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Autore: Sheep01    02/09/2015    5 recensioni
Il fatto di avere del tempo libero doveva aver riattivato un qualche neurone da casalingo disperato, perché non c’era alcun buon motivo per cui Clint Barton dovesse fare un repulisti di tutto ciò che di superfluo aveva accumulato nel corso degli anni. Accumulato e trascinato appresso dai tempi in cui ancora… non si faceva la barba.
Ogni tanto tocca slegarsi dal passato, dicono. E la scintilla era scoccata durante una giornata sorprendentemente afosa di un settembre newyorchese.
[Clintasha]
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: tutti i personaggi citati sono di proprietà di Marvel e Disney. La storia non è stata scritta a scopo di lucro.

 


One Shot senza arte, né parte, ideata e scritta per il compleanno della mia socia in affari (magari!) Clintasha: Hermione Weasley. Tanti auguri, amica mia. Te la dedico tutta.


 

THE PRETTIEST STAR

 

 

*

 

Era già al terzo starnuto.

Il quarto se si contava quello che stava soffocando in modo più o meno comico con un fazzoletto ripescato da chissà dove.

Maledizione al giorno in cui aveva deciso di dare una svolta alla sua vita. O nello specifico al suo appartamento. Il fatto di avere del tempo libero doveva aver riattivato un qualche neurone da casalingo disperato, perché non c’era alcun buon motivo per cui Clint Barton dovesse fare un repulisti di tutto ciò che di superfluo aveva accumulato nel corso degli anni. Accumulato e trascinato appresso dai tempi in cui ancora… non si faceva la barba.

Ogni tanto tocca slegarsi dal passato, dicono. E la scintilla era scoccata durante una giornata sorprendentemente afosa di un settembre newyorchese.

A seguito di una visita un po’ ambigua di una certa Natasha Romanoff.

 

Ti sei mai reso conto di come questo appartamento sembri avere una vita propria?”

Nel senso che ha l’aria di un posto vissuto?”

Nel senso che quel foglietto per terra si sta spostando da solo.”

Ah, dannati scarafaggi.”

 

Cinque minuti dopo era scattata la rivoluzione.

Se prima, nel suo ordinario caos, l’appartamento sembrava avere una certa logica, adesso, dopo quasi due ore di operazioni di riesumazione, sembrava un magazzino ricco di stramberie.

“Queste le vuoi tenere?” Natasha gli aveva trascinato di fianco uno scatolone colmo di vecchie videocassette. Alcune originali, altre registrate e con etichette ricche di cancellature e correzioni.

Clint aveva rialzato il naso da tutta una serie di viti e cacciaviti che aveva dimenticato di avere nascosti più o meno in tutti i cassetti di casa.

“Certo, ma che domande mi fai?” Natasha si strinse nelle spalle, evidentemente perplessa. “E’ pieno di classici qui dentro.”

“Ti riferisci alle puntate del David Letterman o alle partite degli Iowa Hawkeyes? Sicuro di non aver registrato anche le lezioni di cucina di…”

“E pensi che lavorerei per lo SHIELD se fossi un cuoco provetto?” la interruppe (per non doverle rivelare che qualche corso di cucina se l’era registrato davvero).

Natasha, di nuovo, si strinse nelle spalle. Se per sottolineare l’ovvietà della sua domanda o se per aggiungere che non c’era alcuna connessione a riguardo, non seppe dirlo.

“Mi riferisco a… c’è anche Twin Peaks qui dentro.” La sentì rilanciare.

“Seriamente?” Clint le strappò letteralmente la videocassetta di mano. “Credevo di averla persa per sempre e… ah no…” stronfiò delusissimo, “ci ho registrato sopra Titanic.”

“Titanic?”

“Sì, Titanic. È un classico.”

“Credevo fossi più orientato verso la fantascienza.”

“Ma Titanic è… fantascienza. E Jack è un viaggiatore del tempo…”

“Scusa, non ti seguo.”

“Jack Dawson…”, si voltò a guardarla come se dovesse darle una spiegazione molto dettagliata a riguardo, “… in una scena del film menziona la pesca nel lago Wissota. Un lago che è stato creato dall’uomo nel 1917, ben cinque anni dopo… che il Titanic è affondato.”

Natasha lo guardò perplessa.

“Quindi… dato che non voglio pensare a una pessima scrittura da parte di Cameron che si è ciucciato ben undici oscar… Jack è stato pensato come un viaggiatore del tempo.”

“Tu sei malato.”

“No, io sono analitico.”

“Nerd…”

“Come?”

La donna si concentrò sulla ricerca di qualcosa di diverso, infilando le mani in un altro scatolone, stracolmo di cianfrusaglie.

Clint scosse la testa. Non era compito suo istruire l’universo su tutti gli errori storici nei film. Alle volte amava considerarle licenze poetiche, altre, meno intelligibili, preferiva catalogarle nella sezione della fantascienza.

Cominciò a raggruppare tutte le viti, e quando decise che erano diventate troppe, prese a frugare alla ricerca di una qualche scatola per infilarcele. Magari a Stark avrebbe fatto piacere averle. Insomma era plausibile pensare che gli sarebbero potute servire per tutta quella latta con cui costruiva le sue armature. Qualche vite doveva pur avercela la sua armatura… o no?

Ancora preso a ragionare su come Stark tenesse unite le parti delle sue Mark qualcosa, si trovò a stringere fra le mani una scatola che sembrava fare al caso suo: coperta di almeno due dita di polvere a malapena si riusciva a riconoscere il disegno impresso sul legno.

Ci passò la mano sopra, e solo dopo una bella strofinata, comparve quello che aveva tutta l’aria di essere un elefante in bilico su una palla colorata.

Sentì qualcosa di decisamente poco consono prenderlo alla base dello stomaco. E quel prurito alla nuca? O il pizzicorino alla gola?
Molto poco virile, Barton.

Decise di aprirla solo dopo averci speso su troppi secondi a riportare alla memoria ricordi ormai sbiaditi.

La scatolina si aprì con un cigolio di perni arrugginiti e l’istante successivo una musichetta da circo, prese a risuonare per la stanza.

“Che cos’è?” fece Natasha, spolverandosi le mani, per andargli vicino. Forse sorpresa, forse incuriosita… o divertita che Clint fosse l’orgoglioso proprietario di un carillon.

“Una cosa che credevo di aver perso.”

“Come tutto quello che ci circonda, praticamente.”

“No…” scosse la testa, “no, questo è diverso.” E nel dirlo mise le mani all’interno della scatolina, facendo scattare il doppio fondo che stava alla base.

Lo aprì con una certa delicatezza, come timoroso di fare qualcosa di estremamente sbagliato. Non era certo la prima volta che la sua sensibilità da elefante produceva danni irreparabili.

Come quella volta che aveva staccato una gamba a uno di quegli animaletti di vetro che Banner teneva nella sua stanza, all’Avengers Tower. Aveva cercato di ripararla, ma quando aveva capito di non poterlo fare, costringendosi a confessare il misfatto al dottore… bè, le conseguenze le aveva subite e la schiena ancora gli faceva male, quando fuori decideva di piovere. Hulk non lasciava scampo a nessuno.

Nemmeno quanto Steve Rogers decideva di cantargli l’inno americano come ninna nanna. Una trovata di Stark, tanto per dirne una.

Rogers aveva una voce d’angelo. Tanto che aveva preso a chiamarlo Farinelli.

Una volta gli aveva chiesto di poter registrare le sue esibizioni per Hulk per poterle usare come suoneria del cellulare… ma… gli era stato risposto in modo molto sgraziato. Soprattutto per uno come il Cap.

“Clint… ti sei imbambolato?”

“Ahm… sì…” disse solo, tirando fuori dal carillon un mazzetto di quelli che sembravano vecchi articoli di giornale e fotografie ingiallite. Quasi ebbe timore di darci uno sguardo più approfondito.

Ma Natasha fece per lui, strappandogli letteralmente tutto di mano.

“Ehi!”

“Wow… una scatola dei ricordi?”
“Boh, qualcosa di simile, credo.”
“Come quelle di cui si sente parlare nei film americani.”

“Sì bè, non credo che fosse intesa come…”

“Non dirmi che questo sei tu.”

Clint si sporse per vedere. La foto che gli stava mostrando, rappresentava un Clint Barton ringiovanito di almeno venticinque anni, adolescente e un gran bel diavolo di costume a lustrini.

“Occristo no!” esclamò facendo di tutto per strapparle dalle mani la fotografia: ma Natasha fu più veloce e si rimise in piedi con l’agilità di un gatto.

“Oh no… lasciamela guardare bene ancora un po’.”

“Dai, ti prego! È roba vecchia.”

“Se questa è roba vecchia, significa che tu sei vecchio.”

“Non sono vecchio. È la roba che è… oh insomma! Va bene, guardala pure. Andiamo, prenditi pure gioco di me.”

Natasha si prese tutto il tempo necessario per guardare la fotografia e dal modo in cui tratteneva le risa, ricordò quanto si fosse sentito ridicolo la prima volta che al circo Carson, ingaggiato come arciere provetto, lo avevano costretto a indossare il suo primo costume di scena.

“Io ti trovo carino.”

“A-ah, continua pure.”

“No, sul serio… hai un che di goffo e fiero assieme.”

“Goffo perché sembravo un travestito, fiero perché… era la mia prima esibizione pubblica.”

Le disse, cominciando a dispiegare gli articoli di giornale conservati nella scatola.

Fu rapidamente investito da un considerevole numero di ricordi: pubblico in delirio, le luci, le musiche del circo, i colori, gli odori, i sapori. Non fosse stato preso a trattenere l’ennesimo starnuto, avrebbe dovuto ammettere di essere appena stato investito da un improvviso attacco di nostalgia.

Natasha gli fu di nuovo vicino e gli porse la fotografia.

“Non sembravi un travestito”, cercò di rassicurarlo lei, “i travestiti non ci tengono così tanto a far vedere che hanno… un armamentario di tutto rispetto là sotto.” E nel dirlo aveva indicato proprio il cavallo dei pantaloni che non lasciava granché spazio all’immaginazione.

“Natasha!” esclamò vagamente turbato, “avevo quindici anni!”

“E che vuol dire?” la vide stringersi nelle spalle, come se l’età anagrafica non fosse un fattore di grande rilevanza.

“Significa che ero un ragazzino innocente messo alla berlina da… un branco di circensi con un pessimo senso dello stile.”

“Scommetto che il costume te lo sei scelto da solo.”

La guardò solo un istante per farle capire quanto la odiasse in quei momenti: quando lei sembrava capire tutto in uno sguardo.

“Ovvio”, poté solo ammettere e Natasha scoppiò finalmente a ridere, “ma erano i favolosi anni ottanta! David Bowie ne aveva fatto il suo cavallo di battaglia.”

“Non dirmi che eri un fan di Bowie…”

“No, ma conoscevo il glam rock.” Fece per riprendere la foto ma Natasha la trattenne.

“Posso tenerla?”

“E per farne cosa?” le domandò perplesso e terrorizzato assieme.

“Non lo so, per tenermi di buonumore quando la situazione lo richiede.”

Lo sguardo che le restituì non fu del tutto concessivo.

“Andiamo”, protestò di nuovo lei, “tu hai ancora le mie foto del finto servizio di Tokyo che abbiamo usato per abbordare Stark.”

“La lingerie…” esalò Clint con aria quasi sognante. Quel servizio lo aveva ancora impresso nel cervello. Ogni tanto gli dava una rinfrescata andandoselo a sbirciare sulle foto conservate nella memoria del cellulare (che usava praticamente solo per quello). Il giorno più memorabile nella storia dello SHIELD. Aveva voluto partecipare alla realizzazione degli scatti. Ci aveva guadagnato un occhio nero.

“Esatto. Tu ti tieni la lingerie. Io mi tengo i tuoi lustrini.” Decretò Natasha, ritornando a guardare la foto, ancora evidentemente divertita dalla visione.

“Non sono sicuro sia uno scambio equo”, si riprese lui guardandola, “tu non sei ridicola.”

“Nemmeno tu”, la vide rialzare finalmente lo sguardo, “la trovo una foto molto dolce…”

Cercò di trovare segno di menzogna nelle sue parole ma non ne scovò.

“Ahm, okay… tanto mi ero persino dimenticato di averla.”

“Aspetta che la veda Stark!”

“Che cosa?!” il giorno in cui avrebbe pensato di poter finalmente capire la Vedova Nera, probabilmente Hulk avrebbe imparato a pilotare un quinjet.

Si levò in piedi tanto rapidamente che si lasciò cadere tutte le foto di mano, lasciò che si sparpagliassero sul pavimento, senza darsene pena: l’obiettivo era fermare la Romanoff e impedirle di compiere l’irreparabile.

“Fossi in te non mi azzarderei a toccarmi”, Natasha si fermò a un passo dalla finestra, con aria minacciosa, sventolando la fotografia.

“Invece ho intenzione di toccarti eccome.”

“Almeno chiedimelo con gentilezza.”

“Ma quale gentilezza!”

“Dimmi che hai ancora quel costume.”

“Stai scherzando, vero? Perché avrei dovuto tenere un costume a lustrini viola e rosa?”

Natasha ormai era a un centimetro dalla sua faccia: “Dimmi che ce l’hai ancora…”

Come al solito Natasha ne sapeva una più del diavolo. O forse… era proprio lei ad essere il diavolo.

“Ovvio…” le rispose di rimando.

L’istante successivo fu la camera da letto a venir presa d’assalto. Tutte le scatole di vecchi vestiti furono rovistate da cima a fondo. La pila di indumenti che avrebbero dovuto essere gettati – perché rifilarli ai poveri sarebbe stato un insulto, persino per i poveri – divenne in pochi istanti talmente alta da poterci costruire un fortino.

E dopo che anni e anni di pessime scelte d’abbigliamento furono riportate a galla, fra lo scherno generico e le proteste di Clint, Natasha riuscì a mettere le mani su quello che sì, doveva essere il suo costume di scena e che… no, probabilmente nemmeno lui ricordava così brutto.

“Ah ah!” esclamò la donna vittoriosa, raggiungendolo carponi, mentre lui era ancora incastrato fra una camicia hawaiana di almeno tre taglie più grande e un giacca con… le spalline.

“Speravo fosse andato disperso all’inferno.”

“E invece eccolo qui… dove piccolo Barton faceva le sue acrobazie al circo.” Il tono era mortalmente serio, ma lo sguardo ancora celava lo scherno più feroce.

Odiava Natasha.

Forse.

“Veramente al circo non facevo le acrobazie. Tiravo solo con l’arco.”

“Bè, qualsiasi cosa ci facessi dentro questo costume, sicuro deve aver visto giorni migliori…” gli disse, passandoglielo come per fargliene testare la consistenza.

“E’… abbagliante.” Constatò rendendosi conto di come la luce che filtrava dalla finestra rimbalzava direttamente sui lustrini andando a creare giochi di luce sulla parete retrostante.

“Nel senso che ne sei ancora attratto?”

“No, nel senso che dovevo essere cieco come Daredevil per averlo scelto. Dimmi almeno che il viola mi dona.”

Natasha scosse la testa, riavviandosi i capelli, esitando sulla visione globale della faccenda. Forse cercando solo un modo come un altro per non essere brutale.

“Credo che l’unico modo per scoprirlo sia mostrarmelo.”

“Che cosa?” le domandò allibito.

“Il costume.” Glielo additò con non-chalance.

“Stai… scherzando vero?”

“Ti sembro in vena di scherzi?” e di nuovo quell’espressione mortalmente seria, a metà strada fra una colica e un omicidio.

“Ma non ci entro nemmeno! Ero di almeno due taglie più piccolo. E non avevo tutti questi muscoli.”

“Quali muscoli?” di nuovo atona e mortalmente seria. Un giorno o l’altro lo avrebbe fatto andare fuori di testa e onestamente…

“Non lo faccio.”

“Nemmeno con la prospettiva di un diverso modo per divertirci?”

“Da quando in qua ti piacciono i travestimenti mentre…”

“Da adesso, se ti infili quel costume.” Lo interruppe, indicandoglielo con la testa.

“Non lo faccio…”

“Dai, nemmeno per vedere se ancora ci entri?”

“Natasha, non c’è modo alcuno per cui tu possa anche solo tentare di convincermi a indossare questo stupido vestito.”

La donna gli prese una mano e se l’appoggiò sul seno. Spronandolo anche a osare un po’ di più.

“Allora… lo fai?” insistette improvvisamente, senza dover nemmeno tirare fuori quella sua aria provocante.

La guardò solo un momento per decretare la sua stessa fine: “Ovvio.” Disse.

 

*

 

Kate Bishop non fece nemmeno in tempo ad infilare la chiave nella serratura che Lucky, il cane che ormai poteva vantare ben due padroni dall’occhio di falco, fece irruzione nell’appartamento di Clint Barton.

Quando la porta si spalancò sotto la spinta del festoso animale, niente aveva preparato Kate a quell’insensato ammasso di cianfrusaglie che ora sostavano un po’ dappertutto su tutta la superficie dell’appartamento. Dalla cucina, al salotto, persino lo spazio adibito al tiro con l’arco e palestra.

Scatoloni, aggeggi di dubbia natura, libri, fumetti e soprammobili di una bruttezza inaudita.

“Barton, stavolta hai dato davvero il peggio di te…” esalò stupefatta, camminando come sui cocci, nel tentativo di scansare tutto ciò che avrebbe rischiato di calpestare a terra.

Lucky al contrario sembrava aver appena trovato l’El Dorado: volava fra scatoloni e carta straccia, nemmeno si trovasse a navigare in un mare d’oro, stile Paperon de’ Paperoni.

“Clint?” fece un tentativo, nel caso fosse ancora a casa; anche se sperò ardentemente che fosse uscito per chiamare l’impresa di pulizia o più direttamente il camion della raccolta differenziata.

“Clint! Ti ho riportato Lucky! Non lo posso tenere stasera, ho un appuntamento e mi chiedevo se…”

Alzò lo sguardo solo per rendersi conto che i rumori che venivano dal soppalco del piano di sopra consideravano decisamente la presenza di qualcuno. E a giudicare dal cigolio delle molle di quello che doveva essere la penosa rete dei materassi di Clint, la presenza di un individuo extra. Che, escludendo l’ipotesi che si trattasse di ladri poco furbi (che avrebbero certo meglio giustificato quel magistrale casino al piano di sotto), poteva anche intuire si trattasse di una donna. Magari quella stessa donna che non era la sua ragazza. La stessa donna che suscitava risposte alla: ma che razza di idee strane ti fai venire in mente? Passando per l’accusatorio: smettila di farti le canne. Fino a concludere con il meno diplomatico: fatti i cazzi tuoi.

La donna che rispondeva al nome più comune di Natasha Romanoff.

“Appunto”, sospirò, indecisa se riprendere il cane e riprovare più tardi o aspettare che avesse finito con i ludici intrattenimenti al piano di sopra.

Decise che approfittare di una tazza di caffè non avrebbe fatto male. E poi… volevi mettere potersi godere lo spettacolo delle loro facce stravolte e l’imbarazzo (di Clint solamente) di essere stati platealmente scoperti? Avrebbe proprio voluto sentire quale nuova risposta all’ovvietà della situazione, le avrebbe sfagiolato l’arciere.

Sedette al bancone del cucinino e attirò a sé quello che sembrava un cruciverba. Dovette reprimere una smorfia nel constatare che era già praticamente finito. Barney Barton, il fratello di Clint, doveva essere passato uno di quei fine settimana. Non c’era verso che proprio Clint riuscisse a finire uno di quei cosi. Non che non lo reputasse una persona brillante, ma sapeva che se l’arciere doveva buttare via del tempo, preferiva spenderlo a recuperare tutte le puntate di serie televisive delle quali non riusciva mai a tenere il passo… quando era via e fare l’eroe con quel suo gruppo di Vendicatori in costume.

Sbuffò qualcosa e si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa da fare, quando il rumorino sospetto (oltre quelli piuttosto palesi al piano di sopra – ammazza quanto era vocale la Vedova Nera), l’attirò dall’altra parte della stanza.

Recuperò da terra un carillon, solo quando Lucky glielo presentò a due centimetri dalla faccia con tutta la bava del caso. E mentre ancora si stava chiedendo che cavolo ci facesse un simile aggeggio in casa di – quel grezzone di – Clint che scorse a terra una serie di fotografie ingiallite.

Le sottrasse al cane, prima che decidesse di farne la sua personale gomma da masticare.

Si trovò a sgranare gli occhi alle prima foto di Clint allo SHIELD. A sospirare dalla dolcezza in quelle dove non era che un ragazzino dalle ginocchia sbucciate, assieme al fratello che teneva fra le mani una ranocchia.

E poi a ridere. Ridere come una cretina.

Ridere fino quasi a produrre animaleschi grugniti di morte.

Aveva trovato le foto degli anni del circo.

Natasha Romanoff non possedeva l’unico esemplare compromettente della faccenda.

“Lucky… cambio di programma. Stasera si resta a casa. Ho un blog da aggiornare.”

 

Il cane la guardò raccogliere da terra solo un paio di foto e sparpagliare le altre di nuovo a terra, assicurandosi di non mostrare che era stata lì.

La vide mandare un bacio in direzione del piano di sopra e guadagnare di nuovo la porta.

“Andiamo?”

“Woof”, rispose.

Peccato, il divertimento a quanto pareva era finito. Per lui.

 

___

 

Note:

Il titolo della fan fiction è preso paro paro da quello di una canzone di David Bowie. Visto l’argomento, mi sembrava appropriata la citazione.

La storia è infarcita di riferimenti a fumetti e serie animate sugli Avengers (per dire, la stanza di Hulk piena di animali di cristallo, arriva dal cartone animato). Ce ne sono talmente tante, che non sto qui ad elencarle, per chi avesse dei dubbi, può sempre chiedere.

Per tutto il resto, fate gli auguri a Hermione Weasley. Una storia scritta senza pretese e senza logica probabilmente… è che avevo voglia di farti una sorpresa . E poi di scrivere qualcosa di scemo. Sopratutto il giorno del tuo compleanno. In un universo alternativo Clint e Natasha oggi stanno facendo zozzerie, prendendo come scusa un costume circense. Ciao Joss.

Next time, I get to seduce the rich guy.

  
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