
Mi siedo sulla mia poltrona. Non apro subito il fascicolo. Mi alzo di nuovo, e mi avvicino alla finestra, la apro e mi affaccio. Sento le gocce che mi bagnano il viso. Ormai la pioggia è l'unica cosa che mi dà la piacevole illusione che io sia un essere vivente, e non questo vuoto e inutile involucro. Vedo un lampo.
Sorrido amaramente. Mi ricordo di quando, ai tempi del reality, quando vedevo un fulmine, la prima cosa che pensavo era: io sono forte come un fulmine. Che sciocca che ero.
Una sciocca principessina viziata e totalmente ignorante.
Però, un po' mi manca quel periodo. Il periodo in cui l'unica persona che mi amava ero io. Ora non mi ama nessuno.
Riporto la testa dentro all'ufficio. Chiudo la finestra.
Mi siedo sulla poltrona. Cigola.
Avvicino a me il fascicolo, lo apro e... no, non può essere...
“Imputato: Duncan Nelson
Accusa: omicidio di secondo grado.”
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE
Salve, popolo di efp! Allora, vi è piaciuto questo primo capitolo? Fatemelo sapere con una recensione; soprattutto se potete farmi delle critiche costruttive. Il mio unico obiettivo è migliorare. Grazie per aver letto, ed al prossimo capitolo!
 
Pizee
   
 
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