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Autore: tyelemmaiwe    02/09/2015    8 recensioni
Ne “I figli di Hurin” veniamo a sapere che Gwindor, prigioniero in Angband, riuscì a scappare grazie a una piccola spada donatagli da un noldo che lavorava nelle fucine.
Un elfo di cui non sappiamo nulla, uno tra i tanti noldor prigionieri in Angband, che con il suo gesto ha permesso la fuga di Gwindor.
Con questa breve storia ho voluto provare a raccontare qualcosa in più su questo elfo senza nome, tentando di immaginare quali potrebbero essere stati i suoi pensieri e le sue motivazioni in questo particolare momento.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ti chini ancora una volta sulla forgia, quella forgia che non riuscirai mai ad odiare, che non puoi né vuoi fondere con l’orrore che ti circonda e ti soffoca, ogni giorno più crudele. E’ il dolore la tua unica compagnia da quando ti hanno trascinato in quel buio senza speranza né respiro… Anni? Decenni? Yeni prima? Non ha importanza. L’oscurità il tempo lo ha annientato come ha annientato ogni altra cosa se non quegli orridi esseri, gli unici che sei costretto a notare.
Il resto scivola via come in un incubo, lampi di fuoco e grida confuse sempre divorate dal buio. Ti circondano solo caverne di disperazione, ora, e creature senza pietà né anima che, in quella oscurità, sembrano essere ovunque.
Loro e le frustate che ti infliggono quando credono che le tue braccia si muovano troppo lentamente per i desideri di Moringotto. A volte è lo stesso martello con cui lavori che ti rivolgono contro, e sono attimi in cui solo la sopravvivenza si frappone tra te e il lasciarti cadere a terra sotto i colpi, tra te e l’arrenderti e aspettare l’unica liberazione possibile da quella sofferenza senza fine.
Ma la morte non arriva mai, in Angamando.
Sei giunto a chiederti se sia un’altra, crudele tortura aggiunta alle mille altre che siete costretti a subire: sono tanti quelli che cercano la morte, che provano a infliggersela con i loro stessi strumenti o rifiutando quel poco di cibo e di acqua che vi gettano ogni tanto. Ma per pochi, per troppo pochi funziona. I vostri aguzzini non concedono nemmeno il tempo necessario al fea per staccarsi dallo hroa.
C’è una spada davanti a te, adesso. Una spada piccola, solida e rapida. E’ tanto che non ne vedi una così e per un attimo ti chiedi, confuso, se sia frutto di un nuovo ordine che hai eseguito meccanicamente oppure se, inaspettatamente, tu sia riuscito a ricominciare a creare… Ti aggrappi a quella corta lama d’acciaio, e la curi nei suoi minimi dettagli, ma quasi senza vederla veramente. Troppe immagini si sovrappongono…
C’è la tua spada, quella che hai portato fieramente fino alla cattura, durante un assedio che sembrava diventato indistruttibile, sempre più forte com’era tra nuovi alleati e speranze di altri anni di gioia. Ti ritorna alle narici il profumo dell’Ard-galen, dei metalli che lavoravi in fucine illuminate dalla luce di Vasa e che tempravi nell’acqua fresca. Ci sono i volti dei tuoi compagni e amici che ti circondano, nella gioia dei momenti di pace come nelle durezze della guerra.
Ma ci sono anche le innumerevoli spade che hai dovuto forgiare quando il nemico a saputo della sfida dei re dei Noldor. E l’orrore che hai provato in quei giorni lo porti marchiato a fuoco nell’anima e non vuoi dimenticarlo, perché continuare a ricordarlo è il solo modo in cui puoi chiedere perdono. Hai forgiato tu le lame che hanno ucciso i tuoi compagni, forse i tuoi amici sono morti sulle tue stesse spade, e l’idea ti spezza, ti piega come un pezzo di ferro mal forgiato, ti porta a vomitare quel poco cibo che ti dovrebbe tenere in vita.
Abbiamo solo questo, non sprecarlo…
Ti mormora di tanto in tanto una voce, a volte comprensiva, a volte incattivita dalla disperazione. Sono solo voci, quasi non riesci più a distinguere l’aspetto di coloro che hai attorno. Possono esseri piegati dal lavoro e sfregiati dalle frustate chiedersi se i propri compagni hanno ancora un volto?
Eppure, quando per un momento ti soffermi a guardare chi ti circonda, un volto emerge tra gli altri. Ha ancora un guizzo di luce negli occhi, nonostante la paura e i tormenti che sta sopportando. Sai che è tra i noldor che vengono costretti a scavare per Moringotto, a faticare in quei suoi tunnel maledetti da cui a volte qualcuno scappa, in cui a volte alcuni muoiono.
La piccola spada si raffredda tra le tue mani esperte e finalmente vedi il luccicare della sua lama, testi il filo tagliente dei bordi. Hai pochi attimi. Ti volti appena e fermi quel noldo senza nome ma con quella luce ancora fiera negli occhi e gli tendi la tua piccola spada. Scappa. Non aggiungi altro, non ce n’è bisogno.
Lui ti guarda, la luce nel suo sguardo aumenta. Ti basta che stringa la spada tra le mani per sapere che ce l’hai fatta, che forse un modo più reale di chiedere perdono lo hai trovato, un modo per partecipare ancora, un’ultima volta, alla guerra.
Hai solo un momento per ritornare a voltarti verso la forgia prima che le frustate ti strazino ancora la schiena che ormai non sente più nulla, se non il sangue che scorre dalle ferite.
Rimani al tuo posto, schiavo. Ti sfregiano le spalle, la schiena, le gambe… Le braccia no, quelle gli servono. E servono a te, ti sono servite ancora una volta.
Nel buio insonne che dovrebbe essere la notte ripensi a quella piccola spada… Arriverà in superficie, Porterà con sé il ricordo di te? Forse.
La speranza è come quel refolo amaro di vento che ogni tanto raggiunge te e gli altri in quell’abisso d’orrore. Suficiente solo per trarre un respiro, il più profondo possibile, e che in un attimo è già dimenticato.
Ma tu la memoria la vuoi conservare, la memoria di una spada.


Note dell’autrice:
Eccomi qui di nuovo, stavolta con un racconto decisamente più cupo…
Veniamo a sapere di questo elfo quasi per caso, mentre Gwindor racconta a Beleg come è fuggito da Angband. Non sappiamo assolutamente nulla di lui, conosciamo solo il lavoro che era costretto a svolgere come schiavo di Morgoth e che, a un certo punto, ha sfruttato questo lavoro per aiutare Gwindor. Eppure la figura di questo noldo che con il suo gesto ha permesso a un altro prigioniero di scappare mi è sempre rimasta impressa, e volevo provare a dare una voce anche a lui, ad approfondire il suo personaggio e le motivazioni che lo hanno spinto a questa decisione.
Spero di esserci riuscita, almeno in parte!

Fea e hroa significano, rispettivamente, spirito e corpo in lingua quenya.

Moringotto è la versione quenya del nome Morgoth, mentre Angamando è la traduzione Quenya del nome Angband.

Yeni invece è il plurale della parola yen, un termine che indica un periodo di centoquarantaquattro anni, il corrispettivo elfico del nostro secolo.

Ho lasciato Ard-galen in Sindarin, nonostante tutte le altre parole siano in quenya, perché è un nome che conosciamo solo in questa lingua e non abbiamo una traduzione in quenya, purtroppo…

Spero davvero che questo racconto vi piaccia… E’ il primo racconto di questo genere che scrivo, e non posso che sperare di non aver fatto solo un insipido disastro XD.
Come sempre sarò felicissima di ricevere un commento, positivo o negativo che sia!

A prestissimo!
Tyelemmaiwe
  
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